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Illusion never changed into something real.
Roma, 1500 d.C.
Louis è in ginocchio sulle assi del sottotetto. Non si muove,
eppure il rumore di un'infinità di scricchiolii riempie l'aria.
«Come vuoi morire?» È davvero la sua voce? Non la
riconosce. Perché tentenna? Perché è spezzata?
«Le persone che devi uccidere sono solo pezzi di legno»
aveva detto lui stesso una volta al suo signore. Eppure guardandolo
rannicchiato sotto l'arco che sorregge il soffitto sente che questa
volta è diverso. Ha ucciso così tante persone, Louis,
nella sua vita, da aver perso il conto. La prima è stata suo
padre: Louis non aveva mai amato nessuno.
«Tra le tue braccia» soffia il ragazzo, gli occhi
arrossati, il petto che si alza e si abbassa febbrilmente. Come una
lepre spaventata dal latrato dei cani e dallo scalpiccio degli zoccoli
dei cavalli; come un animale braccato; come chi sa che è giunta
davvero la sua ora.
*
Milano, 1500 d.C.
«Leonardo da Vinci?» chiama con il suo solito tono
neutro. Louis è così, l'unico valore a cui da realmente
importanza è la lealtà verso il suo signore. C'è
stato un tempo in cui credeva nell'amore, ma non ricorda neanche
più l'ultima volta in cui ci aveva sperato.
«Andato» risponde una voce maschile. Il proprietario spunta da dietro una statua nascosta da un drappo.
«Il suo allievo? Il figlio bastardo del Moro?» chiede
ancora, aggirando il tavolo colmo di fogli di pergamena, calamai e
piume d'oca. Studia il suo interlocutore con il solito occhio critico
che gli permette di salvarsi la pelle in ogni occasione. Un ragazzo,
poco più di questo. I boccoli scuri e un filo appena di barba,
gli occhi grandi da bambino in contrasto con lo sguardo malizioso e
sporco che gli rivolgono, le labbra distese e la camminata sicura, solo
una impercettibile tensione nelle spalle. Louis lo invidia, invidia
quella perfezione di anima e corpo che lui non ha mai avuto. Lo vuole.
Si sente incredibilmente attratto da lui.
«Andato anche lui» risponde, riportando Louis alla realtà.
«Non mentirmi, ragazzo» sibila, lasciandosi alle spalle
l'ultimo ostacolo che li divide. Quello abbassa il capo e Louis sente
il suo sguardo percorrerlo interamente.
«Suo padre lo ha portato via dal maestro» dice, sicuro.
«Perché?»
«Per questo.» Il giovane si volta, chinandosi leggermente
in avanti per afferrare il drappo e scoprire la statua dietro la quale
era nascosto. Louis sorpassa velocemente la barriera del suo corpo
così sfacciatamente esposto e si posa sulla statua di un
ragazzo, completamente nudo. Lo ammira per qualche minuto intero.
È bello: tutti sanno delle incredibili doti di Leonardo.
«Avrebbe dovuto scegliere me» mormora il suo interlocutore,
ruotando il capo appena il tempo necessario per fargli vedere la punta
della lingua inumidire le labbra rosse.
In un attimo Louis è dietro di lui. Lo stringe, una mano sul
ventre piatto e l'altra sul collo morbido. Louis ha un brivido di
eccitazione e disgusto quando si rende conto che è la stessa
morsa in cui stringe le sue vittime poco prima di spezzare loro l'osso
del collo. Il ragazzo rovescia la testa sulla sua spalle. Ride.
«Perché ridi?»
«Perché essere posseduto da voi, mio signore, è
molto meglio che posare per una statua di Leonardo» risponde,
solo il sorriso ad adornare il bel volto. Non dice altro. Le fibbie
della sua giacca sono fredde sotto le dita e una volta sciolti i lacci,
le braghe di Louis si fermano all'altezza delle ginocchia. Il giovane
si volta, i gomiti puntati contro il tavolo, non lo guarda ma lo cerca
con i suoi gesti. Louis emette un ringhio quando entra in lui, rude,
come sempre sono i pochi atti carnali che si concede. Il ragazzo
mormora qualcosa, sembra latino, ma a lui non interessa. Si preoccupa
del suo piacere solo dopo aver appagato il proprio, in maniera
sbrigativa. Louis non fa l'amore, non lo bacerà dolcemente sulle
labbra prima di andarsene, non gli dirà il suo nome e non gli
chiederà il suo. Semplicemente sparisce tra le ombre da dove
è venuto, in quella Milano che non conosce, in cui ha trovato un
ragazzo qualsiasi che non rivedrà mai più.
*
Roma, 1500 d.C.
«Louis.» Il suo nome sulla bocca di quel traditore angelico
continua a stregarlo. Lo ama, Louis, lo sa lo sapeva il suo cuore, lo
aveva accettato; prima che la sua mente potesse rendersene conto il suo
corpo aveva già capito che non avrebbe più potuto farne a
meno.
«Sono qui» sussurra. Quella frase suona così
ipocrita detta da lui: è la stessa cosa che dice alla sua
vittima, poco prima di rubare la vita, «sono qui»
e lei arriva. Attorno a loro c'è appena la luce necessaria a
vedere il volto dell'altro. Louis vorrebbe alzarsi e spegnere la
candela, ma il ragazzo ha paura del buio. Gli ha detto che solo se
c'era lui al suo fianco riusciva ad addormentarsi con la luce spenta.
«Perché non dici mai il mio nome?» La sua voce
è una sferzata sulla pelle di Louis. È vero, non lo ha
mai chiamato per nome, neanche nei suoi pensieri, anche se lui alla
fine glielo ha detto. Si volta, lo trova in piedi. Fa un passo avanti e
posa una mano sulla sua guancia.
«Harry» e la sua sembra una disperata preghiera.
*
«Che ci fai a Roma?» La sua voce è meno di un sibilo
contro il suo viso accaldato. Gli schiamazzi del mercato adiacente e il
tintinnare della spada al suo fianco riescono a coprirla.
«Un amico mi ha pagato il viaggio.»
«Fino a Roma?» È scettico. Credeva di esserselo
lasciato alle spalle, nella pestilenziale Milano, e ora lo ritrova ad
aggirarsi per le strade dell'Urbe, non solo nei suoi sogni più
nascosti. Se credesse in Dio, questo sarebbe il momento di invocarlo.
Gli è mancato quel corpo, oh sì, da morire. La guarda dal
basso, per colpa di una stupida differenza d'altezza che lo fa sentire
solo più inferiore e sporco. Si sporge ancora, stringendo appena
gli occhi quando sente le ossa del suo bacino premere contro lo
stomaco.
«Mi stavi seguendo» afferma sicuro.
«Speravo di farlo» risponde lui, un piccolo sorriso che ha il chiaro intento di ammaliarlo.
«Sai cos'è il pericolo, ragazzino?» In risposta,
quello sfiora le sue labbra con la punta del naso, ritraendosi quando
Louis cerca di baciarlo, e «Tu» dice. Louis ha un unico,
lungo, fremito. Lo lascia andare, si volta.
«Seguimi» dice, iniziando già a camminare.
*
Harry segue i suoi movimenti, sente il suo sguardo accarezzare ogni singola cicatrice che gli deturpa la schiena.
«Sembra un prezioso ricamo di filo d'argento» mormora,
sfiorandolo con la punta delle dita. Louis freme, ma lo ignora. Sa che
Harry non vuole fargli cambiare idea, non più: ha accettato il
suo destino. E anche Louis. Sfila lo specchio dalla custodia in cuoio,
che scivola sul pavimento in un piccolo turbinio di polvere. Louis si
volta, ora sono faccia a faccia. Lo guarda dritto negli occhi, trema
appena. Quando lo lascia cadere a terra, lo specchio si frantuma
davanti ai loro piedi scalzi.
«Harry» ripete.
*
«Non parlare a nessuno di questo luogo» inizia Louis,
stringendo tra le mani una vecchia coppa colma d'acqua e indicando con
il braccio il sottotetto in cui l'ha portato.
«Non chiedere dove vado. O dove sono stato. Se non mi vedi per
una settimana, o più, aspettami. E se non ci riesci, tutto
questo non significherà nulla. E te ne andrai. E te ne andrai in
silenzio. E ti porterai quel silenzio nella tomba. Ma se romperai quel
silenzio, ti troverò. E credimi, ragazzo, non lo vorresti»
conclude, serissimo, guardando il suo amante sdraiato nudo sul
materasso al centro della stanza. Ha gli occhi verdi lucidi per
l'orgasmo ma comunque attenti.
«Giorni, settimane, cosa dovrei fare?» chiede.
«Goditi le bellezze di Roma. In quel barattolo ci sono dei soldi.
Vai dal Bramante, frequenta il suo studio, sarà felice di
accoglierti tra le sue lenzuola.» Il ragazzo si agita appena
sopra le lenzuola. Louis sa che non era necessario dirgli quelle cose,
ma condividere il letto con lui per più di una volta è
qualcosa a cui è stato troppo facile abituarsi. Si volta, dando
le spalle ai suoi sentimenti e a quei boccoli di cui già sente
la mancanza.
«Dove vai?» La sua voce. Louis si irrigidisce, ma la voce
esce piatta, autoritaria e minacciosa esattamente come voleva.
«Non devi mai chiederlo.»
*
Louis si china a raccogliere il pezzo di vetro più grande: ha i
bordi affilati e una piccola goccia di sangue sgorga dal suo dito.
Harry lo guarda, l'espressione di totale fiducia che fa tremare ancora
di più Louis. Non può farlo. Non può ucciderlo,
non dopo essere tornato ad amare grazie a lui. Abbassa lo sguardo e
cammina sopra le schegge di vetro, ignorando le fitte di dolore che
allarmano il suo fisico. Lo circonda tra le braccia, un po' rude e
sicuramente goffo. Harry ricambia, con slancio, aggraziato e sincero
posa i palmi aperti alla base della sua schiena e Louis se lo tira
contro, in un tentativo di esternare i suoi sentimenti.
*
«Cosa vuol dire?» chiede arrabbiato e sospettoso Louis. Ha
trascritto dei segni sulle travi del pavimento con un gesso e ora passa
lo sguardo dalla assi al ragazzo. Louis è tornato presto quella
mattina, dopo essere stato via una settimana intera. È stato
felice di ritrovarlo addormentato tra me lenzuola, anche se lui per
primo si è stupito di essere ancora in grado di provare quel
sentimento. Aveva voglia di svegliarlo. Voleva fare l'amore con lui.
Poi la prima luce dell'alba è entrata dalla finestra, battendo
su qualcosa di lucido poggiato sul piccolo tavolino. Avvicinandosi
Louis ha visto uno stilo e pochi segni vergati su un foglio.
«È il tuo nome» risponde il ragazzo, seduto a torso
nudo sull'unica sedia, la pelle pallida che attira irrimediabilmente
l'attenzione di Louis.
«Davvero?» Louis si mantiene sulla difensiva, anche se non
ha altra scelta che credergli visto che non sa leggere.
«Perché? » chiede, sedendosi accanto alle lettere
che ha tracciato.
«Quando eri via, scrivere il tuo nome mi faceva sentire
più vicino a te. È il linguaggio dell'amore» spiega
con innocenza.
«Non è roba per te,
Louis, tu non sai amare. E questo mondo non accetterebbe il vostro
amore. Vuoi vederlo bruciare su una pira?» si dice nella sua mente. Non ha una coscienza, altrimenti avrebbe capito prima di aver intrapreso una strada senza sbocco.
Nonostante quei pensieri Louis trattiene il respiro, combattuto. «Quindi se non so leggere non so amare?» domanda.
«Ma sai scrivere» dice il ragazzo, confuso, indicando con un cenno il pavimento.
«Ricordo i segni, le forme... Per me sono solo questo.»
«Posso insegnarti, se vuoi» si propone lui.
Quella che sgorga fuori dalla gola di Louis è una risata amara. «No, sono troppo vecchio per imparare.»
«Posso leggere per te allora» ritenta, alzandosi a prendere
un libro che Louis era sicuro di non avere in casa. Vedendo che non
oppone resistenza, il ragazzo inizia: «Vivamus, mea Lesbia, atque
amemus, rumoresque senum severiorum, omnes unius aestimemus
assis.»
«Non conosco il latino» dice Louis appena il ragazzo tace.
«Viviamo, mia Lesbia, e amiamo, e i rimproveri dei vecchi severi non stimiamoli tutti neanche un soldo.»
«Neanche un soldo…» ripete. Il giovane gli sorride,
scivola giù dalla sedia tra le sue braccia. Louis si getta
vorace sulle sue labbra, dimentico del libro e del resto del mondo.
*
Sono in ginocchio l'uno di fronte all'altro. Scalzi come Gesù
Cristo quando salì sul Golgota, le braghe sporche di polvere e i
petti nudi che quasi si sfiorano ad ogni respiro. Harry prende un
gesso, lo stesso che aveva usato Louis qualche tempo prima, dopo la
prima volta che avevano fatto l'amore in quel sottotetto. Se lo rigira
tra le dita lunghe mentre Louis stringe sempre più
spasmodicamente il pezzo di vetro. Alla fine si china in avanti, poggia
il gesso sulla trave e inizia a scrivere.
«GOOD...» il gesso stride sul legno consumato, Harry si
ferma, alza il volto e lo guarda. Louis non dice niente, è
già morto dentro.
«GOODBYE» conclude Harry, la scritta bianca campeggia tra
di loro come una vecchia cicatrice sulla pelle. Il gesso produce un
suono sinistro mentre cade sul pavimento: Louis pensa che somiglia al
rintocco delle campane di San Pietro che suonano a morto.
*
Passa troppo tempo con lui.
«Mancano pane, miele e uova» lo sente dire, un piede
già sul primo gradino della scala che porta al piano
sottostante.
«E anche il latte» completa Louis gettandogli altri soldi.
Il giovane sorride e schizza fuori. Louis si butta tra i cuscini,
desiderando di addormentarsi per poter almeno rimandare l'amara
incombenza che gli spetta. Eppure non prende sonno, anzi al contrario
sembra pieno di energia, anche se il suo umore è nero come la
bocca dell'Inferno. Si alza in fretta e, ancora nudo, si avvicina alla
prima asse davanti alle scale. Gli sfugge un gemito quando la sente
traballare sotto i piedi. In un impeto di rabbia afferra un pugnale per
riuscire a spostarla facilmente. Il cuore si fa pesante nel petto:
sotto la trave c'è un foglio di pergamena ripiegato più
volte su sé stesso, una fitta rete di segni vergati sopra. Li
studia attentamente, poi ripone tutto al suo posto. Quando il suo
amante ritorna trova il sottotetto vuoto, ma si limita a sospirare:
ritornerà, non sa se per sua fortuna o sfortuna.
*
Louis blocca il braccio a mezz'aria.
«Ti amo» ha detto Harry. Vorrebbe picchiarlo, perché
quelle parole gli fanno male, malissimo. Ma Harry ha le lacrime agli
occhi, eppure non cerca neanche di dissuaderlo. «Ti amo»
ripete. Afferra i suoi polsi e Louis si sente dannatamente vulnerabile:
potrebbe dargli una testa e rompergli il naso, potrebbe prendere il
pezzo di vetro dalle sue mani e pugnalarlo dritto al cuore. Louis spera
che lo faccia, perché accoglierebbe volentieri la morta se
venisse per sua mano. Ma Harry non lo fa, non fa nulla di quello che
Louis aveva ipotizzato. Non pretende neanche che Louis risponda a
quelle parole, solo si sporge e lo bacia, allentando la presa sui suoi
polsi per far ricadere le braccia lungo i fianchi.
«Non potevo morire senza avertelo detto» biascica sulla sua bocca.
*
Louis rientra tardi: la giornata è finita peggio di come fosse cominciata.
«Cerca un libro» ha detto il suo signore. Ha trascritto il testo del messaggio per lui e il suo signore ha dato voce ai suoi incubi: «È una spia.»
Ma alla fine il messaggio si è rivelato essere nascosto, e per
decifrare l'apparente groviglio di numeri Louis deve trovare un libro.
Il ragazzo siede allo scrittoio, ha un libro e qualche foglio bianco
davanti. Louis si inginocchia ai suoi piedi come un postulante di
fronte al papa.
«Leggi per me» lo prega. Quello gli rivolge un sorriso
sincero e Louis vorrebbe strapparsi gli occhi per non dover affrontare
la bellezza di quel viso e la dolcezza dei suoi gesti.
«È una spia.»
la voce del suo signore nella sua testa viene coperta da quella del
giovane che inizia a declamare: «Odi et amo. Quare id faciam,
fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior. »
Louis aspetta paziente che inizi a tradurre. «Odio e amo: per
quale motivo io lo faccia forse ti chiederai. Non lo so. Ma sento che
accade, e mi tormento.»
«Non so perché» ripete Louis. «Conosco quella
sensazione da tutta la vita. Da tutta la vita!» Già,
neanche lui sa perché è capitato in quella situazione. Lo
odia e lo ama. Lo ama. Lo ama disperatamente.
«L'amore è così, non si sceglie chi amare, mio signore» conclude il ragazzo.
Una frase che suona ricca di sottintesi alle orecchie di Louis mentre,
seduto accanto al suo signore, con il messaggio da decifrare e i Carmina di Catullo disposti ordinatamente sul tavolo, spera con tutto se stesso che quel giovane angelo non si trasformi in Lucifero.
«Da chi hai avuto il messaggio?» chiede il suo signore.
«Un ragazzo.»
«Quale ragazzo?»
«Quello che ho accolto nel mio letto.» Lo vede trattenere
il respiro, preoccupato più che disgustato: lui è
così, non l'ha mai giudicato.
«La spia che hai accolto nel tuo letto. È una spia degli
Sforza. Uccidilo» decreta alla fine il suo signore e Louis
annuisce. Non lo odia per questo, lui protegge la sua famiglia e Louis
ucciderà quell'unico embrione di serenità che abbia mai
avuto.
*
La scheggia di vetro affilata taglia in profondità la carne dei
polsi di Harry. Louis sente subito il sangue sgorgare e inondare la sua
mano. Una goccia bagna il pavimento ma il respiro spezzato di Harry
copre il leggero tonfo. Alla prima ne seguono altre, come una pioggia.
I polsi di Harry sanguinano copiosamente, il suo colorito si fa terreo,
trema. Louis solleva il braccio, incide la sua pelle ancora più
in fondo di quanto abbia fatto con Harry. Il suo corpo scatta, ha uno
spasimo, si ribella. Louis non abbandona gli occhi di Harry mentre
anche dal secondo polso il sangue comincia a sgorgare abbondantemente,
mischiandosi a quello del suo amante sul pavimento. Harry gli strappa
via il pezzo di vetro, lo butta lontano. Unisce le mani, le solleva
sopra il suo viso e il sangue denso e scuro cola sul viso di Louis.
«Stai piangendo» mormora Harry, allontanando le braccia e guardandolo.
«Lacrime di sangue» conferma Louis. Ormai che non
può più tornare indietro la disperazione lo sta
soffocando. Vorrebbe lottare strenuamente per tenersi aggrappato a quel
brandello di vita che gli rimane, ma la verità è che la
sua vita sta morendo insieme a lui, con lui. Harry si getta tra le sue
braccia con disperazione.
«Ho paura. Stringimi.» La voce è spezzata, il suo
sangue scivola sulle spalle di Louis, che si lascia sfuggire un
singhiozzo.
«Ti amo.» Doveva dirlo. Esattamente come lui, non crede
nell'aldilà e non poteva morire senza dirgli anche a parole
quello che prova. Harry piange e a Louis gira la testa. Lo stringe
forte, come se fosse la sua ancora di salvezza, ma ben consapevole che
per loro non ci sarà nessuna salvezza. Sa che questi era l'unico
epilogo possibile per loro: se non l'avesse fatto lui, l'avrebbe fatto
un sicario dopo giorni di inutile fuga. Per Harry valeva la pena
lottare, ma forse Louis non è mai stato così forte.
L'unica cosa che può fare per lui è non lasciarlo solo,
morire con lui.
«Vedo tante luci» mormora Harry ormai con un filo di voce.
«Dicono sia la tua anima che lascia il tuo corpo, se ci credi» risponde meccanicamente Louis.
«È il mio corpo che lascia il tuo» ribatte Harry, prima che un eccesso di tosse gli tolga il respiro.
«Harry» lo chiama.
«Non lasciarmi andare» La sua voce si spezza e il suo corpo ha un ultimo sussulto.
«Mai» dice Louis. Ha la vista appannata, la testa pulsa
dolorosamente e le braccia non hanno più la forza di muoversi,
rimangono strette al suo corpo. Cadono entrambi sul pavimento intriso
di sangue e Louis sente appena il dolore dell'impatto. Chiude gli
occhi, Harry non si muove più tra le sue braccia, non sente
neanche il flebile calore del suo fiato sulla pelle. Louis sospira di
sollievo quando si sente gli occhi pesanti e il fiato arranca un'ultima
volta per la sua gola.
«Harry» le sue labbra si muovono appena ma non riesce a produrre alcun suono.
Harry non ha negato, era una spia.
Harry non ha mentito, lo ama.
Harry non si è tirato indietro, è morto. E Louis con lui.
Note Finali:
Allora, se siete arrivati qui, complimenti! Non sono solita scrivere
questo genere di storie e mi piange il cuore (e anche gli occhi (?))
per il finale, io che mi dicevo tanto difensore dell’happy
ending. Non è che ci sia molto da aggiungere, giusto qualche
nota storica, perché ci tengo tantissimo: Il Moro di cui si
parla all’inizio è Ludovico Sforza detto il Moro, duca di
Milano dal 1480 al 1499, mentre il “signore” di Louis
è Cesare Borgia, figlio del Papa Alessandro VI, al secolo
Rodrigo Borgia e personaggio che personalmente amo alla follia (come
Irene sa bene ahah) Sulla presunta omosessualità di Leonardo da
Vinci e del Bramante, è una di quelle cose su cui si chiacchiera
da secoli ma che non ha un solido fondamento (anche perché in
quel periodo gli omosessuali venivano bruciati sul rogo quindi veniva
tenuto ben segreto). Personalmente mi piace pensare che fossero amanti
del bello, in ogni sua forma. Ecco perché Harry Styles era
allievo del da Vinci, concordiamo tutti sulla sua bellezza! Comunque
tranquilli, non siete finiti magicamente a scuola durante una lezione
di storia ahahah Ho scritto troppo, lo so, fatemi sapere se
volete costruirmi una forca o preferite il lancio di pomodori!
Bee :)
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