Uno
Dolce Flirt ~
"Con Permesso..."
Capitolo Uno.
Terribili Incontri.
Come si può spiegare una relazione?
Due persone stanno insieme perché si amano,
talvolta basta. Ma spesso si generalizza, arrivando a pensare che i
legami che intercorrono tra due persone siano così semplici da
ridursi ad un semplice sentimento. Anche nel caso che la frase si
riveli azzeccata, non è detto che l'amore, da solo, riesca poi a
tenere in piedi la storia.
E anche così, comprendendo i sentimenti dei due coinvolti, non
è comunque facile stabilire gli altri fattori. Ma, cosa
più importante, i sentimenti di un eventuale terzo.
Non è forse vero, infatti, che in ogni coppia esiste sicuramente
una persona che da essa è tagliata fuori ne soffre? Oh
sì, sono convinta di ciò. Forse, proprio perché
per lungo tempo, quella terza incomoda ero io.
Entrai nella sua vita nel modo più banale possibile.
«Salve,
sono venuta a chiedere per quel posto da commessa» entrai nel
negozio con una cartelletta di fogli in mano. Subito mi sorpresi della
modestia del posto ma mi bastò osservare gli abiti esposti per
rendermi conto della raffinatezza della merce. File e file di abiti
dalle svariate forme e colori si distendevano davanti ai miei occhi. E
proprio da una di esse ne uscì un bellissimo ragazzo dall'aria
confusa e spaesata. Mi guardò con due grandi occhi neri
chiedendosi di cosa stessi parlando. In una mano teneva una gruccia,
sulle braccia un quantitativo esorbitante di stoffa che non avrei
saputo riconoscere in un vestito e tra le sue sottili labbra un paio di
spilli e un ago da cui pendeva un sottile filo visibile solo grazie ad
uno strano riverbero di luce. Sulle prime rimasi incantata dalla
particolare bellezza del ragazzo che mi ritrovai davanti ma la strana
circostanza in cui mi ritrovai mi aiutò a reagire in modo quasi
tempestivo. Sotto il suo sguardo confuso mi ricordai di aver portato
con me una copia dell'annuncio di lavoro, postato probabilmente dallo
stesso ragazzo che si trovava di fronte a me. Nel negozio si sentiva
solo una flebile canzone, mandata alla radio o registrata su un cd,
quindi dovevamo essere soli in quel posto; ma il fatto che lui,
inizialmente, si fosse dimenticato di un qualcosa che avrebbe potuto
scrivere mi fece vacillare. Cercai velocemente il foglio incriminante,
sfogliando gli altri con una velocità sorprendente, leccandomi
ogni tanto l'indice così da avere più presa sulla carta.
Ed eccolo, infine: una pagina dall'intestazione del sito internet da
cui l'avevo stampata. Lo estrassi, cercando di non muovere gli altri
fogli e, grazie al cielo, ci riuscii. Il ragazzo dai profondi occhi
neri, come la sua capigliatura, assottigliò gli occhi, cercando
di vedere bene il foglio. Mi resi conto di essere a più di due
metri da lui e che quindi la cosa gli avrebbe creato qualche problema;
così presi a due mani l'annuncio, appoggiandolo sulla
cartelletta e, tenendolo davanti a me, mi avvicinai al ragazzo nella
speranza che finalmente capisse il tutto.
«Oh!»
se ne uscì, strozzato, probabilmente per non far cadere i
piccoli oggettini di metallo che teneva stretti fra le labbra. Abbassai
la cartellina e mi ritrovai davanti una folta chioma nera come la pece
che si muoveva in modo strano. Più prendevo coraggio,
allontanando quello strano meccanismo di difesa, più riuscivo a
comprendere le sue movenze. La sua agle mano stava arrotolando nella
stoffa gli spilli e l'ago. Proprio quando cominciai a capire, imitando
il suo verso, egli rialzò il viso mostrandomi un sorriso
affascinante. Rimasi immobile, con le labbra socchiuse. Mi sentii una
scema ma non riuscivo più a muovermi: non avevo mai visto una
persona così bella.
«Seguimi».
Percorremmo il piccolo locale ed ebbi modo di ammirare tanti altri
modelli fino a che non mi portò in quello che doveva essere il
magazzino. Era pieno di stoffa inutilizzata e manichini spogli. Molti
abiti erano appesi contro il muro, avvolti in una sacca trasparente su
cui era attaccato un bigliettino: quelli dovevano essere gli abiti
già venduti in attesa che il proprietario venisse a ritirarli.
Rimasi sulla porta per osservare meglio il posto. Era molto spoglio,
con molti tavoli e sedie. L'unica cosa che riusciva a dare un po' di
allegria all'ambiente, erano le stoffe di mille colori, illuminati
dalla luce che filtrava dalle grosse finestre. Sarebbe benissimo potuto
assomigliare ad un atelier. In un angolo, poi, vi erano moltissimi
specchi e una piedistallo. Lì, probabilmente, vestiva delle
modelle. Ebbi l'istinto di andare a rubare qualche abito dal negozio
per poi indossarlo e vedermi in quell'immensità di specchi. Ma
non lo feci perché quello che sarebbe potuto diventare il mio
capo appoggiò rumorosamente le stoffe su uno dei tavoli. Poi si
girò verso di me. «Accomodati
pure» disse, indicandomi gentilmente una sedia libera. Solo
allora notai il suo bizzarro abbigliamento: sembrava venuto fuori da
uno di quei film in costume e decisamente, il foulard viola che portava
al collo gli donava poco. Feci per sedermi quando lui si spostò
alle mie spalle per avvicinarmi la sedia al tavolo. Wow, pensai, esistono ancora i cavalieri, al giorno d'oggi?
Prese velocemente posto davanti a me, cercando di fare spazio tra di
noi. Il tavolo, ingombro di stoffe, era comunque il più a posto
di tutti per cui dovevo accontentarmi.
«Ehm...»
cercai di attaccare bottone, messa in soggezione dalla sua postura
diritta e dalle mani incrociate sul tavolo, davanti a lui «Sono venuta qui per l'annuncio che ho let-».
«Sì, sì» fece lui sbrigativo «Hai mai lavorato in un negozio?».
Rimasi sorpresa dalla sua strana professionalità; anzi, dalla
sua assenza di professionalità. Ma annuii piano con la
testa. «Prima
di trasferirmi ho aiutato i miei genitori con il loro negozio e ho
avuto altre esperienze» cercai di presentarmi al meglio,
cominciando a trafficare con la cartelletta azzurra tra le mie mani.
Presentargli ora il Curriculum sarebbe stata una mossa di tutto
effetto, ne ero sicura. «Se
vuole dare un'occhiata...» gli allungai i due fogli graffettati
insieme. Lui lo prese ma dopo uno sguardo veloce lo riposò sul
tavolo. «Allora vediamo che sai fare, Daphne».
Leigh, così si chiamava il ragazzo, si rivelò essere una
persona piuttosto stramba. Mi aveva assunta dopo una sola settimana di
prova e senza nemmeno guardare il mio curriculum. Pensai inizialmente
che lo aveva buttato ma sbirciando tra la spazzatura non lo trovai e in
tutto il retro del negozio non riuscii a trovarlo: doveva essere
sparito. Smisi di pensarci dopo qualche giorno, euforica del nuovo
lavoro con cui avrei finalmente potuto cominciare una nuova vita a
Parigi. E, chissà, avrei forse avuto anche qualche relazione e
qualcosa dentro di me mi diceva che il mio capo non sarebbe stato fuori
dalle mie mire. Lo aiutavo in negozio e, dopo pochi suoi consigli,
cominciai anche a cavarmela dietro una macchina da cucire: ero sicura
che, continuando ad aiutarlo, avrei avuto modo di avvicinarmi a lui e a
conoscerlo. Purtroppo, però, il negozio era molto famoso in
città e ogni giorno era affollato più del precedente, se
possibile. Addirittura, sembrava esserci una specie di collaborazione
silenziosa con la gelateria di fronte: tra gelati e vestiti le donne
andavano matte e gli incassi di entrambe le attività sembravano
lievitare costantemente. Il prezzo del successo, purtroppo, era di
incrociare quasi per caso Leigh. Vedevo la sua chioma vagare per il
negozio; avrei voluto andare da lui a creare un rapporto ma io stessa
vagavo costantemente cercando di aiutare i clienti. Ma le cose
cominciarono a cambiare con Settembre e l'inizio della scuola. Fu un
sollievo avere delle mattinate tranquille. Cominciai a parlare con
Leigh, avanzando anche idee mie riguardo a dei modelli di vestiti. Non
avevo mai amato la moda ma la vicinanza con il ragazzo stava cambiando
alcuni miei modi di pensare ed alcune mie idee. Certe notti mi
svegliavo e mi precipitavo alla piccola scrivania della mia camera in
affitto per disegnare un modello che avevo sognato, prima di
dimenticarmelo per sempre.
Ma ero sempre stata una persona che tirava le conclusioni ancora prima
di sapere metà della storia. Già; fu quando cominciai a
credere che tra me e il corvino sarebbe potuto succedere qualcosa che
la realtà mi crollò di colpo addosso.
In negozio entrò una fanciulla molto bella. Aveva dei lunghi
capelli argentei ed un viso dai lineamenti perfetti. L'avevo già
vista molte volte passare dal negozio ma era sempre stata servita da
Leigh. Inoltre, ogni volta che si presentava lì, riconoscevo
sempre un capo diverso che vendevamo. L'idea che fosse solo
una cliente fissa era ciò che avevo sempre pensato. Si
avvicinò al bancone dietro cui ero seduta. Visto il bellissimo
momento di pausa, mi ero messa a guardare il via-vai di gente fuori
dalla vetrina fino a che non era arrivata lei. Mise le mani sul bancone
per avvicinarsi a me, sbattendomi quasi in faccia il suo enorme
seno. «Sai dirmi dov'è Leigh?» chiese piena di allegria. Sì, tranquilla. Non salutare nemmeno,
pensai. Ma mi stampai sul volto un fintissimo sorriso cordiale e le
dissi che in quel momento era occupato sul retro e, se possibile, era
meglio non disturbarlo. Stava creando un abito seguendo un disegno che
gli avevo portato quella mattina: gli era piaciuto così tanto
che si era messo all'opera non appena ero riuscita a prendermi tutti i
clienti che chiedevano consigli. Si era defilato in un attimo e da
lì non era più uscito; inutile dire come quel gesto mi
avesse resa felice. Era un po' come dire che il nostro rapporto si era
evoluto. Ma mentre io pensavo ad un futuro che non sarebbe potuto
esistere, questa mise il broncio. «Ma
io voglio vederlo!». Mi dette fastidio il suo modo di fare. Ma
che voleva poi, da lui? Mi alzai in piedi, dicendole che avrei fatto io
un salto a vedere se poteva riceverla. E così, sperando anche di
levarmela di dosso, percorsi il locale. Bussai alla porta e la aprii
poco dopo.
Leigh era bellissimo. Il volto all'ombra e concentrato sulla stoffa e
il disegno. Lo chiamai ma non mi sentii fino alla terza volta. Solo
allora sembrò risvegliarsi cancellando quell'espressione
estatica di chi sta compiendo un capolavoro dal volto e piazzandoci su
uno dei suoi sorrisi. «C'è
una ragazza che ti cerca» gli dissi, sussurrando, per paura di
rompere quell'atmosfera magica in cui ero appena entrata.
«Chi è?» mi chiese, inclinando teneramente il capo.
Ma non seppi che rispondere, né ci riuscii dal momento che la
ragazza, che doveva avermi seguita, entrò di corsa nel magazzino
quasi schiacciandomi contro la porta. Saltò al collo del ragazzo
riempiendogli le guance di baci. Strinsi forte una delle mie mani e
stavo per reagire quando lo vidi felice e contento di tutte quelle
attenzioni. «Dai, Rosa! Sto lavorando!» fece lui, ridendo per la prima volta da che lo conobbi.
Cos'era quel modo affabile, quello spazio a lei concesso? Cos'era quel
sorriso ebete sul suo volto mentre il mio viso sembrava sfaldarsi?
Vedendo che non capivo, Leigh si alzò in piedi e, indicando la ragazza, me la presentò. «Lei è Rosalya, la mia fidanzata».
Questa fanfiction deve la sua nascita a Sakyo91 che con la sua
bellissima storia mi ha ispirata a scriverne una. Volevo dare l'idea di
una Rosalya un po' antipatica com'era riuscita a fare lei e, anche se
non credo di esserci riuscita, ho comunque realizzato un altro trittico.
Avrei voluto pubblicarla a storia conclusa ma i capitoli saranno solo
tre e l'ultimo è in fase di chiusura quindi mi porto avanti.
Credo che la aggiornerò settimanalmente (massimo); e vi informo
già che a chiusura di questa ne arriverà un'altra con un
diverso trio di personaggi: Jade, Dajan e la Dolcetta.
Sto cercando, per quanto possibile, di passare tutti i personaggi del
GDR, partendo da Armin e Alexy (e Dake) in Doppio Gioco; Nathaniel,
Castiel e Lysandre in Shadows e queste due novità.
Per il momento godetevi un personaggio strasottovalutato.
A presto!
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