Premessa: il personaggio di Stargirl
non è stato inventato da me, ma dall’autore dell’omonimo romanzo, Jerry Spinelli; per tanto il comportamento ed i dialoghi di
Stargirl sono stati ispirati e talvolta ripresi
completamente da tale romanzo.
Un giorno come gli altri a mensa. Un altro giorno in questa
noiosissima scuola. Dovevo ammetterlo; mi ero stufato. Ero stufo di essere un
vampiro e di “vivere” in questo modo. “Con
il tempo ti abituerai” mi disse Carlisle tanti
anni fa. Da allora era passato quasi un secolo e non era cambiato niente. Avevo
constatato di persona che con il tempo non si riesce ad accettare quel che si è
e a rassegnarsi alla propria condizione. No. Il tempo ti permette di riflettere
su ciò che sei, fino a giungere alla conclusione di essere
un essere pericoloso, costretto a vivere per sempre, uccidendo. Con il tempo
nasce la consapevolezza di essere un mostro, e si comincia ad odiarsi. Un odio immenso, tanto grande quanto lo stesso tempo infinito parato
davanti. Un odio fondato, che non può mutare.
Con il tempo non si migliora, si peggiora.
Questa era da un certo periodo la mia filosofia.
Quel giorno non avevo un buon umore, dovuto probabilmente al
fatto che era da due settimane che non mangiavo ed Alice, ovviamente, se n’era
accorta. Alice. Forse era uno dei pochi motivi per cui
valeva la pena continuare ad andare avanti. Ma per
quanto? Io e la mia famiglia avremmo continuato in questo modo per sempre,
spostandoci da una città all’altra? Certo, non mi aveva mai dato fastidio
muovermi, anzi, avevo sempre apprezzato l’aria nuova; ma era diventato noioso e
ripetitivo anche questo, come tutto, dal resto.
Il mio umore inoltre stava peggiorando a causa di tutti i
futili ed inutili pensieri di questi ragazzini che cercavo di tenere lontano, inutilmente,
dato che il mio stato d’animo non permetteva di concentrarmi. Erano tutti
agitati per l’arrivo di una nuova ragazza. Avevo visto il suo volto attraverso
i loro pensieri. Non era molto diversa da loro. L’arrivo di un nuovo studente
era un evento più unico che raro qui a Forks. Con il
suo arrivo era riuscita a mutare il loro piccolo ecosistema.
Era strano però, insieme
all’agitazione c’era anche qualcos’altro. Sorpresa, forse?
La maggior parte delle persone in quella stanza stavano
pensando a lei; ma di lei neanche l’ombra.
Poi entrò. Ora capivo quella sensazione di stupore. Dovevo
ricredermi; non era per niente uguale agli altri. Era completamente diversa. Il
giallo accesso della sua gonna lunga e della sua
maglietta faceva uno strano contrasto con quelle scure degli altri. Inoltre… cosa portava in spalla? Sembrava…
poteva essere… un ukulele? Certo, era davvero strana.
“È quella la nuova arrivata?” chiese Emmett
sorpreso quanto me.
“Ma da dove è uscita?” continuò
Rosalie al suo fianco con la stessa espressione.
Non li ascoltai. Tutti la stavano guardando in silenzio, ma
lei sembrava non notare niente. Si comportò come se nulla fosse. Dopo essersi
presa il pranzo si sedette in un tavolo vuoto non molto distante da noi. Da
quella posizione potevo vederla bene. Era una ragazzina, niente di particolare.
Non era truccata, a differenza di tutte le altre. Cercai di leggerle i
pensieri; ormai ero costretto a compromessi di basso livello con me stesso per
sfuggire alla coltre di noia che mi circondava. Ma
niente. Era lì, a pochi metri da me, ma non sentivo niente. Non ero mai stato
“sordo” prima di adesso. Mi sforzai di nuovo, nulla. Cosa
stava succedendo? Perché non riuscivo a sentire? Molto
probabilmente la sua mente non funzionava come quelle degli altri e il modo in
cui si comportava non faceva altro che confermare la mia ipotesi. Cercai di
vedere nei pensieri degli altri per così sentire la sua voce; normalmente i
pensieri assomigliano molto alla voce dei loro creatori. In questo modo avrei
avuto una “traccia” con cui aiutarmi a percepire i suoi.
Rimasi in ascolto; si era trasferita da poco insieme ai
genitori, il perché nessuno lo sapeva. Ciò che mi sorprese di più era il suo
nome: Stargirl. Non poteva essere sicuramente il suo
vero nome. Cercai ancora, ma scoprii che nessuno le aveva rivolto
la parola. Vedendola l’avranno sicuramente scambiata per una matta.
Intanto lei era tranquilla, non si importava
degli sguardi che la maggior parte della mensa le lanciava ed il bisbiglio che
si era formato.
Cristy aveva proprio ragione! Che
stramba…………Stargirl? Che razza di nome è?...............Mio Dio com’è vestita?.................Come
gli è venuto in mente di portare una chitarra a scuola?...........
Cercai di chiudere una volta per tutte
la mia mente da quel cicaleccio. Mentre mangiava stava guardando il volto di ciascun studente della mensa. Presto il suo sguardo sarebbe
caduto sulla mia famiglia ed avrebbe incrociato il mio. Quando accadde la sua reazione mi sorprese, di nuovo; non abbassò il viso
imbarazzata, ma continuò a guardarmi, interessata. La sua curiosità era
giustificata; non credevo avesse mai visto una persona dalle mie qualità
fisiche. Il resto non riuscivo a spiegarmelo. Teneva
gli occhi fissi sui miei. Dopo poco mi sorrise e mi salutò
con la mano. Fui io ad abbassare gli occhi. Nessuno si era mai comportato così;
nessuno era mai arrivato a tanto. Di solito l’istinto degli umani li spingeva
ad evitarci. Forse non aveva paura di noi? Era talmente tanto
sciocca da non avvertire il pericolo?
“Sbaglio o ti ha salutato?” mi chiese Emmett
sorpreso. Il mio umore stava peggiorando.
La campanella della mensa suonò proprio allora e mi permise
di evitare di rispondere ad Emmett. Adesso sarebbero
ricominciate le lezioni e anche la coltre di monotonia che ormai mi
perseguitava sarebbe diventata più fitta.
Mi sedetti al solito posto, aspettando che la lezione
cominciasse. Mi sarei annoiato come al solito.
Sentii un intenso profumo di lavanda. Alzai la testa e la
vidi. Frequentava il mio stesso corso di inglese.
L’unico posto libero sarebbe stato quello alla mia sinistra. Poverina, non la
invidiavo per niente. Dopo aver parlato con quello sciocco professore si
diresse verso di me; come avevo previsto il suo banco era quello vicino al mio.
Si sedette; solo il corridoio ci separava.
Appoggiò il suo zaino, che in realtà era una sacca su cui ci
aveva disegnato sopra dei girasoli. Più che a una
ragazza sembrava un’ingenua bambina. Non la guardai più fino a fine lezione.
Era un semplice essere umano come tutti gli altri in questa
scuola; solo un po’ diverso da loro. Ma comunque
umana.
Quello che mi attirava di lei era il suo profumo. Non era
più attraente di quello altrui, ma era molto forte ed era naturale. Possibile
che un essere umano potesse possedere un odore di lavanda
così intenso e naturale? Mi girai
impercettibilmente verso di lei. Aveva messo sul suo banco un bicchiere di
plastica con dentro una margherita.
Per quanto strana e stravagante uscito da scuola me la
dimenticai presto. Di certo non sarebbe stata lei a cambiare la mia filosofia e
la mia “vita”.
Infatti vissi nella completa
convinzione che lei non esistesse fino all’arrivo in mensa del giorno dopo. Era
vestita sempre nella stessa maniera singolare. Oggi la maggior parte dei
pensieri dei ragazzi erano concentranti sulla festa
che Alex Tyson avrebbe dato
per il suo compleanno. Patetico…
Ormai non mi importava più di
questa…Stargirl. Non avrebbe cambiato la mia vita non
leggerle nel pensiero. Quello che fece oggi però rese
inutili tutti i miei tentavi di non notarla. Non si limitò solo a mangiare e a
studiare il viso di ciascuno, di nuovo. Sembrava stesse
cercando qualcuno. Quando ebbe finito si alzò e
cominciò a suonare l’ukulele saltellando per la mensa. Tutti, compresi noi, la
guardarono allibiti e in silenzio: stava cantando “buon compleanno” a Tyson, che da sorpreso com’era divenne rosso. Alla fine gli
diede un pacchettino. Dentro c’erano biscotti fatti in casa. Finita la sua
esibizione tornò a sedersi. Nessuno parlò più fino al suono della campanella.
Erano tutti troppo perplessi e allibiti. Ed anche noi, seppur non ci importasse niente di quella ragazzina, eravamo rimasti
stupiti del suo comportamento.
No, non era per niente simile agli altri. Mi trovai
improvvisamente a sorridere; se i miei fratelli lo avessero notato avrebbero
sicuramente capito che c’era qualcosa che non andava. Non ero solito sorridere
tra me e me. Era originale, quasi buffa. Ma era se
stessa in fin dei conti; non le importava di quello che pensavano gli altri e
delle stupide regole conformiste che ormai contagiavano tutti.
Che strano, credevo di provare una sorta di malsana
curiosità nei suoi confronti, forse data dalla mi ammirazione
per lei. Sì, in un certo senso la stimavo per quello che era, perché era quello
che voleva essere e lo faceva senza troppi problemi, non importandosene se gli
altri l’avrebbero presa per una pazza. La maturità che ho
accumulato nel corso degli anni era più che sufficiente per non essere dello
stesso parere dei ragazzini di questa scuola e considerarla una matta solo
perché non era uguale a loro.
Fatto sta che io ero uno vampiro,
lei un essere umano, anche se senza dubbio fuori dal comune. Non mi sarei
potuto avvicinare a lei nemmeno se avessi voluto. Era quindi inutile e dannoso
per me stesso provare quello strano sentimento di interesse.
Sarebbe stato meglio togliermela dalla testa e fingere che non esistesse.
Per quanto mi sforzassi di non
notarla, non ci riuscii, per il semplice motivo che lei attirava puntualmente
l’attenzione su di se. Da quel giorno ad ogni compleanno ripeteva la stessa scenata
e ad Halloween aveva messo su ogni banco un biscotto a
forma di zucca. Sapevo che non lo faceva per vantarsi e far
mostra di sé, lo capivo, ma di certo non aiutava la mia curiosità. Più si comportava in modo così strano, più inspiegabilmente venivo
attirato da lei e dal suo modo di essere; provavo uno strano e perverso
interesse di conoscerla. Chi diavolo era questa ragazzina in grado di scaturire
in me queste sensazioni?
Pensavo a questo mentre io e io miei
fratelli stavamo seduti a mensa nello stesso consueto tavolo. Oggi
nessuno compieva gli anni, perciò si limitò a sedersi e a mangiare, sempre
nello stesso tavolo, sempre vuoto.
Un urlo improvviso attirò la mia attenzione, a cui ne
seguirono molti altri.
”Un topo! Un topo!” cominciò a urlare Ashley Maxwel.
“Oh no! Cannella!”
Era la prima volta che ascoltavo la sua voce. Non l’avevo
mai sentita parlare; anche in classe, se ne stava sempre zitta. Era semplice, ma dolce come quella di una bambina.
Corse verso quel topo e lo prese
tra le mani.
“Quello schifo è tuo?” gli urlò in faccia Ashley.
“Non è uno schifo, è un topo.” le ripose lei tranquilla.
“Come fai a tenerlo in mano?” continuò Ashley
inorridita.
“Basta avere solo un po’ di presa, tieni, vuoi provare?” e
glielo avvicinò. Lei si allontanò urlando. Io non avevo occhi che per lei.
“Tieni quello schifo lontano da me!” Anche Stargirl si allontanò, sorpresa dalla sua reazione.
Un sorrisetto mi comparve sul viso. Almeno aveva tentato,
anche se inconsapevolmente, di scalfire la mia coltre di monotonia.
Bhe……..che
ne pensate? Ribadisco…..è solo un piccolo esperimento,
una cosa venuta così da un’idea improvvisa. Prometto già che non sarà lunga,
anche perché idee non ne ho al momento.
Provate quindi a commentare (se volete) e a dirmi cosa ne
pensate.