Ninth circle of Hell
-
[Wake up
(Wake up)
Grab a brush
And put a little make-up
Hide the scars
To fade away the
shake-up]
Ci fu un momento, quel giorno, in cui il suo sguardo fu richiamato dal
movimento di una minuta figura, che risvegliò i suoi sensi
in un guizzo di familiarità.
Risaliva le pendici gelate, strascicando nei propri passi incerti; e
scivolava e si rialzava, slittando paurosa sul ghiaccio.
E lui la scrutò con interesse, assottigliando gli occhi
nella concentrazione.
Intrecciò le dita intorpidite alle ginocchia, sollevando sui
talloni i piedi scalzi, rimase ad osservare.
Le membra tremavano incontrollate, morse dall’eterna distesa
di ghiaccio; il cuore, già fermo da tempo, sembrò
rallentare il battito che per abitudine gli pareva ancora di sentire.
Come un orologio che ha esaurito la carica, ma su cui si getta
un’occhiata di tanto in tanto, con la certezza di potervi
leggere l’ora.
Attese. Veniva verso di lui, esponendo nell’avvicinarsi un
colorito stranamente inumano.
Verde.
Sembrava che la linfa le scorresse nelle vene sotto la pelle lattea, di
un candore irreale che non poteva che essere il suo.
Fu certo di averla riconosciuta.
Lei gli si accovacciò di fronte.
Lui poggiò il mento alle ginocchia e la studiò da
vicino.
“Credevo…” la guardò negli
occhi, assorto per un momento.
“Credevo che sarei stato l’unico Hyuga a finire
all’Inferno”.
Un sorrisetto incredulo innalzò gli angoli delle sue labbra
devastate dal gelo.
“Sei fuori posto qui, Hinata”
.
Una Hinata più matura, più anziana di lui, gli
restituiva lo sguardo senza parlare.
Tacquero a lungo, tremando, osservando l’una sul corpo
dell’altro i segni della dannazione: la carne bruciata dal
ghiaccio di lui, coperta di spaccature cutanee; le articolazioni di
lei, colte nel corso di un’inquietante mutazione.
“Ho percorso nove cerchi per trovarti, Neji”
mormorò, mentre il ragazzo osservava quelle gambe sottili,
coperte di grottesche ramificazioni fibrose.
Neji spostò lo sguardo sulla cugina.
Mulinelli di vento gelato spargevano brina sui suoi capelli mori,
tingendola della sua stessa condanna.
“Mio padre… mi ha detto che eri morto”
sussurrò Hinata, sedendo cauta di fronte a lui “E
avrei voluto salutarti… nonostante tutto.”
Il dannato non rispose.
Come poteva cercarlo ancora, dopo che lui aveva trascinato
all’Inferno entrambi?
Il suo sguardo andò alla deriva, evitandola. Non avrebbe mai
capito.
Attese indolente che la giovane donna parlasse ancora. Forse la morte
aveva prosciugato quella sua timidezza, che tanto lui disprezzava in
vita.
“Come si chiama, qui?” chiese infine, posando i
begli occhi perlacei sui turbini di analogo colore.
“La Caina”
Ghiaccio intorno a loro, ghiaccio sui dannati.
“Per i traditori della famiglia” soggiunse,
intercettando lo sguardo interrogativo di lei.
Rise parlandone, un riso glaciale e composto, dalla punta di cinismo.
“Credevo che ci arrivassi da sola!”
“Credevo che non mi considerassi parte della
famiglia”
Affermazione inaspettata, che Neji soppesò.
“Effettivamente, no” sibilò con
morbidezza.
Hinata abbassò lo sguardo.
“Ma di fronte alla Legge che ci sbatte all’Inferno,
che io ti consideri mia parente o meno poco importa. Per il sangue
nelle mie vene, e che è simile al tuo, tu sei mia cugina.
E ho tradito, e pago qui”.
[I don’t think you
trust
In my
Self righteous suicide
I cry
When angels deserve to
die]
Mentre il tono vellutato le scivolava addosso come acqua, Hinata
assaporò con strano sentimento il freddo che le lasciava il
disprezzo di Neji.
Permaneva il ricordo di quando lo provava sulle sue spoglie ancora
corporee, di quando erano ancora in vita. Anche nella morte non pareva
cambiato.
La Caina. Per i
traditori della famiglia.
Gocce cristallizzate morivano di tanto in tanto, lasciando la presa
dalla pelle di Neji; silenziose, andavano ad uniformarsi al ghiaccio
solido che sosteneva il loro appoggio.
Un ghiaccio senza forze che sosteneva corpi senza peso.
“Ma ora parliamo dei tuoi, di peccati”.
Quando lui scosse la testa, scostando secco i capelli castani dal
volto, le parve di tornare a esistere, a contemplare quel ghigno
irrisorio illuminarsi vivo.
“Sembri ansioso di parlarne…”
osservò, pacata.
“…Nii-san”.
Neji reclinò la testa da un lato, un giaguaro curioso che
serba il sadismo per dopo.
“Se mai hai avuto una buona ragione per chiamarmi
così, ora dimenticala”
Uno dei paradossi che in vita non aveva avuto occasione di
sperimentare: chiamare fratello
il dannato che le sedeva di fronte, e che pagava nel nono girone
dell’Inferno la pugnalata che le aveva inflitto.
“Per assassinio” confessò poi,
abbassando lo sguardo.
Quegli occhi così avidi e maschili, che poco prima si
specchiavano nei suoi, si spalancarono dallo stupore.
“Hinata. Hinata che uccide… Hinata che uccide
qualcuno.”
Neji sembrò rigirare le parole sulla lingua, come
assaggiandole nell’aggiungere spezie man mano, e ad ogni modo
svagandosene.
I brividi che lo scuotevano scivolavano sul bianco ghiaccio,
contaminando in un convulso tremore anche lei.
“E chi avresti portato via?” chiese, riscuotendola
dalla spiacevole sensazione.
“…me.”
“…dovevo immaginarlo”.
Esiste una pena per i suicidi. Il morto suicida, all’Inferno
paga, così come un comune assassino.
Come se la sofferenza che in vita lo aveva spinto al disperato gesto
non fosse stata abbastanza.
“Ti sei uccisa per quello che ti ho fatto?”
s’informò Neji, col tono di chi rivolge
un’innocente domanda sul tempo.
Perché in fondo, che importanza avrebbero dovuto dare a
tutto ciò che riguardasse la vita?
Ormai era finita da un pezzo, e non sarebbe certo tornata.
“Perché vivere prigioniera era solo
l’ennesimo fallimento” confermò, il tono
innaturalmente deciso.
“E perché non avrei mai ceduto nulla di quello che
sapevo a loro.”
“Ammirevole” rise l’altro, con sprezzo.
Neji Hyuga.
L’aveva gettata fra gli artigli del nemico, l’aveva
costretta a una vita in catene che lei non aveva potuto sostenere.
Eppure, afferrato il coraggio del momento, aveva tagliato con l'unica
via di fuga.
Eppure, non riusciva a portargli rancore.
Neanche lei pareva cambiata nella morte.
[Trust In my
Self righteous suicide
I cry,
When angels deserve to
die…]
Tutto era così irreale.
Così impalpabile.
“Non hai freddo?”
“Al freddo ci si abitua”
Scrollò la brina dalla schiena, cingendosi le ginocchia con
le braccia, tremando impassibile.
Non sarebbe stata una valida punizione, se l’Inferno avesse
previsto l’assuefazione alle sue pene. Ma Neji non ammetteva
di provare sofferenza derivante dalla sua condanna.
“E al rimorso? Ti sei mai abituato?”chiese la
giovane, vaga dolcezza nel tono.
Il ragazzo esibì un sorriso fiero, come un generale farebbe
mostrando una vecchia cicatrice di battaglia.
“Mai avuto, Hinata. Mai provato per te”.
Neanche l’impulso della rabbia attraversò Hinata,
in quel momento.
Soltanto, serena, disse:
“Dimmi perché l’hai fatto. Sono qui per
questo”
Lo sguardo di Neji le sfuggì, e ne fu lieta,
poiché non aveva mai imparato a sostenerlo.
Parlò osservando le lontane colonne di ghiaccio, i compagni
che soffrivano all’ombra di esse.
Il suo tono assunse una sfumatura vaga, giustificando un gesto di cui
non avevano più avuto occasione di parlare.
“Una volta eravamo tutti aggrappati alla vita con gli
artigli” osservò “Come
pantere”.
Hinata lo fissò dolorosamente.
“Eravamo disposti a dilaniare tutto, pur di non
cadere…”
Si fece brusco, rapido.
“Ho dovuto consegnarti”
Hinata sapeva già cos’era successo. Eppure non
riusciva a portargli rancore, nemmeno sentendo quelle parole sgorgare
dalle sue stesse labbra.
Era solo un debole, un debole che aveva venduto quella che in fondo era
sua sorella… per un istante di vita in più.
Kiba, che strappava.
Naruto, che ciondolava.
Shikamaru, che
sanguinava.
Uomini, senza nome, che
morivano lentamente sotto i loro occhi spenti.
Fra bendature, erba
gelata e terra bruciata, stavano l’uno contro
l’altro.
Stringevano i denti,
sopravvivevano.
Ascoltando
l’animale pauroso che premeva contro ognuno di loro, di
fronte all’incedere concreto della morte avrebbero venduto
l’anima al diavolo. Per un attimo di vita in più.
La mano del Demonio si
tendeva spesso, tentatrice.
E chi oltre alle dita,
ne prendeva tutto il braccio, arrivava dritto nella fauci del nemico.
Arrivava dritto
all’Inferno.
Neji ne
accettò l’offerta.
Hinata ne
pagò il prezzo.
Nella Caina faceva più freddo che sui campi di Konoha.
Hinata si strinse nelle vesti leggere, percependo il bruciore del
sangue inquinato da geni estranei. Le ricordò atrocemente
quei mesi di sofferenze, passati piangendo, passati pregando fra le
rovine.
La guerra che aveva raso al suono Konoha, stroncato i suoi figli.
Spesso gli unici veri uomini erano stati i primi a morire,
quell’inverno.
Più lunga la vita di uomo, più orribile la
corruzione che gliel’aveva assicurata; e ognuno aveva dato
del suo meglio perché la corruzione lo salvasse dalla morte.
Masochismo: inconsapevolmente, molti di loro avevano allungato una vita
di sofferenza per poi assicurarsi un’eternità di
sofferenza ancora maggiore.
E così Neji e Hinata si fronteggiavano, la voce affievolita
dalla triste consapevolezza di quell’eternità che
li attendeva.
“Hai avuto paura?”
Neji finse, finché poté.
“Io non ho mai avuto paura. Ho avuto odio,
senz’altro, ma non paura”
E il velo di menzogna
che lo avvolgeva…
Hinata sorrise appena, quasi con tenerezza.
“Hai avuto paura della morte?” pose nuovamente la
domanda, ora più completa.
“No. Ma ho avuto paura di morire prima di veder realizzato il
mio sogno” dichiarò lui in un sibilo.
E l’ombra del
fallimento che calava su di loro…
“Avevi un sogno, Neji?”
“Sì. E non ti riguarda…”
Era stato così ingenuo.
Aveva pensato che quell’attimo di vita in più
sarebbe bastato a realizzarlo.
“…e non mi sono mai pentito di averti
tradita.”
Forse nell’aldilà non era consentito piangere.
Hinata ne fu rincuorata, quando sentì la gola bruciare ma
gli occhi rimanere asciutti, socchiusi e fermi contro la bufera.
Non sei morto da uomo.
Si ostinava a negare di aver avuto un’anima, così
come negava di soffrire il freddo.
Tu non sei morto da uomo.
Le parole che Hinata non aveva il coraggio di esporre.
Rammaricandosene, voltò le spalle e si congedò.
Neji le concesse di accarezzargli i capelli, l’espressione
quasi materna, prima di allontanarla con un gesto e guardarla andare
via.
Cosa ci facesse quella donna all’Inferno, lo sapeva solo il
Signore.
“Non tornare”
“Non tornerò”
Strinse le vesti sul corpo di carne e linfa, ripercorrendo la coltre di
ghiaccio.
Il settimo cerchio attendeva il suo ritorno.
[Father, Father, Father, Father
Father into you hands
I commend my spirit
Father into your hands
Why have you forsaken me?
…]
-
-
Angolo
dell’autrice:
Non so da quale anfratto dimenticato del mio cervello sia uscita questa
shot dall’impronta dantesca, di certo è
assolutamente… strana.
Ero indecisa se pubblicarla o meno, l’ho scritta per puro
schiribizzo; poi ho pensato che in fondo, cos’ho da perderci?
Magari ci guadagno qualche zucchina volante, ma non importa, almeno mi
sono messa in gioco! xD
Passiamo alle
spiegazioni.
Lo so, lo so che in teoria i dannati non se ne vanno a spasso per i
vari scomparti dell’Inferno come fossero in treno…
e so anche che la pena nella Caina prevede l’immersione dei
dannati nel ghiaccio a testa in giù, e che i suicidi vengono
trasformati in alberi. Ma detto fra noi, ce lo vedevate un albero a
parlare con Neji immerso in un cubetto formato maxi a testa in
giù? Io lo trovavo poco serio…
Quindi, il traditore della famiglia qui è immerso spoglio in una landa ghiacciata; lei, invece, subisce lentamente la
mutazioni in pianta, mostrandone i segni a poco a poco.
Piccolo tributo a Ninth circle of Hell, una delle innumerevoli colonne
sonore di X-Ray dog. Ringrazio con tutta l’anima Faina per
avermeli fatti conoscere; non si trovano facilmente le loro musiche
(non vendono al pubblico, solo per privati purtroppo), ma se ne
trovate… be’, vale davvero la pena.
Sappiamo tutti che potevate fare una smorfia e premere la X rossa in
alto a destra, ma se non l’avete ancora fatto… vi
ringrazio allegramente! ^^
Ah, la canzone è Chop Suey, dei System of a Down. Ve la
consiglio, è spettacolare,
da quando l’ho sentita non davvero mai smesso di ascoltarla.
Un bacio!
Chime
|