Ovunque.
E’ buio oramai
Non mi frega se piangi o no
Io come te
Confusione
Non mi sento più bene da un po’
Quello che fai non mi basta mai.
Ovunque sei
Ovunque sei, ci sei
Ovunque sei
Ovunque
Mi spazzi via
E mi vedo volare lontano
Che male fa,
Rivedermi in me?
Ovunque sei
Ovunque sei ci sei
Ovunque sei
Ovunque
E’ buio ormai
Ovunque sei
Ovunque sei ci sei
Ovunque sei
Ovunque
Verdena – Ovunque.
Prologo.
Mi guardò. Mi guardò, dritto negli occhi. Non riuscii a decifrare il suo
sguardo. Non seppi cosa voleva farmi capire. Vedevo solo quei due occhi
fissarmi, così intensamente. Si avvicinò a me, con lentezza. Io d'istinto feci un passo indietro, spaventata, quasi.
"Hai paura?" mi chiese, serissimo.
Annuii, senza volerlo, con un groppo in gola.
"Dai, ci conosciamo da sempre.."
Rimase a fissarmi, e mi si avvicinò ancora, finché mi fu davanti. Era decisamente più alto di me.
"Ti chiedo solo di fidarti di me."
Arretrai ancora, mentre lui allungava una mano verso il mio viso.
"Adrienne.. ti prego." mi implorò.
Capitolo 1.
Il suono della sveglia ruppe il silenzio in cui era immersa la casa. Mi
svegliai, e grugnii, dando una botta alla sveglia sul comodino, senza troppi
complimenti. Quella, come se avesse capito il messaggio, si
spense di botto. Il tepore che c'era sotto le coperte era piacevole: mi
dava un senso di assoluta pace e sicurezza. Non volevo
abbandonarlo.
Ma, pensai tristemente, avevo i miei doveri da
studentessa liceale, il che comprendeva alzarsi e andare a scuola. In fondo,
dovevo fare ancora tante cose: fare colazione, la
doccia, vestirmi, dare una rapida ripassatina a latino. Il solo pensiero già mi
fece sentire male.
Di malavoglia, mi alzai, buttando il lenzuolo e il piumone di lato. Decisamente non era la mia giornata. Senza rifletterci, mi
avviai automaticamente allo specchio, accanto all'armadio. Lo specchio era di
legno scuro, lungo e ovale. Lo adoravo: era semplice, come me.
Ma non sempre mi portava belle notizie. Avevo sicuramente dei begli
occhi. Verdi, nocciola intorno all'iride. Per il resto..
be’. Niente era come volevo, e niente mi sembrava al posto giusto. Mi fissai. I capelli arruffati, gli occhi ancora gonfi di sonno. Perché volevo farmi del male da sola? Così rinunciai, e
smisi di analizzarmi: del resto, il mio aspetto non sarebbe cambiato in una
sola notte. Sentii dei rumori al piano di sotto: mia madre stava già preparando
la colazione. Io fuggii in bagno, per una doccia veloce. Volevo evitare il
turno del dopo-colazione. Dopo dieci minuti abbondanti, uscii. Ritornai in
camera e indossai i soliti jeans e una felpa scura. Scesi rapidamente di sotto,
anche se la casa era praticamente deserta. Vivevo con
i miei genitori e con mio fratello, due anni più grande di me. Era un idiota, e
certe volte proprio non lo sopportavo. Avevo
sicuramente un quoziente intellettivo più alto di lui. Entrai in cucina. Dopo
il salotto, la cucina era la stanza più grande della casa. Era larga, spaziosa
e luminosa: i raggi di sole neonati filtravano attraverso le tende, facendo dei
buffi disegni sul pavimento. Mia madre aveva apparecchiato la tavola, ed era in
piedi vicino al fornello, aspettando che il caffè fosse
pronto.
C'era un aroma piacevole: un miscuglio tra biscotti, latte e caffè. Mi sedetti
al mio posto, alzando le braccia in alto, stiracchiandomi. "Buongiorno,
mà." esclamai, e
quest'ultima sobbalzò.
"Non ti avevo sentita arrivare, tesoro. Buongiorno anche a te." rispose lei, con un sorriso gentile. Mentre
afferravo un biscotto con voracità, mio fratello entrò nella stanza. La notte
sicuramente non gli faceva bene. I lunghi capelli neri erano sparati da tutte
le parti, aveva delle occhiaie e sbadigliava, aprendo così
tanto le sue fauci che quasi riuscivo a vedergli le tonsille. Mi
chiedevo se in effetti la notte dormisse; ma del resto
lui era un vero dormiglione, io no. Mi fissò per qualche minuto. Forse non mi
aveva ancora riconosciuta, pensai. All'improvviso il
suo sguardo s'illuminò.
"Ah, sei tu." farfugliò,
la voce impastata di sonno. Ecco, non mi sbagliavo. Si trascinò fino alla
sedia, facendo uno sforzo enorme, per poi accasciarsi su di essa.
Io scossi la testa, rassegnata, mentre mia madre mi serviva una tazza di
caffellatte fumante. Non avevo molta fame, e dovevo arrivare a scuola presto.
Presi la scatola dei cereali e me ne versai un po’ nella tazza, appena un po’
di più della metà. Mio fratello e mia madre facevano
colazione in silenzio, come sempre. E mio padre? Chi lo sa. Non avevo mai avuto una famiglia normale. Spesso,
mio padre era assente per dei giorni. Per lavoro, diceva. Era il rappresentate di un'importante ditta di computer, e altre
robe elettroniche. Ma io, io sapevo che non era così.
Scossi nuovamente la testa, cercando di allontanare i cattivi pensieri. Mandai
giù l'ultima cucchiaiata di cereali, e poi misi la tazza dentro il lavello.
"Be’, io vado di sopra e poi esco. Ci vediamo per
pranzo." Dissi a mia madre, chinandomi su di lei per darle un bacio sulla
guancia. Lei sorrise. Mio fratello non si sforzò di salutarmi, e io feci lo
stesso. Ritornai velocemente di sopra. Mi lavai i denti, infilai le scarpe di
ginnastica e una giacca, presi lo zaino e poi uscii, nell'aria fresca del
mattino che mi pungeva la faccia. La giornata si rivelava tutt'altro che rosea,
per me.