Cacciatori e prede
Cacciatori
e prede
E' laggiù, in piedi, alle prese con il cellulare, nel parco. Le
luci fioche dei lampioni rendono lo spettacolo un filo surreale.
E' incantevole, nel suo vestito azzurro che lascia intravedere quelle
gambe così innocenti, eppure...
E' completamente sola: un'occasione unica, propizia, irripetibile.
Ma al giorno d'oggi sono ancora così imprudenti? Mi guardo attorno:
nessuno in vista.
Quei capelli biondi che cascano sulle spalle...
Sembra una giovane dea.
Mi sento come Zeus, padre di tutti gli dei e fornicatore di dee e umane.
Il paragone fa scattare in me il desiderio, l'impulso, la lussuria.
Deve essere mia.
Ma devo essere prudente, un errore potrebbe essermi fatale.
E solo perché un dannato cane ha fiutato per caso l'ultimo corpo: il
diavolo se lo porti!
Guardo ancora con occhi ingordi la mia principessa, mentre messaggia
con il cellulare.
A fianco a lei, un vecchio e arrugginito castello di tubi di ferro, una
scalcinata altalena, lo scivolo.
E' proprio quest'ultimo che mi riporta alla mia prima volta. Fu
il mio primo letto di nozze: proprio là sopra possedetti la prima
vittima.
E mi stupisce di come la donna che ho adesso davanti agli occhi sia
così simile all'altra.
Forse è proprio questo che mi sta attraendo: sto vivendo un deja vu.
Le circostanze erano le stesse, fatta eccezione per l'orario, ma il
soggetto non cambiava: un angelo senz'ali e senza custodi.
La ricordo in compagnia della madre, poi quest'ultima improvvisamente
sparì.
Dov'era finita? Forse rapita dalla conversazione
con alcune amiche incontrate per caso, forse da una voce filtrata di un
cellulare.
Dopotutto, cosa mai poteva succedere a lasciare da sola la figlia
dieci, venti minuti?
E sono stati sufficienti: prenderla da dietro, soffocare la sua voce
petulante con una mano ferma, stracciare il
vestito con l'altra mano.
I miei occhi non scorderanno mai lo spettacolo.
Nonostante l'età, non era ancora completamente formata.
Quei due boccioli appena abbozzati, ma che inebriavano la vista come
due rose selvatiche, una dea acerba.
La mia mano ha indugiato a lungo sulla loro superficie.
Di lì a poco si sarebbero sviluppate in tondi oggetti
di desiderio, accessibili alle mani e alla lingua di ogni ragazzo
con ormoni galoppanti.
L'innocenza si sarebbe spezzata, la dea sarebbe diventata una volgare
puttanella. Non lo avrei permesso.
Con foga, stracciai l'indumento a guardia del giardino segreto.
Come un lombrico che profanava un orto pieno di vita, affondai con un
dito.
Un colore rosso vivo mi andò a confermare la sua innocenza. Cosa
davvero rara, oggigiorno.
Il mio sguardo esplorava avidamente ogni angolo delle sue virtù.
Ogni tanto i miei occhi si incrociavano con i suoi. Forse erano gli
unici attimi in cui la mia coscienza era punzecchiata dai dubbi.
Il suo sguardo era carico di paura, disperazione, sgomento. Occhi che
mi rimproveravano in continuazione.
Il suo corpo, dapprima paralizzato, si destò in una disperata
resistenza, tuttavia vana: la differenza di forza tra me e lei era
tale che tenerla ferma era più un fastidio che un problema.
Nel momento del sangue, doveva aver sentito un forte dolore, perché le
lacrime sgorgavano copiose.
Ammetto, in quel frangente, di aver avvertito un vago desiderio di
fermarmi. Un ultimo tentativo della mia coscienza di dire "Stop! Sei
ancora in tempo".
Ma
bastò guardare ancora una volta l'invitante corpo della mia giovane dea
che ogni indugio, esitazione, dubbio vennero spazzati via da una
bestia famelica che si impossessò di me.
Si impossessò di me mentre sbottonai ogni barriera che tratteneva il
mio istinto selvatico, che si mostrò nella sua interezza sotto lo
sguardo terrorizzato della mia vittima.
Questa volta il terrore nei suoi occhi mi trasmise un bizzarro senso di
euforia.
Mi sentivo Zeus, il maestro degli dei, e lei era la mia piccola
divinità illibata.
Ero il cacciatore, e lei era la preda.
Non so se era il fatto che avevo deciso di cedere completamente al
mostro, o una sorta di istinto che enfatizzava la vittoria del più
forte sul più debole.
L'immagine di un ragno che ghermisce una mosca impigliata nella
ragnatela.
Fu forse il ritratto migliore per descrivere l'attimo successivo,
quello più infausto, quello che mi spedì nel girone infernale dei
mostri più abietti.
Avevo intinto il mio corpo nella sua innocenza, avevo intinto la mia
anima nella depravazione più odiosa.
Eppure mi sentivo bene: forse, rotto ogni indugio, la mia parte buona,
se mai ce ne fosse mai stata una, era morta in quel momento.
Ignorai i suoi occhi, le cui iridi si erano rimpicciolite fino ad un
punticino, e le lacrime che stavano esondando come un torrente in piena.
Stava sicuramente impazzendo di dolore, ma non me ne curai.
Ero diventato un semplice mostro, bramoso di lussuria e dominio.
Un momento dopo, mi prese la paura. Mi resi conto di essere in pieno
giorno, in un parco, e di lì a poco, la madre sarebbe
tornata.
Che non fossi ancora stato notato doveva essere stata solo una
eccezionale fortuna.
Mi staccai immediatamente, cercai di far rientrare il lupo famelico nel
recinto di stoffa.
Dovevo agire, ma come? Il panico si impossessò di me.
Fuggire! Fuggire! Cancellare ogni prova! Sparire.
Poi guardai lei. La mia innocente dea non era più tale. Era diventata
una corrotta
carcassa mortale, sanguinante, sgorgante effluvi misti, miei e suoi.
Non era più un oggetto di desideri. Era solo una scomoda testimone. La
mia condanna.
Lei avrebbe raccontato ogni cosa.
Sarei diventato il mostro da prima pagina. Tutti mi avrebbero odiato.
La preda sarei diventata io.
Il ragno sarebbe stato schiacciato da mille mani avide. Mi avrebbero
linciato, in qualunque caso.
Lei doveva sparire.
Strinsi le mie pesanti mani sul suo fragile collo. Strinsi più forte
che potei. Lei si dimenò un po', poi smise di muoversi.
Forse l'avevo strozzata, forse le avevo spezzato il collo.
Gettai il corpo nel primo cassonetto che trovai e diedi una
veloce controllata sul posto, per essere sicuro di non aver lasciato
qualche indizio.
Poi sparii.
Fu appena in tempo, perché la madre arrivò di lì a poco, con tutto
quello che potete immaginare.
La cosa finì sui giornali. Ma la polizia non arrivò mai a me. Una
fortuna eccezionale.
Quello forse sarebbe stato il momento più saggio per sparire
definitivamente, cambiare identità, nazione, mondo. Farmi una nuova
vita chissà dove.
Ma mi sentivo strano. L'istinto di un predatore, forse. Morivo dalla
voglia di ripetere quell'esperienza. Volevo un'altra dea. Un'altra
preda.
Cercai di mantenere un profilo basso.
Una mendicante rom, poi una senzatetto. Ma non mi bastava.
Volevo qualcuna che fosse proprio come lei, la dea che avevo
contaminato.
Però poi scoprirono un maledetto botolo trovò per caso il cadavere
della senzatetto. Un putiferio mediatico.
Ora è caccia all'uomo. E' caccia a me.
Ma adesso una creatura esattamente uguale alla mia prima dea era lì,
proprio davanti a me.
Pigiava tasti a caso sul telefono, quasi incurante. Tutto buio, tutto
deserto. Un'occasione troppo ghiotta.
Al diavolo la prudenza.
Solo più un'ultima volta, quella giusta. Poi, smetterò, fuggirò. Farò
sparire le mie tracce.
La polizia non mi troverà mai.
Scatto come un predatore, mi avvento su di lei.
Una mano sulla bocca, la prendo e la puntello sullo scivolo.
Proprio come la prima volta.
Il cellulare nel frattempo è caduto nella sabbiera, con un tonfo
soffocato.
Il display illumina vagamente i suoi primi attimi di terrore, poi la
luce si spegne freddamente.
Le straccio i vestiti, avidamente. Il senso di Deja Vu cresce, insieme
al mio desiderio.
Non perdo tempo a indugiare sul suo corpo. Tiro fuori l'oggetto dei
miei peccati e mi preparo ad entrare.
Un attimo. Dolore. Un dolore lancinante.
Vedo del sangue. E' il mio. Tolgo le mani dalla ragazza e le
metto sulla zona del dolore.
Vedo qualcosa volare a qualche metro da noi due.
Lo riconosco, e la cosa mi riempe di terrore.
E' il mio membro. Mi chiedo cosa sia successo.
D'istinto guardo gli occhi di lei. Trasalisco. Non possono essere i
suoi.
- Mi riconosci? - Mi chiede. La riconosco. Quegli occhi non si
dimenticano, erano quelli che mi avevano fatto diventare un predatore.
Ma adesso nessuna paura aleggiava in quelle orbite castane.
Riconobbi la sensazione che comunicavano. La stessa che avevo provato
io la prima volta. Euforia, desiderio di dominare. Sicuramente anche
desiderio di vendetta.
- Non puoi essere tu! - Le urlo, mentre vedo la sua mano sporca di
sangue, il mio sangue.
Lei avvicina la mano alla bocca, con la lingua lecca il liquido, e poi
lo sputa disgustata.
- Puah, il tuo sangue è marcio come te.
- Come puoi essere qui, viva? Io, io ti... - Comincio a
balbettare. Avrei voluto urlare, ma la ferita di sotto mi procurava
insieme dolore e stordimento.
- Sì, mi avevi uccisa. Ma non potevo andarmene da questo mondo senza
prima di ringraziarti.
- Ringraziarti, di cosa? - Le chiedo, mentre i miei sensi si fanno
pesanti.
- Di avermi mostrato la bellezza di essere predatori. Quella bellezza
che lessi, la prima volta, nel tuo sguardo.
- Il mio...? - La mia mente si fa sempre più annebbiata.
- Permettimi di contraccambiare. - In quel momento la mia piccola dea
sembrava un demonio vomitato dall'inferno. - Permettimi di essere
predatore, e tu preda.
Si avventa su di me, il suo pallido viso di dea si trasforma in una
orrenda maschera di zanne e occhi iniettati di sangue.
Grazie al cielo, i sensi mi abbandonano quasi subito.
Un'unica consolazione mi rincuora: ora so per certo che la polizia non
mi troverà mai.... vivo.
La ragazza interruppe il pasto.
Le sue orecchie avvertirono alcuni passi. Si alzò, in cerca di intrusi,
ma si tranquillizzò quando scoprì chi era.
- Maestro! - Si alzò di scatto e corse allegramente ad abbracciare un
distinto signore di mezz'età.
- Pulisciti la bocca di sangue, che non sta bene. - Lo ammonì
bonariamente l'uomo.
La giovane educatamente tirò fuori un fazzoletto e si pulì il mento.
- Com'è andata la tua prima vittima?
- Bene, maestro!
- Finalmente hai mangiato! - La rimproverò il signore. - Sei stata a
digiuno per una settimana, ogni notte a stare qui in questo parco a
giocare con quel cellulare.
- Lo so, - Si giustificò la fanciulla. - Ma il mio primo pasto doveva
essere lui, il mio carnefice!
- Ma tecnicamente, il tuo carnefice sarei io. - La corresse l'uomo.
- No, maestro. Tu sei colui che mi ha salvata. Ero ormai spacciata, ma
tu mi hai donato il tuo sangue. Mi hai fatta rinascere, anche se ora
posso uscire solo di notte.
- E' la condanna di noi vampiri. - Sentenziò seraficamente l'uomo. - Ed
è stato un caso che ti trovassi, quella sera, in mezzo ai rifiuti.
Qualche minuto ancora e saresti comunque morta.
- Non mi lamento, maestro. - Scosse la testa la ragazza. - Stanotte ho
avuto
la mia vendetta. E il suo sapore è stato più dolce dello stesso sapore
del sangue.
- E adesso che farai? - Chiese il "maestro". - Ti nutrirai come
noialtri?
- Farò come ho fatto finora. Il mio metodo di caccia sarà questo!
- Attenderai qui al parco, in attesa di qualcuno che si avvicini?
- Sì, maestro. Sarò come un ragno, e il parco sarà la mia ragnatela. Se
saranno persone che vogliono aiutarmi, non le toccherò. Se invece,
saranno invece come quel signore di stasera...
Entrambi guardarono il cadavere. Stava già perdendo calore.
- Sarò una predatrice. Predatrice di uomini cattivi. - Disse fieramente
la vampirella, battendo un pugno sul suo petto.
- Buona caccia, allora. - Concluse, scherzosamente il vampiro più
anziano. -
Ma visto che stanotte hai già finito, andiamo insieme a casa?
- Sì! - Esclamò tutta contenta la novizia, mentre prese per mano il
suo padrino di... sangue e insieme sparirono nella notte.
Le luci fioche dei lampioni illuminarono il triste destino di un
maniaco sfortunato, che ignorava di quanto possa essere labile in
natura la differenza tra un predatore e una preda, un dominatore e una
vittima, un uomo e un mostro.
|