Prologo
Non
so quando inizió...
…
sapevo soltanto che era vero amore, sin dal principio.
«Mamma!
Guarda!».
È
lei, mi chiama... Dovresti vederla, sai? È tutta uguale a te. Bellissima, con i
suoi capelli rosso fuoco. Forte, tenace. E quegli occhi, azzurro verdi - la
nostra fusione - un po' miei, un po' tuoi. Nostri.
«Brava,
Victoria...brava...».
Sì,
perché quella volta abbiamo vinto… la nostra
vittoria. E lei è il miglior premio che potessi avere con te, Shepard.
Le Asari
mi guardano male, mentre cammino per la via, diretta alla sede governativa di Thessia. Dopo la sconfitta dei Razziatori, l'universo
intero si è preso il tempo per piangere i caduti e ricostruire dalle macerie. E
mentre tutti esultavano per la sconfitta del nostro nemico comune, io piangevo,
perché sapevo che tu non saresti tornata.
La vittoria l'abbiamo ottenuta, ma a
caro prezzo. E tu - sì, proprio tu - era quella che doveva pagare per tutti
noi.
La squadra ha pianto con me,
condividendo il nostro dolore, e piangendo la tua morte. Io, tra le loro
lacrime e le parole di condoglianze, tacevo. Avevo già versato le mie lacrime
in solitudine.
Mi ero isolata da tutti, perché
nessuno sapeva quello che avevo fatto, alle spalle di tutti, anche delle tue, Shepard. E so che non mi perdonerai questo piccolo atto di
egoismo...ma io desideravo, con tutta me stessa, tenere vicino a me - dentro di
me - un pezzo di te. Una parte di te, di me, di noi, che cresce, e batte.
Ed ora eccomi qui, che cammino verso
il patibolo dove dovró sostenere le colpe del mio
atto egoistico. Con il pancione che spunta dal vestito largo che indosso. Ma
non permetterò che ti strappino via da me, figlia mia.
Tu sei viva, cresci in me, e ti amo
più della mia stessa vita. Come se potessi vederti, sai? Già cresciuta, così
uguale a tua madre, e col mio sgarbato carattere.
Ti vedo, con la mano tesa, come per
dirmi: prendimi!
Quel giorno, sul campo di battaglia,
persi l’amore della mia vita, la compagna che avrei voluto al mio fianco fino
alla morte. Oggi non perderò te.
«Siamo qui riunite oggi per
giudicare Liara T’Soni, colpevole di non “gravidanza
non permessa”.» la voce della Matriarca sovrastò quella delle altre che, con
sguardi odiosi, si rivolgono alla pronuncia ormai avanzata della pancia della
giovane donna in piedi di fronte a loro.
Vestiva di un lungo abito, bianco a
sfumature nere, che stringeva delicatamente il pancione. una mano appoggiatavi
sopra, come per tenerlo a sé più di quello che fosse già.
Una Matriarca si alzò, e la guardò
con occhi diversi. Lei sapeva. Liara ebbe un fremito.
«Io reputo questa riunione non
giustificata e oltraggiosa!» urlò, guardando con astio le donne al suo fianco.
«Tu parli con il cuore condizionato,
perché sei il suo genitore!» ribadì un’altra, in risposta, e altre voci si
aggiunsero.
«Io parlo col cuore ma ragiono con
la mente, non con altre parti poco nobili del corpo! Reputo questo oltraggioso,
stiamo condannando una Asari colpevole soltanto di
aver accettato l’amore del proprio partner che sapeva non sarebbe tornata viva
dalla missione!» il silenziò risultò essere una cassa di risonanza delle sue
parole. Liara poteva sentire il suo cuore galoppare
oltre i muri e le particelle di polvere. La scosse un calcio della piccola,
come per rassicurarla e destarla dai suoi cupi pensieri. Fece un sorriso tra sé
e sé.
«E non si parla di un partner
comune, ma dell’Eroe della Galassia: Jane Shepard!».
Liara
sentì il suo nome come una lama. Persino nella loro intimità, Shepard non apprezzava essere chiamata per nome.
Ricordò ancora quel giorno, come se
fosse stato pochi minuti fa.
«Posso
chiamarti Jane?» domandò l’Asari, mentre lentamente
le carezzava il volto, seduta a cavalcioni sulle sue gambe. Lo sguardo verde
della donna si rabbuiò.
«Preferirei
evitare...Non lo sento nemmeno mio, quel nome...» rispose, guardando in basso,
presa dai brutti ricordi dei momenti bui passati sulla Terra durante la sua
infanzia. Liara aspettò in silenzio che parlasse,
intuendo il suo stato d’animo.
«Mi
ricorda troppo il mio passato da criminale, ho buttato anni e sangue su quei
schifosi marciapiedi, a sfuggire alla legge, cercando soltanto di sopravvivere,
come mi era stato insegnato.» la voce era roca, e la presa sulle spalle
dell’amata si faceva più rigida. «Jane è il nome che mi è stato dato alla
nascita, scelto dalla direttrice di allora dell’orfanotrofio.» ricordò.
«Ma
non l’ho mai sentito mio. Invece il cognome Shepard,
che ho scelto io. É più giusto per me, lo accetto, perché sono io a dargli
forma.».
Il
nervosismo passò, e gli occhi tornarono della loro lucentezza naturale. il
verde si mischiò all’azzurro, per un piccolo istante di lucentezza.
«Ti
sembrerà stupido, ma per me Shepard, per quanto sia
il cognome, non è per niente formale. Esso rappresenta tutto ciò che sono. Io
sono Shepard. Non Jane.» e storpiò con una smorfia
l’ultima parola, facendo sorridere la compagna, carezzandole il volto e
baciandola dolcemente.
«Come
vuoi tu, Shepard.» disse Liara,
sorridendo. Il volto della donna mutò, diventando sogghignante.
«E
poi… mi piace come urli il mio nome, quando lo
facciamo...» Gli occhi dell’Asari si spalancarono
dalla sorpresa, e le guance si imporporarono leggermente.
«Shepard!».
«Questo non preclude niente.»
affermò la Matriarca che reggeva la riunione.
«Questo preclude tutto!» ribadì il
genitore, sentendo il bisogno di schiantarla contro un muro.
Poi le porte si aprirono
improvvisamente, bloccando la discussione.
L’Asari
direttrice del Consiglio camminò lenta lungo il corridoio centrale, contornata
da panchine su cui sedeva un’ampia platea.
«Liara
T’Soni è sciolta da ogni accusa.» e la sua voce fu una decisione unanime.
La Consigliera fece scorrere lo
sguardo sugli occhi azzurri di lei, e guardò per un istante il pancione
pronunciato. Sorrise impercettibilmente, ma Liara lo
notò comunque.
E Liara
ricambiò, piangendo di gioia.
La sua bambina...era ancora sua.
Aveva afferrato quella piccola mano,
e l’aveva stretta a sé.
Non ce la strapperanno via, Shepard.
Tua figlia, camminerà sulla Terra.
Questa è una promessa.