Driiin.
La mia mano,
incredibilmente rapida, se si considerano le condizioni semicomatose
della
proprietaria, schizzò da sotto il marasma di coperte e
piumoni cercando a
tentoni la sveglia.
La recuperai,
e quando
sentii il freddo metallo sotto le mie dita, la lanciai con un frastuono
assordante verso la parete nord della mia camera.
Ll tutto
senza aprire gli
occhi nè uscire dal sonno.
Mi girai
sull'altro lato,
chiedendomi vagamente perplessa perchè l'avessi programmata
per quell'orario
inumano, le dieci di un sabato mattina nella afosissima siviglia.
Sospirai e mi
riaddormentai.
…
Cos'era
quella vaga sensazione di colpa?
Mi rigirai,
inquieta.
E mi rigirai
ancora.
Arzigogolai
le braccia e
le gambe nella famigerata posizione della stella marina reversus,
cercando di
non perdere il filo del sogno che stavo vivendo.
Naturalmente
era tutto in fascia vietata ai minori, con un
paio di brevi ed accennate, nonchè simultanee grazie alla
famigerata legge di Murphy,
proposte di matrimonio da parte di Orlando Bloom e Artemis Fowl.
Mugugnai,
infastidita.
C'era
qualcosa che mi
faceva prudere il naso e distrare dal mio sogno.
Qualcosa che
aveva a che
fare con Mocho Vileda, Contrecourant e Tenebroso.
Oltre che con
Swiffer, MrPerfezione, So'70 e OrsettoYoghi.
Per inciso, i
primi erano
i miei migliori amici nonchè compagni di band.
Gli ultimi
erano i quattro
mocciosi per eccellenza, le Vostre Maestà Crucche, i Mister
Non-Impariamo-Lingue-Straniere-Perchè-Tanto-Il-Tedesco-Lo-Parlano-Tutti.
Non fatemi
quelle facce,
sono solo i Tokio Hotel.
Perchè
mi suonava qualcosa
di tremendamente simile a "prove con i Tokio Hotel", e la parola
"concorso"?
(...)
Oh,
perbaccolina.
Oggi
era il concorso.
…
Io urlai, mia
madre pure,
e credo che anche il mio gatto lo avrebbe fatto se solo avesse saputo
urlare.
No, si
limitò a piantarmi
gli artigli nel piede, quel gran...
Ehm.
Glissiamo.
Mi catapultai
fuori dalle
coperte con un urlo selvaggio, guardando l'orologio, accertando che
avevo solo
uno scarto di cinque minuti per prepararmi degnamente ad un concorso
che era il
sogno di tutta la band, di tutta la Spagna,
di tutta Europa e di tutte le fan di quei quattro
schizzati.
Avevo
passato ore, nel garage di
Jules, a provare e riprovare, e creare e
modificare il nostro repertorio, battendo sui piatti e distruggendomi
le dita
sui tamburi.
Era
stato un grande sacrificio, ma eravamo tutti riusciti a
sopravvivere: chi all'università e chi al bachillerato.
Ed
oggi era il gran giorno.
Ed
io ero in un ritardo mostruoso!
Aprii
l'armadio, afferrando
il primo cambio che avessi sottomano.
Mia madre,
capendo
l'antifona, mi lanciò una mela e le chiavi della moto sul
letto, esattamente
quando finii di vestirmi.
Occhiali
dalla montatura
nera, zero trucco, uno schiaffo di acqua gelida sul viso per togliere
gli
ultimi residui di sonno ed i capelli tenuti a bada da un paio di
bacchette
d'argento.
Con uno
scatto da far
inividia ad un centometrista olimpico, afferrai lo zaino, le bacchette
della
batteria finirono nelle tasche profonde dei jeans, salutai mia madre e
infilai
la porta di casa.
Da
far invidia ad una smaterializzazione di Harry Trotter.
…
Il tutto
può essere
riassunto in un susseguirsi di suoni.
-¡Coño,
mira adonde vaaas! { Qualcuno che diceva morte e peste della mia
guida.}
Screeec! {Strisciata
della moto all'incrocio. Ovviamente era rosso, e io, ovviamente, me ne
fregai.}
-¡El
rojo, hijaputa! {fine imprecazione da parte del tassista di
turno. per
aver passato con il suddetto rosso.}
Anf,
anf. {La
sottoscritta correndo per le vie del centro, alla ricerca dell'edificio
CajaSol, dove si sarebbe tenuto il concorso.}
-Ma
sei arrivata dal Burundi, tu?! {La voce ansiosa di
Carmen, scuotendo i rasta.}
{Passi di
corsa sulle
scale.}
Un'attesa di
appena cinque
minuti, dato che agli altri era toccato fare la coda per me, e fummo
fatti
entrare.
…
-Allora,
gruppo 567... il
vostro nome?
Carmen, si
fece avanti
decisa.
Se era
preoccupata non lo
dava decisamente a vedere. Sembra la stesa faccia di bronzo di sempre,
ma io
sapevo che, sottosotto, aveva una paura micidiale.
-The Skylight.
Sguardo
distratto da parte
della segretaria, mentre un uomo picchiettava impaziente la sua
stilografica.
Un terzo
ometto pelato appuntò
il nostro nome, chiedendoci altre formalità.
-Vocalist?
Sollevò
un momento gli occhi
dal foglio, il giusto per osservare la bassottina coi rasta bianchi e
la
pertica bohemienne dire il loro nome.
-Carmen
Medina-Müller e
Eduardo Ramirez-García.
-Chiatarrista?
-Gli stessi
vocalist.
I presenti
inarcarono le
sopracciglia, ma senza mostrarsi troppo sorpresi. dovevano averne viste
di
tutti i colori, quel giorno.
-Bassista?
Un biondino
dall'aria
angelica e con il pircing al labbro inferiore disse allegramente il suo
nome.
-Jules
Uturria-Gramont.
Aria scettica
verso il
nostro bassista. Più che altro verso i suoi tatuaggi
così colorati.
-Batterista?
Un'occhiata
distratta
all'ultima rimasta appoggiata al davanzale della finestra da cui
penetravano
caldissimi raggi di sole, ad i suoi pantaloni larghi ed ai suoi
occhiali dalla
montatura nera. ai suoi capelli raccolti da due bacchette argentate, ed
alle
sue mani che distrattamente facevano muovere una bacchetta.
-Milena
Macchi.
Un cenno
d'assenso da
parte dell'omino pelato e dagli occhi troppo piccoli. Stancamente, si
diresse
verso una porta bianca opposta a quella da cui eravamo entrati. tutti
lo
seguivamo con lo sguardo, imbracciando i nostri strumenti, chi li
aveva, o le
sue bacchette, come me.
Ci guardammo,
quasi a
rassicuraci circa una nostra possibile riuscita. espressione
determinata,
sorriso sulle labbra, no panic, no fear.
E quando
l'omino aprì la
porta, fu come se ci avesse aperto la porta della rivalsa, del riscatto.
Una stupida
porta bianca
che speravamo ci avrebbe dato quella possibilità di gridare
al mondo: ehi, ci sono anch'io.
Un sospiro
silenzioso
risuonò per la stanza, mentre ci si avviava tranquillamente
verso la sala
prove.
…
-Avete a
disposizione tre
canzoni. Una dovrà essere dei Tokio Hotel, l'altra una cover
di un qualsiasi
altro artista e la terza una vostra creazione.
L'omino si
posizionò
dietro la vetrata della sala prove, mentre tutti noi prendevamo posto.
Jules
imbracció la sua
bestia, un Sandberg da un anno di risparmio costante, senza discoteca e
dietro
la cassa di un Burger King, il tutto per un essere di prima
qualità, verniciato
in un discreto nero a righe bianche.
Si
lambì nervosamente il
pircing con la lingua, mentre una mano correva a sistemare il ciuffo
biondo. La
maglietta grigia lasciava intravedere due dei suoi quattro tautaggi:
una stella
sul braccio sinistro ed uno stemma sul braccio destro. Jules trasudava
inchiostro, il tutto per ricordargli tre o quatro avvenimenti che gli
sconvolsero la vita: aveva sempre avuto la paura di dimenticare cose, o
di
perdere la sua strema dolcezza per strada. Dolci occhi castano chiaro
si
diressero verso di me, facendomi un'occhiolino simpatico.
Eddie si
sistemò le
maniche della camicia dalla fantasia a rombi bianchi e neri, mentre i
capelli
castani e mossi velavano lo sguardo freddo dei suoi occhi verdi. Le
labbra
sottili erano perennenente piegate in una smorfia di noia, derivato da
un'autostima inspiegabilmente alle stelle.
Si
passò una
distrattamente mano sul mento, mentre la sua bella, una Gibson che da
sola
valeva due anni di stipendio di un impiegato medio spagnolo e che per
lui non
erano niente, pendeva dalla sua spalla. Alto ed altletico, svettava su
tutti
noi di quasi cinque centimetri.
Lanciò
un'occhiata
complice a Carma, che si passava la chinghia della sua chitarra sopra
la
voluminosa capigliatura rasta, dall'inquietante colore bianco. Si
aggiustò con
cautela la fascia di paillettes grigie che manteneva il groviglio in
relativo
ordine, mentre con l'altra mano si preoccupò di sistemare la
sua Gibson di uno
squillante colore blu elettrico.
Hippy,
gotica, nevrotica e
tappa. Nonostante tutto, l'anellino al centro del carnoso labbro
inferiore ed
il trucco grigio e violetto le davano un'aria angelica. Smentita da un
onnipresente
sorrisetto sardonico e dalla scintilla vivace nei suoi occhi blu scuro.
Io, nel
mentre, finii di
mettermi il nastro adesivo bianco sulle dita. Ogni falange delle mie
dieci dita
era protetta, e riuscivo a muovere perfettamente ed indipendentemente
ognuna di
esse.
Era un gesto
che avevo
sempre considerato pari ad un rito, e per il mio carattere flemmatico
tendente
all'isterico era un vero toccasana.
Sorrisi
tranquilla, mentre
sgranchivo la schiena e le braccia. Mi sentivo pervadere
dall'adrenalina, e
questo era sempre un buon segno.
Rivolsi la
mia attenzione
a quel gran pezzo di batteria che avevo di fronte. Fischiai ammirata
mentre
accarezzavo distrattamente i piatti della batteria. Ogni suo componente
era
delle migliori marche, dai tam-tam alle grancasse, passando per i
piatti. Vi
era una possibilità di suono eccezionale, e se il batterista
dei Tokio Hotel aveva
quello stesso modello... Beh, aveva tutta la mia ammirazione, oltre che
la mia invidia.
Le bacchette
volteggiarono
veloci tra le mie dita, e mentre aspettavo che tutti fossero pronti, mi
esercitai in un assolo, giusto per prendere confidenza. oltre che per
stupire
gli evntuali giudici.
Modestia
portami via!
Non era la
mia cara,
vecchia Berta, ma si poteva fare.
I miei occhi
grigi
osservarono il gruppo.
Eravamo ok,
avevamo tutto
in regola per vincere.
E
perchè non farlo?
La voce rauca
e
strascicata di Eddie fu quella che parlò per tutti.
-Allora...
inizia Carma
con "Dar Letzte Tag", poi
io con "Wonderwall" e
concludiamo con "I'm sorry",
sempre Carma.
Annuimmo, chi
serio, chi
allegro e chi nervoso.
-one, two,
tree.
Con una
sincronia
perfetta, attaccammo.
Here
we are people. Here. We. Are.
-...-
-Oh. Mio Dio.
Ohmmioddiooo!
Carma
saltellò di gioia di
quà e di là, agitando la folta capigliatura,
incurante della possibilità del poterci
cadere dal parapetto del ponte di Triana.
Le macchine
sfrecciavano
veloci alla nostra sinistra, lasviandoci a mordere la polvere, mentre il sole abbrustoliva
asfalto e passanti.
Trent’otto
gradi c’erano e
si facevano sentire!
-Senti,
Mocho, è tutto
ok...
Intervenni
io, quasi infatidita
da tutta quella allegria.
Lei si
girò verso noi tre
che la seguivamo, tranquilli ma soddisfatti.
Il suo
sorriso da un orecchio
all'altro era tutto un programma.
Gli occhi
brillavano di
gioia e non avebbe permesso a nessuno di classificare
l’evento come “ovvia
routine”.
-Santissimo,
non abbiamo
mai, e sottolineo il mai, suonato così bene!
Saltellò
ancora per
ribadire il concetto, la gonna in tulle grigio come una nuvola attorno
a lei e
l'espressione sognante sul suo viso da folletta.
-Effettivamente...
quella
sì, che era armonia.
Eddie si
aggiunse,
sorridendo obliquamente. L'andatura svagata, l'espressione indolente,
mentre
con una mano si scompigliò i capelli, gesto che
mandò in visibilio due o tre
ragazzine circostanti.
-Giusto!-
ridacchiò allegramente
Jules -altri due concerti del genere, ed avremo i locali di Siviglia ai
nostri
piedi.
La sua pelle
pallida
riluceva al sole, una cuffia del'i-pod pendeva onnipresente
dall'orecchio
destro ed una dolce espressione di pacificità e
soddisfazione gli rilassava i
lineamenti.
Inarcai il
sopracciglio e
schioccai la lingua, scettica. Le mani stancamente affondate in jeans
troppo
larghi, il contrasto tra la mia pelle abbronzata ed il bianco della mia
maglietta smanicata, la felpa che dondolava dai miei fianchi troppo
rotondi per
falcate troppo amplie.
Schioccai la
lingua
un'altra volta, scazzata, per attirare meglio l'attenzione.
-Dubito che i
bar de tapas cambieranno il classico
flamenco per qualcosa che sembri lontanamente straniero... eeeeh, no- stroncai sul nascere le
proteste di Jules con un gesto
secco della mano. - I bar dell'Alameda hanno già i loro
gruppi fissi. Non li
cambieranno per un gruppo di novellini come noi, lo sai.
Conclusi il
mio discorso
con una nota sarcastica ed una smorfia acida sulle labbra, senza
guardare
nessuno in particolare e impegnata a liberare le dita dello scotch
bianco che
aveva protetto le mie dita durante il saggio.
Improvvisamente
un braccio
magro circondò la mia testa, e subito dopo una mano
passò tra i miei capelli
neri, scompigliandoli e facendomi male.
-Ah,
com'è pessimista, la
nostra italiana preferita... Su con la vita, che fino a prova contraria
è solo
morto Nietzsche, e non Dio!
Risata
generale, anche da
parte mia. Essendo quella del gruppo che vede il bicchiere perennemente
mezzo
vuoto, sono abituata a prese per il culo varie ed eventuali. Nonostante
tutto,
Jules era convinto che un giorno anch’io avrei iniziato a
credere al suo
"make love not war".
Mezzo
francese e mezzo
vasco, presenza costante e amico fidatissimo, leale ma, soprattuto,
ascoltatore
e comprensivo. Una persona che dopo dieci anni che la conosci ti fa
ancora
dubitare il tuo meritartela.
-Che vuoi che
sia? Per lei
il mondo è una continua gradazione di nero!
Nonostante
Carma parlasse
così, non era messa meglio di me. La mia igliore amica era
indisponente e
sarcastica come un gattino, i suoi artigli ferivano, ma sensibile e
fragile come
un poeta romantico dell'ottocento, le sue pippe mentali erano il
non-plus-ultra
per un'emicranea assicurata.
Per lei
Murphy, con tutta
la sua sfiga, sarebbe stato l'amante perfetto. In diretta da Berlino e
da
Siviglia, ecco a voi la scalmanata Müller. La famiglia
è quello che si sul
defnire “un’emerita sconosciuta”. Ricca
come pochi, ma sola come troppe persone
a questo mondo.
-O di
verde... non
dimentichiamoci che ha strane e turpi passioni per i prati...
Risata
generale, verso
indignato da parte mia.
Eddie,
semplicemente era
fashion victim, international pepole, oltre che gran menefreghista.
Spagnolo, sevillano da generazioni,
ma
assolutamente discostante dal prototipo internazionale. Più
grande tra tutti
noi, già da un anno e mezzo all'università.
Maturo, anche se a volte si
dimentica tutta questa sua supposta saggezza. Difficilissimo entrare
nelle sue
grazie e difficilissimo uscirne, e noi altri ancora ci si chiedeva come
mai ci
fossimo finiti proprio noi.
Mi
guardò di sbieco, per
poi sistemarmi una ciocca dietro l'orecchio.
Mi sorrise,
tranquillo,
mentre Jules e Carma cercavano di scaricare l'uno sull'altro il peso
degli
strumenti, dato che la prima legge universale non scritta sancisce che:
Eduardo
non porta MAI la sua chiatarra. Che gli altri si arrangino come
possono, che
non è affar suo.
Mi diede un
colpetto sulle
spalle.
-Se son rose,
fioriranno.
Spaziando con
la vista sul
ponte in ferro battuto di Triana, con di fronte a me la grande
giratoria di
Plaza Argentina e i grandi blocchi di palazzi residenziali, le insegne
di allucinanti
colori di marche di alcolici e macchine, osservando il verde polveroso
dell'acqua del Guadalquivir ed il cielo di un vivido azzurro,
così enorme sopra
Siviglia, mi ripetei tra me e me le sagge parole di Eddie.
-Se
sono rose, fioriranno.
E corsi verso
i due
casinari, pronta a lanciarmi nella mischia, ed uscirne morta di risate.
...
Sì,
decisamente quella non era giornata.
-Mamma!
Una risposta
stanca
proveniente dalla cucina mi avvertí che mia madre non era in
vena di scazzi,
oggi.
E la mia voce
acuta e con
un evidente tono da sto-per-rompere, ne era la prova.
Mi affacciai
sulla soglia,
osservando la mia giovane, ma non per questo meno hitleriana,
mütter pelare le
cipolle. Senza neppure piangere, tra l'altro.
Era
più probabile che piangessero
prima loro, che lei.
-Mamma-
ripetei -nè che
hai visto le mie bacchete, vero...?
Mi preparai
mentalmente a
ripercorrere il copione.
Mia madre
avrebbe
consigliato di guardare sotto al letto, come sempre...
-Hai guardato
sotto il
letto?
Appunto.
Ccchi al cielo da
parte mia e sbuffare scocciato.
-Sììì,
già fatto...
Pcchiata
scettica e
raggelante da un paio di occhi verdazzurri che ricordavano il mar
mediterraneo.
-No, che non
l'hai fatto.
La guardai,
stupita. Come kaiser faceva a
saperlo?
-E tu...?
-Non hai
nugoli di polvere
sui capelli, e non ho ancora sentito un'esclamazione schifata riguardo
al pezzo
di pizza che, guarda caso, non trovavi più... E vorrei
ricordarti che ne sono
passati tre di giorni da quando hai ordinato e perduto quella pizza...
Ridacchiai,
imbarazzata.
Sorriso
obliquo da parte
di mamma, impegnata nella preparazione del famoso pollo al curry.
Rassegnata,
andai in
missione sotto al letto, e, dopo un'efficace e quanto mai perglioso
slalom di
insidiosi oggetti (tranci di-non-so-che-cosa, molle, resti di
civiltà
scomparse, peluches, riviste per un pubblico femminile ma vietate ai
minori,
che di certo non si dilungavano nei pregi di una vita bucolica),
recuperai con
esito le bacchette ed il mio paio di
calzini fortunato (ovviamente verde) e andai vittoriosa in
cucina da mia
madre.
-Ah-ah!
Veni-vidi-vici! Altro
che cesare...
Le diedi una
bacio
frettoloso sulla guancia, tra la padella dell'olio ed il tagliere
infarinato.
Era ormai
passata una
settimana dall'esibizione e me ne avevo fatto una ragione di tutto
quell'anno sprecato
in prove con la band. Avevo rinunciato ai miei sogni di gloria ed ero
tornata
la solita allegrona.
Incredibile
ma vero,
anch'io posso esserlo.
Stavo andando
appunto a
delle prove con i miei amici.
Ufficialmente.
Ufficiosamente,
ero pronta per andarmene in girella.
Ma mia madre
non era dello
stesso avviso.
Mi
bloccò con un'ironico -e
tu, dove pensi di andare...?
Bloccandomi
sulla soglia.
Acci.
Deglutii,
indicando la
porta con la vaga speranza di scamparmela all'ultimo minuto.
-Vado a delle
prove con
gli altri...? Daaai!- le chiesi supplicante vedendo la sua occhiataccia
molto
poco materna -sono in ritardo da mezz'ora...
Risolino
perfido da parte
sua.
-Ci pensavi
mezz'ora
prima, milena.
Buttò
i pezzettini di
pollo insalsati nell'olio, e quelli gemettero con uno sfrigolio
solidale.
Quella era la
frase
tipica, seguita da un classico “ed
il
salotto, pensi che si trovi bene, così com'è?"
o un fantasiosissimo
""fatti la stanza, nonostante
tu la trascuri, lei ti ama ancora. o non capisco come faccia il letto a
non
sputarti fuori da quel groviglio di coperte tutte le notti per vendetta".
-Amò,
pensi che riuscirò a
passare l'aspirapolvere in camera tua senza incontrare qualcosa di
molto simile
al caos primordiale?
Questa donna
mi sorprende
sempre.
-Beh, se non
toccassi il
pavimento, o respirassi l'aria, o cercassi di scalfire lo spazio fisico
e
metafisico della mia stanza, potresti sopravvivere...
Scosse la
testa,
divertita, poi con un imperioso ed implacabile gesto della mano, mi
diede la
mia condanna.
-Fila
riordinare,
sfaticata.
Le tentai
tutte per
corromperla, ma dopo che neppure un massaggio al collo ebbe i risultati
sperati, mi limitai a sbuffare, per poi dirigermi mogia in camera mia.
Solitamente
non ero così
obbediente, ma sì ci tenevo alla mia vita, ed oggi era uno
di quei giorni in
cui o si ubbidisce, o si finisce veramente male.
Con un passo
strascicato
mi diressi in camera mia, afferrando nel frattempo il cordless dalla
consolle
del corridoio.
Era strano il
fatto che un
paio d'italiane come me e mia madre si trovassero catapultate in una
città così
distante dalla loro, come lo era Siviglia.
Scherzi del
destino, o dei
bandi di concorso universitari, è la stessa cosa.
Incredibile
anche come io
e mia madre fossimo così diverse.
Allegra,
spigliata, e
capacissima di fare le ore piccolissime con i suoi amici, lei.
Timidona
tendente
all'aggressivo, di quelle che la notte tornavano massimo alle due e
decisamente
lunatica, io.
Eravamo
all'opposto, e
meno male. Vivere con il doppio di una di noi due, sarebbe un incubo.
[Ancora
non sapevo che quello sarebbe stato il mio incubo
in futuro...]
Mi buttai sul
letto e
composi un numero che sapevo a memoria.
-Hallo?
-Wie geht's,
Carmen?
La sua voce
ridacchiò
allegra, rispondendomi in un perfetto tedesco. Eh, ‘sti
bertoli, lei ha origini
tedesche e gioca sporco. Io, povera mortale, devo studiarlo e sudarci
sangue
come tutte le persone di questo mondo che non sono nate crucche o non
sono
cresciute in Cruccolandia.
-sopravvivo,
Milo. Da
sola, visto che i miei non ci sono. Deduco dal tono che il tuo
tentativo non
l'ha sfangata...
Sbuffai,
scocciata, mentre
con gesto distratto afferravo una freccetta, calibrando il tiro e
prendendo la
mira.
-Eh, no.
Inventarsi che
dovevo venire a delle prove non ha funzionato. Te l'ho detto, mia madre
ha il
sensore per queste cose.
Ready...
Set... Go! Ed ecco che sul labbro di Tom Kaulitz si ferma
vibrando
una freccetta. Originale, l’utilizzare un megaposter dei
Tokio hotel come
valvola di sfogo e come bersaglio per le freccette.
-Deduco dai
tuoi gridolini
di gioia che ancora una volta hai preso di mira il piercing di Bill
Kaulitz!
Disse Carma,
a metà tra
rassegnata e divertita.
-Ma no.
Breve pausa
ad effetto da
parte mia.
-Volevo ben
vedere,
lasciami stare bill.
Continuai io,
serafica.
-Questa volta
è toccato a
Tomi.
Sbuffo da
parte della
hispano-germanica.
-Sei
incorregibile, adesso
vengo io e li salvo tutti, ecco.
Ridacchiai.
-Ottimo,
Carmencita.
Ringhiò.
-E non
chiamarmi Carmencita.
Continuai,
imperterrita.
-Carmencitaaa...
Lei,
assolutamente tranquilla,
buttò lì un vago- Non trovi che i centri da
freccette interattivi siano più
divertenti...? Perchè non utilizzare te, la prossima volta?
Mi finsi
sconvolta.
-Mi arrendo,
mamma ha
preparato pollo al curry per pranzo.
Gridolino
estasiato da
parte sua.
-Di’
a tua madre che la
amo, e tu- aggiunse ringhiando- non toccare più quel poster
finchè io non posso
materialmente difenderlo.
-Provvederò
a crivellare
Georg, allora. Ma Yoghi non lo tocco, don't worry...
E chiusi la
telefonata,
prima che potesse replicare.
Mi buttai sul letto,
letteralmente, affogando
in un marasma di piumoni e coperte.
In
quell'afosa mattinata
dell'estate dei miei diciottanni, ero sicura di poche cose.
1-
Non avevo vinto quel concorso, non ostante ce l'avessi
messa tutta.
2-
Odiavo i tokio hotel con perseveranza incredibile da
parte di una pigrona ed indolente come me.
3-
Non avrei avuto mai la sfiga d'incontrarli. non sia mai
che cotali dei si mischino a semplicissimi mortali...
4- Mi amavo!
Naturalmente,
mi sbagliavo
su tre punti di quattro.
...
No.
Mi rifiuto categoricamente di crederci. tutto questo
non è vero.
Sro
appoggiata alla porta
della cucina, con l'incarico di andare a prendere qualcosa da bere per
tutti. Mi
passai le mani sulla faccia accaldata, ancora in stato di shock.
Mia madre non
stava
parlando un fluido e formale tedesco con David Jost, il menager dei
Tokio
Hotel.
In salotto
non c'era, non
c'è e non ci dev'essere nessun menager che mi dice che ho
vinto IL concorso.
Eh, no, non
avevo nessun
biglietto prenotato per un kaiser
di
treno che da lì a due giorni mi avrebbe portato da Siviglia
a Madrid, dove i
Tokio Hotel stavano tenendo il loro ultimo concerto della stagione.
E
che caspio, il destino dovrebbe avvertirti, quando sta
per cambiarti le carte in tavola.
Ero appena
tornata da un’intensa
sessione di pattinaggio quando, appena svoltato l'angolo, avevo notato
subito
che c'era qualcosa che non andava.
Che caspio ci
faceva una
BMW descapottabile ultimo modello ed un SUV nero in fila indiana e con
un
allineamento talmente esatto che sembrava fosse stato fatto con una
riga a
controllare le distanze, sotto casa mia?
Deglutii,
trovandomi a
fare i gradini di casa a quattro a quattro. Aprii la porta di casa di
schianto,
precipitandomi dentro.
-Mà!
Stai bene?!
Una voce
allegra
proveniente dal salotto, mi informò che mia madre era ancora
viva, e no, la
mafia non stava cercando di torturarla per avere in affidamento la
quarta
meraviglia universale.
Che sono io,
ovvio.
Con il fiato
corto, mi
precipitai in salotto, passando per l'anticamera verde acqua, il
corridoio ocra
e bianco ed arrivando nel succitato salotto bianco ghiaccio.
Mi avvicinai
a mia madre,
dandole un bacio sulla guancia, frutto della mia preoccupazione.
Poi osservai
l'uomo che
sembrava lievemente a disagio dalla situazione così intima.
Sembrava simpatico,
ma si vedeva lontano un miglio che non era di quei menager che
descrivevano
nelle pubblicità e nei film di serie Z. No. Lui era della
nuova razza, quelli
dal completo dal taglio sportivo, senza valigetta in pelle e cellulare
all'orecchio
ma con laptop-pc e Ray-Ban a goccia.
Poggiai una
mano sulla
spalla di mia madre, rimandendo in piedi. Indossavo ancora i miei
roller-blade.
Cosa che
l'uomo notò e
indicò, sorridendo.
-Oh,
esercizio fisico.
credo che andrai decisamente d'accordo con Gustav.
{
Quale gustav?}
Lo disse in
inglese, ma
mia madre rese nullo il favore, dato iniziammo a parlare tedesco
tutt’e due.
-Milena,
questo signore è
David Jost, il menager dei Tokio Hotel, oltre che ambasciatore della
lieta
novella.
Mia madre mi
sorrise,
rassicurante.
Deglutii.
No,
non dirlo.
Mi ritrovai a pregarla.
-Milo, i
Skylight hanno
vinto il concorso.
Oh, mammina
santissima.
Riuscii a
conservare il
sangue freddo, dopo tutto. Caspio, che flemmatica.
Tesi la mano,
seria. Un
piccolo sorriso di circostanza increspò le nostre labbra.
-Piacere,
Milena Macchi.
Here
we go. Here. We. Go.
-...-
-No.
-Sì.
-Nonono.
-Sììì.
Ripetei io,
scazzata. Mi
attorcigliai il filo del telefono sull'indice, mentre gli occhi
correvano a
sincerarsi della presenza di quei pass che avevo buttto sul letto quasi
con
rabbia, mezz'ora fà.
-Ripetimelo
tutto, non ci
posso credere!
Sbuffai,
strofinandomi gli
occhi.
-Sì,
abbiamo vinto quel
dannatissimo concorso. E no, non è un sogno. E
sì, tra meno di una settimana
vedrò quei mocciosi per un primo impatto.
-Oh,
perbaccolina.
Ecco.
Sì, perchè noi siamo
educate, ed essendo delle rocker dure e pure, non bestemmiamo mai.
Vi prego,
tiratemi fuori
di qui. Tiratemi. Fuori. Di. Qui.
.-.-.-.-.-.-.-.
Avverto,
non so se la finirò mai questa ff.
Per il resto:
Dar
Letzte Tag
– Tokio Hotel.
Wonderwall – Oasis.
I’m Sorry –
Flyleaf.
Per adesso,
la nostra Milo
sembra essere disposta a tutto meno che a una convivenza pacifica.
Riusciranno i
Tokio Hotel
a non decidersi ad effettuare il primo batteristicidio di massa della
storia?
Chi
sarà il fortunato (ma anche no)
a beneficiare delle
attenzioni di Milo?
Riusciranno
ad integrarsi
i membri delle due band?
Lo sapremo
alla prossima
puntata. <3<3<3
Credo che
sarebbe
enormemente proficuo per me ricevere mazzate, critiche o benedizioni.
A vostra
scelta.
Bexotes!
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