Sogno di
un’ombra
Un vecchio cappotto di velluto nero, consunto dal tempo,
gettato senza cura lì su una sedia appoggiata al muro.
Macchie di bicchieri decoravano il tavolo di noce posto sotto la
finestra…ne rimaneva solo uno, di bicchiere, ormai
ingiallito da una qualche bevanda lasciata evaporare al calore della
candela, ora spenta. Sulla polverosa scrivania si poggiava pesante un
libro aperto, senza titolo e senza fine, che stava leggendo.
Probabilmente data la sua situazione non lo avrebbe mai finito. Una
scrittura incerta tempestava i tanti fogli sparsi intorno al libro;
sembrava inutile e impossibile leggerli:
la calligrafia poco chiara e la soffusa luce me lo impedivano. Un
brillante architetto di otto zampe aveva tappezzato con le sue opere
filamentose gli angoli della stanza. Ne era quasi piena e il bagliore
fioco della luna che traspariva dal piccolo lucernario ne faceva
ammirare lo splendore della loro complessità…mi
sono sempre chiesto come possano degli insetti, così piccoli
e quasi insignificanti, costruire una struttura così
perfetta che in natura non ha eguali. Il muro spoglio ormai aveva
assorbito tutti gli odori della stanza; si poteva ancora sentire, se
aguzzavi l’olfatto, l’acre odore di verde muffa
misto a quello di nero fumo. Sul comodino era appoggiato un posacenere
pieno di cicche consumate; sul bordo, in precario equilibrio, una
sigaretta esalava l’ultimo respiro: la cenere indicava
chiaramente che era stata sì accesa ma mai fumata.
Né quadri né suppellettili ornavano la stanza;
qualche chiodo e delle vecchie impronte ne indicavano la passata
presenza. Dal soffitto pendeva un sol filo a cui era attaccata una
lampadina. Provai ad accenderla, dato che il buio della notte non mi
permetteva di notare su cosa camminavo. Premetti
l’interruttore ma non avvenne nulla. Due erano le
spiegazioni: o era rotta, o la padrona di casa aveva staccato
l’elettricità, dato che lui non pagava
più né l’affitto né le
dovute spese. Gli aveva fatto credito per molti mesi: lo conosceva da
tempo e non si sentiva di cacciarlo via. Sapeva che non aveva nessun
altro posto dove stare e di amici nemmeno l’ombra. Era come
un figlio per lei.
In
fondo alla stanza, accanto alla porta, uno specchio opaco faceva
trasparire la mia figura. Mi avvicinai per guardare meglio. Dalla
finestra entrava, radente sul mio volto, una luce al neon blu. Erano
giorni che non dormivo e i miei occhi spenti indicavano una certa
stanchezza. La mancanza di un lavoro, i debiti accumulati e la
necessità di trovare un posto economico dove poter riposare,
mi avevano impedito di chiudere occhio. Ma ora questo posto sembrava
l’ideale per acquietarmi. La signora sembrava gentile e
disponibile a scendere a compromessi. L’avevo avvertita che
non avrei potuto pagarla subito, al massimo tra un mese. Non appena
l’agenzia avrebbe pubblicato il mio racconto avrei avuto i
soldi necessari per pagare almeno tre mesi di affitto. Aveva accettato
la mia proposta. Ed ora eccomi qui in questa stanza.
Di
riflesso, dallo specchio, si vedeva, appoggiato al muro per due lati,
accanto al comodino, il letto tipico delle stanze di chi vive da solo:
un materasso non molto comodo, delle lenzuola, una volta bianche, e un
guanciale senza fodera. Ma qualcosa aveva attirato la mia attenzione.
Avvolto nella coperta e disposto di lungo sul letto, sembrava esserci
qualcosa. Mi girai di scatto e, non senza qualche preoccupazione, mi
avvicinai al letto. Con cautela iniziai a srotolare la coperta; la
paura mi cresceva in corpo: com’è che non avevo
notato fin’ora quel pesante fagotto? L’ombra della
notte e i fumi dell’alcool mi aveva forse impedito di
notarlo. Ancora pochi giri e avrei capito finalmente di cosa si
trattava. L’impressione era quella di essere di
fronte…no! Come era stata possibile una cosa del genere! Chi
e come aveva potuto?
Un
corpo rinsecchito dal tempo giaceva immobile, lungo, disteso su quello
che sarebbe dovuto essere il mio giaciglio per quella notte e le altre
a seguire. Cercai dei fiammiferi nelle mie tasche, ma non ne avevo.
E’ vero! Avevo smesso di fumare da tempo! Cercai allora in
lungo e in largo nella stanza; rovistai nel cappotto di velluto blu
appoggiato sulla sedia e ne trovai un pacco ancora sigillato. Provai ad
accenderne uno, ma il tremore delle mie mani mi tradì e lo
ruppi. Riprovai col secondo. Si accese. Mi avvicinai lentamente al
corpo. Il bagliore della fiamma mi fece notare la sua vecchia camicia
bianca priva di bottoni. Salii lungo il corpo per vedere il suo volto,
ma in quel momento la fiamma mi bruciò le dita. Ne accesi un
terzo e stavolta andai diretto fino al volto. Un filo di barba cingeva
il pallido mento; mi avvicinai ancora di più. Uno stupore
misto a ribrezzo mi fece trasalire….quel volto! Come era
possibile? E’ illogico e contro natura una cosa del genere!
Quel volto bianco cadaverico era…era il mio! Cosa era
successo in quella stanza e cosa stava succedendo in quell istante?
Indietreggiai e non mi accorsi che dietro di me, appoggiata a terra,
c’era una bottiglia di rum. La urtai, cadde e
rotolò sul pavimento, spargendo quel poco di liquido
alcolico che ne era rimasto all’interno. Stetti per un
po’ lì ritto e immobile. Qualsiasi spiegazione mi
sembrava assurda. Non riuscivo a pensare ad altro. Sono morto? Sono
vivo? E’ un sogno o meglio un incubo!
Dalla
porta si sentivano dei rumori che distolsero la mia attenzione
dall’improbabile. Passi lenti e pesanti si avvicinavano alla
stanza. Ecco un rumore di chiavi che gira nella serratura. Ruota il
pomello della porta. Entra una persona bassa e tozza: la padrona di
casa. Appoggia la mano al muro in cerca dell’interruttore. Lo
trova e lo preme con decisione. Un rumore sordo e metallico risuona
alle mie orecchie. Un lento ronzio precede l’illuminarsi
della lampadina. Si fa dapprima fluorescente, poi un bagliore uniforme
cade sulla stanza. Si sente un sospiro. “Mi sembrava di aver
sentito un rumore quassù”, dice la vecchia
signora. Quindi si avvicina all’unica finestra della stanza,
apre le ante e fa entrare la luce del sole.
“Chissà
perché nessuno mai viene a chiedere di prendere in affitto
questa stanza”continua la vecchia. Resta pochi minuti nella
stanza, il tempo di far cambiare aria, poi richiude le ante della
finestra. Si avvia verso la porta; un’ultima occhiata alla
stanza prima di chiudere dietro di sé la porta.
Ringrazio in anticipo
tutti coloro che leggeranno e commenteranno questa shot, e un grazie
particolare ad una persona senza la quale, avrei mai pubblicato questa
storia: Sabrina(scricciolo91). Grazie!
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