il giorno in cui caddi nel cielo.
il giorno in cui caddi nel cielo.
L’Altissimo Onnipotente Signore Creatore dell’Universo Tutto,
che per comodità denomineremo Dio, aveva preso una decisione.
E quando essa era stata presa, non c’era modo di farlo
ragionare.
“Amen”, lo scimmiottava con voce altisonante Gabriel per
fare ridere i suoi fratellini –operazione che solitamente falliva e poi veniva
immediatamente seguita da uno sguardo duro di Michael e l’occhiolino di
Lucifer.
Ma questa sarebbe una divagazione troppo ampia, troppo
complicata, da portare a termine –neanche il sangue freddo di Metatron
reggerebbe- quindi si procederà concentrandosi solo sul soggetto iniziale, già
difficoltoso di per sé, omettendo i citati precedentemente.
Ricapitolando: Dio aveva preso una decisione.
Testardo come ogni autore quando si parla della propria
opera preferita, non voleva scendere a patti.
Aveva deciso che era il momento di vedere se tutti i
giocattolini che aveva creato con tanta cura erano in grado di funzionare da
soli.
Il problema era come.
Insomma, non poteva passare la sua esistenza a dare loro la
carica, no, ci voleva qualcosa di nuovo.
Aveva voglia di sperimentare, Dio, aveva voglia di vedere
cosa sarebbe successo alle sue creaturine.
Il Signore, infatti, era anche uno spettatore, pure un po’
pigro, e tutto sommato gli piaceva essere sorpreso.
Quindi inventò, in un lampo di genio, una cosuccia chiamata
“Libero Arbitrio”, si sedette sulla sua poltrona preferita con un sospiro
soddisfatto e accese la TV.
O, più semplicemente, lasciò cadere nel cielo Castiel, un
piccolo pesce e spolverò il tutto con un velo di Libero Arbitrio.
Mise a cuocere a fuoco lento, molto lento, e aspettò.
Il primo timer scattò la notte di mercoledì 24 Gennaio 1973 d.C.
Il piccolo pesce si era tramutato in un neonato umano, ora stretto
tra le braccia di sua madre.
Ma fu solo poche ore dopo la mezzanotte, quando un’indiscreta
luce angelica gli solleticò il naso, che il piccino aprì gli occhi al mondo per
la prima, importantissima volta.
«Gli angeli vegliano su di te, Dean.» disse sorridendo al
suo ometto Mary Winchester, non potendo sapere quanta tragica ironia nascondeva
quell’affermazione, quanta amaramente dolce verità.
Eppure il tutto non era ancora pronto, la doratura non era
ancora ottimale.
Dio respirò e aspettò.
Il secondo timer scattò nel Settembre del 2008, un giovedì
qualsiasi.
Il Signore riusciva a sentire i suoi primogeniti cantare in
lontananza, li sentiva sussurrare di distruzione e rinascita.
Poi vide un lampo, chiaro e potente.
«L’Uomo Giusto è stato salvato.»
E Castiel bruciava, lasciando la sua Grazia vibrare così
forte che per un attimo Dio pensò di averlo accanto, di avvertirne il calore
ormai dimenticato.
Da quanto tempo non si
faceva vedere dai suoi figli?
Fissò Castiel, la sua fiamma e le sue ali.
Risplendeva di Grazia, ma c’era qualcosa che non tornava.
Sorrise compiaciuto e si mise più comodo.
Il terzo timer suonò nel 2009, casualmente di giovedì, ma
Dio non fu lì ad ascoltarlo.
No, la storia era troppo intrigante per starne fuori, quindi
si acquattò in un angolino del Profeta Chuck –gongolando che nemmeno uno dei
suoi primi figli riuscisse a riconoscerlo- e si godette la scena.
«Ma voi non fate
parte di questa storia!»
«Bhe, la costruiremo strada facendo.»
BAM. Colpo di scena.
Chuck sconvolto, Cass –sì, oramai anche Lui lo chiamava
così- con faccia risoluta e Dean…
Oh, Dean rivolse al serafino uno sguardo che per un attimo
disorientò completamente Dio.
Non era previsto. Non era possibile. Non era necessario. Non
l’aveva programmato.
Ma c’era.
Guardò velocemente le ali di Castiel, gocciolanti di Libero
Arbitrio, e la sua Grazia, splendente come mai prima, piena di macchie.
Possibile che…
Dio aggrottò la fronte, spinse Chuck ad appoggiare una mano
sulla spalla di suo figlio –per sentirlo
reale, vivo- ma questi guardò così duramente il profeta che subito l’azione
fu annullata.
C’era bisogno di un altro timer, ma uno diverso.
Il quarto timer lo fece suonare Dio, e Dean cadde nel cielo.
Benvenuti nel 2014.
L’Onnipotente si raggomitolò nuovamente in Chuck e aspettò.
Tanto quei due erano come calamite, non aveva bisogno di
intervenire.
E infatti eccoli lì.
Si aspettava di vedere quei suoi due figli –così diversi da essere così simili-
ridotti così.
Dean, che giorno dopo giorno strangolava la sua anima sempre
di più, intimandole di non esistere, e Cass.
Cass con la grazia amputata, morente –che cercava di
seppellire sotto mari di assenzio- ma mai del tutto sopita, brillava ancora
debolmente nei suoi occhi, arrancando/rantolando tra la nebbia delle
anfetamine.
Eppure era stupito, Dio, stupito perché c’era una cosa che
nessuno dei due aveva perso.
Avevano ancora –e
ancora, ancora, ancora- fiducia l’uno nell’altro.
Una fiducia rabbiosa, malata, rassegnata.
Ma c’era.
E mentre Chuck blaterava di carta igienica, Dio osservò bene
quel Dean del 2009, avvertì la sua paura e come la vista di quel Cass avesse smosso
la sua anima, tendendola sempre di più.
L’Onnipotente inspirò ed espirò, lasciando che il filo del
tempo si distendesse di nuovo.
Nessun timer scattò.
Dean Winchester strinse la spalla del suo angelo –perché
ormai anche lo stesso Dio ne aveva avvertito il possesso scivolargli dalle
dita, l’ -el che una volta componeva il suo nome, sigillo della sua
appartenenza all’Altissimo, era caduto da troppo tempo.
«Non cambiare mai.»
Cass -l’inimitabile, insostituibile, indispensabile, vitale Cass di Dean- sorrise.
Dio gettò via il timer.
E la temperatura aumentava, tutto strabordava dal
contenitore, ma Dio non fece niente.
Era nelle sue possibilità, sarebbe bastato un cenno del
capo.
Ma non questa volta.
Strinse semplicemente i denti quando il Sigillo dell’Esilio
inciso sul petto di quel suo figlio rabbiosamente disperato lo spedì ancora più
lontano dalla sua protezione, di nuovo in Illinois –quasi il mondo stesse
cercando di riportare a casa Jimmy Novak per l’ultima volta.
E Cass si guardava attorno con due occhi che il Signore non
aveva mai visto, che non sarebbero dovuti esistere.
C’era una Grazia riversa sanguinante infondo a quegli occhi,
c’era un perché, un fa male e Dean.
Dean.
«Cass!»
E l’Onnipotente si era solo distratto un attimo.
«Come sei arrivato qui?»
E suo figlio era riuscito a fare tutto quello.
«Ho preso un bus. Non preoccupatevi, io—»
A prendere la sua umanità reietta e trasformarla, e non solo
nel sangue che gli stava risalendo la gola.
«Non c’è neanche punta di angelo in te, non è vero?»
Ma nella rantolante testardaggine di chi non è mai finito.
«Forse solo una punta.»
In questo caso aveva la forma di un coltello.
Dio si era alzato dalla sua poltrona, non resistendo, e si
era seduto davanti alla sua creazione.
Ancora in cottura, ancora in trasformazione, ancora fuori
controllo.
Bellissima.
Sapeva, il Signore, che il suo lavoro non sarebbe stato più
utile –non dopo quello.
Così decise di perdersi l’atto finale, preferendo fare
compagnia a Chuck nella dura stesura di un epilogo che non sarebbe mai potuto
essere veramente tale.
Ma era proprio per quello che gli piaceva tanto.
E mentre scendeva con quelli che, se non fosse stato Dio, si
sarebbero potuti definire occhi tristi, ripensò soddisfatto alle macchie di
quel suo figlio così disobbediente alle leggi del branco.
E mentre tutto bruciava, la terra si richiudeva, Dean gonfio
di colpi oramai vuoti e Cass che gli volava a fianco, l’Onnipotente vedeva un
fiume.
Un tenero fiume scorrere lieve e una canzone mugugnata
nell’aria.
Un piccolo principe occupava una sponda e riempiva l’aria di
suoni, mentre piano passava le dita attraverso infinite penne di luce.
La mano scivolava tra di esse, districando, sciogliendo la
colla che le costringeva, per farle respirare.
Sull’altra riva un giovane millenario dalla faccia di volpe
raccoglieva pezzi sparsi di passato, muovendo la testa a un ritmo che non
sarebbe dovuto essere in grado di sentire.
Ma lui la muoveva e raccoglieva ritagli, ai bordi del fiume,
cucendo con la notte –pacifica, ristoratrice- dei suoi occhi tutto insieme.
Non si guardarono mai, non si sentirono, non si toccarono.
Un legame che non doveva esistere.
Ma c’era.
Ricorda
Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco,
non
dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la
fortuna li aiuti,
come una
svista, come un’anomalia, come una distrazione
come un
dovere.
***Angolino del cambia-colore***
Lo so, lo so, dovrei essere a scrivere follemente la seconda
parte di Caro amico ti scrivo, oppure a scrivere l’ultimo pezzettino del sequel
di La pelle che abiti, ma sono una pessima persona.
I miracoli che può fare Manzoni! Questa storia vegetava nel
mio computer da più di sei mesi ed è bastato che Manzoni necessitasse di essere
studiato per farmi recuperare l’ispirazione. Madame Ispirazione, sempre nei
momenti meno opportuni.
Comunque, ai corvi i miei harakiri scolastici, vi giuro che
tutto ciò ha un senso. Detta in maniera brutale, è la mia versione del libero
arbitrio in Supernatural, un memento a me e a chiunque guardi lo show. Perché
io stessa sbaglio a volte a parlare di Free Will in maniera stretta e
incondizionata, perché in verità un Destino c’era, c’era eccome. Ma
l’importante non è il fatto che ci fosse, ma che fu spezzato. E questa è la
storia, questo è Dio –il Dio di SPN secondo la mia personale visione
ovviamente.
Detto questo, un paio di note veloci per chiarire certi
punti e citazioni necessarie.
1)Il titolo “il giorno in cui caddi nel cielo” è una
masticata citazione di Pascoli nella sua poesia “La vertigine” in cui si
racconta di un fanciullo che aveva perduto il senso della gravità e quindi si
aggrappa a qualsiasi cosa “per non cadere in cielo!”. (leggasi: ricoveratemi,
ma fatemi portare il mio mammut di Pascoli.)
2)Metatron, parola che avrà fatto raggelare tutti voi, era
stato inserito l’anno scorso, io non potevo avere idea. Bastardo.
3)”lasciò cadere nel cielo Castiel, un piccolo pesce e
spolverò il tutto con un velo di Libero Arbitrio.” Qui su questa frase
sussistono due ipotesi: uno, che
il pesce in verità rappresenti l’evoluzione dell’umanità e quindi Dean, perché
ricordatevi che c’erano “grandi piani” per quel pesce, oppure che il pesce sia
il primo dubbio di Castiel, il primo “perché? Perché non devo calpestarlo,
cos’è, perché è qui, il mio piede non può toccarlo? Cosa succede se lo faccio?”
4)Mi hanno fatto notare che la storia del “l’ -el che una
volta componeva il suo nome, sigillo della sua appartenenza all’Altissimo, era
caduto da troppo tempo” non è chiarissima. Bhe, ora mi spiego. Vedete, i nomi
dei settantadue angeli sono dei nomi costruiti con delle desinenze ripetitive e
tali desinenze non sono altro che pezzi del nome di Dio. Quindi quell’el che
vediamo sempre in fondo ai nomi angelici, oppure le Ah, non sono altro che
patronimici un “figlio di Dio”. Quindi chiamare Castiel Cass è come ignorare la
sua provenienza, guardare solo lui, qualcuno di diverso.
5)Qualsiasi dialogo utilizzato in questa ff è stato preso
direttamente dal telefilm, anche se tradotto da me quindi segnalatemi se ci
sono castronate intergalattiche.
6)Il pezzo finale. Ecco, quello forse è l’unico che
veramente può suscitare un WAT di quelli da tumblr. Il piccolo principe sarebbe
Dean, biondo, alla ricerca di un modo per salvare la sua rosa, fermo su una
riva del fiume aiuta a districare le ali di un angelo incollate dall’obbedienza
cieca. E le macchie che Dio vede sono proprio quelle, sono le piume che piano
piano si liberano (portando poi alla sesta stagione *ride isterica* anche se
ovviamente con questo non intendo dare tutta la colpa a Dean, LUNGI DA ME, Dean
ha mostrato solo a Cass come fare e l’ha aiutato, ma Cass l’ha voluto). Invece il giovane millenario
con faccia da volpe è proprio Cass, eternamente giovane ed eternamente vecchio
perché angelo, volpe per la curiosità e per il fatto che Dean è il piccolo
principe (anche se avrei visto benissimo un future!Cass come l’Aviatore, ma
questi sono headcanon xD) e Cass raccoglie pian pianino pezzi di Dean
sparsi per il fiume e aiuta a rincollare il tutto. Diametralmente opposti,
diametralmente uguali. Come direbbe la matematica che è in me, gli asintoti per
la mia iperbole, due sistemi indefinitamente ravvicinati.
7)La citazione finale in rosso è la strofa finale della
canzone Smisurata Preghiera di Fabrizio De Andrè. Una canzone che a leggerla
tutta sembra scritta per Supernatural. E infatti è dedicata a chi viaggia in direzione ostinata e
contraria.
Ok,
ora ho finito xD anche se sicuramente mi sarò dimenticata qualcosa, ci
scommetto! Ma io meglio che chiuda qui, ringraziando chiunque sia arrivato fin
qui e chi ha letto/seguito/ricordato/preferito/commentato le mie precedenti
storie sul fandom
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