1899
1919
Feliciano guardò davanti a sé: una pietra
tombale.
Poi guardò una sola delle due date su di
essa –e fu quella a fare male.
La lapide era per un uomo senza nome,
perché la Guerra si era portata via pure quello.
1899.
Si corresse: non un uomo, ma un ragazzino.
Aveva
un tic alla faccia, Feliciano.
Colpa delle bombe, pensò. Non ci abitueremo
mai.
Non
bisogna abituarsi,
pensò.
Si
guardò intorno: tutto distrutto.
Allora
chiese: -Perché sei morto?-
La lapide tacque.
Di nuovo: -Perché sei morto?-
La lapide tacque ancora. Feliciano sapeva
che non fu perché essa non possedeva labbra.
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Dopo
la disfatta di Caporetto (1917), l’Italia
era così mal ridotta da dover chiamare alle armi la leva del 1899.
Ragazzi
buttati nella guerra, contadini per lo più, con la promessa di qualche
pezzo di
terra che non riceveranno mai e la speranza di un riscatto sociale.
La scena si svolge nel 1919, ho immaginato,
nel periodo delle trattative a Parigi e dintorni, quando è stato il momento di
“tirare
le somme”.
Sperando di non aver scritto castronerie, s’intende.
Non ne posso più.
Voglio le ferie. La pensione.
Voglio un po’ morire. |