Tre -ultimo
Dolce Flirt ~
"Con Permesso..."
Capitolo Tre. [Ultimo]
Happy Ending.
"Vieni alle 18"
diceva un suo messaggio. Mi chiesi come mai quel giorno aveva scelto di
posticipare tanto il mio turno. Ma non mi feci troppe domande. Avevo
aspettato sue notizie per tutta la giornata e finalmente ne avevo
avute. Ero ancora in pensiero per la storia di Rosalya ma avevo fede in
lui e sapevo che tutto si sarebbe messo a posto. Per un momento pensai
che quel "a posto" avrebbe significato il mio allontanamento da lui ma
dopo una doccia calda ritornai dell'idea che una piccola breccia aveva
aperto uno spiraglio di luce per un futuro più gioioso e
luminoso.
Quando arrivai al negozio, notati che le clair delle vetrine erano
abbassate, salvo per quella dell'ingresso principale. L'interno era
buio ma, entrando, notai una lampada sul bancone della cassa. Puntava
il suo luminoso faretto su di un foglio di carta. Il fascio era
così ben definito che, per arrivarci, inciampai anche nel
portaombrelli completamente nascosto nell'ombra e per poco non finii a
terra.
"Chiudi tutto e occupati del retro"
riportava. Che significava? Non aveva intenzione di tenere aperto? Gli
affari andavano bene ma non così tanto. Ma, d'altronde, si
trattava pur sempre di ordini del mio capo, quindi li avrei eseguiti
senza fiatare. Dall'interno feci come meglio potevo per abbassare la
serranda della porta, accostandola a pochi centimetri dal fondo del
marciapiede, tanto quando bastasse alla mia mano per passarvici sotto e
alzarla; poi chiusi la porta a chiave, ond'evitare che qualcuno potesse
entrare indisturbato.
Quando mi girai verso l'interno, vidi una luce in fondo al negozio,
vicino ai camerini. Mi avviai, chiedendomi se prima fosse stata
già accesa o, come mi ricordavo, spenta. Speravo nella prima
ipotesi perché, nel secondo caso, mi sarei ritrovata faccia a
faccia con qualcuno che nella mia mente non poteva che essere un
pericoloso criminale assetato di sangue di giovani donne e io, nelle
mie fantasie, ero la preda perfetta, soprattutto dal momento che mi ero
chiusa dentro ad un negozio senza vie d'uscita facilmente raggiungibili.
Constatai che la luce veniva proprio da dentro un camerino: oltre la
spessa tenda rossa proveniva l'inconfondibile luce di una lampada
simile a quella sul bancone e, aprendo con uno strattone il divisorio,
ne ebbi la conferma. Era attaccata sghembamente su uno degli appendini
per gli abiti. Dall'altro lato, vi era stato appeso il mio vestito
ormai concluso e sullo specchio, davanti a me, un altro biglietto.
Entrai, curiosa, senza nemmeno far caso alle strane cose che mi stavano
succedendo. Presi in mano il foglio di carta e, girandomi verso la
luce, feci per leggerlo.
"Indossa quello che preferisci."
Che intendeva? Mi voltai verso il mio abito, squadrandolo da cima a
fondo e solo allora notai che non era uno solo, ma ben due. Scostai il
primo, ormai conosciuto, per vedere quello che vi stava sotto. Era
nuovo, mai visto in negozio. Visibilmente blu notte, alla luce diretta,
aveva un'ampia scollatura a V con una lunga gonna. Lo presi d'istino,
volendo provarlo. Aprii il sacco trasparente in cui era contenuto e lo
tolsi delicatamente dalla gruccia, scoprendo un ulteriore biglietto,
fissato sulla plastica protettiva. "L'ho confezionato pensando a te."
Arrossii leggendolo e, più che mai convinta, decisi di
indossarlo. La gonna si rivelò un lungo strascico con un
profondo spacco sulla gamba destra e le spalline erano fatte per
ricadere lungo le braccia. La schiena, coperta per lo più, aveva
un'apertura a forma di luna poco sopra il sedere. Cercai di modificare
la mia acconciatura, slegando i capelli dalla coda di cavallo e
lasciando che si disperdessero sopra il vestito. L'immagine che
rifletteva lo specchio non sembrava nemmeno la mia, con il viso semi
coperto dalla mia chioma e una linea provocante scendeva lungo i miei
fianchi, disegnata dalla stoffa. Pensai che un giorno, mai avrei
sperato di vedermi così bella né, se qualcuno me l'avesse
detto, ci avrei creduto. Quasi non mi riconobbi.
Corsi nel magazzino, quasi dimenticandomi del primo biglietto. Dovetti
tirare su l'abito per evitare che si sporcasse e quasi mi venne da
ridere a pensare che, sotto quel lavoro meraviglioso io stavo
indossando delle normali scarpe senza un filo di tacco. Chissà
che cos'avrebbe potuto pensare Leigh di me...
Spalancai la porta che cigolò all'apertura. Pensai di trovarmi
davanti chissà quali scene apocalittiche in cui la stoffa
tagliata aveva il sopravvento sul capo e su tutto ciò che nel
magazzino vi era sempre stato, ma mi dovetti ricredere. I tavoli erano
spariti ad eccezione di uno, completamente trasformato. Aveva una
grossa tovaglia a scacchi rossi e bianchi, apparecchiata per due con un
candelabro da tre al centro. Le luci soffuse davano al tutto
un'atmosfera molto romantica.
Mossi qualche passo in avanti e, a quel punto, la porta si chiuse alle
mie spalle. Sobbalzai tornando all'idea del maniaco psicopatico e mi
girai alzando le braccia a coprire il viso e muovendomi come a voler
simulare qualche strana mossa di arti marziali -che ovviamente non
conoscevo. Leigh, davanti a me, scoppiò a ridere. Arrossii
vedendolo. Non indossava il suo solito soprabito nero né il
foulard ma una semplice camicia bianca con le maniche arrotolate fino
ai gomiti. Sembrava più stanco di prima ma la sua bellezza e il
suo fascino erano rimasti immutati. Si avvicinò a me,
sfiorandomi una guancia con l'indice e il medio di una delle sue mani
calde. La presi tra le mie, portandola tra noi.
«Che significa tutto questo?» chiesi
con un fil di voce. Lui si limitò a sorridermi dolcemente
portando l'altra sua mano dietro alla mia testa. Mi guardò da
cima a fondo accarezzandomi i capelli e giocherellando con qualche
ciocca qua e là.
«Ti sta perfettamente» sussurrò guardando il vestito che lui stesso doveva aver cucito «Avevo
paura di sbagliare le misure». Fece una risata stanca facendo
scivolare la sua mano su di me, come a voler ripercorrere le forme di
un manichino.
Ci accomodammo al tavolo dopo che lui mi ebbe fatto segno con la mano.
Mi mostrò un lato di sé che mai avrei immaginato,
vedendolo servirmi ogni pietanza come un perfetto cameriere. Sorrideva
in continuazione e io non potevo che fare altrimenti.
«Io e
Rosa ci siamo lasciati» mi disse alla fine della cena. Le candele
visibilmente più corte e i piatti sporchi. Sul suo viso comparve
un sorriso amaro; era fin troppo ovvio che, nonostante tutto, lui
provava ancora qualcosa per lei. Mi sentii quasi in colpa per tutta
quella situazione nonostante, in fondo, io non avessi fatto niente.
Abbassai lo sguardo, colpevole. Non volevo vedere la faccia di Leigh
mentre il suo cuore soffriva per la perdita di un suo grande amore.
Cominciai a sentirmi una persona sporca, cattiva. Sarebbe mai potuto
andare avanti così un rapporto?
Poi una mano mi accarezzò il viso e mi fece alzare lo sguardo.
Lui si era alzato, sporgendosi verso di me e mi stava costringendo a
guardarlo. Si stava sforzando di sorridere ma sembrava tutto
così diverso, innaturale.
«Non
pensare cose sbagliate. Sì, io amavo Rosa; è stata una
parte importante della mia vita. Ma ho scelto te, ricordatelo».
Le sue parole mi fecero battere forte il cuore e imporporare le guance.
Gli sorrisi in risposta. Sì, lui aveva scelto me.
Si alzò, venne verso di me e mi fece alzare. Cominciò a
baciarmi con passione e trasporto. Fece appena in tempo ad accennare ad
un posto speciale che aveva preparato per noi due. Sembrava tutto così perfetto e lo fu.
Le sue mani sul mio corpo sembravano sfiorare il velluto. Il suo
tocco era magnifico, delicato ma deciso. Mi lasciai completamente
andare tra le sue forti braccia assaporando ogni secondo, godendo di
ogni suo gesto.
Mi svegliai tra le sue braccia, il suo corpo appoggiato alla mia
schiena e il suo dolce respiro sul mio collo. Il mio vestito buttato
per terra, accanto ai suoi. Da quell'angolino potevo vedere tutto il
magazzino in cui si era sviluppata la nostra storia. Ripensai a tutto,
ancora con i marchi di Leigh sulla pelle. Il calore del suo corpo
arrivava fino al mio cuore, inondandolo di un amore puro. I suoi baci
rimbombavano ancora nella mia mente e sul mio corpo; ovunque le sue
labbra si fossero posate si era formato un piacere indescrivibile. Le
scie lasciate dalle sue mani solcavano tutto il mio corpo. Sembrava
tutto perfetto. Era stato perfetto, fino alla fine.
Era quindi questa, la fine?
Cominciai a sentirmi vuota e tornò quell'orribile sensazione di
sporco. Fu inevitabile pensare che quelle mani e quella bocca avessero
già fatto tutto ad un'altra donna. Il pensiero mi spezzò
quasi il cuore dalla gelosia. Come avrei potuto andare avanti
così sapendo di non essere stata la prima? Non ero una novellina
delle relazioni e questa non era certo stata la mia prima volta. Non lo
ero per nessuno, eppure non mi aveva mai lasciato questo senso di amaro
in bocca.
Mi girai verso Leigh. Il suo viso addormentato ricordava quello di un
bambino. Era bellissimo, al limite della perfezione. Avevo imparato ad
amare quel viso tanto bello ma qualcosa ora mi stava frenando. Non
potevo più stare lì ma, allo stesso tempo, qualcosa mi
tratteneva a lui. Volevo vedere quel viso ancora una volta, e sapevo
che non mi sarebbe bastato nemmeno allora.
Avevo già distrutto la sua vita felice e, da vigliacca, potevo
solo andarmene. Scivolai fuori dal lenzuolo che ci copriva e mi
rivestii in fretta e furia con gli abiti che avevo indosso quand'ero
arrivata. Riposi l'abito da sera nella sua copertura e lo stesi su di
un tavolo. Avrei voluto lasciare un bigliettino ma non ci riuscii.
Tornai da lui, accucciandomi di fianco al letto. Era davvero bello e mi
sarebbe mancato tanto. Mi sporsi verso di lui, appoggiando le mie
labbra alle sue, ancora calde e amorevoli. Gli scattai una foto con il
cellulare, istintivamente. Avrei tenuto quel viso con me per sempre. Ma
il buio della stanza m'impedì di coglierne tutti i particolari.
Pensai di accendere la luce ma non volevo svegliarlo; poi ebbi un lampo
di genio: la candela. Ma nemmeno quella bastò. Così,
disperata, usai il flash. Clack. Il suo volto venne inondato da una luce accecante e lo vidi muoversi pericolosamente. Oddio, che ho fatto?!,
pensai non avendo affatto calcolato la possibilità che si
sarebbe potuto svegliare. Mi alzai di scatto e cominciai a correre
verso l'uscita. Rischiai di inciampare in qualcosa che non riconobbi
subito ma che presi in mano e mi portai fuori. Entrata nel negozio
cercai disperatamente le chiavi e, in tutta fretta, aprii la porta,
lasciando poi cadere il mazzo sul pavimento. Leigh le avrebbe
sicuramente trovate. Io, dal mio canto, non avrei più messo
piede là dentro.
Inviai in seguito una lettera con cui gli dicevo che mi ero licenziata.
Gli chiedevo scusa per essere stata una persona debole ma non me la
sentivo di distruggere ulteriormente la sua felicità rubandolo
dalle braccia di una persona che lo amava più di quanto io avrei
amato lui. Non si meritava una come me.
In cuor mio, però, sapevo che lui mi aveva amata sul serio,
quella sera. Per questo, quando tornai a casa, non riuscii a buttare
via la sua camicia bianca che per sbaglio mi ero trascinata fuori dal
locale, né riuscii a restituirgliela, unico souvenir di quel mio
periodo a Parigi.
Cambiai città per paura di rincontrarlo per sbaglio, pur tenendo come sfondo del mio cellulare il suo viso addormentato.
Tornai nella Capitale anni dopo. Erano successe tante cose: molte
storie, molti lavori, molti ma non troppi soldi, ma la mia vita non
sembrava molto diversa. Lo sguardo che diedi alla Parigi nuova fu lo
stesso della prima volta. Niente, in realtà, sembrava cambiato.
Io non ero cambiata.
Dal momento che misi piede fuori dalla stazione il mio cuore
cominciò a gridare il nome di Leigh e, dopo tanto tempo, mi
concessi una visitina ai vecchi quartieri che avevo frequentato. La via
era come me la ricordavo. Ritrovai anche la gelateria e la mia amica
dietro al solito bancone. Fu felice di vedermi, chiedendomi di me e di
dove fossi finita. Sorseggiammo un frappé in allegria fino a che
non esordì con «Peccato che tu abbia fatto un viaggio a vuoto...».
Che significava quella frase lo scoprii poco dopo. Mi indicò il
negozio davanti a sé che avevo deliberatamente ignorato fino ad
allora per paura di scoprire cose che non volevo vedere. Ma ciò
che si parò davanti ai miei occhi fu tutt'altro shock: il
negozio era chiuso, con abbassata solo la serranda della porta. Quelle
delle due piccole vetrine lasciavano vedere un posto ormai vuoto, come
il mio cuore quando realizzò che tutto se n'era andato.
«Un
giorno s'è trasferito senza dire niente a nessuno. Mi ha chiesto
un ultimo gelato e se n'è andato. Non l'abbiamo più
rivisto.»
Tornai il giorno seguente, su appuntamento. Avevo contattato l'agenzia
che avrebbe poi affittato l'immobile per un'attività commerciale
chiedendogli di vedere il posto. Mentii dicendo che avrei voluto
comparlo ma la mia più grande preoccupazione era vedere come
tutto era cambiato.
Entrare fu uno shock. Il posto era lo stesso ma completamente spoglio.
L'unica cosa rimasta uguale era il bancone che, per ovvi motivi, non
poteva essere spostato o rimosso. Un'enorme stanza vuota di parava
davanti a me. Poi il venditore che mi accompagnava si propose per farmi
fare un giro anche del retro. Il cuore mi si spezzò a risentire
il cigolio della porta, immutato.
Vi era solo un altro sprazzo vuoto. Niente più pezze, niente
tavoli né sedie. Degli specchi nemmeno l'ombra e del letto
abbozzato di quella volta, solo il ricordo.
Tutto era cambiato, sparito. Non esisteva più niente se non il
dolore di aver perso una parte importante della mia vita. Scoppiai a
piangere davanti al signore che, impietosito, non seppe più cosa
fare. Nella sua natura da lavoratore, provò a fare tutto
ciò che conosceva sul suo mestiere: tirò sul prezzo,
facendomi un'offerta che mi sembrò accettabile.
Fu una pazzia comprare l'intero locale. Lo trasformai, sostituendo i
ricordi di Leigh a qualcosa di nuovo. Dove c'erano i camerini misi una
grande libreria piena di volumi. Altri tre scaffali simili furono
piazzati davanti ad essa, sul fondo del locale. Davanti la riempii di
tavolini. Lo feci diventare un piccolo baretto collegato ad una
libreria in cui ci si poteva sedere e leggere dei libri. Se poi si
voleva acquistarne uno, vi erano anche le ultime novità o i
grandi classici. Misi in piedi un servizio unico che avevo ammirato
solo nel Sud della Francia durante uno dei miei tanti viaggi, aiutata
anche dalla mia amica della gelateria con cui misi in piedi una sorta
di collaborazione.
Fu una novità per Parigi che l'accettò di buon grado.
Avevamo così tanti clienti da dimenticarci quasi la fatica e i
dispiaceri.
Salutai gli ultimi clienti e Alix, la mia socia, che mi aveva chiesto
una serata libera per poter fare qualcosa che non aveva voluto dirmi.
Questo suo essere misteriosa era un tratto molto irritante per una come
me, curiosa fino al midollo. Ma come potevo dirle di no?
Mi misi a pulire il locale e ad riordinare i libri che spesso venivano
riposti negli scaffali sbagliati, quando qualcuno entrò nel
locale. Riuscii a sentirlo grazie ad una piccola campanella posta sopra
la porta. Io, da dietro alla libreria, mi scusai chiedendo al nuovo
cliente di avere un attimo di pazienza perché mi stavo occupando
dei libri, buttando anche una battuta sul fatto che non doveva essere
così difficile sistemare "I Miserabili" nella sezione Classici.
Mi annunciai al cliente dicendo che potevo occuparmi di lui, scusandomi ancora per il mio comportamento. «Ora sono tutta sua!» esordii allegramente. «Finalmente...» disse lui.
Mi ritrovai davanti un ragazzo piuttosto alto con dei capelli neri
più lunghi di quanto mi ricordassi. Non indossava più
foulard né strane giacche ottocentesche. Il suo look era
cambiato, spostandosi su qualcosa di più sobrio. Il viso,
però, era sempre lo stesso e il sorriso inconfondibile. Mi venne
un colpo realizzando chi fosse.
«Non sei cambiata affatto» disse trattenendo una risatina. «Tu,
invece...» sussurrai facendo cenno al suo abbigliamento. Si
guardò da capo a piedi e poi fece spallucce senza degnarmi di
una risposta.
«Credo che tu debba andare, ora» gli dissi, provando a dargli le spalle pur senza volerlo veramente.
«E se invece volessi restare?»
disse lui con un tono molto più serio, alzando addirittura la
voce. Mi bloccai ma non riuscii a riportare il mio sguardo su di
lui. «Avrai
certamente qualcuno che ti aspetta...» dissi con un filo di voce,
abbastanza da farmi sentire. Questa volta non trattenne la risata. «Sei una stupida» disse tra i denti ma potei benissimo captare del risentimento. «Io avevo scelto te!». «Era la cosa sbagliata!» gli urlai contro, girandomi finalmente per puntargli contro uno sguardo dispiaciuto. «So prendere le mie scelte, Daphne» ribatté molto più calmo. «Io
no.» dissi chiudendo la discussione. A testa bassa tornai dietro
agli scaffali per ricontrollare i libri un'ultima volta. Sentii i suoi
passi raggiungermi e una sua mano afferrarmi un polso e strattonarmi
indietro. «Non
puoi abbandonarmi ancora!» mi disse. Il suo sguardo era
indescrivibilmente affranto e i suoi occhi lucidi. Non seppi che
ribattere ma quando socchiusi le labbra per dire qualcosa lui
anticipò ogni mio pensiero. «Non
sono tornato con Rosalya. Amavo te e ti ho sempre cercata.
Perché te ne sei andata? Perché sei fuggita da me? Che
cos'ho fatto per meritarmi questo?!». Abbassai ancora una volta la testa per non vedere le lacrime amare sul volto di Leigh. «Niente. Volevo che tu fossi felice» sussurrai. «Lo
sarei stato, con te» disse tra i singhiozzi. Poi mi
abbracciò, tenendomi stretta a sé. Le sue mani cercavano
ogni sua vecchia traccia e le sue lacrime mi bagnavano i capelli. Fui
travolta dal suo vortice di emozioni, scoppiando a piangere a mia
volta. «Che sarebbe potuto essere un errore» ribattei con il viso sprofondato sulla sua spalla. «No, non poteva» continuò lui. «Perché?» chiesi allora io, allontanandolo per guardarlo negli occhi. Lui,
come aveva sempre fatto, mi accarezzò una guancia e mi sorrise.
«Perché quando sono entrato in questo posto il mio cuore
ha ripreso a battere come tanti anni fa. E quando ti ho rivista ha
sussultato come la prima volta».
Mi baciò, donandomi più di cinque anni di arretrati. Il
suo amore tornò ad invadermi e ad accendermi di felicità.
Ah, se solo avessi saputo prima ciò che Alix aveva progettato per me, forse avrei potuto ringraziarla...
Primo finale decente di una mia storia su questo fandom. Spero
vi siate divertite a leggere questo mio sfaso. Io, personalmente, sono
sull'orlo delle lacrime per la fine -è stato un colpo di genio,
sì-. Voi che ne avete pensato?
Mi raccomando, fatemelo sapere.
E Gozaru vi saluta, dandovi appuntamento alla prossima, con la
fanfiction breve (più o meno come questa) che avrà come
protagonisti Jade, Dajan e Fleur, una dolcetta che deve quest'orrendo
nome ad Hanamichi Sakuragi: "Dimostra chi sei!"
Capirete perché...
Oh, so che ormai è tardi, ma una breve spiegazione sul titolo di questa fanfiction ci sta:
Siete mai entrati in un negozio, di quelli piccoli con una commessa, o
in casa altrui? "Con permesso..." è una cosa che dico spesso per
annunciarmi. Se posso azzardare un parallelismo, è come Daphne
è entrata nella vita di Leigh nonché nel suo negozio.
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