1. Dolce Attesa
L'edificio era tutto bianco, candido e immacolato come la neve, ma della neve condivideva solo il colore.
Nei corridoi e nelle stanze luminose non c'era nulla della magia e della bellezza che i fiocchi riescono a donare a ogni paesaggio dopo una nevicata, ma solo lo squallore freddo di un ambiente sterile ed essenziale.
In quel momento solo poche camere della struttura erano occupate dalle pazienti della clinica. In una di esse, una donna dal ventre rigonfio dormiva, russando lievemente.
I suoi capelli erano corti, con un taglio quasi maschile, come se fossero stati accorciati in fretta senza prestare attenzione al lato estetico e attiravano lo sguardo per il colore insolito: un rosso scuro tendente al castano striato di ciocche più chiare che ricordavano il colore del sangue fresco.
La donna si svegliò dal suo sonno pesante nel sentire rumore di passi e aprì gli occhi appena in tempo per vedere gli infermieri che uscivano dalla stanza.
Girò appena la testa e notò che ora il letto accanto al suo era occupato da un'altra gestante.
La osservò: era giovane, ancora una ragazzina, quattordici o quindici anni al massimo e anche lei aveva i capelli del suo stesso colore. L'unica differenza era che quelli della ragazza erano lunghi e lisci e avevano un maggior numero di ciocche più chiare.
La ragazza dormiva e la donna decise di non svegliarla: avrebbero avuto tutto il tempo per parlare e comunque non aveva importanza.
Chiuse di nuovo gli occhi e tornò a dormire anche lei.
Furono i gemiti sommessi della ragazzina a svegliarla nuovamente e la donna grugnì di disappunto.
- Cosa hai da frignare, mocciosa? -
La giovane sussultò per la sorpresa e si voltò a guardarla con gli occhi atterriti di un colpevole colto in fallo, poi le sue gote avvamparono fino a diventare quasi dello stesso colore dei capelli e la ragazzina si morse un labbro per cercare di trattenere inutilmente le lacrime.
- Ho... ho bagnato il letto. - Ammise a voce bassissima. - Avevo così tanto sonno che non me ne sono accorta e non mi sono svegliata in tempo. -
La donna più anziana scoppiò a ridere sguaiatamente e la ragazza la guardò, sorpresa e offesa da quella reazione allo stesso tempo.
- Cosa c'è da ridere? Erano anni che non mi succedeva, non sono una bambina! -
L'altra smise di ridere e la guardò negli occhi con una fissità che inquietò la giovane, poi indicò le lenzuola bagnate con un gesto noncurante.
- Fregatene, ragazzina. Sono cose che capitano. -
- Non a me. -
- Ascolta, piccoletta, sei incinta e già questo non aiuta, poi per trasferirti qui ti hanno sicuramente imbottita di tranquillanti, senza contare tutte le schifezze che ci danno per far procedere questo. - Si indicò il ventre prominente con un'espressione disgustata, poi proseguì. - Se davvero non ti era mai successo prima, sei stata fortunata. E ti dico un'altra cosa, farai meglio ad abituartici perché succederà ancora. -
- Spero di no. È così umiliante... -
- A loro piace umiliarci. Lo vedrai. Chiamerai l'infermiera per farti portare la padella e lei farà apposta ad aspettare, solo per il gusto di torturarti e farti stare male, poi se non riuscirai a resistere ti insulterà trattandoti da idiota. -
La ragazzina si morse un labbro.
- Ma noi siamo importanti per loro... - Sussurrò, scatenando un nuovo accesso di risate folli nella donna.
- Importanti! Noi! A loro servono solo le cose che portiamo nel ventre. Se potessero farle crescere in qualche macchinario, io e te saremmo andate a concimare la terra subito dopo essere nate, fidati. -
La ragazzina sospirò, muovendosi a disagio tra le lenzuola bagnate, poi sorrise, allungando la mano non ammanettata alla sponda del letto a sfiorare la pancia.
- Cos'è quell'espressione ebete? - Chiese la donna più anziana.
- Mi ha dato un calcio. Sento che si muove. -
L'altra roteò gli occhi.
- Per te è la prima volta, eh? -
- Già. - Rispose l'altra, sorridendo ancora.
- Bene. Spero per te che nasca morto. -
La ragazza ansimò per la sorpresa e le rivolse uno sguardo atterrito.
- Cosa dici?! Sono i nostri figli! -
- Sono solo cose, non bambini. Nel migliore dei casi non sopravvivono alla nascita e così si risparmiano questo schifo di vita. Buon per loro. -
Gli occhi della ragazzina si riempirono di lacrime.
- Come puoi pensarlo? Non lo senti muoversi dentro di te? Non hai mai l'impressione di condividere i sogni con lui? -
- Puoi sentire i sogni del feto? - Chiese la donna e, quando la ragazza annuì con un sorriso, scosse la testa tetramente. - Significa che quello che cresce nel tuo grembo ha qualche traccia di potere. Non è un buon segno. -
- Perché no? Sono sensazioni così dolci. Dorme dentro di me e io lo proteggo. È una bella sensazione. -
- Ascolta ragazza, prima lo capisci meglio è, da noi possono nascere solo tre cose: cadaverini, creature con tracce di potere come noi, e abomini. Spera che sia uno dei primi, ma prega che non sia il terzo. -
La ragazzina la fissò stolidamente.
- Il mio bambino è forte, sopravviverà, ne sono certa. E in ogni caso avrà una bella vita. -
La donna grugnì.
- Bella come la nostra? Siamo solo bestie da riproduzione, carina, fattene una ragione. Vuoi sapere come sarà la tua bella vita d'ora in poi? Una gravidanza dietro l'altra, tutte da passare incatenata a un letto mentre ti imbottiscono di farmaci perché queste cose nella maggior parte dei casi sono troppo deboli per nascere naturalmente, la natura stessa ne ha orrore e cerca di disfarsene. Se sei fortunata abortisci subito e allora, se sopravvivi all'emorragia, hai qualche mese di riposo prima di ricominciare. Se sei tanto sfortunata da arrivare al termine della gravidanza, dovrai subire il dolore del parto e poi comunque non avrai tuo figlio, te lo strapperanno via in ogni caso e non lo vedrai mai più se non per caso in posti come questo. Chi lo sa, tu potresti essere una delle figlie che ho partorito in passato. Tanto a questo sono destinati quelli come noi. -
La giovane aveva iniziato a piangere di nuovo.
- Ma se avesse tutti i poteri, se fosse abbastanza forte da essere uno S.C.A.R.L.E.T.T., allora avrebbe una bella vita, no? -
- Piccoletta, se tuo figlio dovesse nascere coi capelli rossi degli S.C.A.R.L.E.T.T., la cosa migliore che potresti fare sarebbe quella di spezzargli il collo prima che possano prenderlo. Sarebbe un abominio, una strega, un figlio del demonio. Ucciderlo sarebbe il dono più grande che puoi fargli. -
- Non ci credo! Loro vogliono che nascano bambini dai capelli rossi! È questo lo scopo delle nostre gravidanze! -
La donna più anziana non rispose. La ragazza era un'illusa e non avrebbe creduto alle sue parole per niente al mondo, ma non importava, col passare degli anni avrebbe avuto tutto il tempo per rendersi pienamente conto della sua situazione.
Per quell'epoca lei non sarebbe stata più in circolazione per vederlo, non si faceva troppe illusioni sul destino riservato a quelle come lei una volta concluso il periodo fertile.
Pazienza, era talmente stanca di quella vita che la conclusione sarebbe arrivata sempre troppo tardi.
Sentì lo stimolo di urinare, ma non si scomodò nemmeno a suonare il campanello per chiamare l'infermiera, si limitò a rilassarsi e a inzuppare le lenzuola, sorridendo lievemente al pensiero del disturbo che avrebbe arrecato alle inservienti.
La ragazzina continuava a fissarla a occhi sgranati, inorridita.
Il donnone dai capelli biondi camminava ciabattando lungo il corridoio, spingendo svogliatamente il carrello delle pulizie.
In quel periodo non c'erano molte pazienti in quel reparto perché la maggior parte delle fattrici aveva finito per perdere il feto prima del tempo. Dalle voci di corridoio che le erano giunte, tra l'altro pareva che nessuno di quei mocciosi fosse destinato a diventare uno S.C.A.R.L.E.T.T., erano tutti embrioni deboli e difettosi.
In un paio di casi erano state anche le fattrici a lasciarci le penne, ma alla donna delle pulizie importava poco. Quelle donne gravide erano tutte poco più che bestie da allevamento e alla fine meno ne restavano nel reparto, meno doveva faticare lei per pulire le stanze.
Strascicò i piedi fino alla porta di una delle tre stanze ancora occupate e la aprì. Guardò la ragazzina che dormiva con le guance umide di lacrime e la donna più anziana che la fissava con uno sguardo di sfida, poi notò che entrambe avevano sporcato il letto e sibilò una bestemmia.
- Stupide vacche... - Borbottò con disprezzo mentre tornava in corridoio per prendere la biancheria pulita dal carrello.
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