Promessa d'amore
Il continuo
scrosciare della pioggia iniziava a dargli fastidio.
Si alzò dalla
poltrona impolverata su cui era rimasto immobile a pensare per ore. Niente di
quello che lo circondava riusciva a dargli un senso di pace, nemmeno le vecchie
fotografie di lui e i suoi amici sorridenti sugli scaffali.
Trattenne un sospiro
e si diresse verso la cucina.
Era così tanto tempo
che non metteva piede lì dentro, eppure tutto sembrava uguale, come se la guerra
non avesse mai messo piede lì dentro. Effettivamente durante il periodo di
battaglia quello era l’unico luogo ancora sicuro, l’unico luogo che non era mai
stato scoperto dai Mangiamorte.
I ricordi erano
ancora vividi nella sua testa e lo travolsero come un fiume in piena.
Lampi accecanti.
Persone
accasciate al suolo.
Rombi
assordanti.
Persone che
gridavano.
Nemici
trionfanti.
Persone che
scappavano.
Auror
tremanti.
Morte.
Si passò entrambe le
mani sul volto, cercando di togliersi le ragnatele che erano rimaste impigliate
con gli occhiali quando aveva attraversato la porta della cucina. Lanciò
un’occhiata alla stanza avvolta dal buio, solo uno sprazzo di luce proveniva da
una flebile fiammella di fuoco perpetuo.
Strinse i
denti.
Ricordò quando
Sirius l’aveva accesa durante le feste di Natale, mentre intonava canzoni
natalizie decisamente bizzarre.
Provò ad abbozzare
un mezzo sorriso, ma gli sfuggì via dalle labbra prima ancora che si stendessero
in una parvenza di esso.
Gli si stringeva il
cuore a ritrovarsi ancora una volta chiuso lì, però non aveva
alternativa.
Dove altro poteva
trovare riparo dalle infinite domande di coloro che volevano sentire dalla sua
bocca il racconto della fine della guerra che aveva quasi distrutto il mondo
magico?
Chiuse gli occhi
avvertendo un forte senso di frustrazione invaderlo. Avrebbe voluto sbattere i
pugni contro il muro e gridare a tutti di smetterla, di non guardarlo con occhi
adoranti perché non lo meritava, perché non aveva fatto nulla in più degli
altri. Non era il salvatore che tutti volevano vedere in lui. Sì, perché si
trattava di questo. La gente aveva bisogno di sentirsi protetta e di avere
qualcuno in cui credere.
Ma perché avevano
scelto proprio lui?
Lui che si sentiva
tutto fuorché speciale.
Mosse qualche passo
in direzione del tavolo che era coperto da una coltre pallida di polvere che lo
rivestiva come un abito.
Con un lieve
movimento della bacchetta lo ripulì e spostò una delle sedie per
accomodarvisi.
Era passato un anno
ormai, eppure era come se tutto fosse finito poche ore prima.
Il tempo pareva
essergli contro.
Era come se ogni
giorno che precedeva il successivo fosse il termine della battaglia e
l’indomani, invece, l’alba della vittoria. Una vittoria che aveva lasciato i
suoi segni indelebili sulla pelle e sul cuore. E il tempo non sapeva guarire le
ferite, non quelle più profonde, non quelle nascoste alla vista di
tutti.
Grugnì sentendo la
frustrazione trasformarsi in rabbia.
Non voleva
nascondersi. Non era un codardo, eppure eccolo lì, in quella casa che
racchiudeva gran parte del suo passato.
Si sistemò gli
occhiali sul naso e prese a fissarsi le mani che gli prudevano pronte a colpire,
pronte a sfogare ogni frammento d’ira e dolore che provavano ad insinuarsi in
lui.
Reclinò il capo
all’indietro fissando il soffitto.
Cos’altro poteva
fare?
Non aveva
alternativa.
Voleva solo fuggire
da quei maledetti occhi curiosi che facevano domande anche senza bisogno di
parole.
Si alzò, ascoltando
i brontolii del suo stomaco che reclamava cibo. Erano due giorni che non
mangiava. Non era riuscito a mandare giù nulla nemmeno a casa della Signora
Weasley, allarmando la padrona di casa, ma soprattutto la sua migliore amica che
quella sera non smise di lanciargli occhiate di sottecchi. Ci si era messa anche
lei. Lei che sapeva perfettamente cosa provava.
Lei.
Aprì tutte le
credenze e tutti gli sportelli, trovando soltanto una vecchia scatola piena di
biscotti duri, almeno quanto quelli che preparava sempre Hagrid ai tempi di
Hogwarts, ed un barattolo di cetrioli sott’aceto, fortunatamente non ancora
scaduti. Doveva assolutamente comprare qualcos’altro di commestibile, altrimenti
non sarebbe sopravvissuto a lungo, il che era un’assurdità visto che se l’era
cavata in situazioni peggiori di quella.
Dopo aver mangiato
quel che la casa offriva, decise di farsi un bagno caldo, ne aveva proprio
bisogno per sciogliere la tensione.
Salì i gradini senza
fretta, scrutando una ad una la sfilza di teste di elfi domestici che parevano
fissarlo di rimando.
Giunse davanti ad
una porta scura dall’aria fatiscente e con cautela l’aprì. Anche il bagno era
sempre lo stesso, spento, ma maestoso al contempo. Le mattonelle, una volta
bianche, erano annerite e luride, come tutto dentro quella dimora. Lo specchio,
che si trovava davanti alla vasca, sopra ad un grande lavandino, era talmente
impolverato che non ci si poteva specchiare.
Ancora un lieve
colpo di bacchetta per rendere vivibile l’ambiente.
Aprì il rubinetto
della vasca, lasciando scorrere l’acqua. Poi si avvicinò leggermente allo
specchio, osservando la figura asciutta e spossata che aveva davanti a sé. Negli
occhi verdi come la menta non lesse altro che stanchezza e solitudine. Sul viso
erano evidenti i segni della crudele battaglia. I capelli scuri erano più
scompigliati del solito.
Si tolse la
maglietta, lanciando un rapido sguardo alla cicatrice che partiva dalla spalla
destra e attraversava un brevissimo tratto del petto.
Fece una smorfia e
proseguì a spogliarsi.
Quella traccia
bianca che aveva sulla pelle era frutto di una mano sleale che con un pugnale
l’aveva ferito.
Scacciò via anche
quel ricordo, chiudendo il rubinetto ed immergendosi nella vasca.
Il calore dell’acqua
gli diede un immediato senso di sollievo che non provava da parecchio tempo.
Riuscì a rilassarsi un po’ e a chiudere gli occhi, assaporando l’attimo di
quiete.
Finalmente non
c’erano schiere di persone che lo attorniavano e lo stordivano con le loro
domande. Finalmente si era sbarazzato di tutti… tutti.
Un improvviso rumore
gli fece spalancare gli occhi e lo mise in allerta.
Passi echeggiavano
dal piano di sotto.
Chi era?
Uscì dalla vasca in
fretta, afferrò la bacchetta asciugandosi al volo. Indossò i boxer neri e subito
dopo i jeans, cercò anche la maglietta, ma non la trovava. Poco importava,
chiunque ci fosse al piano inferiore non avrebbe badato di certo al suo
abbigliamento.
Aprì la porta con
attenzione per evitare rumori e, camminando in punta di piedi, scese le
scale.
Neanche lì poteva
ritenersi al sicuro.
Che fosse qualcuno
che l’aveva seguito fin là?
La bacchetta alta e
pronta ad attaccare, lo sguardo deciso e risoluto.
Questo era ciò che
era diventato Harry Potter, il ragazzino impacciato, ma coraggioso dei tempi di
Hogwarts.
Ora di impacciato
non aveva più molto, anzi quasi niente. Era un uomo. Un uomo che non lasciava
mai cadere le sue difese, per nessuno e per nessun motivo.
Scese l’ultimo
gradino e si guardò intorno.
I passi venivano
dalla cucina. Si mosse con passo felpato in quella direzione. Aderì con la
schiena al muro accanto alla porta e si affacciò leggermente.
Scorse una figura in
piedi davanti alla fiamma di fuoco perpetuo. Gli si avvicinò da dietro, facendo
bene attenzione a non fare rumore, per coglierla di sorpresa.
Gli puntò la
bacchetta tra le scapole sussurrando:
-
Chi sei? E cosa ci fai qui? – la persona
davanti a lui s’irrigidì, per poi rilassarsi il secondo successivo. Harry non
abbandonò la posizione di difesa.
-
Harry? Sei tu? – chiese una voce a lui
familiare.
Cosa ci faceva
lì?
Come aveva fatto a
trovarlo?
Sospirò.
-
Hermione, che diamine sei venuta a fare qui?
– le chiese scontroso.
-
Sono venuta a vedere come stai e se posso
fare qualcosa per te… - rispose la ragazza incerta.
-
Nessuno può fare niente per me – soffiò Harry
più a se stesso che ad Hermione. Si allontanò dall’amica, muovendosi in
direzione del tavolo.
-
Oh Harry! Perché… -
-
No, Hermione. Ne abbiamo già parlato. Sai già
tutto, persino cose di cui nemmeno Ron è a conoscenza. Per cui ti prego di
smetterla di tentare di farmi aprire ancora, perché non servirà a nulla –
incontrò il suo sguardo per un breve istante e lo distolse immediatamente.
Hermione aprì la bocca per controbattere, ma non sapeva come esprimersi senza
ricevere un’altra risposta velenosa. Inclinò leggermente il capo fissandolo, poi
gli si avvicinò e gli mise una mano sul viso accennando un
sorriso.
Harry cercò di
spostarsi da quel tocco leggero e timoroso, ma, quando lesse il dispiacere nei
suoi occhi, non poté far altro che lasciarla fare.
Come poteva ferire
anche lei?
Non se lo meritava.
Non era giusto far del male a chi non centrava nulla. Soprattutto se questo
qualcuno era l’unica persona che l’avrebbe seguito anche in capo al
mondo.
Le dita di lei si
muovevano lentamente sul suo viso, lasciando una labile scia al loro passaggio.
Harry socchiuse gli occhi, avvertendo delle strane sensazioni invaderlo. Cercò
di capirle, di contrastarle.
Era una
lotta.
Sensazione contro
sensazione.
Mente contro
cuore.
Amore contro
ragione.
Da quanto tempo la
battaglia imperversava dentro di lui senza esiti?
Era così assurdo
pensare che nonostante la fine della guerra contro Voldemort, dentro di lui ci
fosse ancora uno scontro in corso.
Fece una smorfia
indecifrabile che non lasciava trapelare nulla di quello che lo stava invadendo
in quel momento.
Suono di
corni.
Suono di
guerra.
Suono di un
battito.
Suono di
cuore.
Cosa doveva
fare?
Quella domanda se la
poneva da parecchio ormai, ma ancora non aveva trovato una risposta adeguata.
Ultimamente aveva provato a sfuggirgli, ad evitare accuratamente di trovare una
soluzione a quel dilemma che lo dilaniava dentro.
Come poteva pensare
a lei, quando ancora non aveva trovato pace con se stesso?
Si passò una mano
tra i capelli con aria esasperata.
L’indecisione
stavolta era visibile nei suoi occhi ed Hermione se ne accorse. Harry non voleva
che si accorgesse di come si sentiva. Non voleva che capisse la sua
confusione.
Nessuno
doveva capirla.
Quando la mano di
lei abbandonò il suo viso le diede le spalle. Aveva bisogno di un secondo da
solo, doveva pensare, chiarirsi le idee. Mosse qualche passo verso la porta in
silenzio, sperando che non lo seguisse, che non gli facesse ancora
domande.
Non sentendo alcun
movimento alle sue spalle proseguì fino a giungere al piano di sopra.
Si sedette in cima
alla rampa di scale perdendo lo sguardo nel vuoto.
Lui che fino a pochi
attimi prima aveva cercato la solitudine, ora sentiva il bisogno di averla
accanto a sé.
Perché?
Perché la sua mente
gli giocava questi strani scherzi?
Sospirò, non ancora
rassegnato alla verità che gli gridava dentro, ma che lui si ostinava a non
sentire.
Doveva nascondersi,
evitare di affezionarsi, di mostrarsi fragile, senza barriere. Non voleva
soffrire ancora, non voleva che qualcuno riuscisse ad entrargli dentro, a
scaldargli il cuore e poi… scappare lontano da lui, lasciarlo solo nel gelo
della solitudine. Preferiva la solitudine per scelta piuttosto che quella
provocata dalla perdita di qualcuno. Aveva perso troppe persone per lasciarsi
andare di nuovo, eppure in quel momento desiderava con tutto se stesso il calore
di Hermione, la sua dolcezza, i suoi sguardi comprensivi e non compassionevoli
come quelli dei passanti.
Si strinse le gambe
con entrambe le braccia.
Possibile che fosse
così contraddittorio? Possibile che i suoi bisogni non coincidessero con ciò che
voleva?
Aveva due strade
davanti a sé: seguire i sensi o seguire la mente.
Un
bivio.
Un’altra
scelta.
Un altro
possibile dolore... ma anche un’eventuale gioia.
La strada
dell’irrazionalità splendeva sotto la luce pallida della luna perlata ed
appariva invitante, misteriosa, ma al contempo dubbia.
Quella della
razionalità era completamente illuminata dai raggi solari. Tutto sembrava
palesato agli occhi...eppure c’era qualcosa di strano. Un
tranello?
Un
bivio.
Un’altra
scelta.
Poggiò la testa alla
ringhiera in legno scuro della scalinata e fissò la finestra del piano di sotto
da cui si scorgeva il cielo scuro trapuntato di stelle. La pioggia era finita,
ma aveva lasciato i suoi segni sui vetri. Le gocce bagnate scendevano lente,
disegnando delle figure astratte che svanivano non appena venivano
tracciate.
Harry si sollevò,
incerto su quello che aveva deciso. Non sapeva cosa avrebbe fatto, ma non poteva
lasciarla di sotto ad attenderlo mentre lui non faceva altro che complicare le
cose nella sua mente.
Scese le scale ed
entrò di nuovo in cucina, dove la trovò intenta a bere un bicchiere di latte
freddo.
Aveva portato cibo e
bevande.
Sorrise.
Ancora una volta
aveva fatto qualcosa che non le aveva chiesto. Gli donava ogni cosa senza
chiedere nulla in cambio, voleva solo la sua felicità e lui non lo aveva mai
capito.
Si irrigidì per un
breve istante.
Forse era giunto il
momento di fare qualcosa per lei.
Le si avvicinò da
dietro ed iniziò a baciarle le guance che sapevano di sale. Aveva pianto.
Se ne rese conto con un tuffo al cuore. Non era giusto.
L’avvolse con
entrambe le braccia e l’aiutò ad alzarsi. Si guardarono negli occhi per un
istante che parve eterno.
Granelli di
sabbia che solleticavano il mare color menta in
tempesta.
Onde che
s’infrangevano violentemente sulla riva bagnando la sabbia, rendendola più
scura.
Mescolanza di
dolore e amore.
Il vento più
lieve fece placare il mare, che dolcemente sfiorava la
riva.
Indecisione ed
amore.
Soave culla
divennero le onde increspate di smeraldo.
In prezioso oro
si trasformò la sabbia.
Stavolta era solo
amore.
Hermione si lasciò
accarezzare i capelli sorridendo. Sentiva un’insolita pace in quell’abbraccio.
Poggiò la testa sul
petto di Harry, che le permise di ascoltare il battito aritmico del suo
cuore.
Sorrise di
nuovo.
Non erano mai stati
così vicini. Quel contatto le diede i brividi ed Harry se ne accorse.
Le percorse la
schiena con la punta delle dita e riprese a baciarle le guance passando per il
collo e risalendo con estrema lentezza. Le sue labbra tracciavano il contorno
del suo viso dai tratti leggeri e femminili.
Si allontanò un
breve secondo per ammirarla, per essere certo che quello non fosse solo un
sogno.
Appoggiò la fronte
sulla sua e le sussurrò qualcosa di incomprensibile. Non importava cosa stesse
dicendo, il tono della voce lasciava trapelare la dolcezza di quelle parole
senza senso e le bastava.
Harry le accarezzò
il viso e poi con le labbra sfiorò le sue delicatamente.
Morbidi petali
che si accarezzavano dapprima con curiosità, con tenerezza e poi con
lascività.
Incantato nettare
della lussuria?
Incantato nettare
dell’amore?
Chissà...forse
entrambi.
Intrecciarono le
mani in una dolce promessa infrangibile che giurava unione eterna.
Una promessa
d’amore.
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