If
you get lost, you can always be found.
"DiNozzo, Davi..." Gibbs strizzò gli occhi. "Bishop. Andate a
casa del tenente e parlate con sua moglie. C'è qualcosa che
non mi quadra in questa faccenda"
Nessuno si stupì davvero per l'errore di Gibbs,
perchè succedeva di tanto in tanto, nonostante fossero
passati mesi. La prima volta che il capo aveva sbagliato, Bishop era
diventata rossa, McGee si era fatto cadere il caffè sulla
camicia e Tony si era semplicemente bloccato. Ricordava ancora
l'espressione colpevole di Gibbs, che aveva recuperato in fretta,
mandando la nuova collega in sala autopsie.
Non era stato facile, per niente, quando era tornato a Washington. Abby
aveva urlato, pianto. Aveva picchiato Tony e l'aveva riempito di
parolacce.
Tu eri in grado di farla
tornare! Potevi farlo, DiNozzo! Perchè non l'hai riportata a
casa!?
McGee non gli aveva detto niente, ma si vedeva che ce
l'aveva a morte con lui, con Bishop e con Israele. Aveva perso la sua
migliore amica, nel modo più subdolo e indolore che
conoscesse.
Ebbene, Tony si era sentito in colpa. Riteneva che Abby avesse ragione,
forse non aveva fatto abbastanza e, anche se tutti i suoi colleghi gli
parlavano di nuovo, credeva ancora di vedere la rabbia e la
commiserazione dietro i loro sguardi fugaci.
"Potevo farla tornare" aveva sussurrato alla birra, mentre Gibbs limava
attentamente un pezzo di legno.
"No, DiNozzo. Non avresti mai potuto. Ma confido nel fatto che Ziva
sappia esattamente di poter essere trovata, nel caso si perda"
Tony non aveva davvero capito le parole del suo capo, aveva lasciato
correre e affogato l'ennesimo senso di colpa nella birra. Il giorno
dopo, però, complice un mal di testa, gli era sembrato che
le cose andassero meglio: sorrise persino a Bishop e portò
il caffè a McGee.
Ziva sapeva esattamente dove si trovava lui. E sapeva quello che stava
facendo.
"Abbi fiducia, Tony" gli aveva detto Ducky, passandogli un rene, che
lui aveva preso con aria schifata. "Sai, torniamo tutti a casa, prima o
poi"
L'agente DiNozzo evitò di fargli notare che Washington non
era casa.
O, forse, Ziva non aveva ancora capito quale fosse, casa sua.
Bishop era brava. Non eccezionale, era troppo giovane, però
se la cavava. Aveva conquistato la sua stima quando, dopo l'ennesima
risposta glaciale di Abby e il rifiuto di McGee di accompagnarla al bar
di fronte, si era alzata dalla sedia e aveva sbattuto la pistola sulla
scrivania.
"Ora basta! Mi avete sinceramente rotto le scatole, ok? Io non sono
Ziva David, l'ho capito, sapete? Ma non è colpa mia. Non ci
volevo nemmeno venire qui, mi ci hanno spedita a calci in culo - questa
non è casa mia,
voi non siete miei amici e non dovete piacermi per forza. Tuttavia
siamo colleghi e gradirei un minimo, minimo!, di rispetto. Intesi?"
ringhiò e riprese la pistola. "E ora me ne vado a pranzo!"
Prima che potesse entrare in ascensore, Tony e McGee scoppiarono a
ridere, facendola voltare di scatto.
"Notevole, agente Bishop" le aveva fatto l'occhiolino. "Mi stavo
proprio chiedendo quanto ci avresti messo ad esplodere"
"Mi dispiace. Non era nostra intenzione" si era scusato McGee. "E'
che... è strano vederti seduta lì"
"Lo so" biascicò lei. "E per me è strano vedervi
seduti di fronte a me. Avevo una squadra, prima. Avevo amici. Non
è facile nemmeno per me"
DiNozzo, in quel momento, scoprì che il dolore non era
sempre unilaterale. Intorno a lui c'era chi soffriva, ma soffriva in
modo diverso.
McGee e Abby avevano perso un'amica, Gibbs una figlia, Ducky una
complice. Lui aveva perso tutto, in pratica.
E Bishop aveva perso la strada di casa.
"Andiamo a pranzo, dai" aveva preso la sua giacca. "McGee ti unisci a
noi?"
"Solo se offre la pivella!"
"Sentite, solo perchè abbiamo chiarito la questione, questo
non vuol dire che vi permetterò di sfruttarmi come una mucca
da latte!"
Tony portava sempre la stella di David con sè. Non la teneva
al collo, gli sembrava una sorta di tradimento nei confronti di Ziva e
della collana. La custodiva gelosamente nelle tasche dei pantaloni e,
ogni sera, la poggiava sul comodino, nella speranza remota che
funzionasse come una vera stella (cometa) per condurre Ziva finalmente
a casa.
Inizialmente era stato tentato dal cellulare. Poteva scriverle,
chiamarla (ma dove, se non aveva un numero?).
Poi dal computer. Poteva mandarle una mail (ma a quale indirizzo?).
Pensò addirittura di telefonare ad Orli (ma meglio evitare,
il Mossad portava sempre cattive notizie).
Sta di fatto che, ogni sera, sdraiato sul letto, sentiva il suo cuore
battere forte. Era un suono triste. (*)
"Vuoi un
passaggio, Tony?" Bishop aveva guardato preoccupata la tempesta che
infuriava fuori. "Non mi sembra carino lasciarti tornare a casa sotto
la pioggia. Poi chi vuole sentirti, se prendi il raffreddore!"
"Apprezzo la proposta, ma vado a piedi. Tanto domani la mia macchina
torna dal periodo di riposo dal meccanico" fece spallucce.
"Piove davvero tanto" osservò McGee. "Neanche a me dispiace
darti uno strappo"
"Ragazzi, tranquilli" alzò gli occhi al cielo. "Faccio due
passi. Ho messo su un chiletto, sapete?"
Bishop e McGee si scambiarono uno sguardo ammiccante che gli fece
capire che sì, sapevano, ma preferivano non farglielo
notare.
"Vado, allora. Ci vediamo domani mattina" prese l'ombrello che aveva
lasciato sul pavimento, vicino alla scrivania.
"Sicuro di non volere un passaggio?" gli urlò la collega,
prima che prendesse l'ascensore.
"Sicurissimo!" sventolò la mano e premette il tasto per il
pianoterra.
Casa sua non era vicinissima all'ufficio, ma con un buon quarto d'ora a
piedi, poteva farcela prima di diventare fradicio. Accelerò
il passo, tirò su il bavero della giacca e tenne l'ombrello
vicino alla testa, in modo che potesse coprirlo anche dalle raffiche di
vento. Arrivato a casa, evitò la vicina di casa ("Sei venuto a piedi con questo
tempaccio? Ma che razza di colleghi hai, non potevano darti un
passaggio?!") e cercò rapidamente le chiavi
nelle tasche. Sfiorò con le dita la catenina di Ziva, ma
passò rapidamente oltre.
"Amen" sbuffò, quando riuscì ad aprire la porta
del suo appartamento.
Impiegò circa cinque secondi per capire che qualcosa non
andava.
Innanzitutto, le luci erano accese.
E Tony non lasciava mai le luci accese, perchè
sua madre gli aveva insegnato che così sprecava corrente,
quindi si premurava sempre di chiudere bene tutto. C'era, poi, uno
strano odore. Odore di carne, per la precisione, come se qualcuno
avesse cucinato.
Tony lasciò cadere le chiavi per terra, insieme
all'ombrello. Arrivò di soppiatto in cucina, senza nemmeno
estrarre la pistola. Perchè, certe cose, Tony se le era
sempre sentite.
"Non sapevo cosa cucinare" cominciò a dire. "Non avevi
niente in frigo, a parte la birra. Sono andata a comprare qualcosa al
supermercato all'angolo, per fare un bel sugo sostanzioso, ci ho messo
anche le carote, e ho comprato un dolce e del gelato. Sei tutto
bagnato" osservò Ziva David, dopo poco.
"Sì, sono bagnato" sussurrò Tony. "Non - non ho
la macchina. E' dal meccanico"
"Lo immaginavo. Funzionava male già qualche mese fa" gli
rispose.
Restarono in silenzio per qualche minuto. Quando Tony fece per dire
qualcosa, Ziva lo anticipò.
"Sono stata un po' in giro, sai. Ho rivisto gente, posti... mi sono
disintossicata" lo liberò dalla giacca bagnata e gli
strizzò un po' i capelli umidi, sempre senza guardarlo negli
occhi. "Mi ha fatto bene, credo, perchè ad un certo
punto..." si schiarì la voce. "Ho capito che non ero sola.
Che potevo tornare a casa quando volevo"
"Tu non sei mai stata sola, Ziva"
"Lo so, lo so. Mi ci voleva solo un po' di tempo e dovevo... volevo
trovare qualcosa di permanente, sai, come... come una casa"
"Farò di questo posto la tua casa, se ne hai bisogno" Tony
deglutì a vuoto, gli occhi lucidi. Era tornata e lui non
riusciva a spiccicare parola.
"Non ce n'è bisogno" Ziva abbozzò un sorriso.
"Casa è dove torni se qualcuno ti aspetta. Questo posto
è già casa mia. Almeno finchè ci sei
tu"
"Non vado da nessuna parte"
Ziva sorrise tra le lacrime e si asciugò il viso con le
mani. "Adesso lo so"
"Ti amo, Ziva" gli sembrava il momento giusto per dirlo. O forse era
troppo presto.
"Ti amo anche io"
O forse era esattamente il momento giusto.
Just know you’re not
alone, 'cause I’m going to make this place your home.
Note:
La canzone del titolo è Homeward Bound
Personalmente l'ho scoperta grazie a Glee, che ne ha fatto un mash-up (Cliccate
qua). Naturalmente mi ha fatta piangere come una fontana e
l'ho sempre trovata perfetta per i Tiva. In questo caso ci stava troppo
bene. Quindi ascoltatela, che male non fa *^*
(*) Questa frase stupenda non è mia, non sono
così poetica LOL, ma di Charles Bukowski.
Ebbene, che dire?, se state leggendo questa flash vuol dire che avete
visto la 11x02. Ora, a parte i commenti dell'abbandono (ORRIBILE) di
Cote, è stata una bella puntata. LA PUNTATA. Tiva is canon,
che altro aggiungere? Personalmente prevedo un ritorno di Cote -
più che altro ci spero - e allora sarei tipo 4950809453
metri sopra il cielo, altrochè. Come avete notato, non ho
crocifisso Bishop. Ho pensato che anche lei avrebbe potuto aver
lasciato qualcuno nel suo vecchio lavoro e la freddezza in ufficio
è davvero antipatica (così come a scuola, eh).
Troppo buona, eh? Vi state meravigliando? XD
La puntata mi ha lasciata in una valle di lacrime, non so che altro
scrivere.
Ci vediamo al prossimo capitolo di Text me (per chi lo segue) e alla
prossima storia.
Baci,
A.
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