Abracadabra

di Lynx96
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Salve di nuovo!
Questo secondo capitolo mi è piaciuto più del primo, lo trovo più realistico e IC, tuttavia temo sempre di aver sgarrato da qualche parte.
Apprezzerei davvero che, oltre a fermarvi a leggere, scriviate anche qualcosina, giusto per farmi sentire più o meno sicura se continuare, capire come migliorare e se c'è qualcosa, anche la più piccola, che trovate piacevole.
Buona lettura!
Lynx96

 

 

 

Capitolo secondo

 

 

Le ferite d'amore cicatrizzano male”

Jean Josipovici

 

23 marzo 2012, ore 4:44 p.m

45 East Even Street

New York

 

Sole. Il rumore del traffico. Smog. Un bicchiere di caffè nella mano destra, quella strana carta nella mano sinistra, che indicava luogo, data e ora dell’incontro.

La Papessa. La Sacerdotessa. Giunone.

Nel Cristianesimo la fede, nell’Ebraismo la giustizia, nei tarocchi la conoscenza in tutte le sue forme. La dualità tra mondo spirituale e mondo terreno. Nella magia la conoscenza per operare bene.

Ecco, lei non si sentiva importante, non si sentiva pura, non si sentiva preveggente.

Era sempre stata fragile ed insicura, dedita alle sue passioni con decisione, ma decisamente debole. Non comprendeva le persone, il loro modo di pensare; non sopportava la loro volubilità.

Fuggire da una vasca piena di piranha era un modo per ingannarli tutti, prendersi gioco di loro, della loro credulità.

Operare bene. L’unica cosa giusta che aveva fatto in vita sua era stata la scelta di dedicare tutta se stessa all’escapologia. L’unica cosa che le aveva dato – e le dava – soddisfazione.

Una cotta finita male bastava a comprendere che l’amore non esiste, che è solo un inganno. Come la magia d’altronde. Pura illusione.

Ora, con i capelli al vento in mezzo al traffico di New York, verso una meta che poteva essere la sua fine o un nuovo inizio, si sentiva finalmente scelta, preferita, notevole.

Anche se questo avesse posto fine alla sua carriera, alla sua vita, anche se fosse stato uno squallido scherzo e lei una patetica ingenua credulona, be’, almeno era stata preferita ad un’altra casuale vittima. E questo faceva la differenza.

 

-Henley!-

 

La sua voce. Il suo nome. La sua voce che diceva il suo nome.

 

-Danny!-

 

Un Daniel Atlas trafelato era appena sceso da un taxi lungo la sua stessa strada.

Danny... Aveva un suono così intimo sentirlo dalla propria voce, come se fosse un lontano amico d'infanzia, un amico ritrovato, oppure un fratello o una vecchia cotta mai sopita.

Invece era J. Daniel Atlas, la fonte di tutta la sua sofferenza, di tutto il suo rimuginare, l'oggetto su cui riversava tutta la sua rabbia.

Per un attimo aveva sentito un certo affetto nel tono della sua voce, un bambino felice di vedere un volto conosciuto, un volto amico.

Anche lui aveva una carta in mano; la fece sentire meno sola.

E lo vide con occhi diversi, sotto un'altra luce.

Il velo della sua arroganza era come dissolto, non v'era traccia del ragazzo maniacale ed egocentrico che era stato, pensò Henley.

Solo un enorme sorriso piacevolmente sorpreso gli illuminava il volto.

Ma poi parlò.





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