Survivor

di kirlia
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Survivor



«Ecco perché la gente ti tratta come un oggetto, e non come una persona.»


Queste sono state le ultime parole del piccolo Gilbert, prima di voltarsi e lasciarti lì, davanti a quell’auto.
Nel buio. Da sola come lo sei sempre stata.
Rimani in silenzio, mentre quelle parole ti rimbombano nella mente come un’eco di cui non riesci a liberarti.
È colpa di quella stupida sinusite che mi sta uccidendo, ti dici. Ma ne sei poi così sicura?
Ti stringi nella maglia, cercando di racimolare un po’ di calore in quella notte così fredda, e rimani immobile.
Ti chiedi cosa ci sia che non vada in te. Ti domandi perché il destino sembri sempre avercela con te, perché tutti ti inseguano e tutti ti vogliano.
È davvero questo che sei diventata? Un oggetto? Una dannata pietra di luna?

Un colpo di tosse spezza i tuoi pensieri, e ti ritrovi piegata in due, cercando in tutti i modi di attutire il rumore che, lo sai bene, può arrivare al fine udito di Silas.
Maledici Elena per l’ennesima volta, mentre cerchi di prendere un profondo respiro e ignorare il mal di testa.
È colpa sua, ti ripeti. Lei ti ha rubato tutto, ti ha rubato la tua vita! Tu meritavi un’esistenza felice molto più di lei, tu che hai sofferto tanto.
Avevi cercato di riprenderti ciò che, a tuo parere, ti apparteneva. Ma la tua doppelganger, che doveva essere solo un’ombra di te stessa, era stata più furba.
Ti aveva costretta a ingoiare la cosa che temevi di più, quella che di certo non desideravi.
La cura ti era scivolata giù per la gola, firmando la tua condanna.

Ed eccoti qui, adesso.
Debole e indifesa come non lo sei mai stata, sapendo di poterti far scudo solo con le tecniche che hai adoperato per secoli.
Scappare. Fuggire via. Nasconderti come la più codarda delle creature.
È questa l’unica strategia che conosci. L’unica cosa che ti interessa davvero è preservare la tua vita.
Sopravvivere a tutti i costi.
Cosa ne può sapere, il piccolo Gilbert, dell’ingiusta esistenza che ti è stata affidata dal destino?
Dice che tutti ti considerano un oggetto. E tu cerchi di negarlo, ma ti arrendi con un sospiro.
In fondo, sono veritiere.
Eri un oggetto quando tuo padre ti aveva strappato via la tua bambina, senza possibilità di decidere per te.
Eri un oggetto quando Klaus ti voleva per il suo rituale.
Eri un oggetto mentre fuggivi dalla sua furia cieca per cinquecento anni.
E sei un oggetto ora, Katherine, quando continui a scappare senza reagire, quando lasci che siano quei due ragazzi a tenerti in vita.
 
Stringi i denti, mentre valuti l’idea di mettere in moto l’auto e schizzare via, lasciando quei due umani in balia dell’immortale.
Una smorfia si forma sul tuo viso, mentre prendi in giro quasi i tuoi stessi pensieri.
Umani. Ne parli come se non lo fossi anche tu.
Ma adesso lo sei, e come tale percepisci qualcosa che si agita, in fondo al tuo stomaco, e ti dice che non puoi lasciarli lì a combattere per te.
Come se non l’avessi fatto per decenni! Come se non avessi sfruttato centinaia di persone per i miei interessi!, ti ripeti.
Stringi le mani intorno al volante, ma non hai il coraggio di mettere in moto.

Cos’è che distingue un oggetto da una persona?, ti ritrovi a chiedere.
La capacità di prendere delle decisioni, di reagire, anche quando la fortuna sembra non essere a tuo favore. Provare dei sentimenti ed affezionarti ad i tuoi simili, tanto da tornare indietro a prenderli e non lasciarli morire per la tua codardia.
E secondo questi principi, tu cosa sei?
La risposta è fin troppo semplice, Katherine, ma tu ti ostini a negarla.
Il tuo sguardo cade su quel fucile che hai detto di non sapere usare e rimani a guardarlo, indecisa.
Cosa ti prende, Katerina?
«Voglio dimostrare che si sbaglia. Io non sono un oggetto» ti dici, mentre impugni quell’arma e ne accarezzi il profilo di freddo metallo.
Forse non l’avrai mai usata, forse tu saresti stata molto più letale, ma non importa.
Adesso urlerai al mondo intero ciò che nessuno sembra essere in grado di capire.

«Pensavo avessi detto che non sapevi come usarlo» commenta Jeremy, sospirando a causa della ferita.
«L’ho capito» rispondi, puntando l’arma.
Cerchi di reprimere un sorriso ma ti senti soddisfatta da te stessa.

Katherine Pierce ha smesso di fuggire.



Okay, non so da dov'è spuntata fuori questa OS, che doveva essere inizialmente solo una flash fic ma che poi si è allungata all'infinito. 
Niente di che, in realtà. 
Sarà che Kath mi ha sempre affascinato per il suo passato un po' triste, sarà perché adesso che è tornata umana rivedo in lei una scintilla di quella Katerina che era nata nel 1490, ma io spero in una bella evoluzione del suo personaggio.
Magari questo potrebbe essere l'inizio di una nuova vita per lei...? 
Mi piacerebbe. Tra lei ed Elena, preferisco di gran lunga la Petrova. 
Basta, spero di non avervi annoiato! Magari anche voi la pensate così su di lei? Mi piacerebbe saperlo! 
Ditemi se ci sono errori di battitura/verbi/cose-di-ogni-genere, perché ho scritto di getto e non avevo voglia di rileggere.

Un bacio, 
Kirlia <3

 




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