il fermacarte

di angelica e triglia
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Era estate.
Una mattina calda e asciutta in un paese dell’Appennino centro-meridionale.
Saranno state le otto e trenta, quando la telefonata di una madre disperata ruppe il silenzio mattutino di una caserma dei carabinieri.
Appena arrivati la signora Agnese, la voce nel telefono, li accolse con le braccia aperte e le lacrime agli occhi.
Entrarono e videro immediatamente un cadavere con un vistoso colpo d’arma da fuoco in mezzo alla fronte. Dopo che il maresciallo Monti ebbe esaminato la situazione, mandò i suoi uomini a ripulire la stanza di qualsiasi cosa potesse essere un indizio, se pur col comando di non toccare nulla senza guanti, per non occultare le prove. Così i ragazzi cominciarono l’ispezione, con i musi lunghi per via di quel caso che aveva rimandato tutte le loro licenze estive.
L’unico indiziato, pareva essere il padre di Claudio, la vittima, da cui da lungo tempo la madre era separata. Questo, da un periodo, gli faceva in continuazione telefonate moleste e piene di insulti. Pare che da quando Claudio gli aveva intimato di lasciare in pace l’anziana madre, i loro rapporti fossero tesi. Il padre, però, si era trovato da poco un lavoretto come cameriere in una trattoria del centro storico e, sia il datore di lavoro che i colleghi e i clienti potevano confermare che all’ora del delitto lui era lì a servire ai tavoli.
La vittima non aveva altri nemici, non conduceva una vita mondana, era solo un semplice provinciale.
Per ora il caso era sospeso.
Sarebbero ritornati l’indomani mattina. Così fecero e, mentre il maresciallo monti parlava con la povera signora Agnese, l’appuntato Rossi vide qualcosa sulla scrivania che lo insospettì. Si da il caso, però, che il predetto appuntato, essendo venuto solo per una visita di cortesia, dalla quale ci si aspettava solo di sapere se ci fosse stato qualche sviluppo, non aveva portato i guanti.
Distrattamente alzò un fermacarte.
In quel momento il maresciallo alzò gli occhi e cominciò a sbraitare e ad imprecare
”devi essere pazzo, come puoi non avere il minimo riguardo per le regole, come può essere che, dopo tutti questi anni nell’arma, tu non abbia ancora il senso di responsabilità richiesto dal nostro mestiere…”
e continuò cosi, senza smettere di affibbiare epiteti al nostro povero appuntato, il quale, ad un certo punto, approfittando di una pausa del maresciallo per riprendere fiato, disse “guardi cosa c’era sotto questo fermacarte”.
Il superiore prese ciò che l’interlocutore gli aveva fatto notare.
Era una lettera, dove Claudio spiegava motivazioni e modalità del suo suicidio.




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