Note:
- Le quattro frasi che aprono
ogni flash-fic si riferiscono a quattro principi di fisica. Non
scenderò nel particolare per un solo motivo: non li ho
capiti quando mi costringevano a studiarli alle superiori e non li ho
capiti nemmeno adesso, quindi Dio solo sa quali aberranti sciocchezze
ho in realtà scritto. Nella mia abissale ignoranza ho
tuttavia capito due cose. La prima è che ce ne sono due di
Newton, una di Galileo e uno di un tizio di nome Hamilton e la seconda
è che non ho capito un cavolo di quanto ho scritto.
- Spero davvero di essere
riuscita a rendere chiaro quanto accade nell'ultima flash-fic:
l'episodio in questione ipotizza i giorni immediatamente successivi
alla morte dei Potter dal punto di vista di Remus – con Moody
che tenta di rimetterlo in piedi.
- Partecipa al contest di Halloween
indetto da _Eterea_.
*
Quattro
principi di morte e uno di vita
*
[Esiste
un principio secondo il quale un corpo intoccato da qualsiasi
mutamento dell'universo può rotolare per inerzia fino alla
fine del
mondo].
Non
c'è mai stato un principio fondamentalmente più
errato di questo, e
James Potter lo capisce la notte in cui realizza di essere schiavo
della paura come qualunque altro essere umano.
Non
è una notte spaventosa in sé – non
è Halloween, non dovrebbero
esserci mostri accucciati sotto il letto. È maggio, il cielo
è
sereno e la luna piena illumina gli alti torrioni, le statue e gli
scuri cancelli di Hogwarts. Ci sono le stelle, l'aria è
tiepida e i
grilli già cantano all'estate in arrivo.
Poi
ci sono state solo grida e terrore e corse incespicate lungo le scale
che risalgono fino al Platano Picchiatore, e il volto pallido di
Piton, il sangue che scivola lento lungo la sua tempia, il cuore in
gola, la mente pulsante e l'agonia di un amico che si dilania ogni
centimetro di carne con zanne e artigli.
«Siete
pazzi! Pazzi! Quello è un dannato Lupo Mannaro! Lupin
è--».
Il
pugno che si abbatte sul naso dell'altro ragazzo parte prima ancora
che James riesca a rendersene conto. Non aveva intenzione di
colpirlo, non quella volta, ma c'è un fiume di adrenalina
che
scalpita nelle sue vene e l'ultima cosa che potrebbe fare è
ragionare con chiarezza.
Un
ululato carico di strazio e dolore squarcia il silenzio della notte
–
una notte d'inferno senza zucche e leccornie, una di quelle in cui i
mostri sono veri e sono cattivi.
È
di Sirius, il naso che James immagina di rompere. È del
mostro,
dell'idiota, dell'amico che ha tradito Remus. E Remus ora è
furioso,
indemoniato e fuori controllo, e James è terrorizzato
all'idea che
si possa ammazzare prima dell'alba.
Per
la prima volta nella vita, James Potter ha paura. Si ripiega in
avanti e dà di stomaco, crolla sull'erba e prega che
l'agitato
vociare che sente giungere in distanza appartenga a qualcuno che
possa riportarlo indietro, prima del plenilunio, prima della cena,
prima che Sirius riveli il loro segreto a Piton...
Il
suo mondo si incrina, si frantuma e James diventa adulto mentre
è in
ginocchio sulle sue schegge – e fanno male, fanno male
perché lo
feriscono fino all'osso, e James sa che l'anima è solo di
poco più
lontana.
Non
esiste nulla che possa durare per sempre: il suo coraggio non fa
eccezione.
Si
ripete che non ha paura di nulla e lo fa con una risolutezza perfino
più testarda. Mente, ma è la sola menzogna che lo
mantiene in
piedi.
Lo
fa anche la notte in cui muore – una di quelle in cui i
mostri
dovrebbero essere di cartapesta.
«Io
non ho paura».
Lord
Voldemort ride.
«Neanch'io,
Potter».
[Esiste
un principio secondo il quale a ogni azione, per quanto labile e
imprecisa, ne corrisponda sempre una uguale e contraria].
Non
c'è mai stato un principio fondamentalmente più
giusto di questo, e
Sirius Black lo capisce la notte in cui realizza di essere schiavo
delle conseguenze come qualunque altro essere umano.
È
una notte spaventosa quanto quelle che l'hanno preceduta – e
poco
importa se è Halloween, poco importano i fantasmi e i
costumi.
Importano solo la guerra e l'ansia e il perenne timore di non vedere
l'alba successiva. Sono bocconi che Sirius ingoia e soffoca nello
stomaco con ammirevole persistenza. Li accumula uno dopo l'altro,
ignorando il pericolo che possano esplodere tutti insieme e lo
facciano impazzire, ma mentre si sforza di evitarlo commette l'errore
di non accorgersi di essere già esploso.
«Non
puoi essere che tu».
Il
pugno che piomba sulla sua tempia arriva così inaspettato e
violento
da farlo sbattere contro la parete. Non può evitarlo: la
furia di
Remus si abbatte su di lui come un fulmine estivo e lo lascia a terra
senza fiato e con l'occhio destro pulsante.
C'è
l'ombra del lupo sul suo volto. Brilla nello sguardo indignato,
nell'espressione rabbiosa, scende fino ai pugni tremanti. Comprendere
di avere ragione fa mille volte più male della botta
ricevuta, e
Sirius vorrebbe solo farlo a brandelli e strapparsi dalla memoria il
ricordo del ragazzino gentile che perdonava ogni scherzo –
anche i
più tremendi, anche quelli che lui per primo non avrebbe
potuto
perdonare.
Il
passato ha smesso di interessargli. Ora c'è solo Remus,
Remus che li
sta tradendo, Remus che fa la spia per Voldemort, Remus che non ha
parole per difendersi dalle sue accuse e si lascia scivolare sulla
sedia come un sacco vuoto.
È
sempre stato un notevole attore, Sirius gliene dà atto. Li
ha
ingannati per mesi con decine di menzogne su influenze e madri
morenti, ingannava ogni professore con quel maledetto sorriso
innocente e i modi educati e compiti... e ora li inganna nuovamente
tutti con le stesse menzogne.
Sirius
si convince di avere una sola soluzione ed è quella
sbagliata. Se ne
accorge troppo tardi, quando non trova Peter a casa, raggiunge
Godric's Hollow, inciampa sul cadavere di James nascosto dalla porta
spalancata e capisce.
Il
suo mondo crolla come un castello di carte e Sirius diventa adulto
mentre piange, grida e impazzisce sul volto esangue del proprio
migliore amico – e fa più male di quanto non
avesse mai potuto
temere.
Non
esiste nulla che possa durare per sempre: la sua spavalderia non fa
eccezione.
Si
ripete che è più forte di qualunque cosa, di
poter affrontare
qualunque cosa e lo fa con un'ardore perfino più sciocco.
Mente, ma
è la sola menzogna che lo mantiene in piedi.
Lo
fa anche la notte in cui muore – una di quelle in cui i
mostri si
accucciano dietro le ginocchia e ti fanno lo sgambetto.
«Avanti,
puoi fare di meglio!».
Bellatrix
sogghigna.
«Puoi
giurarci».
[Esiste
un principio secondo il quale le leggi elementari della natura non
possono variare nemmeno nei più improbabili sistemi di
riferimento].
Non
c'è mai stato un principio fondamentalmente più
umano di questo, e
Peter Minus lo capisce la notte in cui realizza di essere schiavo
della debolezza quanto qualunque altro essere umano.
È
una notte tiepida che lo fa comunque tremare – è
una notte
spaventosa quanto il giorno che l'ha preceduta, quanto
l'incontenibile potere che Lord Voldemort sta acquisendo, quanto il
numero di gente che combatte e muore che va aumentando. Ci sono un
po' troppi elementi spaventosi e Peter si è rassegnato
all'idea di
non essere abbastanza forte per fronteggiarli. Non ha il coraggio di
James né la sfrontatezza di Sirius né il
controllo di Remus, e ha
capito che in quella guerra occorre essere coraggiosi, sfrontati e
controllati. Se i suoi amici possono vantare solo un'arma su tre,
quanto può mai resistere, lui?
«Non
ho avuto altra scelta».
Il
pugno di Sirius gli fa saltare via almeno due denti. È
violento,
impetuoso, istintivo – è Sirius, e Peter ne viene
travolto come da
un torrente in piena che gli spezza le ginocchia e lo trascina a
fondo.
Ha
sempre nutrito nei confronti della morte un timore reverenziale, ma
in quel momento si convince che Sirius è diventato la morte
e si
rannicchia spaventato ai suoi piedi. Nutre la stessa paura anche nei
confronti di Sirius, e giunto a quel punto non ha importanza il fatto
che fra Sirius e la morte non scorra più alcuna differenza.
Ciò
che non cambia è solo il suo disperato bisogno di
sopravvivere e non
si ritiene un vigliacco per l'insistenza con cui si attacca la vita.
Tutti gli uomini vogliono vivere. Chi si ostina a ribadire di essere
preparato alla morte forse non ama abbastanza la vita, e Peter ama la
vita, la ama più di qualunque altra cosa e non
può credere che i
suoi amici non la amino con la sua stessa brama. Non è lui,
il
vigliacco: loro sono semplicemente pazzi. O bugiardi, forse, e quella
convinzione è l'unica che gli permette di allontanare dalla
mente i
loro volti accusatori. Lo avrebbero fatto anche loro e mentono solo
perché vogliono che il mondo renda loro gloria. Non
c'è altra
spiegazione, eppure qualcosa continua a turbarlo.
Il
suo mondo diventa pallido e soffocante e Peter diventa adulto mentre
cerca di ritagliarsi un angolo nel quale sopravvivere – e fa
male,
ma l'alternativa è vivere e morire e potrebbe fare ancora
più male.
Non
esiste nulla che possa durare per sempre: la sua negazione non fa
eccezione.
Si
ripete di aver agito come chiunque altro avrebbe agito e lo fa con
una sicurezza perfino più cieca. Mente, ma è la
sola menzogna che
lo mantiene in piedi.
Lo
fa anche la notte in cui muore – una di quelle in cui ti
guardi
allo specchio e scopri di essere diventato il mostro della storia.
«No!».
Harry
Potter grida.
«No...».
[Esiste
un principio secondo il quale il tempo che divide un istante
dall'altro resta il medesimo quando tali istanti combaciano per
entità e natura].
Non
c'è mai stato un principio fondamentalmente più
crudele di questo,
e Remus Lupin lo capisce la notte in cui realizza di essere schiavo
del caso quanto qualunque altro essere umano.
È
una notte luminosa – e Remus non ne è affatto
spaventato. Ha sei
anni e la luce della luna piena irradia i contorni del giardino.
È
un bambino dotato di particolare acutezza ed è abbastanza
coraggioso
da non temere ciò che conosce. Ciò che non
conosce deve ancora
arrivare a mostrargli quanto può essere spaventosa una notte
di luna
piena, e Remus ne soffocherà invano il terrore per il resto
della
vita. Gli anni lo convincono che non può giungere nulla di
peggiore,
ma si sbaglia.
«Sono
rimasto solo. Non mi interessa altro».
Il
pugno di Alastor fa un male infernale. È duro, spietato e
Remus si
concede qualche secondo per chiedersi se il rumore che ha sentito
proviene dal suo naso o dalla sua mandibola. Forse era solo
ciò che
restava della propria dignità.
Alastor
è furioso, ruggisce improperi e bestemmie, ma Remus ha
già smesso
di ascoltarlo. Non ha nemmeno iniziato. Ha la mente altrove, ben
lontana da quel sudicio appartamento in periferia impregnato del
puzzo di whisky stantio e sigarette lasciate a fumare da sole. Corre
nel prato di Hogwarts lungo la scia di James, e James si aggiusta gli
occhiali e i suoi occhi sono vivaci e brillanti – non ancora
vuoti,
non ancora morti; insegue Peter, e sul suo volto paffuto c'è
un
sorriso spensierato, e c'è una faccia e un torace e due
gambe e due
braccia – non è ancora poltiglia e sangue; e
c'è Sirius, c'è
anche Sirius, e gli ciondola accanto come se nulla
potesse
andare storto – come se niente fosse andato storto quando in
realtà
ogni cosa era andata storta.
All'improvviso
è semplicemente troppo e Remus colpisce il muro una, due,
tre, dieci
volte, si apre le nocche, grida e si lascia scivolare sul pavimento
lasciando tetre impronte di sangue sulla carta da parati sciupata.
Il
suo mondo torna a riempirsi di bestie e fauci spalancate sulla sua
bocca e Remus diventa adulto mentre si accorge di non essere mai
cresciuto davvero – e fa male, fa male e non avrebbe dovuto
credere
in alcun lieto fine.
Non
esiste nulla che possa durare per sempre: la sua speranza non fa
eccezione.
Si
ripete che andrà bene e lo con una fermezza perfino
più ingenua.
Mente, ma è la sola menzogna che lo mantiene in piedi.
Lo
fa anche la notte in cui muore – quella di cui desiderava
vedere
l'alba, quella che doveva lasciare lo spazio a un mondo migliore.
«Non
vincerete».
Dolohov
fa una smorfia ironica.
«Avete
già perso».
[Esistono
infiniti principi che pretendono di regolare l'universo e nessuno di
essi ha ancora trovato il modo di spiegare le dinamiche della vita.
La
verità è che nella vita capita anche di morire.]
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