Prologo
Prologo.
La notte lo avvolgeva come un mantello. Il ragazzo la percepiva alle
sue spalle, al suo fianco, dentro di
sè, un'entità
possente ed inesorabile che scandiva i battiti del suo cuore. Le foglie
gracidavano in un mormorio sommesso sotto le
zampe del suo lupo, mentre una luna scheggiata dal lucore giallastro
come zolfo seguiva i loro movimenti con silente reverenza. Il vento
attendeva, tratteneva il respiro in tensione fra gli sterpi. Le figure
che seguivano il ragazzo, fantasmi d'una storia dimenticata, erano
profili esili ai bagliori allucinati delle stelle, tanto che il giovane
aveva l'impressione di stare compiendo egli solo quel viaggio -loro
c'erano, c'erano sempre stati ad accompagnarlo, eppure quella notte era
sua, sua e basta.
D'un tratto, il lupo s'arrestò irrigidendo le zampe e
drizzando
le orecchie. Il naso fremette nel cogliere una calda nota olfattiva
nell'aria.
L'uomo che stavano cercando fu annunciato dal
rumore ritmato degli zoccoli del cavallo. Era lui, con un
drappello di pochi uomini; era lui, e il sangue del ragazzo si accese
come un sole nero.
Li aveva visti, parati nel bel mezzo della piccola strada impervia che
lui stava percorrendo per rincasare; il suo cavallo nero
rallentò, fino a
fermarsi a diversi metri da loro.
Probabilmente, l'uomo si stava chiedendo perchè quei
girovaghi non si facessero da parte.
-Roose Bolton.- La voce del ragazzo fendette lo spazio che li divideva,
atona e sferzante come un lampo. Bolton aggrottò le
sopracciglia
diafane, contrariato.
-Che diamine sta succedendo? Chi siete voi?-
Il suo tono era basso e roco, senza nemmeno un'impronta d'incertezza.
In un'altra epoca, in un'altra circostanza, il ragazzo sarebbe stato
intimidito
dal peso dell'autorità che lo invigoriva.
Un'autorità illegittima -un'autorità depredata
con l'inganno.
Gli occhi del ragazzo erano adombrati da una calma arida, di
pietà prosciugata al midollo, di ferita spalancata fino
all'osso.
-Sono venuto per saldare un debito in sospeso.- Quelle parole, soffiate
dal vento, sciuparono la fronte distesa di Roose Bolton. Egli muoveva
lo sguardo dalle tre figure intorno a quella dell'interlocutore, e poi
s'immobilizzò nel riconoscere un lupo. Quel ragazzo stava
cavalcando un lupo. Un
lupo.
-Come sarebbe a dire?-
A quel punto la voce di Jojen, sottile ma vibrante, spezzò
l'equilibrio instabile della situazione come il morso d'un serpente.
-Fallo, Brandon. Ora.-
Bran Stark capì che tutto quel tempo, tutto
quell'addestramento, tutto quel cammino e quella stanchezza e quel
freddo conficcato nella carne erano stati per tendersi a quell'unico,
imprescindibile, assoluto istante. Le sue pupille vennero inghiottite
da uno spasmo feroce e il biancore della cornea s'affacciò
come
il presagio d'una maledizione.
Prima che i suoi soldati, o lui stesso, potessero accorgersi vagamente
di quel che stava succedendo, Roose Bolton si afferrò la
testa
con entrambe le mani; un grugnito faticoso gli raschiò la
gola.
L'uomo, il capo assalito da una potenza estranea e sconosciuta, fu
sbilanciato da contorsioni simili a quelle d'un ragno invischiato nella
propria tela; cadde a terra, dibattendosi, mentre un urlo inarticolato
gli
squarciava la bocca, scoppiando nella gola in un boato lancinante. Le
pallide dita a stringergli le tempie si lordarono di sangue fresco, di
colore talmente vivace da stridere nella cortina della notte. Lunghi
rivoli voraci stillavano dall'orlo delle palpebre contratte, dalle
labbra lacere, a disegnare un fato volubile nella terra polverosa.
L'assedio terminò con un estremo gorgoglìo di
voce
insanguinata -e il cuore si spense, stremato, quasi che nella gabbia
del torace vi fosse morto prigioniero.
Bran aprì gli occhi d'improvviso, con un ansito brusco, ma
non
c'era allarme nelle pupille salde. Aveva percepito il corpo smettere di
combattere, arrendersi sotto pressione come avrebbe potuto fare uno di
quei rami lì attorno. Sotto il pesante mantello, Jojen
sorrise-
in fondo sapeva che ce l'avrebbe fatta. Meera non proferì
parola, incapace di distogliere lo sguardo dal dolce fluire di quei
rigagnoli rossi, e stringeva duramente le labbra come se volesse
imporsi l'evidenza.
Bran seguì con sguardo imperscrutabile i movimenti dei
soldati
che, inorriditi e confusi, si inchinarono davanti a lui senza nemmeno
osar sfoderare la spada. Cosa poteva mai importare, ormai? Cosa poteva
mai valere la vita spanta d'un lord cadavere? Cosa poteva mai
importare, quando, a regnare su quel lungo inverno, era giunto uno
Stark?
Bentornato a casa, sussurrò
il vento ghermendogli i capelli castani ed avvolgendogli le orecchie in
un carezzevole stordimento. Bentornato
a casa, Bran.
Note dell'Autrice: Ebbene sì, sto facendo esattamente quel
che mi ero ripromessa di non fare più: cedere alla
tentazione di cimentarmi in un'altra long. Però,
però, a volte l'ispirazione è così, un
po' bastarda. XD E quindi, che long sia.
Questo è solo il prologo e tendo sempre a scrivere prologhi
brevi; ovviamente preparatevi a capitoli chilometrici! In quanto a me,
non vedo l'ora d'introdurre Rickon nella storia.
Grazie moltissime per avere letto! Mi piacerebbe molto sapere cosa ne
pensate dell'idea. Posterò al più presto il primo
capitolo!
Lucy
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