Echo
«Dio,
sono esausto»,
brontolò il ragazzo lasciandosi cadere di peso sul piccolo
divano
del salotto, già occupato per metà dalla snella
figura di una
giovane dai lunghi capelli castani.
Mandy
si stiracchiò, appoggiando il capo sul petto di lui, che
prese ad
accarezzarle i capelli con lenti movimenti della mano sinistra.
Quanto
le amava, le mani di Jas.
Erano
grandi, grandi quasi il doppio delle sue – così
piccole e tozze,
infantili. Le mani di Jas avevano lunghe dita affusolate con cui
spesso scompigliava gli impossibili ricci scuri che aveva in testa ed
erano morbide come il pane appena sfornato, e calde.
Mandy
si allungò verso il viso del suo ragazzo, posando un leggero
bacio
proprio sulla punta del mento spigoloso. Jas sospirò,
sfiorandole
gli zigomi con l'indice.
«Non
dovresti lavorare così tanto, Jasper», lo
rimproverò, cercando lo
sguardo cristallino e contornato da un paio di marcate occhiaie
violacee di Jas, che si limitò ad una bassa e roca risata.
Lei
alzò di scatto la testa, cozzando contro la mascella di lui,
che
sbatté i denti con forza.
«Mandy!»
si lamentò con un mugugno, la mano sinistra volata a
massaggiarsi il
punto colpito.
Lo
baciò velocemente sulle labbra, prima di sistemarsi meglio
sul
divano, le corte gambe incrociate ed un'espressione quasi sognante
nei piccoli occhi grigi.
«Che
c'è?» domandò, piegando la testa di
lato; Mandy chiuse gli occhi,
sospirando piano.
«Sai»,
esordì, una sottile rughetta a solcarle la fronte,
«pensavo a una
cosa.»
«Spara»,
la incoraggiò Jas, sistemandole un ciuffetto ribelle dietro
l'orecchio.
Mandy
rimuginò tra sé per qualche istante, ponderando
attentamente le
parole.
Quell'idea
le frullava per la mente da qualche giorno ormai, da quando Jas aveva
brontolato, credendo di non essere udito, di aver bisogno di
“staccare la spina da tutto e tutti” dopo essere
rientrato
dall'ennesima, stancante giornata di lavoro in casa di produzione.
«Non—
non ti annoi, qui?» chiese Mandy, le dita
che disegnavano
cerchi immaginari sulla mano di lui.
Jas
rimase per qualche istante in silenzio, non capendo cosa intendesse.
«Cioè?»
domandò infatti, aggrottando le sopracciglia.
«Cioè»,
riprese Mandy, incastrando la sua testa nell'incavo tra il collo e la
spalla del ragazzo, il suo giaciglio preferito, «non temi che
da un
momento all'altro tutto questo possa trasformarsi in una noiosa
routine? Non pensi che ti stancherai di fare questa vita, del tuo
stupido lavoro, di me? Non senti la
necessità di evadere,
partire, esplorare il mondo e tutto ciò che ha da
offrirci?»
Le
parole si erano riversate fuori dalle sue labbra screpolate alla
velocità della luce, rincorrendosi instancabilmente.
«Amanda»,
mormorò lui, rauco, chiamandola con l'odiato nome di
battesimo, «non
dire sciocchezze. Come posso stancarmi di te e del mio stile di vita?
Amo quello che faccio, Mandy. E amo te;
questo è quel
che conta di più» concluse, la voce sempre
più debole, sempre meno
udibile.
Mandy
si accoccolò stretta al petto di lui, inspirando il suo
profumo di
miele. Si morse l'interno del labbro inferiore così forte da
sentire
il sapore metallico del sangue spargersi sulla lingua, mentre
percepiva la mano di Jas insinuarsi sotto la sua sgualcita camicetta
bianca, cominciando a carezzare lentamente un angolo di pelle come a
volerla rassicurare che lui era e sarebbe sempre stato lì,
per lei.
«Ti
amo, sciocca», mormorò poi, stringendo la presa
sul fianco di Mandy.
Lei
non rispose; serrò gli occhi, una mano ancora stretta a
quella di
Jas, la testa piena di pensieri.
Il
suo respiro si regolarizzò in un paio di minuti e
così fece quello
del ragazzo, le mani saldamente intrecciate, i battiti del cuore
calmi e tranquilli.
Pacifici,
come il mare prima di una tempesta.
◊
Era
comparsa alla porta dell'appartamento in un freddo mattino d'inizio
febbraio, qualche giorno dopo il compleanno di Jas.
Aveva
un'abnorme quantità di zaini e bagagli colorati alla mano,
ed un
biglietto aereo appena acquistato.
Era
uno di quei biglietti low-cost, di quelli che si
comprano
all'improvviso, all'ultimo minuto. All'ultima decisione.
I
capelli scuri le incorniciavano il viso lentigginoso, arruffati,
imperlati di sudore.
Aveva
appena corso.
La
sua bocca, resa bluastra dal pungente freddo invernale, era schiusa
in una strana smorfia indecisa.
«Torno
a Dublino», aveva sussurrato, senza preavviso.
«Questo non è il mio
posto.»
E non aveva aggiunto altro.
Erano
giunte come un'eco, quelle sei parole messe insieme nel tempo di un
battito di ciglia.
Erano
arrivate come un'eco lontana, smorzata. Indefinita.
Jas
non aveva saputo – o potuto –
replicare, era semplicemente
rimasto con la mano appoggiata allo stipite, l'ombra del suo tipico
sorriso sghembo sulle labbra, il rimbombare assordante del suo cuore
sulle orecchie.
Il
respiro trafelato di lei.
Non
l'aveva detto davvero.
No.
Si
aspettava di vederla scoppiare a ridere all'improvviso, correndogli
incontro e stringendolo in uno dei suoi confortevoli e caldi
abbracci. E l'avrebbe rassicurato. Di sicuro.
E
invece no, Mandy era rimasta lì, la smorfia di
prima ancora
impressa in faccia.
Irrespirabile,
l'aria era soffocante.
«Allora
vai.»
Quelle
parole erano uscite da sole, senza la possibilità di porre
loro un
freno.
Lei
era rimasta ancora là, impalata. La piccola mano era corsa
al
ventre, che aveva assunto una strana forma appena lievemente
tondeggiante, impossibile da percepire per un occhio non allenato.
E
nemmeno Mandy, d'altronde, aveva dato importanza a quello
stupido ritardo di due giorni.
Nda:
Non ho mai scritto un'originale. E, per inciso, non ho mai scritto
storie così... tristi?
Non
lo so, cosa sia. Ma mi piace.
Il
fatto è che ascolto praticamente quotidianamente una certa
canzone,
il cui titolo è Don't let me go e
l'autore... non ve lo dico
chi è, l'autore. No. Tanto probabilmente lo conoscete.
È alto,
riccio, ha gli occhi verdi, è bello da morire...
ecco, lui.
Per
l'amor di Dio, come mi sono fatta melodrammatica! Sparisco, che
è
meglio per tutti ;)
E
niente, spero soltanto che qualcuno di voi la noti...
Buon
week-end!
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