Prologo
Qualcosa mi scosse ed io mi svegliai dal mio sogno pieno di stranezze, come d'altronde strana è la mia vita. Mi girai
dall'altra parte, ma venni scossa di nuovo e, stavolta, leggermente
più forte di prima.
Aprii lentamente un occhio e poi l'altro: entrambi dall'iride blu scuro
con pagliuzze dorate che circondavano la pupilla.
La luce fioca che filtrava dalla serranda alzata a metà
scacciava di poco l'oscurità che per tutta la notte aveva
regnato nella mia piccola e disordinata camera. Aprii e richiusi la
bocca impastata dal sonno e con un grugnito mi misi a sedere. Guardai
la figura in piedi accanto al mio letto: alta, slanciata, magra, ma
comunque forte e dai muscoli tesi che spiccavano sotto la maglietta
azzurra aderente. Indossava larghi blue jeans con spaziose tasche nelle
quali erano custoditi il cellulare sottile a conchiglia e le chiavi di
casa.
Le palpebre cadevano pesanti e ancora assonnate sugli occhi, ma tentavo
in tutti i modi di restare sveglia. La voce della figura mi
aiutò.
«Buongiorno. . .» ironici sia l'espressione che il
tono di voce: quella voce che conoscevo da tutta la vita.
Osservai, ancora insonnolita, mio fratello, ventenne, dai capelli neri
lunghi fino alle spalle e sparati a punte da tutte le parti e dagli
occhi tanto azzurri e chiari che potevano passare per bianchi.
«Che ore sono?» farfugliai lasciando cadere
all'indietro la testa appoggiandola sulla testiera del letto.
«Sono esattamente le due del pomeriggio»
incrociò le braccia al petto e spostò il peso
sulla gamba destra.
Rialzai la testa e allungai le braccia stiracchiandomi nascondendo,
poi, uno sbadiglio con la mano sinistra.
«Quindi ho dormito. . .» feci i calcoli con la
mente ancora intorpidita dal sonno «. . circa dodici
ore»; mi scoprii dalle pesanti coperte e mi alzai lentamente
dalla parte opposta di dov'era Jake. Posai i piedi nudi sul parquet
freddo e rabbrividii leggermente. Riuscivo a stento a mantenermi in
piedi. Jake se ne accorse e mi si mise accanto.
«Hai bisogno d'aiuto?» mi chiese premuroso e
preoccupato come se fossi un'anziana signora invalida.
Lo scacciai innervosita dal suo comportamento con il braccio destro
evitando di sfiorarlo. Un semplice gesto simile a quello che si fa per
cacciare via un cane randagio che si avvicina troppo.
«Lascia stare, ce la faccio» dissi acida con la
voce ancora roca per il sonno; Jake si allontanò
di qualche passo da me ancora con le braccia incrociate. Feci un passo
e barcollai di poco, ma il mio odio d'essere aiutata mi diede la forza
per mantenere l'equilibrio. Raddirizzai le spalle e mi avvicinai alla
cassettiera in mogano sulla quale era fissato al muro un alto e ampio
specchio ovale dal vetro perfettamente pulito e dalla cornice composta
da una treccia bronzea; mi ci specchiai e, grazie alla poca luce che
filtrava dalla serranda mezza alzata, riuscii a vedere la massa dorata
ed informe che partiva dal capo e scendeva appena sotto le spalle.
Presi la spazzola dal ripiano sopra la cassettiera e iniziai a
spazzolarmi con cura i capelli; intanto osservavo il mio volto: ovale,
dalla pelle diafana con un accenno di rossore sulle guance; al centro
v'era un sottile e piccolo naso tendente all'insù e, appena
più giù, una graziosa bocca dalle labbra non
troppo sottili e tendenti al rosso. Guardai i miei occhi che avevano un
taglio occidentale all'insù: troppo, grandi per i miei
gusti. Sorrisi scoprendo i bianchi e diritti denti.
Finito di spazzolare i capelli, posai la spazzola sulla cassettiera tra
i vari cosmetici e profumi mai o raramente utilizzati. Mi voltai verso
Jake che mi sorrise, ma non ricambiai; mi avviai verso la finestra e
alzai del tutto la serranda. La forte luce delle due e mezza del
pomeriggio di una giornata invernale con un sole, però, che
spacca le pietre, entrò di prepotenza nella mia camera e fui
costretta a socchiudere gli occhi abituati al confortevole buio
illuminato da una fioca luce.
«Dannato sole. . . » imprecai tra i denti; la mia
voce ormai era tornata limpida come quella di tutti i giorni.
Mi abituai alla luce e aprii gli occhi rilassando le mascelle e,
tornando alla cassettiera, aprii un cassetto e rovistai cercando una
vecchia maglietta rossa e un paio di jeans grigi; poi andai verso la
scrivania che si trovava accanto alla finestra e dalla sedia presi una
felpa bianca con lo zip davanti lasciata la sera prima dopo il mio
ritorno. Uscii dalla camera non curandomi se Jake mi stesse seguendo o
no; lasciai la porta aperta e mi diressi al bagno che si trovava
accanto alla mia camera. Aprii la porta e la chiusi a chiave. La luce
che arrivava dalla finestrella del piccolo bagno illuminava le
piastrelle blu con macchiette informi bianche e il vetro della doccia
la rifletteva creando piccoli cerchietti di luce sulle piastrelle.
Sopra il lavandino era fissato al muro un semplice specchio quadrato
che rifletteva la mia figura in modo limpido e perfetto. Mi lavai e
indossai gli abiti che avevo preparato. Ancora a piedi nudi scesi le
scale ed entrai in una cucina.
Jake non c'era.
Presi una tazza dall'armadietto sul piano da cucina, aprii il frigo e
presi un cartone del latte aperto il giorno prima. Posai il tutto sul
tavolo al centro della stanza e versai un po' di latte nella tazza,
quindi presi dalla dispensa accanto all'armadietto una scatola di
cereali e versai anche quelli, distrattamente, nella tazza. Presi da un
cassetto del piano cucina un cucchiaio e, senza sedermi, presi in mano
la tazza e iniziai a mangiare appoggiandomi al tavolo. Finito il
contenuto della tazza, la misi nel lavabo riempiendola d'acqua e gettai
dentro il cucchiaio; sistemai, poi, i cereali nella dispensa e il latte
nel frigo.
Ho detto che Jake non c'era, vero?
. . . ovvio, Jake era morto mesi fa . . .
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