Polvere di stelle
Polvere di stelle
di Beatrix
Il cuoricino rosso di peluche si illumina dall’interno, si
spegne per un secondo e poi si riaccende di nuovo, come un vero cuore che batte
per il proprio innamorato. La scritta bianca che vi è sopra, “mi piaci”, non è
niente di impegnativo, solo una frase carina che può regalare una piacevole
emozione.
Lei guarda l’oggetto rapita, la faccia contro la vetrina
del negozio, gli occhi neri brillanti di entusiasmo, le labbra socchiuse in un
accennato e sognante sorriso, che lascia uscire il suo caldo fiato ad appannare
il vetro davanti a lei. Il suo caldo, caldo fiato.
“Non è carinissimo?” chiede in un sussurro, e il vetro si
appanna ancora di più, inducendola a scostarsi leggermente, ma appoggiandovi i
palmi delle mani, quasi non volesse rinunciare a quel contatto.
“Sì…carinissimo” ripeto meccanicamente, ed è tutto quello
che riesco a dire, anche se vorrei farlo in un altro modo, con un’altra voce.
“Credi che gli piacerà? Non sarà troppo piccolo e banale?
Dovrei regalargli qualcosa di più…concreto? Tipo uno skate…un lettore
musicale…una felpa?”.
Le sue parole ora sono un fiume in piena, riflettono tutta
la sua ansia in quello che vede come l’appuntamento più importante della sua
vita.
“Cuore” ribadisco io senza alcun dubbio, e lei sembra
definitivamente decisa, il sorriso che le si allarga sul volto, mentre un
leggero rossore le colora le guance.
So a cosa sta pensando. A quel ragazzo con cui si è fermata
a parlare poco prima, all’uscita da scuola. Quello con i capelli neri lunghi
fino alle spalle, molte strane catene al collo, e dei vestiti curiosamente
extra-large. Non ho mai capito perché quel tipo di ragazzi non può semplicemente
comprare capi di un paio di misure più piccoli.
“Non posso ancora credere che abbia accettato di venire con
me al ballo di San Valentino!” dice, quasi tra se e se, ancora incollata alla
vetrina. “Dopo tutto questo tempo, e dopo quello che è successo l’ultima volta
che siamo usciti insieme, non ci speravo più…e invece…sembrava contento che
l’avessi invitato!”.
Io non commento, me ne sto zitto, sperando solo che non mi
chieda un parere. So mentire, l’ho già fatto in passato, ma non voglio farlo
adesso, con lei. Distruggerei quel dolcissimo sorriso che le illumina il volto
in questo momento, dicendole che a me quel ragazzo sembrava solo molto nervoso e
spaventato, appena lei gli si è candidamente avvicinata con il suo timido
invito.
“Vuoi venire al ballo di San Valentino con me?” gli ha
chiesto con un filo di voce, le mani che giocherellavano nervosamente in grembo
e lo sguardo basso. Sembrava così vulnerabile in quel momento, così fragile ed
innocente, eppure quel ragazzo, riconoscendola, per qualche assurdo motivo si è
messo subito sulla difensiva. Si è irrigidito come un tronco, mascherando però
il suo disagio con un esagerato sorriso.
“Ah, ciao…il ballo, dici? Ma certo, come no…” ha
balbettato, rilassandosi poi appena l’ha vista gioire d’entusiasmo.
E ora eccola qui, davanti a questo negozio del centro
commerciale, a sognare già quella sera, a sognare il suo principe che
l’accompagna in una romantica danza, a sognare il bacio che finalmente riceverà.
“Ma guarda un po’, qualcuno qui sta già fantasticando su
San Valentino…” commenta un’altra voce femminile che conosco bene, il tono
leggermente malizioso.
Pan si volta imbarazzata, come una bambina colta con il
dito nella marmellata, trovando i due fratelli Brief che la guardano sorridenti.
Bra ha in mano solo qualche busta griffata, mentre Trunks ha il volto appena
visibile al di là della pila di pacchi colorati che tiene in precario equilibrio
tra le braccia.
“Io…stavo appunto cercando un pensierino per il mio
ragazzo!” risponde prontamente Pan, ostentando sicurezza.
Bra sbatte un paio di volte le palpebre, per poi lanciare
uno sguardo eloquente al fratello e chiedere, con un mezzo sorriso: “Ragazzo? Da
quando in qua tu hai un ragazzo?”.
“Avanti, Bra, lasciala in pace” la rimprovera bonariamente
Trunks, nonostante il celato divertimento nell’assistere a quella curiosa
conversazione tra adolescenti. Ma Pan non sembra assolutamente turbata dalla
domanda, gonfia i polmoni e alza il mento, come non avesse aspettato altro: “In
realtà, usciamo insieme fin da prima della mia partenza per lo spazio, e ora lui
mi ha chiesto di andare al ballo di San Valentino con lui. Tu ci vieni?”.
“Il ballo che organizza il liceo? Nemmeno per sogno”.
“Cos’è, non hai trovato nessuno che ti ci accompagna?”
chiede pungente Pan, e Trunks si nasconde ancor più dietro la pila di pacchi,
incapace di trattenere un sorriso.
Bra inclina la testa da un lato, senza scomporsi.
“Veramente, ho ricevuto l’invito da più di dieci ragazzi.
Ma a me non interessa un ballo al liceo, io voglio essere portata nel più
lussuoso ristorante di West City. Credo che alla fine solo due o tre di loro se
lo potranno permettere. In ogni modo, non ho ancora scelto il fortunato, voglio
tenerli un altro po’ in sospeso…”.
“Così come eri indecisa sull’abito da comprarti, e li hai
voluti acquistare tutti in attesa di scegliere?” brontola Trunks, indicando con
lo sguardo tutte le loro compere.
“Ma cosa ti lamenti, fratellone? Avevi promesso di
accompagnarmi a fare shopping…”.
“Ma non di spendere il fatturato mensile della Capsule
Corporation in vestiti ed accessori!”.
Bra sbuffa leggermente con insofferenza, mentre lancia
un’occhiata canzonatoria al fratello: “Tanto potrai risparmiarli per San
Valentino, visto che anche quest’anno rimani a piedi!”.
Pan ride, ricomponendosi poi per non concedere troppa
approvazione alla rivale coetanea, mentre il volto di Trunks si colora di un
rosso acceso.
“Cosa vuoi che mi importi a me, di San Valentino? Io devo
lavorare, non ho tempo per queste stupidaggini, sai?” protesta lui, ostentando
fermezza ma trapelando imbarazzo. Vuole cambiare al più presto argomento, quindi
si volta finalmente verso di me, e io so che è tempo ormai di essere richiamato
all’ordine. “E tu, Gill, hai gironzolato da solo tutto il pomeriggio, non credi
sia l’ora di tornare a casa, da bravo robottino?”.
Ed eccomi qui. E’ questo che sono, un robot. Nient’altro
che un insieme di circuiti intelligenti.
Non è così che parlo, non certo nello stesso modo in cui
penso. Le capacità verbali che mi sono state istallate sono molto limitate,
sarebbe solo uno spreco di memoria, per un banale robot. Allo stesso modo,
percepisco un’immagine carina come un insieme riassemblato di pixel, una voce
dolce come un’onda sonora appositamente modulata, il fiato caldo di Pan o il suo
soffice tocco come un leggero aumento di temperatura che la mia sonda interna è
in grado di captare. Di conseguenza, ogni informazione dovrebbe essere recepita
passivamente, implementata con il calcolo di svariati algoritmi ed ogni mia
conseguente reazione dettata dal meccanismo di causa ed effetto.
Non è affatto così.
Me ne sono accorto la prima volta su M2, quando ho deciso
di stare dalla parte dei miei nuovi amici, nonostante fossi stato programmato
per tradirli. E’ stato lì che ho capito di avere libero arbitrio, e non si
trattava di una semplice anomalia del sistema, di una specie di virus che si era
generato dentro di me. Avevo delle aspirazioni mie, delle opinioni, e
soprattutto, delle emozioni.
Nessun robot ha emozioni. Non delle vere emozioni,
almeno, ma solo reazioni che possono simulare più o meno quelle umane,
funzionali solo ai nostri padroni, a far capire loro cosa stiamo elaborando o
calcolando.
Ma io sono diverso. Non so come questo sia possibile,
eppure in qualche modo lo è. Non so come sia in grado di produrre dei pensieri
elaborati non previsti nell’istallazione. Non so come possa affezionarmi a
qualcuno, come mi sono affezionato a quelle tre persone con cui ho condiviso
tante avventure e che mi hanno portato qui, sulla Terra, accogliendomi in
famiglia. Non so come possa provare sentimenti, come quelli che provo verso
questa ragazzina, che ora prende le mie difese:
“Gill non era solo, era con me!”.
“Ok, ma adesso si è fatto tardi, vorrei tornarmene a casa
prima che Bra finisca di svaligiare il centro commerciale!” puntualizza Trunks,
guadagnandosi un’occhiataccia dalla sorella.
“Non è giusto però…non me lo lasci mai tenere per più di un
giorno!”.
“Gill ha bisogno di una manutenzione giornaliera, e solo io
me ne posso occupare”.
“Sì, ma io lo faccio sempre divertire, e lui adora passare
del tempo con me, anche se ultimamente me lo lasci vedere molto di rado!”.
Bra ride, scuotendo la testa.
“Ma smettetela, sembrate una coppia separata che discute
per l’affidamento del cane!”.
“Gill…no cane!” cerco di dire con un certo sdegno, ma
purtroppo la mia voce meccanica possiede un’unica, piatta tonalità, che non può
trapelare emozioni.
“Ok, Gill, non sei un cane, ma ti sarei veramente grato se
adesso, da bravo, dici ciao a Pan e ci segui verso casa!”.
Mi volto verso di lei, verso quegli occhi scuri pieni di
vita, verso quel sorriso disarmante, che da più di un anno mi fa battere un
cuore che non esiste, ma che io sento esplodere in me quando lei mi abbraccia,
come ora, stringendomi a lei come non dovesse vedermi più per chissà quanto
tempo.
I suoi capelli sono sparsi sul mio metallo. La sua pelle è
piacevolmente calda.
Vorrei restituirle almeno in parte quel calore, che brucia
in me come una fornace, rischiando di fondermi i circuiti, ma non posso. Non ne
ho la possibilità.
“Ciao Gill. Fai il bravo, eh, e ubbidisci a Trunks. Fatti
portare più spesso da me, ok? Magari la prossima volta continuiamo quel
videogame così spassoso, o facciamo un giro sui Paoz”.
“Hai molto tempo da dedicare al barattolo, per avere un
ragazzo…” commenta Bra sollevando un sopracciglio, mentre Pan, che si stacca da
me, impiega qualche secondo per rispondere:
“Cosa c’entra…con il mio ragazzo, di solito, mi piace fare
altro!”.
“Ok, direi che è ora di andare, ciao Pan!” decide
definitivamente Trunks, che adesso ne ha abbastanza di discorsi da adolescenti.
Cerca di trascinare via la sorella e afferra per un braccio meccanico me, ma Bra
si volta di nuovo verso la coetanea.
“Comunque…se dovessi avere bisogno di una sistematina prima
del ballo…sai dove trovarmi” le propone strizzandole l’occhio, prima di seguire
il fratello.
Pan non risponde, la guarda andarsene in silenzio. Ma io lo
so che è l’orgoglio che la frena, ho imparato a conoscerla fin troppo. Vuol far
intendere di essere sempre capace di badare a se stessa, di farcela da sola in
ogni situazione, mentre invece ha costantemente bisogno di appoggio, di
riferimenti, di approvazione.
E’ Pan, tutta meraviglie e difetti, sole e luna, terra e
cielo.
E’ Pan, e io, robottino di M2 conosciuto comunemente come
Gill, ho la sventura di amarla.
* * *
San Valentino, pomeriggio. Il sole si avvia lento verso
l’orizzonte scarlatto, le nubi si sfilacciano pigramente al di sopra dei monti
Paoz ancora innevati, che ora riflettono le mille sfumature del crepuscolo.
Nella cameretta filtra ormai solo una tiepida luce, ma è a
quella artificiale che si affidano le due ragazze, una seduta, l’altra in piedi
davanti a lei, mentre io mi muovo silenzioso a mezz’aria, in modalità di
risparmio energetico, ma ancora capace di captare gli stimoli esterni.
Pan continua a muoversi nervosa, nonostante Bra le imponga
di stare ferma, alzandole di volta in volta il mento, per poter lavorare meglio.
Le sta distribuendo sulle palpebre una lucente polvere argentata. Ombretto, si
chiama. Credo che le ragazze lo usino per essere più belle.
Non capisco perché Pan lo usi, però. Lei è già bella così.
“E va bene!” esclama d’un tratto, facendo sbavare a Bra il
tratto che le sta disegnando intorno agli occhi con una matita nera. “Non è il
mio ragazzo, siamo usciti insieme solo una volta prima che partissi per lo
spazio…e sto ancora aspettando di essere baciata!”.
Un sorriso malizioso si disegna sul volto dell’altra, che
tuttavia continua il suo lavoro con professionalità.
“Allora è per questo che sei così agitata…” commenta. “Devi
rilassarti, c’è sempre una prima volta…”.
“Tu non capisci!” la interrompe violentemente Pan,
aggrappandosi alla maglia dell’altra, guardando su verso di lei con occhi
carichi d’ansia. “Lui mi ha mollato a metà appuntamento perché si era
spaventato…di come ho sistemato un gruppo di rapinatori. E non è la prima volta,
è già successo con altri ragazzi. E’ una maledizione! Non riuscirò mai a
concludere un appuntamento, ad arrivare al momento del bacio! Rimarrò non
baciata a vita!!”.
“Ma smettila!” la rimprovera Bra, facendola ricomporre e
riprendendo il trucco, che ora passa alle labbra. “Il tuo problema, è che devi
imparare a controllarti. Non puoi sempre fare quello che ti passa per la testa,
comportarti come fossi in un campo di battaglia. Maledizione, sei una ragazza!
Comportati da tale! E’ questo che i ragazzi vogliono…una ragazza bella, elegante
e delicata”.
Si scosta da lei, la invita ad alzarsi. La conduce allo
specchio a parete, che ora riflette la sua intera figura.
Pan si guarda, socchiudendo le labbra con stupore. I suoi
occhi brillano di sorpresa e meraviglia.
Passa lo sguardo sul lungo vestito blu color della notte,
sul suo brillante ciondolo di zaffiro, sul volto truccato che la fa sembrare non
più carina di quanto sia già, ma solo più grande, più donna. I suoi capelli
hanno acquistato un piacevole effetto bagnato, impreziositi a ciocche da un
glitter argentato, che la fa sembrare quasi una fata, una piccola creatura
fiabesca.
“Ai ragazzi devi far vedere quello che vogliono loro. Ed è
questo che il tuo ragazzo vuole vedere, questa la Pan che devi fargli desiderare
fino a fine serata, e quel bacio sarà tuo, te lo posso garantire” gli sussurra
all’orecchio, e Pan sorride emozionata al solo pensiero, un vago imbarazzo che
traspare dai suoi tratti, gli occhi sognanti, luminosi come pietre.
Mi sento come se tutti i miei circuiti stessero per
fondersi. Sento il metallo di cui sono fatto che comincia a riscaldarsi. So che
non è reale, ma è come se lo fosse.
“Toc toc, è permesso?” si intromette una voce maschile al
di là della porta. “Non vorrei essere insistente, ma se devo accompagnarti a
questa specie di ballo, nipotina, ti pregherei di sbrigarti, anch’io avrei
progetti per stesera!”.
Ricevendo il permesso di entrare, Goten apre uno spiraglio
della porta, affacciandosi cautamente. Ben presto il suo volto si colora di
sorpresa, mentre scruta Pan con incredulità:
“Chi sei tu! Cosa hai fatto a mia nipote!”.
Lei sorride compiaciuta, Bra ride divertita: “Merito mio…se
mi ci metto, riesco a recuperare anche il caso più disperato!”.
Ora la faccia di Pan si rabbuia, e lancia all’altra
un’occhiata offesa, ma quella lo nota a malapena, concentrandosi invece sul
nuovo arrivato: “E quali sarebbero questi tuoi progetti per stasera?” chiede
curiosa, non riuscendo a trattenersi.
“E’ San Valentino, che altro se non una serata romantica
con la mia ragazza?”.
“La solita?”.
“Sì, la solita. So che a te può sembrare strano, Bra, ma
non tutti fanno usa e getta con i fidanzati, spesso i rapporti possono durare!”.
Ora è Bra quella offesa, anche se lo maschera con
un’espressione spavalda, mentre cambia rapidamente argomento: “Beh, direi che il
mio lavoro qui è finito…cerca di non sbavarti il mascara, o mi distruggi il
capolavoro!”.
“Bra…ecco, io…grazie, grazie mille” mormora Pan
sinceramente.
“Non ringraziarmi. Lo sai che io non faccio mai niente per
niente. Ti ricordo che in cambio hai promesso di dire a mio padre che oggi sono
venuta qui per allenarmi con te, che ci siamo battute fino allo sfinimento e che
alla fine ti ho sconfitto”.
“Solo se otterrò quello che sai”.
“Consideralo già ottenuto”.
Le strizza l’occhio in modo cospiratorio, recupera il
giubbino piumato e la borsetta griffata, si avvia alla porta. Spero che si
dimentichi di me, spero che abbia in testa solo il vestito da mettere quella
sera, solo il locale esclusivo dove lo sfortunato di turno si brucerà la
paghetta mensile…lo spero con tutte le mie forze…
“Andiamo, barattolo” mi chiama invece, quasi con fatica.
“Ghiro-ghiro”.
Non so come altro esprimere il mio disappunto, se non
piantandomi in un angolo sfrigolando sommessamente.
“Gill può rimanere con me, stasera” propone Pan, ed è come
se il mio inesistente cuore si aprisse di gioia. “Posso portarlo con me al
ballo…non darà fastidio a nessuno!”.
Bra la fissa come se avesse appena parlato in una lingua
sconosciuta, o come se d’un tratto avesse perso la ragione iniziando a
farfugliare. Poi scuote le spalle, con noncuranza.
“Ok, per me puoi portartelo dove vuoi…ma se Trunks poi fa
storie, è colpa tua!” avverte. “Adesso scappo, anch’io avrei progetti per
stasera!” annuncia, rivolta in particolare a Goten, che le lancia in risposta un
sorrisetto canzonatorio.
Il mio primo San Valentino. La mia prima serata con Pan.
Bum bum, bum bum.
Cos’è che batte, se non un cuore?
* * *
Sera di San Valentino, air-car di seconda mano di Goten,
tragitto verso il liceo. Io me ne sto in silenzio sul sedile posteriore, vicino
alla rosa rossa che lui ha fatto confezionare per la sua ragazza, un dono
semplice ma d’effetto. Nemmeno davanti, però, c’è molto dialogo. Pan ha lo
sguardo basso, mentre le luci dei lampioni accesi le scorrono sul volto,
evidenziando una leggera tensione dei tratti, le mani che giocherellano senza
sosta con una piega del vestito.
Goten si volta finalmente verso di lei, fissandola con un
benevolo sorriso: “Nervosa?”.
Lei sorride, limitandosi ad annuire debolmente.
Probabilmente teme di sembrare ridicola allo zio, di essere considerata la
solita ragazzina infantile ed inesperta, quella che teme un semplice
appuntamento con un ragazzo come la prova più ardua della sua vita, lei che ne
ha passate di molte peggiori. Ma non c’è ombra di derisione sul volto di lui,
solo affettuosa comprensione.
“Non devi essere nervosa. Sei uno schianto, stasera, tutti
gli occhi saranno per te. No, non ti sto prendendo in giro, è la verità”.
L’air-car si ferma davanti al liceo. Alcune eleganti coppie
stanno già risalendo la scalinata, mano nella mano. Una serie di palloncini a
forma di cuore addobba l’ingresso, dal cui interno giungono le note di una
romantica ballata.
L’ansia sale, è quasi palpabile negli occhi di lei, mentre
vorrebbe trattenersi ancora un po’ nell’auto, spaventata, confusa, impacciata.
Goten si sporge verso di lei, regalandole un affettuoso
buffetto sulla guancia.
“Ehi, piccolina. Capisco il vestito, il trucco, i capelli,
tutte queste cose che fanno sentire più a posto le ragazze…ma spesso, sai, basta
essere semplicemente quello che si è, e chi veramente vale saprà apprezzarlo”.
Pan sorride allo zio, abbracciandolo.
“Buon San Valentino, zio Goten”.
“Buon San Valentino, nipotina. Spero solo che quello che
hai intenzione di ottenere stasera, quella cosa di cui parlavi con Bra, non sia
niente di cui dovrei preoccuparmi” dice sospettoso ma complice, mentre Pan ride,
ora più rilassata. “E tu, Gill, fa’ il bravo, e se qualcuno ti domanda qualcosa,
dì semplicemente che sei solo un robottino domestico…anzi, un robottino
autista!”.
Registro l’informazione, anche se non capisco fino in fondo
perché dovrei mentire. Ma ormai ho imparato quanto siano diffuse le menzogne tra
i terrestri, spesso è proprio quello che loro vogliono sentire, quello che fa
stare loro tranquilli e sereni.
Pan scende dall’air-car, inciampando con i tacchi a cui non
si è ancora abituata. Trae un profondo respiro, fissando l’ingresso al ballo
emozionata, gli occhi brillanti di aspettativa. Blu come quella sera di
Febbraio, sembra fondersi con il cielo, e le luci dell’edificio la fanno
risplendere d’argento.
Sembra una favola, una di quelle con balli, principesse e
scarpette di cristallo.
“Gill, io vado a cercare la persona con cui ho
appuntamento…tu gira pure quanto vuoi, ci rivediamo a fine serata”.
Ecco. Per me la favola è finita qui. D’altronde, cos’altro
potevo aspettarmi…
Io sono solo il cocchiere.
* * *
Me ne vado a spasso per la festa, levitando a mezz’aria tra
le giovani coppie di ballerini, che di tanto in tanto mi danno qualche violenta
spinta mentre si scatenano al ritmo della musica.
“Togliti di mezzo, stupido robot!” mi urla contro qualcuno,
anche se è stato lui a venirmi addosso.
“Ghiro-ghiro” protesto sommessamente, ma me ne volo via
veloce, abbassandomi poi rasoterra, dove posso essere notato di meno. Mille
coriandoli argentati giacciono sul pavimento ormai sporco, mentre decine e
decine di piedi, tacchi a spillo, scarpe maschili con fibbie lucidate, si
muovono veloci, saltano, scalciano. Mi rendo conto che quaggiù, per me, è ancora
più pericoloso.
Non importa la quota a cui posso volare, loro non mi vedono
e basta. Non mi considerano proprio, se non come un impiccio nella pista da
ballo.
Anche Pan, ormai, non è più nel mio raggio visivo. Chissà
cosa sta facendo, chissà come se la passa con il suo bel principe azzurro.
Immagino il suo sorriso caldo, il suo entusiasmo, l’eccitazione che era
cresciuta in lei per tutta la sera, e non posso che esserne felice.
Scandaglio velocemente la sala, notando che negli angoli
più remoti e ombrosi, alcune coppie si baciano turbinosamente, come invasi da
una fame insaziabile. Ormoni adolescenziali, mi suggerisce la mia
enciclopedia interna, ma mi rifiuto di credere che un bacio possa essere solo
questo, solo un insieme di stimoli chimici. E’ solo di questo tipo l’esperienza
che Pan desidera così ardentemente? No, ne sono sicuro. Un bacio deve essere
molto di più di ormoni e recettori.
Eppure, anche lei ed il suo giovane cavaliere potrebbero
essere tra quelle coppie abbarbicate negli angoli, e di certo non sarebbe carino
fissarli troppo. Sono un robot, è vero, ma non per questo non conosco i concetti
di discrezione e rispetto. Se non me li hanno installati i miei creatori, li ho
di certo imparati da solo, insieme a tanti altri valori, grazie alle persone
delle quali mi sono circondato negli ultimi mesi.
Mentre mi sposto cautamente attraverso quel caos di braccia
e gambe in movimento, cercando di mantenermi il più possibile vicino al muro, i
miei sensori vengono catturati da qualcosa di luminoso che attraversa il buio
fuori dalla finestra. Si tratta di un secondo, una scia sottile e argentata che
cade dal cielo. Quando tocca il suolo, in un punto imprecisato dietro il cortile
della scuola, nell’aria si diffonde un intenso bagliore, che poi si attenua
lentamente.
Nessuno sembra aver notato quell’inusuale fenomeno. Nessuno
pare interessato a qualcos’altro che non sia la musica inebriante che rimbomba
nella sala, le luci psichedeliche del soffitto, i volti esaltati dei compagni.
Io, invece, ne sono stato a dir poco catturato. La
curiosità è un altro concetto nuovo per i miei circuiti, eppure adesso sono
attratto con forza verso quel bagliore d’argento, che mi conduce ad esso come un
magnete, come una forte calamita.
Esco dalla sala tramite una porta secondaria, mi tuffo nel
buio della notte, rischiarata solo dalla luna e dalle stelle. La luce si è
affievolita molto, sta decadendo in fretta, ma non ho difficoltà a capire che il
punto d’impatto di quella piccola meteora si trova proprio lì, al di là della
siepe che delimita il parco.
La supero in volo velocemente, ma sobbalzo, facendo
meccanicamente un salto indietro, non appena mi trovo proprio davanti quella
candida pozza di luce.
Una creatura d’argento vestita, la fisionomia di un
folletto, ma con le armoniose forme di una donna, in ginocchio sull’erba umida.
Alza la testa, rivolgendomi un luminoso sorriso, mentre dietro la sua schiena si
aprono con grazia due candide ali da libellula.
E’ una visione così bella, così abbagliante e così
ultraterrena da togliere il fiato persino ad un robot.
“Felice sera, mio piccolo fratellino”.
La sua voce è straordinariamente musicale, quasi una nota
suonata da un’arpa. Non so perché mi chiama così, o perché non è affatto
sorpresa di vedermi, ma sento che non può farmi alcun male.
“Gill…aiuta te?” chiedo, rendendomi conto, con un certo
imbarazzo, quanto la mia meccanica voce stride in confronto alla sua. Se potessi
arrossire, adesso lo starei facendo.
Lei sorride ancora, alzandosi in piedi con un movimento
lento e delicato, quasi fosse immersa in una bolla d’acqua.
“Non ho bisogno d’alcun aiuto, invero. Sto solo seguendo il
mio corso, fratellino, come ogni altra cosa. Ma mi lusinga molto che tu sia
venuto qui per me. Tutti sognano di vedere una stella cadente, la attendono, la
reclamano, ma nessuno poi si chiede mai che fine faccia dopo che è caduta”.
La sua figura risplende ancora, un bagliore candido,
pulsante, freddo e caldo allo stesso tempo.
“Tu…stella?” chiedo, incapace di dominare la curiosità.
“Oh sì, lo ero” risponde piano, con naturalezza. “Forse un
giorno lo sarò di nuovo, oppure sarò qualcos’altro. Adesso, però, sono solo
Raya. Tu invece chi sei, fratellino?”.
“Io…robot domestico…anzi…robot autista!” rispondo
prontamente, ricordando l’avvertimento di Goten.
La fata scuote la testa, ridendo leggermente: “Non ti ho
chiesto cosa sei, ma chi sei” specifica. “Siamo tutti figli della
stessa scintilla. Prendiamo forme diverse, che possono cambiare o rinnovarsi
all’infinito, ma il nostro io più vero rimane sempre immutato, vivo e luminoso
anche nella forma più umile. Al contrario, molte belle e facoltose forme sono
prive di vita, completamente vuote. Non è il tuo caso, fratellino, perché in te
sento un tale pulsare di vita da illuminare l’intera notte”.
Rimango in silenzio, confuso e frastornato, cerco di far
lavorare i miei circuiti ma tutto ciò non sembra avere una spiegazione
razionale, sembra tutto troppo impossibile. Nessuno aveva mai parlato di “vita”,
riferendosi a me.
“Gill” rispondo, mentre lei mi abbaglia con un candido
sorriso:
“E allora, Gill, sono pronta per esaudire il tuo più grande
desiderio”.
Sono a dir poco pietrificato. Ho viaggiato tra le stelle
per collezionare le sette magiche sfere, permettere a qualcun altro di esprimere
un desiderio, ma mai, dico mai, ho mai pensato a cosa avrei potuto desiderare
io. Forse perché i robot sono creati soltanto per dare, e mai per ricevere.
Questo è l’unico dogma che non mi sono mai permesso di
infrangere, almeno fino ad ora.
“Io…no desideri”.
Lei mi sorride dolcemente, ma i suoi occhi di un colore
indecifrabile sembrano penetrarmi con un’incredibile saggezza.
“Ne sei davvero sicuro? Non c’è qualcuno, a cui tanto
tieni, che vorresti rendere felice, stasera?”.
“Ghiro…ghiro…”. Sono imbarazzato, non mi aspettavo che
potesse conoscere i miei pensieri, che non sono nemmeno pensieri, ma elaborati
algoritmi. “Lei…già felice, stasera, senza Gill”.
“Lo credi veramente?” sussurra, con una nota di tristezza,
mentre disegnando nell’aria un cerchio immaginario, mi mostra qualcosa che i
miei sensori non vedono.
Ed eccola là.
Sembra di essere lì, accanto a lei, mentre si fa strada tra
le coppie danzanti, gli occhi che scandagliano la sala, vigili e attenti, ma
anche colmi di emozione.
Scommetto che il suo cuore sta battendo all’impazzata, ora
che sembra aver intravisto una familiare testa corvina, a cui si avvicina
eccitata. Ma il suo sorriso, ahimé, svanisce all’improvviso, mentre realizza che
il suo tanto atteso cavaliere sta danzando con un’altra ragazza.
Una deliziosa biondina dai lineamenti perfetti e dalle
curve già fiorenti, che nonostante il ritmo sostenuto della musica è avvinghiata
a lui come una piovra, e lui non sembra affatto dispiacersene: la guarda negli
occhi maliziosamente, aspettando il momento migliore per baciarla.
“Bene, eccoti qua!” esclama Pan acidamente, intromettendosi
con violenza nella visuale del ragazzo.
Questo si irrigidisce di colpo, mentre alzando la testa
dalla sua preda la mette velocemente a fuoco, ed il suo viso si infiamma di
panico e vergogna.
“Ah…ciao” balbetta, mentre la biondina, notando
l’esitazione del suo cavaliere, si volta lentamente, fulminando Pan per quella
brusca interruzione.
“Cos’è, avevi paura a dirmi subito che avevi già una
compagna per il ballo?” chiede Pan senza troppi preamboli, avvicinandosi e
urlandogli in faccia per sovrastare la musica.
Lui pare boccheggiare come un pesce per qualche secondo,
poi ammette, deglutendo: “Sì, è vero, avevo paura! Temevo che se avessi
rifiutato potessi comportarti come l’altra volta, quando dovevamo andare al
cinema!”.
Pan lo guarda solo un attimo, scuotendo poi la testa.
Nonostante il terrore visibili negli occhi del ragazzo, non c’è né rabbia né ira
nello sguardo di lei, solo sdegno e delusione. Si allontana in fretta, prima che
i suoi occhi si riempiano di lacrime.
Potrebbe far esplodere l’intera sala con l’innalzamento del
suo potere, o mettere tutti a tacere con un grido di rabbia da sajan impazzito.
Ma non ne ha la forza.
E nemmeno riesce ad abbandonare tutto e correre in lacrime
a casa. Sarebbe una sconfitta di fronte alla sua famiglia, e di fronte a se
stessa.
Tutto ciò che può fare è ritirarsi in disparte, lasciando
colui che doveva essere il suo cavaliere un po’ confuso e frastornato, ma ben
lieto di riprendere il ballo con la sua bambolina.
Si allontana verso i limiti della pista da ballo, verso la
finestra che si apre nell’oscurità. Se non altro, voltata di spalle alla folla,
nessuno può vedere i suoi occhi inumidirsi, mentre una lacrima le sguscia via
silenziosamente.
“Gill…vuole Pan felice!” esclamo senza più ombra di dubbio,
ora che so come stanno veramente le cose. Non sono mai stato più certo di
qualcosa come adesso.
La fata-stella mi fissa qualche istante, prima di parlare
con la sua voce musicale: “So quello che intendi, mio piccolo fratellino, ma il
desiderio è tuo, sei tu che mi hai trovato. Dovrete essere felici entrambi, e tu
sai che c’è un solo modo perché questo sia possibile”.
Bum bum, bum bum.
Di nuovo quelle immaginarie palpitazioni, di nuovo quella fitta
interiore, quasi abbia davvero delle membra che si attorcigliano per l’emozione.
Ho capito cosa intende Raya, forse l’ho sempre saputo, ma solo ora la piena
consapevolezza di ciò si fa strada dentro i miei circuiti con un’impensabile
violenza. Senza rendermene conto inizio a ronzare sommessamente, come in un
sovraccarico di operazioni.
Lei mi rivolge un sorriso tiepido, velato di tristezza.
“Credo che tu debba sapere, però, che non potrà durare
molto” mi ricorda, ben decisa a smorzare il mio entusiasmo. “E’ una variazione
all’equilibrio delle cose, al loro naturale percorso, ai loro cicli predefiniti.
Devi tenerlo ben presente, prima di decidere. Un cieco dalla nascita non sente
la mancanza della vista, finchè non ha provato a vedere, anche per pochi
attimi…”.
…Ma probabilmente sarà disposto a tutto pur di avere
quei pochi attimi di luce, continuo mentalmente, e Raya sembra capire,
perché il suo sorriso si fa più disteso, più accondiscendente. Adesso, mi sembra
di nuovo di vivere in una favola, dove sono io il protagonista.
“Sei pronto?” mi chiede, come un suono di campane che mi
echeggia dentro.
E’ una vita che lo sono, vorrei rispondere, mentre
la mia fata soffia piano verso di me, e io vengo avvolto in una nuvola soffice e
densa come zucchero filato.
Bianco e giallo…verde e azzurro…arancio e rosso…
Un arcobaleno di colori, una miriade di fuochi artificiali,
un universo di stelle che brillano in galassie vorticanti…
Un’esplosione, come di una supernova.
Di nuovo la festa, la musica, le luci, i ragazzi che
ballano. Questa volta, però, nessuno mi considera un intruso, nessuno mi lancia
calci o gomitate. Mi faccio strada tra la folla senza problemi, riesco a
guadagnarmi il mio spazio.
Non importa quanto sia alto o basso, non importa di che
colore siano i miei capelli o i miei occhi.
Sono uno di loro, adesso. Ho anch’io un cuore che batte, un
cuore vero.
Ed eccola lì, di spalle, lo sguardo al di là del vetro,
nella notte.
Un brivido mi attraversa…per la prima volta.
Mi avvicino piano, senza sapere bene cosa fare, o forse
sapendolo benissimo.
Sono dietro di lei. Le appoggio delicatamente una mano
sulla spalla.
Lei si volta lentamente, alzando verso di me i suoi
scurissimi occhi lucidi di pianto.
Farfalle nello stomaco, adesso posso dire così.
Chissà cosa vedono quegli occhi, d’altronde non può avere
idea di chi io sia. Non so come possa ritrovare di nuovo fiducia in qualcuno,
uno sconosciuto peraltro, eppure chiude gli occhi tristi e mi getta le braccia
intorno al collo, come fossi un solido appiglio.
E lo sono, in realtà. Finalmente posso esserlo.
Mentre la disco music continua a martellare nella sala e
tutti quanti si scatenano frenetici, noi siamo stretti l’uno all’altra, i nostri
piedi si muovono appena, facendoci dondolare lentamente, quasi stessimo ballando
un piacevole lento che noi soli siamo in grado di sentire.
Il volto di lei è affondato nell’incavo del mio collo, le
mie mani indugiano qualche momento prima di scendere a cingerle la vita.
Affondo il naso nei suoi capelli, assaporando a pieni
polmoni il suo profumo.
Niente circuiti, niente algoritmi…solo un turbine di
emozioni che arriva dritto ad un cuore, e lo fa battere con violenza in un
petto.
Il cielo è una volta stellata, bello e suggestivo come un
velluto cosparso di diamanti.
Ci troviamo sul balcone più panoramico della scuola, quello
dell’aula di educazione artistica. Si apre a est, verso i confini della città,
oltre i quali l’orizzonte è segnato dalle marcate linee dei Paoz. Niente
lampioni, niente luci cittadine che possano offuscare questa meravigliosa notte
di Febbraio.
Sparsi per il terrazzo ci sono ancora i rimasugli dei
preparativi per la festa, ritagli di cartelloni colorati, scarti di striscioni e
palloncini da gonfiare.
Non so come ci siamo ritrovati qui, forse in un comune
intento di fuggire dalla bolgia della sala da ballo.
Ci teniamo per mano, mentre ci avviciniamo alla balconata.
Non mi ha chiesto niente, nemmeno il mio nome. Sembra non
importargliene nulla, desidera solo che rimanga con lei, e a me va bene così.
Alza lo sguardo verso il cielo, l’espressione assorta.
“Le stelle sono una delle cose più belle che esistono…non
trovi?”.
Annuisco, ho il terrore che la mia nuova voce appaia roca e
gracchiante per il primo utilizzo in assoluto, e invece esce fuori solo un
morbido timbro da adolescente: “Sì, sono meravigliose”.
Passa qualche altro attimo di silenzio, per niente
imbarazzante.
“So che non ci crederai mai, ma io ne ho viste qualcuna
anche da vicino” mi rivela con sincerità.
“Certo che ci credo…perché non dovrei?” controbatto
dolcemente. “Anche io ci sono stato, tra le stelle”.
Lei si volta verso di me e sorride, con quel suo stupendo
sorriso, e io le sorrido a mia volta. Non so se è più divertita da quella che
pensa sia una battuta, o lieta del fatto che io non l’abbia considerata pazza
per la sua.
Si volta di nuovo verso il cielo: “Da qui offrono uno
spettacolo così bello e…romantico. Da vicino invece, sembrano mostri in procinto
di ingoiarti”.
Mi stringe impercettibilmente la mano, come per rafforzare
il legame.
“La bellezza e la pericolosità possono essere due facce
della stessa cosa” affermo io istintivamente. “Dipende solo da che punto di
vista la guardi, dalla prospettiva che poni tra te e lei. Così come la forza e
la tenerezza…”. Giocherello con le sue dita, accarezzandole poi il dorso della
mano, ed il contatto con la sua pelle calda mi inebria di piacere. “…possono
appartenere alla stessa persona senza per forza essere scisse”. Raccolgo da
terra un flaconcino di porporina argentata, abbandonata lì insieme a matite e
pastelli. “Quello che voglio dire, è che puoi mostrarti in tanti modi diversi,
ma resti sempre tu…e sarai amata sempre e comunque per quello che sei”.
“Come le stelle?” mi chiede timidamente.
“Sì, come le stelle…saranno sempre belle, come gigantesche
sfere di fuoco, come puntini luminosi nel cielo…o semplicemente come polvere
d’argento”.
Mi verso sul palmo una manciata di porporina, e la getto
alta sopra di noi. Lei guarda in alto divertita e affascinata, mentre una
pioggia argentata comincia a cadere lenta su di noi.
Io invece non ho tolto gli occhi da lei nemmeno per un
attimo, e quando anche i suoi ritornano su di me, sappiamo entrambi quello che
accadrà.
La sua espressione emozionata si vela di un pizzico di
ansia. Forse teme di non sapere cosa fare, mentre i nostri volti si avvicinano,
di non sapere come mettere le labbra. Che cosa dovrei dire allora io, che le
labbra le ho solo da un’ora?
Eppure, tutto succede da se, in modo straordinariamente
naturale, ed è semplicemente perfetto.
E’ l’istinto che ci guida, che ci lascia andare in
un’esperienza nuova per entrambi, e voluta da entrambi con la stessa intensità.
Una miriade di emozioni ci avvolge, dolce, tenera e
delicata come una brezza.
Bum bum, bum bum.
Adesso è reale, adesso è vero.
Ma c’è qualcos’altro di maledettamente reale, oltre ai
battiti violenti del mio cuore. Sono i primi rintocchi del campanile di Satan
City, che annunciano senza pietà la mezzanotte incombente.
E come tutte le favole che si rispettano, questa è l’ora in
cui il sogno finisce.
“Devo andare” le sussurro con dolcezza, scostandomi
delicatamente da lei, che si acciglia confusa, e io mi affretto ad aggiungere:
“Ci vediamo domani”.
Faccio per allontanarmi di corsa, ma le sue parole cariche
d’ansia mi inducono a rallentare.
“Damani…domani dove?”.
“Nel cortile della scuola…alla fontana” improvviso,
voltandomi indietro.
“Promesso?” mi chiede implorante. Il suo volto è un
affresco di emozioni in conflitto, arrivate tutte insieme, senza aver avuto il
tempo di assemblarle.
“Promesso” rispondo con un sorriso, in cui cerco di
trasmetterle tutto ciò che mi sarà possibile, perché sarà l’ultimo che vedrà.
Poi me ne vado, lasciandola immobile e silenziosa sotto alla volta stellata.
La supernova si riaddensa, si schiaccia, si compatta. Con
un boato cosmico implode di nuovo su se stessa, lasciando spazio ad un buco
nero.
Chissà, forse da lì potrebbe nascere una nuova stella.
* * *
Mattina del giorno dopo San Valentino, cortile della
scuola.
Pan è seduta sulla fontana già da un paio d’ore. Ha deciso
di saltare le lezioni, pur di essere lì.
Io le sono accanto in silenzio da altrettanto tempo. A dire
la verità, quando è arrivata qui io c’ero già, ma mi ha badato appena. Mi ha
salutato con un breve sorriso, sedendosi poi sul bordo di marmo in attesa, gli
occhi che scrutavano intorno.
Sono passati i minuti e le ore, ma ha continuato ad
aspettare.
Solo ora, che le lacrime cominciano a sgorgarle dagli
occhi, prima piano, isolate, poi rompendosi in un pianto sommesso, forse
comincia a rendersi conto di aspettare qualcuno che non arriverà mai.
Non arriverà perché è già lì con lei, ma questo non può
saperlo.
Quanto vorrei poter fare qualcosa per lei, poterle dire
come stanno davvero le cose. Ma qualunque cosa dica o faccia, di sicuro
rovinerebbe tutto quanto, distruggerebbe quel breve sogno che abbiamo condiviso
insieme.
Solo una cosa posso fare, solo una, che può dire tutto e
niente.
“Pan…Pan, non piangere” le dico, con la mia voce metallica
che tanto ho odiato, ma che adesso accetto finalmente come parte di me.
Lei mi guarda appena, aprendosi un varco tra le dita
portate a coprire il volto in lacrime.
Non mi illudo di poter cambiare le cose, in questo modo, né
di alleviare il suo dolore. Non mi illudo nemmeno di spingerla a capire qualcosa
che nemmeno potrebbe, e che forse è meglio che non possa. Voglio solo poterla
consolare con un messaggio positivo e rassicurante.
Allungo il mio piccolo braccio semovibile verso di lei,
aprendo il palmo della mia mano metallica. Ho qualcosa sopra, che cattura
improvvisamente la sua attenzione, inducendola a reprimere per un momento i
violenti singhiozzi che scuotono il suo corpo e a spalancare gli occhi per la
sorpresa e, forse, un briciolo di sollievo.
Una manciata di porporina argentata.
Polvere di stelle.
Fine
|