Piccola nota dell’autrice
Ciao a tutti, sono
Ginevra(ma va’… ndTutti), [forse] conosciuta anche come Lycia Potter. Questa
storia l’ho scritta un po’ di tempo fa. A dire il vero avevo scritto solo una
traccia e un’ipotesi di qualche capitolo,
poi avevo lasciato stare. L’ho ripresa in mano e ho deciso di pubblicarla.
Spero davvero che vi piaccia!!
Di solito la
fantascienza non è il mio genere, ma ho voluto provare. E’ stata la mia prima
fanfic originale, a parte APOCALYPSE; ma questa è venuta prima. Spero davvero
che vi piaccia!! Lasciatemi una recensione, anche piccola piccola, e voglio che
siate davvero cattivi(se fa proprio schifo però ditemelo con delicatezza, il
mio cuore potrebbe non reggere ^_^). Dunque, se avete delle critiche, criticatemi,
criticatemi, criticatemi!!! E’ l’unico modo per migliorarsi. Detto
questo…tranquilli fra poco vi lascio alla storia…allora, il primo
capitolo(scusate gli eventuali errori, se mi sono sfuggiti!) spiega poco e
niente, cioè, getta le basi per la storia, ma è una mia scelta, perché
preferisco spiegare man mano, andando avanti. Spero davvero che il mio stile di
scrittura non sia pesante, mi piacerebbe che risultasse gradevole e scorrevole.
Io scrivo seguendo delle idee e delle emozioni, e vorrei che quello che provo
arrivasse anche a voi, pur attraverso uno schermo. Può darsi che non sia così,
spero vivamente di sì, ma in caso non lo fosse, cercherò di migliorare(ecco
perché le critiche sono importanti!) Un’altra cosa, i personaggi. Ho cercato di
caratterizzarli al meglio. Generalmente li creo dopo aver fatto una scaletta di
storia, e le idee per caratterizzare un determinato personaggio mi vengono nei
momenti più diversi della giornata, per esempio, guardando un film, o una foto,
o leggendo un libro, o grazie ad una parola, o nella lezione di filosofia…molto
probabilmente voi starete dicendo “e a me che me frega..” (‘^_^) tutto questo
per dire che spero di averli caratterizzati bene. Odio creare delle Mary-Sue,
anche se effettivamente dal primo capitolo non è che si capisca subito un
personaggio e le sue sfaccettature(anzi alcuni personaggi non li capirete per
un bel po’, eh eh..), ma un impatto iniziale si dovrebbe cominciare ad averlo.
Detto questo,
vorrei dire che qualunque cosa, fatto, luogo o persona citata non è per niente
casuale. :PPP Scherzavo, è puramente casuale, mi serve solo per dare spessore o
per specificare qualcosa.
Ultimissima cosa,
anche se in ogni capitolo dovrete sorbirmi:P, devo assolutamente fare i
complimenti a tutti gli scrittori del sito, ma in particolare a: Noesis, L_Fy,
Mucchilla_Cinghillo(scritto giusto) LadyofDarkness e Luna Malfoy per le
stupende fanfic che scrivono! *.*
Siete grandi!!
Appena ho due minuti passo a farvi una recensione, promesso! Di solito le mie
sono chilometriche quindi preparatevi! ^_^
Detto questo vi
lascio alla storia, spero vi piaccia e mi raccomando, RECENSITE RECENSITE
RECENSITE!!!
Beyond The Twilight
Alla vigilia dell’anno 2046, i ghiacciai dei circoli polari
avevano cominciato a sciogliersi.
Alla vigilia dell’anno 2100, il mondo cominciava a cambiare la sua
fisionomia.
Alla vigilia dell’anno 2470, la parte abitabile del mondo era
quella dell’emisfero boreale. L’emisfero australe era un’enorme distesa di
ghiaccio e deserto. Il caldo torrido si alternava al freddo glaciale. In quella
parte del mondo non c’era vita.
Alla vigilia dell’anno 2879, tutta la popolazione mondiale si era
trasferita nella parte abitabile del mondo. I mari non esistevano più. Solo
un’oceano, l’unico esistente, lambiva le coste dell’una e dell’altra parte
della Terra.
Si raccontava che guardandolo di sera, nei primi anni della sua
formazione, si poteva vedere il tramonto.
Per questo era stato chiamato Twilight.
La parte abitabile del mondo si estendeva per vari dei vecchi Stati,
passando per l’America, l’Europa e la Russia. Il clima era temperato. Non si
conosceva la neve. Quando nevicava era prudente starsene al riparo in casa,
visto che spesso piovevano cristalli di ghiaccio taglienti. Il cielo era per
miracolo ancora azzurro, ma di un azzurro sbiadito, quasi tendente al grigio.
Alla vigilia dell’anno 3000, quasi tutto il Mondo Abitabile era
stato civilizzato in immense città. La più grande era circa il quintuplo di New
York. Questa città fu chiamata Born, per simboleggiare la nascita di una nuova
era. Il Governo non aveva revocato il permesso di fare esperimenti chimici e
nucleari nei laboratori di altissimo livello. Esperimenti i cui fumi tossici si
disperdevano nell’aria. Il buco nell’ozono non c’era più, visto che non esisteva
più l’ozono. Per fortuna, un misterioso mandante fornì ai laboratori del
Governo una formula di Ozono creata in laboratorio, e almeno questo problema fu
risolto. Il Presidente mandò i suoi uomini più fidati a capeggiare le altre
città.
Alla vigilia dell’anno 3005, un giornalista di nome James
Elvergard scrisse un articolo secondo
cui il Presidente e alcuni laboratori stavano creando la formula per la vita
eterna e stavano testando la medesima su delle cavie umane, a insaputa delle
stesse.
Non si sentì più parlare di lui. Qualche mese dopo, su un giornale
apparve una sua presunta pubblicazione in cui diceva di essersi ritirato e di
vivere una vita tranquilla con la sua famiglia. Nessuno riuscì a trovare prove
che dimostrassero il contrario, e così la questione declinò.
La città di Born, piena come tutte le altre di grattacieli, ma
anche di case singole, fu divise in Sette Sobborghi, un po’ come immensi
quartieri. Dato che un Sobborgo era grande più o meno come un’ampia città del
passato, di rado le persone di un Sobborgo si spostavano ad un altro.
Alla vigilia dell’anno 3010, i Ribelli, gruppi di persone che non
volevano sottostare al Governo, presero possesso di un’area collocata tra il
Quarto ed il Quinto quartiere, un’area molto vasta che viste le continue guerre
di quartiere, fu nominata War. L’accesso a War era segnato da dodici piccoli
bar, senza più nessun arredamento o insegna, adattati in modo da diventare
delle porte ad arco. Oltrepassate quelle porte, il Governo non rispondeva più
della tua incolumità. A War non c’erano regole.
Nessuno ci si era mai nemmeno avvicinato.
Alla vigilia dell’anno 2015, fu fondata un’associazione segreta,
la H.O.P.E.. Lo scopo di questa associazione era di combattere il governo senza
dover causare guerre. Morti di massa ce n’erano già state troppe, questo era il
motto del Capo. Tutte le persone esperte in qualunque tipo di combattimento,
infiltrazione, computer, tutte le persone utili insomma, furono invitate ad
arruolarsi. Lo fecero quasi tutti. Il Governo pretendeva davvero di capeggiare
un po’ troppo. La situazione tra Ribelli e Governo era peggiorata. Il Governo
era venuto a conoscenza dell’Associazione. Tutti i corpi di polizia furono
invitati a cominciare le indagini.
Anche l’Associazione e i Ribelli erano contro, nonostante
stessero, in un certo senso, dalla stessa parte.
Alla vigilia dell’anno 3025, la Lotta era iniziata.
*********
Rachel non era mai stata una persona particolarmente
tranquilla. Né, particolarmente ottimista. D’altro canto per come la vedeva
lei, non c’erano particolari motivi per essere ottimisti, in un mondo come
quello. Insomma, perché pensare positivo, quando ogni attimo di vita ti
riportava alla dura realtà? Era insensato. E purtroppo, di quei tempi, non
c’era tempo per perdersi in riflessioni ottimiste. Bisognava vivere, e per
vivere, bisognava lottare. Sempre. Comunque. E soprattutto non fermarsi, mai.
Equivaleva a perdere. Per questo correva a perdifiato per il lungo corridoio
della Base. Era stata chiamata, dal Capo, e quindi doveva essere qualcosa di
importante. Il Capo aveva specificato di presentarsi APP, Al Più Presto. Non
che ce ne fosse un particolare bisogno, comunque. Nessuna persona con il
cervello a posto quel minimo che bastava, si sarebbe sognato di far aspettare
il Capo un secondo di troppo…sarebbe stato molto sconveniente.
Posò la mano sulla piastra di metallo e gel e aspettò
pazientemente che lo scanner della retina effettuasse il suo dovere. Il
computer cominciò a sputare fuori i suoi dati.
Nome: Rachel Corr
Età: 17 anni
Altezza: 170 cm
Peso: 57 kg
Occhi: azzurri
Capelli: castani
Provenienza: Kastel, Terzo Sobborgo, 24° distretto
N° di matricola: 1299
Categoria: Infiltratrice
-Il soggetto è stato riconosciuto idoneo. Buona giornata.-
recitò la macchina, con tono monocorde.
-Altrettanto- rispose, prima di dirigersi, con un sospiro
appena accennato, verso l’ufficio.
Una cosa era certa: chi aveva progettato quell’edificio,
non andava tanto per il sottile.
L’ufficio del Capo era ciclopico, arredato di tutto punto.
Si vociferava che gli arredi, di inestimabile valore, giungessero direttamente
dalle case di grandi politici internazionali, quali, tanto per citarne uno,
George Bush. Traffici illegali, ovviamente. Doveva essere un tipo simpatico, chi aveva progettato quel posto. La
massiccia porta laccata color panna le stava davanti. Era computerizzata,
ovviamente, come tutte del resto, ma aveva anche un’apertura all’antica. Se mai
ci fosse stato un’assalto, bisognava poter essere sicuri di squagliarsela.
Rachel prese un bel respiro e bussò tre volte con il palmo della mano e tre
volte con le nocche. Il riconoscimento. –Entra pure, Rachele!- sentì la voce
provenire ovattata da dietro il portone. Trattenendosi a stento dall’alzare gli
occhi al cielo, entrò.
L’ufficio era una sala a forma di trapezio isoscele. I
muri erano tinti di un bianco splendente, che sembrava quello di qualunque
altro edificio, ovviamente di gente benestante, ma in realtà, sotto la
superficie di metalpura(un particolare incrocio di pittura e metallo, resistentissimo)
erano nascosti faretti superabbaglianti che avrebbero steso anche un elefante
nel giro di pochi secondi. Un’ulteriore precauzione, oltre alle 12 telecamere e
i 27 allarmi installati solo in quella stanza. Senza contare i milioni di
dispositivi all’avanguardia come quelli, disseminati per tutto l’edificio.
D’altro canto, nell’ufficio del Capo erano nascosti tutti i loro piani, che se
scoperti, avrebbero potuto causare “La seconda caduta delle Torri Gemelle”, per
dirla con Zach. I due lati obliqui del trapezio erano coperti per metà da due
librerie gemelle, in rarissimo legno di ciliegio. Dietro allo strato di libri,
protetta da sguardi indiscreti, la bellezza di tutta la loro attrezzatura. La
scrivania del Capo stava sulla base minore del trapezio, davanti a un pannello
ultramoderno per le proiezioni, dove in genere venivano spiegate le missioni.
Era dello stesso tono di bianco panna della porta, rettangolare e coperta da un
lato esterno dalle carte della giornata accuratamente impilate, e dai tre schermi
al plasma del computer della stanza. L’altro lato presentava un telefono, una
TV in plasmetallo ultraleggera e ad altissima definizione, e un aggeggio
particolarissimo, una specie di cono a spirale, color blu mare. Nessuno sapeva
a cosa servisse. Rachel sospettava che si trattasse di un rilevatore di
chiamate. Ma il Capo era una persona di cui ci si poteva fidare, e quindi lei
si fidava. Per terra, delle minuscole righe sul pavimento indicavano le sedie e
i divanetti nascosti in un vano appena sotto il pavimento, che potevano essere
estratti con un semplice movimento della leva. Ed erano anche molto comodi.
Entrò. La luce delle finestre, sulle due porzioni dei lati
obliqui non coperte dalla libreria, inondava a fiotti la stanza. Il Capo la
aspettava, seduto sulla sua poltrona di pelle nera.
Era una persona piuttosto bizzarra.
Tanto per cominciare, nessuno sapeva quanti anni avesse.
Aveva l’aspetto di un trentenne, ma di sicuro aveva già superato la trentina da
un bel po’. Rachel gli dava del cinquantenne, ma non avrebbe saputo dirlo con
certezza.
Il suo aspetto giovanile, era in contrasto con i suoi modi
di fare da Lord. Era di origini inglesi, ma i suoi nonni erano italiani. Per
questo, aveva la mania di chiamare tutti con il nome tradotto in italiano. Lei
era Rachele.
Il Capo in realtà si chiamava Seth. Aveva gli occhi di un
colore che oscillava fra il castano e il grigio, ed in certi giorni prevaleva
l’uno, e in altri giorni prevaleva l’altro.
I capelli erano neri e tagliati corti, ma non troppo. E, cosa
piuttosto inusuale, era sempre coperto da testa a piedi. Anche nelle estati più
torride, dal collo in giù era sempre coperto. Anche le mani erano coperte da un
paio di guanti neri. Parlava sempre con voce estremamente gentile, e aveva modi
di fare tipicamente inglesi. Per questo era stato soprannominato Lord dai suoi
sottoposti, ovviamente non in sua presenza. Ma Rachel era sicura che lui lo
sapesse.
Una persona affascinante, in definitiva.
-Mi ha mandata a chiamare?- chiese con voce tranquilla.
-Effettivamente sì. Ma prego, siediti- rispose l’altro,
premendo un pulsante sul monitor.
Rachel lasciò che le sue ginocchia cedessero per adagiarsi
elegantemente sulla sedia che era spuntata senza alcun rumore. La forza
dell’abitudine….
-Allora, Rachele…come avrai già capito, ho bisogno del tuo
talento, ancora una volta.-
Rachel annuì, cercando di non far trapelare la sua
impazienza.
Sorprendentemente, invece di spiegarle come al solito la
missione, Seth(o meglio, il Capo) le porse un fascicolo di plastica nera.
-Questa è una questione molto delicata, Rachele. Se non
vorrai accettare la missione, basterà che tu me lo dica. Io capirò.-
-P..perfetto…-
La verità era che l’aveva lasciata spiazzata.
-Perfetto. Non leggere qui il fascicolo. Va a casa, stacca
tutte le cose elettroniche e poi leggi. Non posso rischiare che queste
informazioni trapelino. Dopo che avrai letto il fascicolo, ti do due ore di
tempo per decidere. Qualunque sia la tua scelta, riportami al più presto quel
fascicolo. Tutto chiaro?-
-Cristallino.-
-Perfetto. Puoi andare. E, Rachele?-
La ragazza, che stava già sulla porta, si voltò appena.
-Sì?-
-Sei sempre stata un’ottimo agente.-
-Grazie, Signore.-
Rachel camminò spedita lungo il corridoio, il fascicolo
ben stretto in mano, cercando di essere il più naturale possibile. Attirare
l’attenzione era la cosa peggiore che avrebbe potuto fare.
-Ehi, Chele!!!-
Zach. Lo
sapeva senza bisogno di voltarsi. Nessuno usava quel nomignolo, a parte lui.
Il ragazzo le si affiancò.
-Come butta?-
-Come al solito, grazie.-
-Hm, bene…a me alla grande, ho appena scoperto che ho
fatto colpo sulla biondina, quella del Quinto Distretto, che abbiamo salvato
l’altra volta…ricordi?
-Hm hm….-
-Bene, stavo dicendo, l’altro giorno faccio per andare al
bar, quello all’angolo, no? E ad un certo punto, a sorpresa, spunta fuori lei.
Cominciamo a parlare, e… Ehi, ma che hai lì in mano?-
Si era accorto del fascicolo.
-Fogli.- rispose Rachel con finta voce annoiata.
-Hm…fa un po’ vedere!!- esclamò l’altro facendo per
afferrarlo.
-Sono i risultati della mia visita di controllo, e visto
che ci sono cose personali..- inventò prontamente la ragazza.
-Ah, capisco.- replicò Zach, ritirando la mano –Spero che
ti siano andati bene. Prendi un caffè?-
-Vorrei, ma sono molto stanca e mi piacerebbe farmi una
dormita di almeno un paio d’ore. Ti spiace?-
-Figurati! Ci si becca in giro! Bella, Chele!- disse
allegro l’altro.
-Ciao, Zach.-
Zach, alias
Zacharyas Jendey. Un nome, una garanzia. Era un diciottenne, di altezza
media, ma di una forza incalcolabile, anche se a vederlo appariva tutt’altro
che pericoloso. Aveva un fisico asciutto, e vestiva sempre con jeans
larghissimi e maglie pazzesche, come gli antichi rapper. Aveva i capelli
castani, corti, con un ciuffo rosso fuoco che gli ricadeva sempre sulla fronte.
Gli occhi erano castani chiari, illuminati da una luce ironica e un po’
strafottente. Non stava mai zitto, e soprattutto non era mai triste, o serio.
Parlava con espressioni gergali del secolo precedente, e se ne infischiava
altamente dell’effetto ovviamente strambo che faceva alla gente. Attirava
parecchie ragazze, anche se puntualmente non se ne accorgeva mai. Era patito
degli sport, e quando non era impegnato in allenamenti o missioni lo si trovava
sempre al centro sportivo della Base. Un tipo attivo, senza alcun dubbio.
Sfortunatamente il mese precedente si era preso una cotta per una biondina
slavata dai grandi occhioni con le ciglia lunghissime(probabilmente frutto di
un intervento di chirurgia genetica); l’avevano salvata nel corso di una
missione nel Quinto Distretto. Bah. Personalmente tipe come quella non le erano
mai piaciute. Dopo il salvataggio, si era sempre fatta portare in braccio, con
la scusa di essersi slogata una caviglia. La classica gatta morta. Com’è che si
chiamava? Ah, già. Nevra. Ma ora basta pensare alla biondina. Dopotutto, se
Zach voleva farsi il lavaggio del cervello per quella tipa, non erano affari
suoi.
Il suo appartamento si trovava al 360 di Atlantide Street.
A pochissima distanza dalla base, per poter essere presente per qualunque
evenienza, ma abbastanza lontano da non destare sospetti. Dopotutto, lavorava
per un’organizzazione segreta. Teoricamente e tecnicamente parlando, lei era
una disoccupata come tanti.
Praticamente parlando, lei era una dei migliori agenti del
Paese. Salutò distrattamente l’agente di sicurezza all’ingresso, e si fece dare
le chiavi di casa da Maeve, alla portineria. Maeve doveva avere all’incirca la
sua età. Era sempre molto cortese. –Eccoti le chiavi, Rachel! Buona giornata!-
-Altrettanto a te…- rispose, avviandosi con ponderata
impazienza verso casa sua.
Rachel aveva la fortuna di abitare in un complesso
residenziale del secolo precedente. Era a forma di trapezio, con il lato che
dava sulla strada occupato dalla portineria. La parte interna era occupata da
un cortiletto. Cortiletto. Gli appartamenti, sui tre lati rimanenti, avevano i
due muri portanti in comune. Era un luogo grazioso, ci si viveva bene.
Lei aveva l’appartamento all’angolo sinistro. Era, come
gli altri, tinteggiato di bianco, con le imposte verdi, benché in parecchi
punti il colore fosse corroso dal tempo e dalle intemperie. Rachel mise la
chiave nella toppa, posò la mano sullo schermo a cristalli liquidi e digitò il
semplice codice di entrata. Era un antifurto a detta di molti sicuro, ma lei,
che si intendeva di quel tipo di aggeggi, sapeva che era facilmente
manomissibile da una persona che ci sapeva fare.
Una volta dentro, staccò tutte le apparecchiature come le
aveva detto Seth, e poi, finalmente, si sdraiò sul divano e si mise a leggere.
-Eccoti le chiavi, Rachel! Buona giornata!-
-Altrettanto a te…-
Da dietro il bancone della portineria, Maeve Greyland
osservò la ragazza, Rachel, scomparire dietro l’angolo, diretta a casa sua. Poi
sospirò. Sembrava simpatica. Sempre assorta nei suoi pensieri e un po’ chiusa
in sé stessa, forse, ma simpatica.
Purtroppo però, nel suo lavoro, non poteva farsi
contagiare dalle simpatie.
Un’unghia smaltata di rosa premette il pulsante rosso
abilmente nascosto sotto il bancone, accanto a quello d’allarme.
-Agente Greyland alla centrale, Signore. Credo sia il
momento adatto per attaccare. Il soggetto pare stanco, non potrà controbattere
facilmente.-
-Ti mando subito una volante con i nostri migliori, Maeve.
Ottimo lavoro.-
-Grazie, signor Capitano.-
Si tolse distrattamente una ciocca di capelli ramati dagli
occhi color nocciola, portandola dietro l’orecchio. Poi caricò il suo Uzi con
pallottole al sonnifero, potentissime, l’ultima invenzione dei laboratori della
polizia. Ma nonostante stesse cercando di autoconvincersi che stava facendo la
cosa giusta, sperava ardentemente di non dover usare l’arma contro quella
ragazza dal viso dolce.
Pochi minuti più tardi.
Maeve bussò alla porta di Rachel, con l’aria più naturale possibile.
Dietro di lei, i migliori agenti delle Forze Speciali della polizia. –Sì?- la
voce di Rachel era ovattata, stanca.
-Scusa Rachel, sono Maeve… devo farti firmare quelle carte
per il cambiamento dei tubi accanto al tuo appartamento, sai, per non avere
grane, te ne avevo parlato, no? Beh, ho qui i signori della società e se
potresti farmi una firmetta…-
-Arrivo subito…-
Rachel aprì la porta e si ritrovò puntate contro nove
pistole. Un’espressione di assoluto stupore e incredulità le si dipinse sul viso.
-Rachel Hartwood, ti dichiaro in arresto per complotto ai
danni del Paese. Qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te, perciò
ti consiglio di restare in silenzio.- recitò Maeve evitando di guardarla negli
occhi. –Da quanto mi tenete sotto controllo?- chiese Rachel con voce spezzata.
Sembrava fare molta fatica a mantenere la calma.
-Quattro mesi- rispose una ragazza dai capelli neri, che
sul tesserino aveva appuntato il nome di Karen.
-
E quindi tu sei una poliziotta in borghese. Hai mentito
per tutto questo tempo?- replicò la ragazza, con voce leggermente tremante,
rivolta a Maeve.
-
-Sì. Sono una brava attrice…- rispose l’altra,
guardando finalmente negli occhi Rachel.
-
Oh, anch’io..- rispose quella, un sorrisetto diabolico
in contrasto con il bel viso, e chiuse
di colpo la porta. Portandosi dietro Maeve.
Rachel chiuse il fascicolo di botto. Quello che aveva
letto l’aveva lasciata stordita. Aveva decisamente bisogno di pensare.
Ma, il suo orologio segnalava un’informazione importante. La piccola telecamera
che aveva piazzato di nascosto all’ingresso aveva dato i suoi frutti. Allora
quella Maeve era davvero un’agente in borghese. E tra non molto sarebbe
arrivata a catturarla. Inspirò profondamente. Doveva essere ben pronta per la
sua parte. Quando andò ad aprire, dopo aver sentito la scusa della portinaia,
trovò nove pistole, anzi, Uzi, caricate a sonniferi probabilmente, puntate
contro. Si dipinse sul viso un’espressione incredula e scioccata.
-Rachel Hartwood, ti dichiaro in arresto per complotto ai
danni del Paese. Qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te, perciò
ti consiglio di restare in silenzio.- recitò Maeve. E non la guardava negli
occhi. Cosa parecchio fastidiosa. –Da quanto mi tenete sotto controllo?-
chiese, cercando di far trasparire dalla sua voce un’ipotetica ansia.
-Quattro mesi- rispose una ragazza di quelle vicino alla
porta.
-
E quindi tu sei una poliziotta in borghese. Hai mentito
per tutto questo tempo?- replicò lei, facendo tremare la voce quel tanto che
bastava.
-Sì. Sono una brava attrice…- rispose l’altra, guardandola
negli occhi. Alleluia!!
-Oh, anch’io…- rispose Rachel, lasciando che sulle labbra
le si dipingesse un sorrisetto diabolicamente divertito, che rispecchiava
pienamente lo stato d’animo in cui si trovava.
Poi, con un balzo felino, agguantò Maeve e la tirò nel suo
appartamento, chiudendo poi la porta; e il tutto, in meno di tre secondi.
Maeve Greyland non si era mai ritenuta una persona
stupida. Però, quando la porta le si chiuse in faccia e comprese di essere
nella tana del nemico(o meglio, della nemica) si diede mentalmente
dell’imbecille.
Il problema era che Rachel si era mossa in modo
dannatamente veloce.
Maledizione.
Dopo il primo attimo di stordimento, si rese conto della
pericolosità della situazione e si voltò verso quella ragazza, che stava
cominciando a detestare. E le era pure sembrata simpatica!! Le puntò la pistola
contro.
“A terra” disse, concentrandosi per far apparire il tono
della sua voce privo di alcuna emozione. “Metti le mani dietro la testa,
grazie.” Era piuttosto compiaciuta di sé stessa. Un vero agente, come suo
padre.
La sua soddisfazione scomparve quando si accorse di avere
una pistola puntata alla tempia, e seguendo il braccio che reggeva l’arma,
arrivò a Rachel, notando il mezzo ghigno dipinto sul suo viso.
“Prego?” chiese la ragazza con tono delicato e cortese.
Piccola serpe.
“Butta la pistola e parliamone civilmente, d’accordo?”
chiese Maeve, facendo scattare la sicura “o ti prometto che ti ritrovi a nanna
prima di avere il tempo di premere quel grilletto.”
“Beh, se la metti così…d’accordo.” Replicò la ragazza con
un viso impassibile, gettando la sua arma a terra. Dopo essersi assicurata di
averla bloccata. Non sarebbe stata la prima a bucarsi il fondoschiena(maledetti
modi di dire di Zach…stava cominciando ad usarli sempre più spesso) buttando a
terra un’arma.
A Maeve sembrò di sentire una leggera pressione sull’Uzi,
ma quando abbassò impercettibilmente lo sguardo, quel tanto che bastava, lo
trovò a posto.
Troppa tensione.
“D’accordo allora. Rachel, io so che tu lavori per
un’associazione, gilda, organizzazione, chiamala come ti pare, che è contro il
governo, e purtroppo devo informarti che sei nei guai fino al collo. I
traditori non sono ben accetti. Se ti consegni spontaneamente, potrei anche
cercare di farti ridurre la condanna al minimo.” Ok, era una bugia, ma se
Rachel si fosse consegnata spontaneamente avrebbe passato meglio gli anni
futuri in carcere. La gente era più gentile con chi la faceva lavorare di meno.
“Sì, certo, e come fai, ti porti a letto il giudice?”
replicò Rachel senza pensare. Poi si morse la lingua. Non era un comportamento
da usare in quelle circostanze. Se la tipa, già abbastanza agitata, fosse
andata fuori di testa, le avesse sparato, lei poteva tranquillamente dire ciao
ciao alla sua vita. E non era una cosa che voleva fare, per ora. Quindi meglio
essere controllati.
“Oh, no, pensavo di lasciare il compito a te” rimbeccò
Maeve, con un sorrisetto.
Bella battuta, Capelli Rossi.
“D’accordo, confesso e mi arrendo. Ma cava dal mezzo
quella dannata pistola!” esclamò Rachel con voce da isterica, notando
preoccupata che i colleghi della rossa si stavano dando da fare con la porta.
Maeve rispose.
Cosa disse, però, Rachel non lo seppe mai. Un boato
assordante coprì le parole della poliziotta. Non durò più di due secondi, poi
tutto tornò come prima. A parte i vetri della finestra che dava sulla strada
per il Bar. Frantumati. Le altre finestre, più lontane, avevano retto.
Quasi subito, un lungo e acuto fischio riempì l’aria.
Le due giovani si lanciarono un’occhiata. “Dalla finestra.
E recupera il tuo caricatore”disse porgendole l’aggeggio che le aveva sottratto
di nascosto qualche minuto prima “ti sarà difficile sparare senza questo…” ma
non c’era traccia di sarcasmo nella sua voce. Il viso era impassibile, sembrava
concentrata al massimo.
Dunque è così quando è in missione…
La ragazza non parlò, si limitò ad annuire e a seguire
Rachel per la strada del Bar.
Sapevano entrambe cosa significava quel suono.
Era in corso un’attacco dei Ribelli.