P r
i m o c a
p i t o l o
13 dicembre 1762,
Pietroburgo
Dio
l’aveva chiamata Sofya ma per tutta la Russia era solo
Ekaterina.
Troppo spesso, in quei lunghi anni, tra le mura imponenti del Palazzo
Imperiale, aveva dimenticato il suo vero nome.
Disseminato sotto un’altissima pila di documenti;
così lo ricordava.
Incastrato, bloccato, fervente di vita e animato dal desiderio di
conoscenza, spesso schiacciato dall’inettitudine dei suoi
stessi istitutori.
«Sofya? Sofya, principessa Sofya?»
Quelle parole erano incessantemente accompagnate da un cipiglio di
sufficienza, come a voler sottintendere che la sua anima era dannata.
Le persone che le stavano intorno erano troppo incapaci di
comprenderla; più di quanto ricordasse, il pastore
protestante Herr Wagner*, incaricato di impartirle tutte le nozioni di
geografia, storia e noiosi passi della Bibbia, aveva mortificato la sua
indole ottimista e solare con i suoi discorsi sull’inferno e
sulla cattiveria del mondo e di coloro che lo abitavano, sottoponendo
la sua volontà al suo volere. Sua madre, suo padre, perfino
i suoi fratelli… nessuno aveva mai visto alcunché
di particolare in lei, né era mai andato oltre le apparenze.
Non era bella, aveva le labbra troppo sottili, il naso piuttosto
adunco, gli occhi troppo grandi e lo sguardo incuteva assai soggezione.
Chi avrebbe mai potuto sposarla? Amarla, addirittura?
E, nonostante ciò, neanche il più acuto di tutti
riusciva a scorgere in lei il più lieve barlume di chi
sarebbe diventata un giorno.
Credevano che sarebbe morta lì dentro, attorniata da uno
stormo di avvoltoi sempre pronti ad assalirla, qualora avesse commesso
anche solo un passo falso; pensavano che non avrebbe fatto la
differenza, che sarebbe stata incapace di rivoluzionare il mondo.
Troppe volte la gloria e gli onori erano stati privilegiati agli
uomini…
E invece ora sedeva sullo stesso trono che un tempo era appartenuto a
suo marito, col peso delle proprie responsabilità sulle
spalle e delle scelte compiute disseminate sul suo cammino.
Non aveva paura. Quello era il suo destino.
Tutti la amavano. Era inarrestabile.
Non più Sofya. Solo Ekaterina.
2 maggio 1772, Mosca
Ovidio l’aveva avvertita.
Propendiamo sempre per ciò che è
vietato e desideriamo ciò che ci è negato*.
Ed Ekaterina lo sapeva.
L’aveva capito non appena i suoi occhi si erano posati su di
lui.
Lev Mozorov, comandante della Guardia Imperiale, appena venticinquenne.
Lo conobbe nel 1772, a Mosca, in occasione del Gala organizzato in suo
onore per il suo quarantatreesimo compleanno, nonostante le
sue grandi gesta fossero arrivate anche a lei attraverso le chiacchiere
di corte già molto tempo prima.
Era il nipote più giovane di Síevers, suo
più caro e fidato consigliere, marito della Granduchessa
Aleksandra Mozorovna, nonché ex comandante della Guardia
insieme al compagno Nikolaevic Popov.
I suoi genitori erano morti prematuramente per cause naturali quando
Lev aveva pressappoco due anni, perciò la sorella maggiore
di Mozorov, Aleksandra, l’aveva preso in affidamento** e
l’aveva cresciuto come se fosse figlio suo, fino a quando il
fanciullo non era diventato abbastanza grande da accudirsi da
sé.
Ora era lì, di ritorno da una delle numerose battaglie
svoltesi al fronte contro i Turchi, e i suoi capelli neri come la pece
si confondevano tra gli altri compagni della Guardia, scuri in viso e
con gli occhi sempre vigili. Ed Ekaterina non l’avrebbe mai
neanche notato né l’avrebbe guardato con
più interesse del dovuto, se non fosse rimasta tanto rapita
dalla sua bellezza. I suoi amanti erano sempre stati uomini di un certo
prestigio, spesso aitanti, avvenenti, ma pur sempre colti, intelligenti
e dall’indole particolare e interessante. Non amava
circondarsi di gente inutile e superficiale, capace solo di giudicare
il prossimo dall’aspetto fisico. E di certo mai si era
lasciata abbindolare in quel modo, né aveva mai prestato
attenzione alle forme del corpo. Credeva che quell’insana
curiosità che l’aveva colta in quel momento fosse
transitoria, invece seppe, seppe che era qualcosa
di più solamente quando si sorprese a dire:
«Natisha, chi è quel giovanotto?»
Natisha era la sua dama di compagnia.
L’aveva sempre considerata una ragazza efficiente che
obbediva con solennità ad ogni suo comando, e per sua
fortuna nemmeno tanto invadente quando si trattava dei suoi affari. Un
difetto però ce l’aveva: pettegola per natura,
amava ciarlare su chiunque fosse di sua conoscenza, senza minimamente
preoccuparsi degli effetti che le sue dicerie potessero sortire sui
diretti interessati. Tuttavia, in quell’occasione, Ekaterina
dovette ammettere che le chiacchiere di corte che aveva
senz’altro appreso dalle altre nobili avessero un proprio
vantaggio per la sua situazione.
«Vostra Maestà, è il comandante Lev
Mozorov!» Gli occhi di Natisha erano spalancati e brillavano
come se la luce li avesse folgorati. Ekaterina capì subito
che ne era infatuata, e si stupì di provare una fitta di
avversione nei confronti della giovane. Natisha aggiunse
qualcos’altro, ma era così attratta dai movimenti
di Lev che non le prestò minimamente attenzione.
«Portatelo da me.» la interruppe con voce
imperiosa. Il suo tono non ammetteva repliche. Non sapeva il motivo di
tanto interesse ─ o forse sì ─ e pensava che magari,
parlandogli e sentendo la sua voce, questo sarebbe svanito
così velocemente com’era arrivato.
Le guance di Natisha si colorarono di ogni sfumatura di rosso, e non
poté impedire a se stessa di storcere il naso a quella
vista. Trovava la sua timidezza fin troppo irritante, e di sicuro, se
la ragazza non fosse stata tanto obbediente, non avrebbe esitato
neanche un attimo a destituirla dal suo compito. Fortunatamente Natisha
non si oppose, e preferì tenersi per sé il
proprio imbarazzo.
Le fece una reverenza e mormorò: «Subito, Vostra
Maestà.»
La osservò farsi largo tra gli ospiti che, ad uno ad uno,
l’avevano accerchiata per farle i loro auguri, e che per
tutto il tempo non le avevano affatto permesso di respirare, poi i suoi
occhi si posarono inevitabilmente su Lev.
Lev Mozorov, comandante della Guardia Imperiale, appena venticinquenne.
Era solo un ragazzo!, e Ekaterina proprio non capiva cosa ci fosse di
tanto importante in lui da spingerla a tanto interesse sconsiderato.
Natisha tornò qualche istante dopo, il nobile giovanotto al
suo seguito. Adesso che poteva fissarlo più da vicino,
riuscì ad ammirarlo nella sua aderente uniforme della
Guardia Imperiale, sulla quale risaltavano tutti i meriti di cui si era
fatto carico. La veste gli aderiva perfettamente al torace scolpito, e
le spalle possenti e proporzionate erano fasciate da grandi toppe di un
blu luminescente, con le cuciture dorate. Ekaterina sentì su
di sé tutti gli sguardi dei presenti, e come mai le era
capitato negli ultimi anni provò la stessa sensazione di
inadeguatezza che aveva provato quando era soltanto una ragazzina.
Non più Ekaterina. Solo Sofya.
E si vide con gli stessi occhi di Lev, e di sua madre, e di suo padre,
e di Herr Wagner, e di tutti coloro che l’avevano giudicata
sin da piccola.
Non bella, le labbra troppo sottili, il naso piuttosto adunco, gli
occhi troppo grandi e lo sguardo che incuteva assai soggezione.
Poi gli occhi di Lev incrociarono i suoi. Ekaterina trattenne il fiato
e, per un attimo, credette che anche lui avesse smesso di respirare.
Mantenne apparentemente la propria rigida compostezza, mentre Sofya
aguzzava lo sguardo e lo fissava con avidità, come se il sol
guardarlo potesse placare tutte le sue voglie, tutto il desiderio che
aveva risvegliato in lei.
Lev si inginocchiò al suo cospetto, i capelli neri ribelli
che fuoriuscivano dall’elmo, e poi la sua voce, virile, roca
e profonda, propria di un uomo vissuto, emerse tra le pieghe delle sue
labbra sensuali: «Vostra Maestà, è un
grande onore per me fare ufficialmente la vostra conoscenza.»
«Alzatevi, comandante Mozorov.» E con le mani
conserte in grembo si avvicinò a lui, gli occhi totalmente
rivolti alla sua figura statuaria. «Mostratemi il vostro
viso.»
Come pronunciò quelle parole, così il ragazzo
fece quel che gli aveva chiesto, senza alcuna esitazione, con la stessa
scioltezza con cui l’aveva visto muoversi in testa ai suoi
secondini. Sembrava fosse stato abituato fin dalla nascita ad eseguire
gli ordini alla perfezione, e la fierezza che baluginò nel
suo sguardo la convinse ancora di più del motivo per cui era
stato scelto come comandante della Guardia. Era impeccabile, e i suoi
modi riflettevano notevolmente i meriti che gli erano stati attribuiti.
«Sarei davvero lieta se partecipaste al balletto di domani,
comandante Mozorov. Sono certa che la vostra compagnia mi
allieterà la serata.»
Era stanca. Sentiva che ne aveva abbastanza e che
quell’improvviso interesse che nutriva nei suoi confronti
avrebbe dovuto aspettare. Ekaterina non era certo quel tipo di donna
che subito si lasciava andare alle proprie inibizioni, e proprio per
questo sapeva che sarebbe stato sconsiderato trattenersi lì
ancora un po’. Avrebbe finito soltanto con
l’alimentare il suo desiderio. Perciò, per il
momento, si sarebbe limitata a sondare il terreno, ad osservare il
proprio nemico in attesa della prossima mossa.
Sarebbe stata decisiva. Ed Ekaterina era determinata a non sbagliare
neanche un colpo.
NOTE FINALI.
Lo so, lo so. Avevo detto che avremmo conosciuto Anija già
dal primo, ma la lunghezza prevista ha sfiorato notevolmente quella
stabilita, e inserire l’ultima scena avrebbe reso fin troppo
corposo questo primo capitolo. Mi rendo conto che non è
neanche tanto lungo, ma siccome Amores - La Seramide Del
Nord è fin troppo complessa e difficile da
scrivere ho deciso di andarci con calma, e camminare con i piedi di
piombo. Ciò non significa che gli aggiornamenti saranno
molto distanti gli uni dagli altri, ma la trama deve ancora definirsi
nella mia testa in tutte le sue sfaccettature e quindi brancolo ancora
nel buio. Non voglio commettere errori, bensì garantirvi una
lettura piacevole, ricca di dettagli e che, soprattutto, non risulti
contradditoria negli eventi e nei caratteri dei personaggi. Vi invito,
perciò, a farmi sapere cosa ne pensate, ad aiutarmi; non
sono affatto un’esperta del genere, mi sono approfonditamente
informata sul periodo storico che sto trattando, ma ciò non
vuol dire che non possa commettere errori. In questo primo capitolo la
personalità di Ekaterina spicca notevolmente. Non
è di certo una donna facile, e mi auguro di essere riuscita
a inquadrarla bene; è nota per la sua lungimiranza, e mi
auguro conveniate con me che lasciarsi andare alle proprie inibizioni
non sarebbe stata affatto una scelta saggia. Per quanto riguarda Lev,
non mi pronuncio più di tanto. Già dal prossimo
capitolo, ma ancor meglio nel terzo, avrete modo di conoscerlo meglio.
Prima di andare vorrei ringraziare Tanny, Ormhaxan,
Maryanne92, Zanna Aleksandrovna e
Aniasolary. I vostri commenti entusiastici mi hanno
convinto a continuare e, be’, mi auguro che, così
come per gli altri lettori, questo capitolo sia stato di vostro
gradimento.
Ora scappo a rispondere alle vostre recensioni!
Link per contattarmi: EFP, Gruppo Facebook, Facebook e Ask.
Prima di lasciarvi, approfitto della
situazione per invitarvi a leggere la mia prima storia, Duo cerebra, di cui ho pubblicato
già i primi capitoli.
Al prossimo capitolo,
Michelle
Vèrace
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