Storia partecipante al contest A.D.A:
Associazione Divinità Anonime indetto da Delirious Rose sul
sito di Efp.
Nota
legale:
La qui presente storia originale è da considerarsi
proprietà esclusiva dell'autrice; pertanto, non
può essere riprodotta - totalmente o parzialmente
- senza il consenso di quest'ultima. Titolo © The Wedding
Song, 1971, Paul Stookey.
Avvertimenti: Modern!AU
Note: Questa storia era nata per
un concorso in cui occorreva scegliere una divinità e
rivisitare uno dei suoi tratti più caratteristici nel mondo
contemporaneo. Però tipo come in American Gods. E
io invece, partita per la tangente, ho scritto un'Au che col contest
non c'entra una minchia.
The Wedding Song
Il matrimonio è il
supremo tributo a un'unione d'amore,
ma implica anche
l'esercizio di comprensione e adattamento all'altro,
ovvero alla sua diversa
individualità. (Paolo Crepet)
“Tra moglie e marito è scomparsa
l’intesa? Non si comunica più? Problemi di coppia?
Rivolgiti ad un consulente specializzato”
La musica di
sottofondo sfumò dolcemente e sullo schermo del piccolo
laptop fecero la loro comparsa le figure di due innamorati dallo
sguardo sognante, intenti ad uscire da un ampio palazzone
degli anni venti.
Chiudevano
delicatamente un grande portone di legno dipinto di un giallo tenue, su
cui spiccava la scritta “Frigga: consulenze
matrimoniali”.
Fulla* sorrise soddisfatta; i
boccoli scuri, come molle di un giocattolo impazzito, le sfioravano il
collo, sebbene fossero tenuti legati in una coda scomposta da un nastro
verde elettrico «Come le sembra, capo? Ho mandato
Gnà*
dall’altra parte della città almeno mille volte,
per poter trovare i modelli adatti»
«E purtroppo
per me, il mio destriero non sa muoversi tra aria ed acqua. Ho passato
pomeriggi interi a fare code interminabili ai semafori» un
lamento annoiato di Agnese – al secolo Gnà - si
alzò dalla scrivania in mogano addossata alla parete di
destra della stanza « e la benzina è tutta
accreditata sul conto dello studio, tengo a precisarlo».
La collega
più giovane la fulminò, l’altra rispose
con una smorfia del viso.
Frigga si prese il
volto tra le mani, non sapendo se essere più seccata,
esasperata o divertita.
Lanciò
ancora uno sguardo al computer davanti a sé, storcendo il
naso davanti ai piccioncini reclutati dalla giovane collaboratrice.
Arrotolò
una ciocca bionda intorno all’indice, pensosa: come poteva
deluderla?
«E vada per
questa pubblicità. Sfoglia rapidamente l’agenda,
la voglio veder trasmessa entro questo lunedì» la
fronte aggrottata si distese in un’espressione più
dolce.
Hlín* entrò trafelata
nella sala, con addosso soltanto una felpa leggera, sebbene fosse
novembre inoltrato di un anno particolarmente freddo. Le guance
spruzzate di efelidi erano paonazze, per il vento sferzante e lo sforzo
della corsa.
«Ho portato
la colazione per tutte, mangiate ora che sono caldi»
mostrò raggiante un pacchettino da cui proveniva un
fragrante aroma di cornetti appena sfornati.
Si alzarono tutte in
piedi contemporaneamente, assalendo la colazione.
Frigga si
soffermò divertita a osservare le dipendenti parlottare tra
loro, ripensando alla prima volta che si erano incontrate, durante i
colloqui per il posto di lavoro.
La dolce e romantica
Fulla era stata la prima a essere assunta ed era la più
piccola, con i modi gentili e la capacità organizzativa; non
poteva stare ferma un minuto, era iperattiva e assurdamente loquace, ma
aveva portato una boccata di aria fresca nel piccolo ufficio.
Suo esatto opposto era
Agnese, patita di motori e carburatori, un’aria da dura un
po’ sbiadita nel tempo, dopo aver lavorato per cinque anni a
fianco della minore.
Helena, una ragazzona
alta e atletica e subito ribattezzata Hlín
(«Dentro questo posto le persone non possono avere nomi
normali?»), era invece approdata nella sua agenzia solo da
alcuni mesi, ma si era subito ambientata perfettamente.
Un pizzico di orgoglio
gonfiò il petto della titolare: era fiera di quello che era
riuscita a creare in anni di duro impegno e, soprattutto, la gioia
più grande erano le sue ragazze.
Ormai era una delle
più brillanti consulenti matrimoniali della metropoli.
Era diventata Frigga, la
Dea del matrimonio.
Spesso,
però, il destino si diverte a giocare brutti scherzi, come
un abile croupier mischia le carte in tavola quando stiamo per vincere
la partita.
E perdiamo tutte le
fiches in una mano.
Quando Frigga
tornò nel proprio appartamento, quel ventuno novembre,
girò perplessa la chiavi nella toppa, notando le luci
dell’ingresso spente.
Odino non era ancora
rientrato.
Non c’era
stata sera in cui lui non fosse già a casa al suo ritorno,
da quando si erano sposati, ormai quindici anni prima.
Avevano compiuto
quell’importante passo giovanissimi, ma non se ne era mai
pentita.
Il suo matrimonio era
stato celebrato d’estate, il sole caldo e brillante del cielo
d’Agosto a benedirla. Indossava un abito bianco senza
spalline, mentre Odino era costretto in un gessato scuro.
Sorrise tra
sé mentre apriva il frigorifero e sceglieva gli ingredienti
della cena.
Il pranzo delle nozze
al ristorante era stato massacrante, un’invasione di parenti
dello sposo venuti dalla Scandinavia con nomi impronunciabili e vecchie
zie petulanti.
Poi aveva tagliato la
torta e scattato decine di foto.
Aveva ballato, bevuto
e riso.
E Dio, Odino non le era mai
sembrato più bello.
Forse era troppo
sentimentale, ma le piaceva ricordare quel giorno, pensò
mentre affettava le carote. Proprio perché era stata
così fortunata, si era ripromessa di aiutare gli altri a
risolvere i loro problemi di coppia.
Avvertì il
marito rientrare, annunciato dal rumore della porta che
sbatté.
«Non
crederesti a cosa stavo ripensando» girò su se
stessa per guardarlo negli occhi, con l’entusiasmo di una
bambina.
Il coltello che
stringeva in mano scivolò a terra, con un tonfo metallico.
Il neonato in braccio
al marito iniziò a piangere.
«Lui
è Thor. È mio figlio».
Venne da piangere
anche a Frigga.
Vattene
da casa mia.
Era stato un sussurro,
poi si era trasformato in un urlo.
Vattene
da casa mia.
Era passato un mese,
il colpo era ancora duro da digerire. Come tutta la rabbia e il dolore.
Lei non era riuscita a
rimanere incinta.
Lei non era stata
all’altezza dello “splendido Odino”, come
lo chiamavano le sue compagne nei corridoi della scuola. Nessuno aveva
mai creduto che un uomo così carismatico, avventuroso e
affascinante potesse stare con una come lei.
Si sentì
improvvisamente sciocca, ma ricacciò indietro le lacrime.
Arrivata in ufficio si
sfilò la giacca imbottita, appendendola
all’attaccapanni del piccolo atrio.
Le ragazze
confabulavano tra loro.
«Io glielo
dico» bisbigliò Gnà
all’orecchio della moretta sedutale accanto, che scosse la
testa in segno di resa.
«Capo, ha
chiamato l’Infame» forse il tatto non era una delle
sue doti più marcate.
«Cancella la
telefonata, c’è qualcos’altro per
me?».
“Una
consulente matrimoniale che fa fallire il suo matrimonio. Chi dovrebbe
venire da una così?
Gran bel colpo,
Frigg”.
«In
realtà sì» Fulla le passò un
post-it giallo, con un nome e un indirizzo.
«Clara
Walles?» il sopracciglio alzato in maniera poco convinta.
«Un caso di
qualche mese fa, se vuole le cerco la documentazione. Ha telefonato
dicendo che vuole ringraziarla di persona e le farebbe piacere offrirle
da bere al Blue Cafè, qui vicino, alle dieci».
«E la mamma
ci ha insegnato che non si rifiuta mai una colazione gratis,
soprattutto se quella del giorno la devo offrire io, oggi»
Gnà strizzò l’occhio, ricevendo un
“Avida!” in coro dalle colleghe.
Frigga prese il
biglietto, rimettendosi la sciarpa intorno al collo niveo
«Allora vado, mancano pochi minuti
all’appuntamento» e uscì con un gesto
elegante della mano.
Il Blue
Cafè era un delizioso locale all’angolo con la
ventitreesima con finestre ed interni decorati in tutte le sfumature
dell’azzurro, dal celeste più chiaro fino al viola.
Il primo impatto era
quello di essere immersi nell’oceano, circondati
dall’acqua fresca.
Non poté
fare a meno di pensare alle vacanze in Grecia di qualche anno prima,
con una smorfia amara.
Sembravano passati
secoli.
«Non mi
getterò da qui» il Mediterraneo limpido si
estendeva sotto la scogliera.
«Sì
che lo farai» Odino non le diede il tempo di recriminare,
afferrandole la mano e saltando.
Blu. Blu sopra di lei,
non sotto. Non va bene, non va bene.
Spinse la testa fuori
dall’acqua, ispirò a pieni polmoni. Ossigeno.
Si aggrappò
alla schiena muscolosa del marito, che rideva di gusto «Non
farmi prendere mai più» aria «uno
spavento del genere».
Una voce dolce la
riportò alla realtà e una bella donna sulla
quarantina le andò incontro, spingendo un passeggino verde.
Era Clara.
Scambiati i
convenevoli, si accomodarono al tavolino.
Il dessert del giorno
era un tortino caldo al cioccolato, così ne ordinarono due.
Un “Mama!” di disapprovazione
arrivò dal bimbo «Poi mangi anche tu,
tesoro»
Thor era
più piccolo.
«Posso
vederlo?» chiese Frigga sporgendo la testa nella culla, dopo
aver ricevuto un tacito permesso dalla madre «Le
assomiglia».
Lui non mi
assomiglierà mai.
L’altra
sorrise bonaria, non era sicuramente la prima volta che riceveva quel
complimento.
«Non si
ricorda di me, vero? Lui è il figlio di mio
marito».
Doveva avere una
faccia molto incredula, perché l’altra subito
continuò tranquilla «Non si preoccupi, capita.
L’ho voluta incontrare proprio per questo: volevo
ringraziarla, aveva ragione. Perdonare fa male, ma questo»
indicò il bimbo che giocava allegro con due pupazzetti
colorati « questo ripaga qualsiasi orgoglio ferito. Dicono
che con il tempo ti sembrerà tuo figlio. Ma non è
così. Lui è mio figlio».
Frigga rimase ancora
mezz’oretta, parlando del più e del meno.
Giunto il momento dei
saluti, ai ringraziamenti pronunciati dall’altra rispose
«Grazie a lei».
Dopo
quell’incontro Frigga aveva richiamato il marito per un
confronto faccia a faccia.
In quel momento, dopo
lunghi attimi di tensione, lo stava ancora fissando, mentre era seduto
nel loro salotto.
«Jag
är ledsen¹» parlò
nella sua lingua gutturale, idioma duro che stuprava la gola.
La donna si prese un
minuto per rispondere, miliardi di emozioni in uno sciame impazzito
affollavano il suo cuore.
«Lo
so» seppe già di averlo perdonato,
avvertì la rabbia e la paura scemare lentamente fino alla
punta delle dita, un formicolio leggero che infine scomparve.
«Jag
älskar dig². Oggi sei bella come una
dea» si alzò incerto se avvicinarsi o meno, se
toccarla o meno.
Frigga
abbracciò Odino, in un goffo intreccio di braccia e lacrime.
Perché
finalmente poteva piangere, era a casa, sarebbe stata capita e
consolata.
«Mi devi
spiegare un sacco di cose e voglio una risposta a tutto» si
staccò dalle sue braccia, avvicinandosi al bimbo che dormiva
placido nell’ovetto.
«Puoi
prenderlo, non morde mica. Ancora non ha i denti, credo».
Allungò una
mano incerta sfiorando una guancia rosea, rimando sbalordita quando
aprì gli occhi.
Blu come il mare della
Grecia.
Il piccolo emise un
risolino felice.
«Benvenuto a
casa, Thor».
ͣ
* Fulla o
Fylla
è una divinità femminile della mitologia norrena
appartenente agli Æsir. Viene descritta con la capigliatura
fluente e un nastro dorato tra i capelli. Dagli scritti di Sturluson
emerge anche che fosse partecipe dei segreti della padrona.
* Gná, nella mitologia norrena,
è una delle tre serve di Frigg, insieme a Fulla e
Hlín. È colei che si preoccupa di svolgere le
faccende per la padrona. Probabilmente proprio per questo possiede un
destriero capace di cavalcare attraverso l'aria e l'acqua,
Hófvarpnir (letteralmente tiratore di zoccoli).
* Hlín, nella mitologia norrena,
è una delle tre serve di Frigg, insieme a Fulla e
Gná. Il suo nome significa protettrice e Frigg le diede
l'incarico di proteggere gli uomini e consolare i tormentati mortali.
¹ "Mi dispiace"
² "Ti amo"
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