A Ringo’s
New Friend
Questa fanfiction abbisogna di una piccola premessa...da un po’
di tempo a questa parte mi sono messa a fantasticare sui Beatles,
dato che una mia amica mi ha praticamente fatto ascoltare
tutta la loro discografia e raccontato, se non tutte, la maggior parte della vicende
che hanno vissuto, sia tutti e quattro insieme, sia singolarmente. Il mio preferito
è sicuramente Ringo, tanto che ho già scritto
un’altra fanfiction su di lui (“Eri bellissima”), ma quando ho
saputo che dopo lo scioglimento del gruppo il mio povero
batterista si seriamente dato all’alcool, cadendo in depressione non ho
potuto fare a meno di scrivere qualcosa, ovvero questa fanfiction in cui non ho
voluto usare parole dolci, in quanto avrebbero alterato sia la situazione in
cui si è trovato il mio Ringo (e quella in
cui, purtroppo si ritrovano molte persone tutt’ora), sia perché avrebbe
modificato e, non poco, la mia idea di partenza...che dire...dedico questa
fanfiction ad HarryEly, che oltre ad essere una
grande fan dei Beatles, ha tra i suoi preferiti
alcune mie fanfiction, a Carlotta, meglio conosciuta in questo sito come Lucy3 e a Chiara che mi aiuta sempre con i suoi saggi
consigli. Ora vi saluto...fatemi sapere che ve ne pare, tutte le critiche, saranno
bene accette. Vostra Isi.
Piegato sulla tazza del cesso, aggrappato alla tavoletta con
tutte le sue forza, o comunque con quel poco che
gliene rimaneva, Richard Starkey si disse che se avesse continuato in quel
modo, presto o tardi, avrebbe vomitato anche l’anima, sempre che
un’anima ce l’avesse ancora.
Gli spasmi atroci e dolorosi che gli avevano rivoltato lo
stomaco, pian piano, cessarono assieme allo sbocco d’acido che disgustoso
gli era risalito per l’esofago, lasciando che l’uomo accasciasse
tremante, con gli occhi velati di lacrime, sulle mattonelle gelide del bagno e
non ebbe neppure il tempo piangere che perse i sensi, almeno fintanto che la
luna non lasciò il proprio posto al sole, mutando il colore del cielo
dal nero all’azzurro per mezzo del chiarore del giorno. Fastidiosi raggi
di luce filtranti nella stanza attraverso le persiane semichiuse lo
raggiunsero, aggredendo i suoi occhi chiusi e facendogli tornare alla mente,
ancora ben lontana dalla speranza di esser lucida, una
cosa che avrebbe preferito non ricordare, tanto, con il tempo, era diventata
dolorosa.
“Here comes the sun...
Here comes the sun
and I say
It’s all right...”
Peccato che dalla sua vita il sole se ne
fosse andato ormai da un pezzo, lasciandolo in balia delle tenebre più
fitte. Era stato abbandonato, lasciato al proprio destino dalle persone
alle quali aveva voluto più bene, persino da sua moglie,
quell’angelo di sua moglie che se ne era andata
a rifarsi una vita dopo avere addirittura il suicidio, cosa per cui,
incosciamente, l’aveva ammirata ancor più di quanto non avesse mai
fatto nel resto della sua vita.
Almeno lei aveva avuto il coraggio di tentare, aveva
rischiato il tutto per tutto, mentre lui, pur sentendosi più morto di Eleanor Rigby,
il cui cadavere giace riverso sul pavimento della chiesa di Father
McCanzie, non aveva avuto neppure avuto le palle di
provare a tagliarsi le vene. Per l’ennesima volta si era dimostrato per
il codardo e per il debole che era e che sempre era stato...niente di nuovo, in
fondo.
Il trillo acuto della sveglia nella stanza accanto, la
camera da letto, gli trapanò il cervello distogliendolo dai suoi
pensieri: era ora di alzarsi e di andare al lavoro, doveva farlo, se non per se
stesso, almeno per i suoi figli, per dare loro una vita dignitosa o che comunque potesse considerarsi tale. Con non poco sforzo
riuscì, dopo innumerevoli tentativi, a rialzarsi, appoggiandosi al muro,
e a trascinarsi, nonostante il vorticare folle della stanza attorno a lui, fino
al box doccia che accolse il suo corpo nudo e macilento, rovinato da un vizio
che non voleva né ammettere, né tantomeno, abbandonare. Lo
scrosciò d’acqua gelata che lo investì subito dopo aver
aperto il rubinetto lo fece trasalire, spannandogli, almeno in parte il cervello,
e ridandogli parte del senno rigurgitato la sera prima
nel water. Velocemente poi s’asciugò, si vestì e fece per
andarsene, quando l’occhio gli cadde, come tutte le mattine da un
po’ di tempo a questa parte, sulla bottiglia di liquido trasparente semivuota
che era appoggiata sul tavolino da caffè del salotto.
Un goccetto lo avrebbe sicuramente
sciolto, gli sarebbe stato solo d’aiuto, quindi prese la bottiglia e
appoggiatevi le labbra ne bevve un lungo sorso, poi uscì di casa dirigendosi verso lo studio di registrazione, con
l’unica e vera convinzione di essere in ritardo come al solito.
Quel giorno il calendario segnava l’otto
dicembre 1980, ma nessuno dei quattro ex Beatles,
neanche la vittima, avrebbe potuto immaginare quello che, inevitabilmente,
sarebbe accaduto.
-Hei, Mr Lennon!- qualcuno grida il suo nome e lui, istintivamente,
si volta.
Cinque pistolettate
risuonano nell’aria dicembrina di ghiaccio; un colpo va a vuoto, mentre
quattro bossoli sporchi di sangue cadono a terra tintinnando.
Yoko Ono urla spaventata, piange, si dispera; Marck
Champagne scoppia a ridere come un idiota per poi fuggire.
Un’ennesima vita
spezzata da aggiungersi a tante altre...niente di nuovo neanche stavolta...
“John è
morto!”
Non avrebbe mai creduto che tre parole, tre misere parole,
avrebbero potuto cambiargli la vita a quel modo, dargli il
colpo di grazia portando a termine l’opera che aveva cominciato
con le sue stesse mani, con quel suo dannato vizio.
Era stato Paul a dirglielo per
primo: il telefono aveva squillato, lui aveva risposto e una voce incrinata dal
pianto, una voce che aveva riconosciuto subito come
quella del suo amico bassista, gli aveva detto ciò per poi affogare nei
singhiozzi. Inizialmente non aveva voluto crederci, aveva pensato che fosse uno
scherzo, uno di quegli scherzi idioti tipici di John, ma quando aveva visto Yoko in pianto tra le
braccia di Paul, quando aveva sentito la voce
disperata di Gorge chiedersi perché,
quando un’infermiera aveva
alzato il lenzuolo bianco che copriva il cadavere, mostrandogli così il
volto esangue, livido, ma nonostante tutto ancora così bello di John,
del suo John, allora e solo allora aveva creduto.
Sarebbe stato meglio
tagliarsi le vene...
Quando Richard Starkey, o quel che ne rimaneva, era tornato
a casa si era lasciato cadere di peso sul divano e lì era rimasto mentre le lacrime, ormai giunte al ciglio,
sgorgavano libere dai suoi occhi.
Intanto sul tavolino da caffè davanti al divano, alla
bottiglia di liquido trasparente di due o tre giorni prima se ne era sostituita una nuova, contenente un fluido dorato,
dello stesso colore del miele, ma certamente meno dolce, con un odore pungente
e forte. Non avrebbe saputo dire perché ma allora quella bottiglia ed il
suo contenuto gli apparvero come la sua unica fonte di
salvezza.
Così John era
morto, ma Ringo si era già fatto un nuovo
amico; il suo nome era Jack Daniels.