Il miracolo di Sherlock Holmes

di Ceci Princessofbooks
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Il miracolo di Sherlock Holmes

 

Sherlock non ha mai capito il significato del sacro.

Certo, ne riconosce il valore antropologico, e ne può elencare le manifestazioni sociali: può commentare con una certa dimestichezza i passi biblici e ricordare i principali miti dell'Induismo; ma non ha mai compreso l'umiltà commossa con cui sua nonna varcava la porta della cattedrale di pietra levigata della sua città. Non ha mai compreso la soggezione, perché la sua mente sa decrittare pozze d'abisso che gli altri non osano neppure comprendere, e non vede perché non debba rivolgere lo stesso sguardo anche al sole. La sua intelligenza è testarda, è guerriera, piena di una tensione che sa di ghiaccio e di rabbia antica, e non può sciogliersi nella sconfitta dolce della devozione. Neppure adesso, mentre osserva il ricamo di stelle cucito alla finestra, lo capisce: per lui sono globi di ioni e vapori, reazioni chimiche che gridano dal fondo del tempo con la loro voce di luce. Non c'è nessuna promessa, in quelle voci.

Solo atomi e rumore e pura esistenza.

No, non è nel cielo che Sherlock troverà il sacro; né nella terra, che rimane muta sotto il cemento e l'acciaio del suo sentiero.

È allora che gli occhi gli cadono su John, addormentato sul divano al suo fianco. Ha i capelli scarmigliati, i vestiti in disordine, ma il suo volto è solenne e innocente come quello di un bambino che sogna. Una mano, una delle sue belle mani di chirurgo, è abbandonata sullo schienale. L'attenzione di Sherlock è la lente di un microscopio: si sofferma per poco e brucia ciò che vede. Con Watson, per qualche motivo, non succede: può passare ore a guardare il modo in cui il suo volto si plasma e riverbera i suoi pensieri, la delicatezza schiva dei suoi gesti. O ad assistere, da una distanza vertiginosa che forse è quella dal centro del cuore, ai momenti in cui è in grado di sorridergli, e trattarlo da amico.

Da uomo.

Non sa se sia per paura o per coraggio, ma Sherlock allunga le dita e le intreccia a quelle di John; rimane così, di fronte all'eco assordante di quel gesto, alla cosa più vicina ad un miracolo che gli sia mai stata concessa. E d'improvviso, sa cosa per lui sia sacro: la coincidenza di due menti, l'amore che non pretende di comprendere tutto ma offre ciò che manca; e in questo non c'è sottomissione, ma solo una meraviglia che riempie il petto.

Tu. Io. Il nostro prodigio.

La grazia senza peso di due mani allacciate.

 

Ed ecco la seconda storia della mia “Trilogia dei profeti”. Grazie per le vostre splendide recensioni.





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