Sapevo
che ci sarei caduta....dopo aver giocato ad Assassin's Creed III (che
io ho apprezzato parecchio alla faccia di chi lo ha denigrato) non
potevo non scriverci qualcosa e non è nemmeno una one-shot,
no, perché sono folle e parto a provare con una multi
chapter...mah speriamo piaccia. Aspettatevi molto Connor e Haytham e
Ziio con un pizzico di Aveline (a questo proposito purtroppo non avendo
la psvita non ho potuto giocare a Liberation, anche se mi sono
documentata sulla storia, quindi la Aveline che trovate qui
è una mia visione del personaggio, spero non sia troppo OC)
Se voleste farmi sapere che ne pensate lo gradirei molto, anche
perché saprei se è il caso di continuare la
storia o no XD
Assassin's
Heart
1.
The Journal
Chiuse
il diario con lentezza. Le ultime parole scrittevi all'interno, su
pagine ormai ingiallite, rimbombavano nella sua mente. Sul tavolo dove
il diario era riposto piccolo gocce aumentavano di numero. Non gli fu
difficile capire che altro non erano che lacrime che gli scendevano da
occhi che pensava non fossero più in grado di piangere. Non
dopo aver visto morire sua madre in un incendio che non avrebbe mai
potuto dimenticare.
Eppure
ora quelle lacrime non scendevano per sua madre, ma per qualcuno per il
quale mai avrebbe pensato di poter anche solo credere di piangere.
Connor Kenway stava piangendo per suo padre.
Lo
aveva perso, anzi lo aveva ucciso lui stesso, poco più di un
mese fa. Le sue mani potevano dirsi ancora bagnate del suo sangue,
anche se non solo del suo, perché insieme a quello di
Haytham Kenway, dalla lama celata che teneva al braccio, colava anche
il sangue, ben più odiato, di Charles Lee. E se non provava
nessun pentimento per quell'ultimo omicidio, lo stesso non poteva dirsi
del macigno che sentiva nel cuore per l'uccisione del padre.
Soprattutto ora che, dopo la lettura del suo diario, era riuscito,
forse, a capirlo anche se ancora non sapeva se sarebbe riuscito a
perdonarlo.
Si
asciugò gli occhi, leggermente incredulo di come questi
continuassero a lacrimare e si voltò di scatto, verso la
porta della stanza, quando sentì un leggero bussare
dall'altra parte del robusto legno.
Viveva
da solo in quella grande magione che era stata la villa di Achilles
Davenport e per questo motivo sapeva bene che una sola persona poteva
trovarsi al di là della porta, la stessa persona che quella
mattina si era presentata nella sua tenuta con il diario tra le mani.
"Entra
pure" disse, notando come la sua voce fosse uscita roca e sofferente.
Decisamente non era da lui. Cosa che pensò anche la ragazza
che, entrando in silenzio, lo guardò a lungo prima di aprir
bocca.
"Tutto
bene?" chiese a mezza voce.
"Si,
Aveline. Ti ringrazio." rispose alzandosi dalla sedia e andando a
guardare il buio fuori dalla finestra. Aveva passato tutta la giornata
a leggere il diario di suo padre e solo ora si rendeva conto che si era
fatta notte.
"L'hai
letto tutto?" domandò nuovamente la donna, rimanendo sulla
soglia, con la porta aperta.
Un
cenno del capo fu tutto quello che l'assassina di New Orleans ottenne,
e sembrò bastarle. Connor però, dopo alcuni
istanti, cercò di essere più esaustivo.
"Aveline"
chiamò, sentendo la porta che stava per rinchiudersi. "Ti
ringrazio per avermi portato il diario"
La
ragazza stette in silenzio per alcuni secondi e poi rispose "Mi domando
se ho davvero fatto bene a portatelo"
Il
ragazzo si volse verso di lei, un mezzo sorriso sulle labbra.
"Me
lo sono domandato anch'io - confessò - mentre lo leggevo, e
ora, che l'ho finito, posso dirti che, si, hai fatto bene."
La
ragazza sorrise, ma prima che potesse parlare, Connor tornò
a voltarsi verso la finestra riprendendo la parola.
"Domani
dovrò ricordarmi di ringraziare anche Achilles per averti
chiamata e averti chiesto di tenermi d'occhio"
"Perché
non facessi sciocchezze, mi aveva detto" concluse Aveline.
Connor
sorrise. "Se fosse ancora vivo mi avrebbe sicuramente punito e ammonito
per la mia imprudenza..."
"Più
che imprudenza la chiamerei follia...Entrare nel quartier generale del
nemico mentre viene bombardato dai propri alleati. Sei stato fortunato
ad uscirne vivo."
"Hai
ragione. Ma più che uscirne vivo dalle cannonate, ancor oggi
mi domando come ho fatto ad uscir vivo dalla scontro con mio padre..."
Aveline
rimase in silenzio.
"Ora
mi domando se lui stesse davvero facendo sul serio..."
"Dunque
anche tu te ne sei reso conto...." controbbattè la ragazza,
testando il terreno.
Connor
si volse verso di lei, sul suo volto un evidente segno di
curiosità. Aveline tentò di spiegarsi meglio.
"Ho
visto il vostro combattimento, vi ho raggiunto poco dopo aver trovato
per caso il diario di tuo padre, quando una cannonata ha distrutto
quello che probabilmente era il suo studio. Pensavo fosse una mia sola
impressione, ma anch'io ho pensato che tuo padre non stesse facendo sul
serio e non volesse ucciderti."
Connor
la guardò sempre più pensieroso.
"Avrebbe
potuto chiamare delle guardie, ma soprattutto mentre tentava di
soffocarti, lo stavo guardando bene, pronta ad intervenire, avrebbe
potuto usare la lama celata per tagliarti la gola, anzi, ero sicura che
lo avrebbe fatto... Avrebbe potuto ucciderti facilmente, e invece..."
Calò
un silenzio ancora più pesante, Connor si voltò
nuovamente verso la finestra, una mano sulla lastra di vetro come per
reggere il suo stesso peso contro di essa. Che fosse vero? si
domandava. Che suo padre avesse intenzione di morire per mano sua
dunque? O semplicemente non volesse davvero ucciderlo nonostante le sue
ultime parole?
Connor
era preso da mille dubbi e quasi sussultò quando Aveline
chiamò il suo nome. Si voltò verso di lei
aspettando che parlasse, la mano ancora sulla finestra.
"Mi
rendo conto che tu abbia bisogno di tempo per digerire la faccenda, ma
avrei bisogno che mi accompagnassi a New York domani. C'è
qualcosa che faresti bene a vedere..."
Il
ragazzo annuì e l'Assassina lo imitò di rimando
"Bene, ci vediamo domani mattina allora" disse poi, prima di uscire
nuovamente e chiudersi la porta alle spalle.
All'interno
Connor sentì il portone chiudersi con un rumore sordo,
mentre il suo sguardo si ripose nuovamente sul diario del padre.
C'erano ancora delle pagine vuote, sul tavolo un calamaio e una penna
sembravano aspettare solo di essere sollevati e usati. Connor si
avvicinò al tavolo, si sedette e intinse la punta della
penna nell'inchiostro. Forse gli avrebbe fatto bene ripercorre quei
momenti sulla carta. Forse così, pensò, gli
sarebbe sembrato di parlare con suo padre ancora una volta.
Sulle
scale fuori dalla stanza Aveline nel frattempo si era volta verso la
porta chiusa domandandosi se ciò che aveva pianificato di
fare sarebbe stata una buona cosa o se avrebbe peggiorato la situazione
ancora di più. L'indomani l'avrebbe scoperto...
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