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Il treno scarlatto
La piccola Mini rossa della
famiglia Evans parcheggiò di fronte alla stazione di King’s Cross di Londra,
alle nove e mezzo di una assolata giornata di inizio settembre. Tutta la
famiglia si affrettò a scendere dalla macchina. Il signor Evans corse a
scaricare dalla bauliera le due pesanti valige della figlia minore, mentre sua
moglie andava a cercare un carrello per trasportarle. Petunia se ne stava
guardinga in disparte, con le braccia conserte, accigliata. Lily, euforica e
nervosa, continuava a scorrere con gli occhi la lista del necessario per la
scuola, per essere certa di aver preso tutto.
Dopo aver caricato i bagagli sul
carrello, si avviarono ai binari. Ma, come sospettavano, nessuno dei cartelli
riportava il numero “nove e tre quarti”.
< Oddio, mamma! E adesso come
facciamo! > chiese, agitata, la ragazzina dai capelli rossi.
< Non preoccuparti, tesoro.
Vedrai che lo troveremo, in un modo o nell’altro… > le disse sua madre per
tranquillizzarla. Nel frattempo, suo padre era andato a chiedere ad un
ferroviere delle informazioni, ma l’uomo, dopo averlo guardato torvo, si
allontanò dicendogli di risparmiarsi certi scherzi idioti alla sua età.
Si sedettero un po’ rabbuiati su
una panca davanti ai binari nove e dieci, pensando a come cavarsela.
Lily cominciava a scoraggiarsi. Si
chiedeva se, dopo tutta quell’attesa, i preparativi e gli acquisti per la
partenza, i tanti voli di fantasia che aveva fatto in quegli ultimi mesi,
sarebbe tutto finito in quella maniera, ancora prima di iniziare. Cominciava a
pensare che non avrebbe mai visto il famoso castello di Hogwarts.
Alzò gli occhi, ricacciando
indietro le lacrime che cominciavano a salire, e lo sguardo le cadde su un
ragazzino dai capelli castani che si dirigeva in quella direzione con i suoi
genitori, che spingevano un carrello con un grosso baule marrone. Il ragazzo
portava con sé una gabbietta nella quale c’era quella che sembrava una civetta;
piuttosto insolito come animale da compagnia.
Subito, Lily scattò in piedi e si
buttò su suo padre.
< Papà! Chiedi a quei signori
se sanno come arrivare al binario! >
< Ma Lily…> cominciò suo
padre, spiazzato dall’irruenza della figlia.
< Dammi retta! > continuò
Lily, senza dare il tempo al padre di ribattere. < Nella lista c’è scritto
che gli alunno possono portare dei gufi con loro. E quel ragazzo ha una specie
di gufo! Forza papà! Muoviti! >
Il signor Evans si alzò dalla
panca, un po’ titubante, e si avvicinò alla famiglia.
< Ehm… scusatemi tanto, ma… mi
stavo chiedendo se sapete… per caso… >
< Non sapete come raggiungere
il binario “nove e tre quarti”, vero? > disse la madre del ragazzo, che aveva
notato i bagagli di Lily e la sua aria disorientata, prima che il signor Evans
potesse finire di parlare. < Capita spesso quando si viene da famiglie di
Babbani >.
< Beh… ecco… > cominciò il
signor Evans, che non era certo di aver capito quello che diceva la donna.
< Non c’è problema >
continuò lei. < Anche noi stiamo andando dalla stessa parte. Seguiteci
>.
Le due famiglie si avviarono
assieme nel corridoio tra i binari nove e dieci. Lily osservava il ragazzino,
incuriosita. Non era molto alto, e aveva un aspetto decisamente malaticcio. Era
gracile, dalla carnagione chiara, e aveva grandi occhi color nocciola. Inoltre,
aveva una cicatrice sulla guancia sinistra.
< Quindi, immagino che per
vostra figlia sia il primo anno a Hogwarts > disse la madre del ragazzo.
< Oh, si > rispose la
signora Evans. < È stata una vera sorpresa per noi! Prima che ricevesse la
lettera, non avevamo la minima idea che esistesse un mondo dei maghi. E suo
figlio invece? >
< Anche per il nostro Remus è
il primo anno… >
< Allora, tu ti chiami Remus
> disse Lily rivolgendosi al ragazzo, ansiosa di fare conoscenza.
< Ah! Ehm… si > fu la
risposta del ragazzo, che fece quasi cadere la gabbia con la civetta appisolata
per l’emozione. < Remus Lupin >.
< Io mi chiamo Lily. Lily Evans
>.
< P-piacere > rispose
timidamente Remus.
I signori Lupin li condussero di
fronte ad un muro di mattoncini rossi che divideva i due binari.
< Bene. Eccoci arrivati >
disse il signor Lupin, indicando il muro.
I signori Evans rimasero
perplessi.
< Mi scusi, ma… >
< Ma si, dovete attraversare il
muro per raggiungere il binario > disse tranquilla la signora Lupin. Poi,
vedendo che la famiglia Evans la guardava allibita, aggiunse: < È semplice.
Ora vi mostro come si fa. Remus, caro, corri verso il muro come ti ho detto
>.
Il ragazzo si posizionò di fronte
al solido muro, a qualche metro di distanza, e iniziò a corrergli incontro. Lily
si tappò gli occhi con le mani. Di certo, quel ragazzo si sarebbe rotto tutte le
ossa.
Ma, al contrario di quello che si
aspettava, non ci fu alcun rumore di collisione. E, quando riaprì gli occhi,
vide che Remus era scomparso. Poi fu il turno della signora Lupin. Lily la vide
gettarsi contro il muro, e sparire inghiottita dai mattoncini rossi.
< Wow! > esclamò stupefatta.
< Tunia, hai visto? > chiese alla sorella, che fissava incredula la
compatta parete.
< Adesso provaci tu > le
disse il signor Lupin.
Lily si mise davanti al muro, come
aveva fatto poco prima l’altro ragazzo, chiuse gli occhi e cominciò a corrergli
contro. Poco dopo andò a sbattere contro qualcuno, e riaprendo gli occhi si
accorse che era finita addosso alla signora Lupin, che li stava aspettando. Era
riuscita a raggiungere il binario “nove e tre quarti”.
Mentre il resto della comitiva li
raggiungeva, i grandi occhi verdi della ragazza osservavano increduli quel
luogo. Il binario era ingombro di persone. Alcune erano vestite in maniera
talmente assurda, che sembravano pronti per una festa in maschera. Dappertutto
c’erano ragazzi e ragazze di tutte le età che si salutavano calorosamente e si
raccontavano delle loro vacanze; alcuni di loro avevano già in dosso la divisa
nera della scuola. C’erano genitori che abbracciavano i figli in procinto di
partire. Un ragazzo di circa sedici anni mostrava con orgoglio un lucente manico
di scopa ad un eccitato gruppo di amici. Una ragazzina dai capelli biondi
rincorreva il suo gatto grigio, che non voleva saperne di farsi acchiappare.
Sulle rotaie, un treno a vapore dalle carrozze di un bel rosso scarlatto,
sbuffava e lanciava grandi nuvole bianche, annunciando la prossima partenza.
Lily si voltò verso il ragazzo
appena conosciuto, con un’espressione piena di entusiasmo.
< Non riesco ancora a crederci!
Sto veramente per andare ad Hogwarts! È fantastico, no? >
< Già… > commentò il
ragazzo, che era decisamente meno euforico di lei.
< Che cos’hai? > chiese
Lily, stupita della fredda reazione del ragazzo. < Non sei contento di
partire? >
< No… cioè si… Cioè io, spero
solo… che vada tutto bene… >
Prima che lei potesse aggiungere
qualcosa, la signora Lupin chiamò suo figlio. Remus e Lily si salutarono,
dicendosi che si sarebbero rivisti a scuola.
ef
Nel frattempo, qualche metro più
avanti, James Potter stava salutando frettolosamente i suoi genitori, ansioso di
salire nel treno scarlatto.
< Mi raccomando, piccolo mio,
fai il bravo >.
< Si mamma, non preoccuparti
>.
< E scrivici qualche volta
>.
< Si, si, certo >.
Sua madre si chinò verso di lui,
per abbracciarlo prima della partenza.
< Mamma no! Sei impazzita? Vuoi
che faccia la figura del ragazzino? > scattò James, tirandosi indietro.
< Ma, tesoro… >
< Dai, ci vediamo a Natale.
Ciao vecchi! Statemi bene! > disse James ai genitori, e salì di corsa sul
treno, trascinandosi dietro il pesante baule rosso.
Si avviò per la corsia cercando
uno scompartimento che non fosse vuoto, deciso a fare nuove conoscenze il prima
possibile. Vide da un vetro un ragazzo di circa dodici anni, dai capelli neri e
l’aria noncurante, che giocherellava con una Gobbiglia spaparanzato su un
sedile. James aprì la porta a scorrimento dello scomparto e gli chiese:
< Scusa, sono liberi questi
posti? >
Il ragazzo alzò leggermente lo
sguardo e lo osservò con poco interesse.
< Sicuro > fu la sua
risposta.
James entrò e si richiuse la porta alle
spalle. Con qualche difficoltà, sistemò il baule sulla cappelliera, mentre
l’altro continuava a intrattenersi con
la Gobbiglia, guardando
distrattamente fuori dal finestrino la gente che si salutava e si affaccendava
sul binario. Poi si buttò pesantemente sulla poltroncina.
< Io sono James Potter. Piacere
> si presentò James, porgendogli la mano.
< Sirius Black > rispose
semplicemente l’altro, stringendogli la mano; e tornò a contemplare l’esterno.
Rimasero in silenzio. James, che
desiderava ardentemente fare subito nuove amicizie, cercò qualche argomento di
conversazione.
< Ehm… ti piace il Quidditch?
> fu la prima cosa che gli venne in mente.
< Mah. Così, così > rispose
l’altro, senza neanche guardarlo.
Deluso dalla risposta, provò con
un altro approccio.
< A che anno sei? >
< Devo fare il primo >
rispose Sirius.
< Sul serio? Anche io! Forse
saremo smistati nella stessa Casa > disse James con entusiasmo.
< Forse… > rispose l’altro
distrattamente.
James non sapeva più di cosa
parlare. Aveva scelto lo scompartimento occupato di certo dal ragazzo più
altezzoso e antipatico di tutta Hogwarts. Era davvero una delusione per lui, che
amava chiacchierare con chiunque incontrasse, ricevere così poca
considerazione.
Consapevole che era inutile
provare a scambiare quattro chiacchiere con quel tipo, tirò fuori dallo zaino
che aveva con sé una rivista sui Cannoni di Chudley e si mise distrattamente a
sfogliarla, osservando le figure animate dei suoi beniamini. Ma non aveva voglia
di leggere in quel momento, e quasi subito richiuse il giornaletto.
Si mise allora ad osservare la
gente all’esterno. La sua attenzione cadde su uno strano ragazzino. Era a dir
poco grottesco: magrissimo e alto, di circa la sua età, aveva capelli neri
lunghi e disordinati, che sembravano un ammasso di stoppa. Indossava una
camicetta a fiorellini sbiaditi, decisamente femminile, e un paio di calzoni
marroni sdruciti che gli stavano troppo larghi e troppo corti.
Era di certo il ragazzo più
assurdo e fuori luogo che avesse mai visto. James non riuscì a trattenere una
fragorosa risata, che ridestò l’altro dai suoi pensieri.
< Che hai da ridere? > gli
chiese, incuriosito dalla strana reazione del compagno di viaggio.
< Niente, è che… Guarda quello
là. Quello con quegli assurdi vestiti > rispose James.
Sirius guardò ora con attenzione
le persone sul binario. Quando individuò lo strano ragazzo rise anche lui,
divertito.
< Oh cielo! > esclamò tra le
risa. < Ma che cos’ha addosso?! Sua madre gli ha prestato la sua camicetta
preferita? >
James rise divertito dalla battuta
del ragazzo.
< Gia! E che ne dici dei
calzoni? Deve avere un tubo dell’acqua rotto, per portarli così allo zompo, non
trovi? >.
< E guarda che capelli! >
continuò Sirius, ridendo.
< Saranno almeno due anni che
non se li pettina! > gli fece eco James. < Gli sarà morto il parrucchiere
> .
< È il soggetto più patetico
che abbia mai visto! Che Mocciosus…
> commentò infine Sirius.
I due ragazzi, che non riuscivano
a smettere di ridere delle loro battute pungenti, si girarono a guardarsi.
< Sei simpatico, Potter >
commentò quasi incredulo Sirius. < Credevo che fossi un po’ stupidotto,
invece sei divertente… Mi hai stupito, sai? >
< Già. Se è per questo, io ti
facevo uno snob antipatico > rispose James, pungente.
I due si osservarono per qualche
secondo. Poi scoppiarono a ridere di loro stessi, e continuarono a
chiacchierare.
ef
Il treno sarebbe partito da
lì a mezz’ora, e Lily doveva ancora fare una cosa. Doveva sistemare una
questione lasciata in sospeso la sera prima. Sapeva benissimo che se non lo
avesse fatto in quel momento non avrebbe avuto altra occasione per molto
tempo.
Si girò verso la sorella, che se
ne stava silenziosa in disparte, con le braccia incrociate sul petto e
un’espressione amara sul viso.
< Tunia, posso parlarti un
attimo? > le disse Lily e, prima che la sorella potesse ribattere qualsiasi
cosa, le prese la mano e si allontanò dai genitori, per non fargli sentire di
cosa parlavano.
< Senti, ti volevo dire che lo
so che vorresti venire anche tu con me, ma… >
< Ma stai scherzando?! >
scattò Petunia. < Io non voglio proprio andarci là! >
< Dai, lo so che vuoi venire e
mi dispiace che non puoi! Mi dispiace, Tunia, mi dispiace! > disse Lily alla
sorella, tristemente. Poi le prese una mano e, con dolcezza, continuò dicendo:
< Ascolta, forze quando sarò là… >.
Petunia cercava con forza di
liberarsi dalla presa della sorella, ma Lily le stringeva la mano troppo
forte.
< No, ascolta Tunia! Forse
quando sarò là, riuscirò a convincere il professor Silente a cambiare idea!
>
< Io non… voglio… venirci! >
esclamò la sorella bionda, divincolandosi. < Tu credi che io voglia andare in
uno stupido castello per imparare ad essere una… una… > ma non finì la frase;
i suoi occhi vagarono sdegnati tra le persone che occupavano il binario. <
Credi che io voglia essere un… un mostro? > concluse infine freddamente.
Lily rimase attonita alle parole
della sorella. Senza rendersene conto lasciò andare la mano, come indebolita, e
calde lacrime le velarono gli occhi. Come poteva Petunia essere tanto crudele e
fredda nei suoi confronti?
< Io non sono un mostro >
trovò la forza di dire, mentre le lacrime scendevano a rigargli il viso. < È
una cosa orribile da dire >.
< È la che stai andando >
ribatté sua sorella, con un tono orgoglioso. < In una scuola speciale per
mostri. Tu e quel Piton… due balordi, ecco cosa siete. È giusto separarvi dalla
gente normale. Per la nostra sicurezza >.
Lily era sconvolta dalla
cattiveria che sua sorella le stava riversando addosso. Ogni parola che le
usciva dalla bocca era per lei uno schiaffo in pieno volto. Era ingiusta e
meschina. E sapeva bene che in realtà non pensava affatto quelle cose; che in
realtà anche lei voleva appartenere a quel mondo di “mostri”.
Una grande rabbia nei confronti
della sorella maggiore stava crescendo dentro di lei.
< Non pensavi che fosse una
scuola per mostri > disse con rabbia, < quando hai scritto al Preside per
supplicarlo di ammetterti >.
Petunia, che di certo non se lo
aspettava, divenne rossa come un pomodoro maturo.
< Supplicare? Io non l’ho
supplicato! > rispose con un timbro di voce troppo alto e acuto.
< Ho letto la risposta >
confessò Lily. < Era molto gentile >.
Petunia sgranò gli occhi.
< Non dovevi… > balbettò,
sempre più paonazza. < Era una cosa personale… Come hai potuti…? >
Lily distolse lo sguardo dalla
sorella, e vide a pochi metri da loro il suo amico Severus accanto a sua madre,
con la solita aria cupa. Era stato proprio lui a mostrarle la lettera. Nel
pensarlo, Lily arrossì leggermente.
Petunia colse la reazione della
sorella. Di colpo il porpora lasciò rapidamente le sue guance.
< L’ha trovata quel ragazzo!
> sibilò con poco fiato per la rabbia e la vergogna. < Siete entrati di
nascosto in camera mia! >
< No… > cercò di
giustificarsi sua sorella, < non di nascosto… Severus ha visto la lettera e
non poteva credere che una Babbana avesse preso contatti con Hogwarts, tutto
qui! Dice che alle poste devono esserci dei maghi che lavorano in incognito per…
>
< A quanto pare, i maghi
ficcano il naso dappertutto! > la interruppe Petunia, ed aggiunse poi
esasperata: < Mostro! > e, senza darle il tempo di ribattere, si diresse
verso i suoi genitori, che stavano allegramente commentando ciò che li
circondava.
Lily, rimasta sola, non sapeva più
cosa fare, né cosa dire a sua sorella. Non riusciva ancora a credere che la
odiasse fino a quel punto. Ma ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Petunia l’aveva umiliata e bistrattata con accuse ingiuste e orribili.
Si asciugò le lacrime col dorso
della mano. Non voleva che i suoi genitori fossero in ansia per lei pochi minuti
prima della sua partenza.
Insieme a loro si avvicinò a una
delle carrozze del treno. Suo padre le caricò all’interno le valige. Prima di
salire, abbracciò forte sua madre e suo padre, e non riuscì più a trattenere le
lacrima che ripresero a scenderle lungo le guance. Coprendosi il volto con le
mani, disse ai genitori che era triste perché doveva separarsi da loro, mentre
sua sorella teneva gli occhi bassi e le braccia incrociate, con un’espressione
cupa in viso.
ef
Nel binario nove e tre quarti
Severus Piton, accanto a sua madre che parlava animatamente con una vecchia
amica dei tempi della scuola, se ne stava silenzioso e ricurvo come di consueto.
Suo padre non era venuto con lui e
la madre ad accompagnarlo per prendere l’espresso per Hogwarts, e la cosa non lo
aveva di certo stupito. Ma guardando intorno a se tutti quei genitori affettuosi
che salutavano con profusione di abbracci e carezze i loro figli provava una
stretta al cuore. Era invidioso dell’affetto che ricevevano questi ragazzi così
fortunati. Non poteva fare a meno di chiedersi perché proprio a lui era toccato
un padre così crudele.
Spostando lo sguardo tra la folla
che occupava il binario si accorse che a qualche metro di distanza da lui c’era
Lily Evans con la sua famiglia. Era così evidente che si trattava di Babbani: i
signori Evans si guardavano attorno con aria decisamente esterrefatta, al
contrario della maggior parte delle persone che li circondavano.
Severus stava per precipitarsi a
salutare l’amica, ma si accorse appena in tempo che stava discutendo con la sua
antipatica sorella, Petunia. Sembrava una discussione piuttosto accesa: Lily
teneva con forza la mano della sorella, che si divincolava per allontanarsi da
lei. Il ragazzo non riusciva a distogliere lo sguardo dalla scena. Ad un tratto
Petunia disse qualcosa che di certo scosse molto la sorella, perché Lily sgranò
gli occhi, lasciò andare la mano e scoppiò in lacrime.
Si sentì come se qualcuno gli
avesse tirato un pugno in pieno stomaco nel vedere il volto dell’amica rigato
dalle lacrime. Avrebbe voluto andare da lei e consolarla. Oppure, prendere a
schiaffi Petunia per aver ferito la sua amica. Ma non poteva intromettersi tra
di loro.
Le due sorelle continuarono a
discutere. Lily disse qualcosa che turbò Petunia. Poi girò lo sguardo e si
accorse che c’era anche lui e che le stava fissando. Anche Petunia si accorse di
lui e, con aria ancora più adirata, si scagliò contro la sorella. Infine,
Petunia si allontanò lasciando la sorella in lacrime, mettendo fine alla
discussione.
Severus la vide asciugarsi il viso
e raggiungere i suoi genitori. Poi con loro si avviò a uno dei vagoni,
confondendosi tra la folla.
< Mamma io salgo sul treno,
sennò non troverò neanche un posto > disse Severus richiamando l’attenzione
della madre. Doveva assolutamente trovarla e consolarla.
< Va bene > rispose sua
madre. < Vuoi una mano con i bagagli >.
< No faccio da solo, grazie
>.
Si scambiarono un veloce abbraccio
e Severus si girò per andare verso il treno. Poi però, si bloccò. Si voltò di
nuovo e fissò i suoi profondi occhi scuri su quelli altrettanto scuri della
madre.
< Non ti fare trattar male da
papà > gli disse con espressione seria.
A quelle parole, sua madre lo
guardò stupita e lo abbracciò di nuovo, stavolta con molta più intensità e
calore. Lo strinse a se per diversi minuti. Severus non ricordava quando era
stata l’ultima volta che sua madre gli aveva dimostrato così tanto affetto.
Quando lo lasciò andare, si accorse che lei aveva gli occhi lucidi.
Severus si voltò di nuovo e
facendosi largo tra la folla sul binario arrivò al treno. Salito su una
carrozza, la prima cosa che fece fu andare in bagno. Dal suo baule tirò fuori la
sua nuova uniforme nera. Finalmente poteva indossare un abito nuovo e della sua
misura. Si tolse velocemente la camicetta a fiorellini e i calzoni sbiaditi, che
gli stavano una taglia più grande e gli arrivavano sopra le caviglie, e indossò
la veste nera. Guardandosi allo specchio della toilette stentava a riconoscersi.
Con quegli abiti aveva un aspetto molto più ordinato.
Nel frattempo l’espresso aveva
cominciato il suo viaggio verso Hogwarts. Severus gettò i suoi vecchi abiti dal
finestrino e uscì dal bagno. Per la prima volta si sentiva a suo agio tra altri
ragazzi.
Con in mano il suo baule si mise a
cercare lo scompartimento dove era seduta Lily. Attraversò due vagoni prima di
trovarla. Stava seduta accanto al finestrino, con il viso schiacciato contro il
vetro, in uno scompartimento insieme ad altri tre ragazzi che chiacchieravano
animatamente tra di loro, senza nemmeno fare caso alla sua presenza. Severus
aprì la posta, si fece largo tra le gambe dei tre ragazzi e si sedette di fronte
a lei. Lily lo guardò per un attimo, e poi tornò ad osservare fuori dal
finestrino. Aveva gli occhi rossi e gonfi.
< Non voglio parlare con te
> disse a Severus con voce soffocata.
< Perché? > chiese il
ragazzo.
< Tunia mi… > rispose lei,
ricominciando a piangere, < mi odia. Perché abbiamo letto la lettera di
Silente >.
< E allora? > chiese
Severus.
< Allora è mia sorella! >
scattò Lily, con uno sguardo duro.
< È solo una… > cominciò
Severus, che non sopportava affatto Petunia Evans. Ma sapeva che se avesse detto
quello che pensava dei Babbani a Lily non lo avrebbe mai perdonato, e si fermò
in tempo. < Ma ci stiamo andando! > continuò poi con un gran sorriso, per
cambiare discorso e risollevare l’amica. < Ci siamo! Stiamo andando a
Hogwarts! >
Lei annuì con la testa,
asciugandosi gli occhi umidi, e accennò un sorriso.
< Speriamo > continuò
Severus, < che tu sia a Serpeverde >.
< Serpeverde? >
Uno dei tre ragazzi che dividevano
con loro lo scompartimento guardava Severus con aria sprezzante. Era magro, non
molto alto, con disordinati capelli neri e un paio di occhiali che coprivano due
vispi occhi scuri.
< Chi vuole diventare un
Serpeverde? > continuò il ragazzo, mentre Severus lo guardava attonito. <
Io credo che lascerei la scuola, e tu? > chiese ad un ragazzo dai capelli
neri ed un’espressione noncurante.
< Tutta la mia famiglia è stata
in Serpeverde > rispose lui.
< Oh cavolo. E dire che mi
sembravi a posto > commentò il ragazzo con gli occhiali.
< Forse io andrò contro la
tradizione > disse con un mezzo sorriso l’altro. < Dove vorresti finire se
potessi scegliere? >
< Grifondoro… culla dei coraggiosi di
cuore! > rispose, tirando fuori il petto e fingendo di impugnare una
spada invisibile. < Come mio padre >.
Severus a quelle parole non riuscì
a trattenere un verso sprezzante. Da quello che sapeva tutti quelli che finivano
a Grifondoro non erano altro che degli incoscienti, dei palloni gonfiati e
sbruffoni, sempre pronti a menar le mani alla prima occasione valida. E quel
ragazzo con gli occhiali, di certo era la persona più adatta a farne parte.
< Qualcosa non va? > chiese
il ragazzo irritato, che si era accorto della sua smorfia.
< No > rispose Severus,
senza riuscire poi a trattenersi, < se preferisci i muscoli al
cervello…>
< Tu dove speri di finire,
visto che non hai nessuno dei due? > intervenne l’altro ragazzo dai capelli
neri.
I due amici scoppiarono in una
fragorosa risata. Severus li fissava torvo e livido di rabbia, senza riuscire a
dire una parola. Non si era neanche accorto che l’amica dai capelli rossi si era
alzata dal sedile.
< Andiamo, Severus, > la
sentì dire con tono gelido, < cerchiamo un altro scompartimento >.
Un tiepido calore gli pervadeva
tutto il corpo nel constatare che Lily aveva preso le sue difese. L’espressione
gelida e sprezzante che la ragazza rivolgeva a quei due presuntuosi antipatici
lo riempiva di gioia, e un pallido rossore gli colorò il viso slavato.
Si alzò un coro di “Oooooh…” divertiti per la reazione della
ragazza. Severus e Lily raccolsero le loro cose e uscirono dallo scompartimento,
tra le risatine e le prese in giro dei due amici. Quello con gli occhiali fece
quasi cadere Severus, facendogli lo sgambetto.
< Ci si vede, Mocciosus! >
disse qualcuno prima che la porta scorrevole si chiudesse.
< Che idioti! > fu il
commento di Lily. < Non li sopporto proprio i tipi così sbruffoni! >
ef
< Ci si vede, Mocciosus! >
gridò Sirius al ragazzo pallido che stava uscendo dallo scompartimento con la
sua amica dai capelli rossi. Anche se ora indossava l’uniforme di Hogwarts,
aveva riconosciuto subito il ragazzino dagli abiti assurdi che avevano visto lui
e James sul binario prima di partire. Era stato proprio quello strano tipo a
fargli rivalutare James Potter, il ragazzo che divideva lo scompartimento con
lui.
< Che idioti! > commentò
James dopo che la porta si fu richiusa dietro di loro. < E poi quella tipa
rossa che se l’è presa così tanto per il suo amichetto! >
< Già. Però era carina >
aggiunse Jordan Miller, un ragazzo dai capelli biondi che divideva lo scomparto
con gli altri due.
< Ehi! Immagina se dovessi
finire nella stessa Casa di uno di quei due?! > continuò James, tra
l’inorridito e il divertito.
< Immagino che, se faccio la
fine della mia famigli, finisco con Mocciosus > rispose Sirius.
< Ma tu… > chiese Jordan,
fissando il ragazzo, < sei il figlio di Orion Black? >
< Già > rispose Sirius, con
poco entusiasmo.
< Cavolo! La vostra è una
famiglia molto importante tra i maghi, da quel che so. Papà parla spesso di voi
>.
< Immagino che cosa può dire su
di noi… > commentò stizzito Sirius.
I suoi genitori erano rinomati,
non c’era dubbio. Non esisteva una famiglia di almeno due generazioni di maghi
che non li conoscesse. E non era un mistero che fossero alcuni tra i più
ferventi sostenitori dell’importanza del sangue puro.
< E tu, Jordan, dove speri di
essere smistato? > chiese James, mettendo fine a un breve momento di
silenzio.
< Mah, non lo so > rispose
Jordan. < Papà e mamma erano entrambi in Tassorosso. So quello che dicono di
chi finisce in quella Casa, perciò preferirei finire in un’altra. Grifondoro
sarebbe il massimo >.
< In pratica > concluse
James, < è quasi sicuro che finiremo tutti e tre in una Case diverse
>.
I tre continuarono a parlare
allegramente tra di loro, mentre il treno rosso fiamma li conduceva sempre più
lontani dalla stazione di Londra, attraversando paesini di campagna e pascoli
verdi. Il tempo trascorreva velocemente, e senza che i ragazzi se ne
accorgessero era arrivata l’ora di pranzo. Una signora paffuta aprì lo scompartimento e chiese ai tre
ragazzi se desideravano acquistare qualcosa dal carrello. Jordan acquistò solo
un pacchetto di Bolle Bollenti, mentre Sirius e James diedero fondo ai loro
risparmi ed acquistarono dolciumi di tutti i tipi.
Circa un’ora dopo, mentre i
ragazzi stavano mangiando le ultime Cioccorane, scambiandosi le figurine che si
trovavano all’interno, lo sportello si aprì di nuovo. Stavolta però, ad entrare
fu Narcissa, la cugina quindicenne di Sirius. La sua pelle lattiginosa e i suoi
capelli di un biondo chiarissimo facevano un forte contrasto con l’uniforme
nera, sulla quale spiccavano i colori verde-argento della Casa di
Serpeverde.
< Ciao Sirius > si rivolse a
lui la cugina, < come va? >
< Ciao. Bene, grazie. A te come
va? > rispose il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
< Oh, molto bene. Sai, sono
passata perché la zia mi ha chiesto di darti un occhio. Vuole che questa sera
gli scriva dopo lo smistamento. Ma, tanto, potremmo farlo insieme nella sala
comune dei Serpeverde, giusto? >
< Si, infatti. Comunque non ti
scomodare, cuginetta; so badare a me stesso > rispose Sirius con una nota di
irritazione nella voce. Era tipico di sua madre comportarsi così: assicurarsi
che qualcuno lo sorvegliasse e gli riferisse ogni minimo passo falso che
faceva.
Dopo qualche secondo di
imbarazzante silenzio, Narcissa riprese a parlare.
< Senti… perché non vieni a
sederti nello scompartimenti dove sto io? Ti posso far conoscere alcuni dei miei
amici. C’è Lucius Malfoy, Shon Dolohov, Amanda Peutery… C’è anche un ragazzino
che deve fare il primo anno come te. Fa di cognome… Avery… se non mi sbaglio…
>.
< No, grazie. Preferisco stare
qui > rispose con voce piatta Sirius.
< Bene, come vuoi > disse
Narcissa, evidentemente irritata. < Ci vediamo dopo >.
E uscì chiudendosi lo sportello
alle spalle.
< Tua cugina, immagino > fece sarcastico James.
< Già. È la figlia minore del
fratello di mia madre >.
< E… ti controlla da parte sua?
> aggiunse James.
< I miei non si fidano molto di
me > spiegò Sirius. < Per loro sono un impertinente e ingrato ragazzino
che “non rispetta le tradizioni della nostra antica e nobile casata”! >
disse, facendo un’esagerata imitazione della voce di sua madre.
< Wow, un ribelle! > disse
scherzosamente James.
Sirius accennò un sorriso e cambiò
discorso, tornando alle figurine delle Cioccorane. Non sopportava proprio
parlare della sua famiglia. E, inoltre, il fatto che sua madre avesse chiesto a
Narcissa di controllarlo non gli andava proprio giù; tantomeno il fatto che
l’adorabile cuginetta avesse dovuto dirlo proprio di fronte ai suoi nuovi amici
appena conosciuti, facendogli fare la figura dell’imbranato.
ef
Qualche
vagone più lontano, Remus ascoltava la ragazza dai capelli rossi, che aveva
conosciuto la mattina alla stazione, ripetere la stessa cosa per la terza
volta
< Se ci
ripenso mi vengono ancora i nervi a fior di pelle! Che ragazzi patetici! Spero
proprio di non finire nella loro stessa casa! >
Il suo amico,
Severus Piton, se ne stava seduto accanto a lei in silenzio. Aveva un’aria truce
e malinconica, ed i capelli che gli ricadevano disordinatamente davanti al viso
accentuavano l’effetto.
Remus li
aveva incontrati poco prima di mezzogiorno mentre andava in bagno. I due si
aggiravano per i vagoni del treno trascinandosi dietro i pesanti bagagli, alla
ricerca di uno scompartimento libero. E per loro fortuna, nello scompartimento
dove viaggiava lui c’era solo un altro ragazzo che, essendo un prefetto, non
faceva che girare per le carrozze a controllare. Quindi li aveva invitati a
unirsi a lui, e Lily gli aveva raccontato dell’incontro con quegli “odiosi
ragazzi”.
Erano ormai
le cinque e mezzo passate. Fuori il cielo si scuriva sempre più rapidamente. Il
paesaggio che scorreva dal finestrino sembrava una landa disabitata tra i boschi
e le montagne. Era impossibile stabilire dove si trovassero, ma di sicuro erano
molto lontano da Londra.
La porta
dello scompartimento si aprì e apparve una ragazza bionda con in dosso la divisa
di Tassorosso, e una spilla da Prefetto appuntata sul petto.
< Scusate
ragazzi > disse la ragazza, < ma dovreste indossare le vostre divise. Tra
non molto saremo arrivati >.
Lily tirò
fuori dal suo bagaglio la veste nera, guardò i suoi compagni di viaggio e
disse:
< Credo…
che sia meglio che mi vada a cambiare in bagno >.
Quando fu
uscita, lasciando i due ragazzi soli, Remus chiese a Severus:
< È un
problema per te se mi cambio qui dentro? >
Severus fece
cenno di no con la testa, e Remus tirò le tende. Quando si tolse la maglia notò
che il ragazzo moro gli osservava con molto interesse il torace, che era pieno
di segni rossi e vecchie ferite rimarginate, che il ragazzo si era procurato
durante la luna piena.
< Come mai
hai tutte quelle ferite? > chiese Severus.
< Ecco… mi
sono… fatto male cadendo in giardino > rispose un po’ titubante Remus,
infilandosi frettolosamente l’uniforme per nascondere le ferite.
< Ah… >
fece Severus, con un’espressione poco convinta. < E come hai fatto a cadere?
>
Remus era nel
panico. Non riusciva a capire come aveva fatto a non pensare di andarsi a
cambiare in bagno. Temeva che quel curioso e petulante ragazzo potesse scoprire
il suo “problemino” prima che fossero arrivati a scuola.
< Sono…
sono… sono inciampato in un ramo > disse con il volto in fiamme, < e sono
caduto in un cespuglio di rovi >.
< Ma… >
continuò il ragazzo, < non indossavi una maglietta? >
< S-si,
certo, ma si è strappata tutta >.
< Ah… ma…
>
Ma per
fortuna in quel momento rientrò Lily, e Remus tirò un sospiro di sollievo.
< Hai
fatto presto > disse con enfasi, per cambiare discorso.
< Si, non
c’era fila per fortuna >.
Remus notò
che Severus lo guardava in modo strano. Di sicuro non era convinto dalle
risposte che aveva ottenuto.
Un’ora dopo,
più o meno, una voce metallica risuonò per tutto il treno, annunciando:
< Tra cinque minuti arriveremo a Hogwarts.
Siete pregati di lasciare il bagaglio sul treno; verrà portato negli edifici
della scuola separatamente >.
I tre ragazzi
uscirono dallo scompartimento, come il resto dei passeggeri del treno, e si
formò una grossa calca di gente nei corridoi stretti. Remus cominciò a tremare
per l’agitazione. Solo in quel momento aveva realizzato, infatti, che stava
succedendo per davvero; stava realmente per vedere il castello di Hogwarts.
Il treno
rallentò fino a fermarsi, e tutti gli studenti scesero disordinatamente,
riempiendo in pochi secondi la banchina della stazione.
< Primo
anno! Da questa parte! > gridava una voce roca e bassa, che apparteneva a
un’enorme omaccione, alto almeno due metri, dalla barba folta e i capelli neri
ispidi.
Tutti i
ragazzi del primo anno rimasero a bocca spalancata nel vedere quella specie di
montagna umana.
< Allora, primo anno! Ci siete tutti?
Manca qualcuno…? Bene, allora seguitemi >.
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