Ron aprì lentamente la porta della sua caratteristica
abitazione. Sempre che un mini appartamento al 122° piano di un grattacielo a
New York si possa definire caratteristico.
Era sfinito. Dopo aver passato la notte in servizio al
Ministero Americano della Magia per i rapporti internazionali, era riuscito a
liberarsi della folla di folletti che lo circondava perennemente, e a tornare a
casa, dove una moglie, teoricamente impaziente, lo attendeva.
Teoricamente perché, già dopo il primo giro di chiavi, il
Rosso si era accorto che qualcosa non andava: il pungente aroma di caffè che di
solito accompagnava i suoi ritorni mattutini non si espandeva per l’accogliente
cucina, che peraltro faceva a pugni con il resto della casa, in perfetto stile
post-moderno. Inoltre non c’era nessuna donna vogliosa, quale era solitamente
Hermione a quell’ora, a fremere sulla soglia di casa.
I motivi di sospetto si facevano maggiori man mano che si
addentrava nell’appartamento: i piatti della sera precedente giacevano nel
lavello, riempiendo l’aria dell’odore stantio di pesce fritto; il grembiule di
Hermione (il suo preferito) era a terra, visibilmente provato da un
calpestamento probabilmente prodotto da un paio di scarpe sporche; sul divano
color panna risaltava una carta da regalo cerulea e molto stropicciata sulla
quale si reggevano, in un equilibrio piuttosto precario, una serie di scatole
di diverse dimensioni che sembravano essere state aperte con sempre più
crescente curiosità, finché la cosa non fosse degenerata in vera e propria
rabbia, come dimostrava l’ultima scatolina, che pareva essere stata strappata
con le unghie e con i denti.
I sospetti iniziarono a diventare certezze quando il giovane
sentì strani rumori provenire dalla sua camera da letto. In un impeto di autolesionismo
decise di andare a vedere cosa stesse succedendo.
Si diresse velocemente verso la stanza, buttando a terra la
sua ventiquattrore, senza badare minimamente al fatto che il suo lavoro di un
mese di diplomazia con la repubblica presidenziale del Burundi si stava
incollando all’appiccicaticcio pavimento della sala. Grazie alla lunghezza
spropositata delle sue gambe, raggiunse con poche falcate la porta d’ebano che
lo separava dai misteriosi rumori contornati da risolini soffocati. Strinse la
mano intorno all’uscio dorato, ma ebbe un momento di tentennamento: cosa
avrebbe scoperto attraversando la soglia di quella stanza? E come avrebbe
reagito al tutto? Immaginò come si sarebbe sentito sollevato se dentro ci fosse
stata una festa a sorpresa per lui. In fondo si spaccava la schiena dalla
mattina alla sera… Accarezzava questi pensieri con un sorrisino inebetito
stampato in faccia mentre la sua mano, che pochi istanti prima si era stretta
rabbiosamente alla maniglia della porta, ora la sfiorava con delicatezza.
Rincuorato, decise di entrare con ottimismo o almeno con molta speranza…
La camera era immersa in una luce soffusa e pallida. Le
tapparelle erano abbassate. Nonostante la finestra fosse spalancata, una cappa
di calore avvolgeva nella sua implacabile afa tutta la stanza. Il pavimento era
disseminato di vestiti, soprattutto numerosi capi di biancheria intima, alcuni
dei quali di origine sconosciuta a Ron. Il letto cigolava in maniera atroce
mentre le lenzuola di raso, che facevano parte del loro corredo matrimoniale,
diventavano sempre di più una massa ingarbugliata della quale non si
distinguevano i contorni. Il giovane tentò di non guardare chi ci fosse nel
letto, quindi spostò istintivamente lo sguardo verso il comodino, dove faceva
capolino un paio di occhiali rotondi piuttosto rovinati.
“No…” sussurrò debolmente il ragazzo dai capelli rossi.
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1° finale
Le gote del giovane iniziarono ad infiammarsi mentre una
patina umida ricopriva inevitabilmente i suoi occhi. Cercò in tutto il corpo la
rabbia che lo aveva sempre caratterizzato, tutta la sua ormai proverbiale
impulsività, e si scoprì essere debole. Tentò invano di tirare fuori tutto il
suo dolore, di urlare fino a distruggere quelle mura che traboccavano di
peccato, ma sentì solo una rivoltante ondata di tristezza che avvolgeva il suo stomaco
e saliva instancabilmente l’esofago fino a raggiungere in qualche modo il suo
cervello. Ed era difficile metabolizzare quell’informazione inverosimile. Provò
a fare un respiro profondo ma si rese conto che era un gesto totalmente
inutile: quelle poche manciate di ossigeno che era riuscito ad immettere nel
suo organismo non riuscivano a superare la pleura e tentavano invano di
insinuarsi in quelle piccole sacche tondeggianti quali sono gli alveoli
polmonari. Automaticamente tossì ed attirò così l’attenzione delle due figure
che occupavano il letto e che prima di quel momento non si erano minimamente
accorte della presenza di un “intruso” nella stanza.
I tre si studiarono per qualche istante, mentre Ron tentava
di farsi passare la crisi.
“Perché?” riuscì solamente a dire.
Hermione, sudata e visibilmente imbarazzata, mormorò un paio
di parole incomprensibili. Guardò Harry e dallo sguardo allarmato del ragazzo
capì che era meglio sbrigarsi da sola la situazione. Dal canto suo, il giovane
non sembrava affatto intenzionato a rimanere ancora a lungo nella stanza da
letto dei suoi due migliori amici.
“Ehm… Forse è meglio che tu te ne vada, Harry” sussurrò la
castana, illudendosi di sembrare calma e sicura di sé.
“Neanche per sogno” disse Ron con decisione.
“Lui rimane” riprese, alzando un dito tremolante verso il
moro. Non voleva mostrare la sua debolezza, la sua immensa delusione. Ma si
sentiva rincuorato dall’aver scoperto quanto vigliacco fosse il suo amico. Ora
sapeva di poter prendere le redini della situazione.
“Quindi non ti bastavo io. Dovevi anche avere il nostro
migliore amico. Cos’è, non riuscivo a soddisfare i tuoi bisogni sessuali?”
Il Rosso sputò fuori le ultime due parole come fossero latte
rancido. Ed Hermione l’aveva capito. Aveva capito quanto poco suo marito
credesse in quello che diceva e quanto male gli facesse quella situazione.
In quel momento di puro panico le venne in mente di dire
solo una cosa: “Ron, forse sarebbe meglio se ne parlassimo davanti ad una tazza
di caffè”.
Che proposta insensata. Come si fa a bere un caffè
discutendo dei problemi di una coppia? Come si può stare seduti a parlare del
fatto che tua moglie ti ha tradito con il tuo migliore amico?
“Va bene” rispose Ron, prima di rendersi conto di ciò che
aveva detto.
Si diresse tranquillo verso la cucina, ciondolando quasi
inebriato da quella nuova sensazione di pace che aveva invaso il suo corpo.
Si accorse delle scartoffie che qualche minuto prima aveva
lanciato nel salotto, ma non si preoccupò di risistemarle. Oltrepassò un
muretto marmoreo e si sedette a capotavola. Gli altri due si trascinarono nella
stanza quasi svestiti, con gli occhi puntati fissi sul pavimento.
Mentre Ron si dilettava seguendo con il dito le venature
impolverate del vecchio tavolo di legno ed Harry pareva estremamente
interessato a guardarsi le unghie, Hermione si diresse decisa verso il lavello,
apparentemente intenzionata a lavare i piatti. Diede una vaga occhiata alla
lunga pila untuosa che spiccava nel lavandino e, dopo qualche attimo di puro
sconcerto e vaga indecisione, iniziò a riempire la lavastoviglie.
Il silenzio della casa era interrotto solo dal brontolio
dell’elettrodomestico.
Un raggio di luce mattutina accarezzava tacitamente il
calice semipieno di Nebbiolo che sostava sul tavolo. A prima vista poteva
parere un pregiato vino italiano importato direttamente dalle vigne piemontesi
per dilettare le serate nella Grande Mela, ma ad un attento osservatore quale
Ron non poteva sfuggire l’acre odore di cartone che aleggiava intorno al
bicchiere: “supermercato dell’angolo, percentuale d’uva 20%, il restante 80% è
di origine sconosciuta.” ipotizzò il ragazzo tra sé e sé, colpendo nel segno.
Nel frattempo Hermione aveva cominciato il suo lungo e
pedante discorso di difesa, farcito da richieste più o meno supplichevoli di
perdono.
Lui osservò ancora per qualche istante la luce. Tutte quelle
particelle che galleggiavano per aria gli ricordavano qualcosa. Socchiuse gli
occhi nel forzato tentativo di estorcere delle immagini al fondo della sua
memoria.
Un fiumiciattolo. Una mattina settembrina. E una luce
corpuscolata che filtrava tra le foglie di una vecchia sequoia. Quel luogo si
trovava a poco più di cento metri dalla Tana ed ogni rumore provocato da un
abitante della casa pareva riecheggiare tra quelle acque chete. Una porta
interna sbattè violentemente mentre quella d’entrata si apriva con altrettanta
violenza. Uno smilzo ragazzino dai capelli rossi corse verso l’albero e iniziò
a tirargli calci. Purtroppo non aveva valutato la massa della pianta e nemmeno
la potenza del suo piede. Così un colpo troppo forte con connesso contraccolpo
lo fece cadere rovinosamente a terra. Una lacrima solcò la sua gota destra.
“Ma quanto sei stupido, Ron” pensò, e con un gesto che
voleva suonare inutilmente virile, tentò di asciugarsi, ottenendo solo una
guancia sporca di terriccio.
Non si era mai sentito tanto sciocco in vita sua. L’indomani
sarebbe partito per il suo primo anno ad Hogwarts e in quel momento l’unico
pensiero che occupava la sua mente era Sylvia. Come aveva potuto credere di
interessarle? Avrebbe dovuto immaginare che era tutto uno scherzo. A poche
settimane dalla sua umiliante confessione d’amore, lei lo aveva già scaricato
per passare a nuovi obiettivi certamente più interessanti.
Si avvicinò al ruscello e cercò di apprezzare il riflesso
che ci vedeva dentro: viso esageratamente magro e lungo, occhi blu, passabili;
bocca, naso, pelle chiara, lentiggini in ogni punto in cui era possibile
infilarcele, il tutto contornato da una capigliatura evidentemente rubina.
Provò ad immaginare il viso della ragazza al suo fianco:
lunghi capelli biondi e lisci legati in un elegante crocchia che incorniciavano
il viso pallido. Gli occhi neri, il naso dritto, il passo leggiadro. O forse
arrogante. Non era mai riuscito a capirlo, nonostante la conoscesse da anni.
Il riflesso scomparì tra le pieghe dell’acqua. Per poi
ricomparire dopo pochi attimi.
Il ragazzino riuscì a stento a voltarsi, per vedere che
Sylvia al suo fianco gli sorrideva con un pizzico di superbia. Indossava una
camicetta a quadri e una gonna molto corta. Abbigliamento un po’ succinto per
una ragazzina di undici anni. Alzò la mano, impreziosita da una serie di braccialetti
tintinnanti, per pararsi gli occhi dalla luce che era riuscita a superare il
fogliame della sequoia e a raggiungere le sue pupille scure. Sembrava pronta
per una giornata di shopping in un centro commerciale babbano. Si osservarono
per pochi istanti: Ron abbassò lo sguardo mentre il rossore sulle sue orecchie
aumentava. Sylvia prese la sua mano, provocando nel ragazzo un evidente
tremito.
“Mi puoi perdonare?” gli disse, quasi sfacciatamente.
Un caldo aroma di caffè si appropriò della casa. Ogni angolo
sembrava immerso nell’odore amarognolo che riuscì a risvegliare Ron dai suoi
ricordi. L’uomo si asciugò il sudore freddo dalla fronte e respirò a pieni
polmoni quel profumo quasi incredulo di essere tornato nella realtà. Si guardò
intorno: Harry stava sorseggiando la bevanda e ricambiò lo sguardo incuriosito
del Rosso con un sorriso tra l’ebete e il bastonato. Si capiva che era pentito,
ma Ron non ne era in fondo così sicuro.
Poi comparve lei. Hermione, con i capelli tirati su in un
accurato chignon e il viso inondato di luce, gli porgeva una tazza blu.
Indossava solo una camiciona quadrettata, che lasciava abbondante libertà alle
sue curve. Nascondeva l’evidente malizia dei suoi occhi con un po’ di dolce
malinconia.
In quel momento Ron si accorse del silenzio che lo
circondava allo stesso modo in cui a volte si prende coscienza di un nuovo
rumore.
Si studiarono a vicenda per qualche istante e il ragazzo
sentì il bisogno di cingersi a lei con una sorta di sensualità disperata.
Hermione intuì, e gli accarezzò la mano. Per la seconda
volta in cinque minuti un brivido si impossessò del suo corpo.
“Mi puoi perdonare?” gli disse, con un tono più spudorato di
quanto fosse necessario.
Abbassò lo sguardo. Osservò l’interno della tazza: guardando
oltre il fumo profumato, individuò la prelibata bibita. Era marrone, più scura
nel centro, vagamente arancione verso l’esterno. Ora il suo unico desiderio era
di infilarci dentro il naso lentigginoso.
Bevette tutto d’un sorso, senza zucchero.
Sapeva che l’avrebbe perdonata. Come sempre.
Delusione delle delusioni, lui li
ha perdonati. Immagino fiumi di lacrime per chi è arrivato fino a questo punto.
O forse no.
Ma questo è solo il primo finale.
Ho deciso che ce ne saranno per tutti i gusti, perché sto tentando di non
limitare il mio modo di scrivere. Quindi aspettatevi qualcosa di molto
sanguinolento, poi magari di comico, e anche di slash. Scuola e varie crisi
permettendo, ci sarà spazio per tutti.
Non mi resta che ringraziare la mia
beta che ha saputo aiutarmi in tutto questo tempo e non mi ha odiata troppo per
tutte le richieste di aiuto che le ho fatto.
Esprimo in anticipo la mia immensa
gratitudine a chi vorrà recensirmi. Vipregovipregoviprego!
Al prossimo finale!
Ps mi è stato imposto di precisare
che io sono assolutamente contraria alle H/H. Questo non significa che le
sostenitrici di questa coppia non dovranno più leggere i miei scritti. Vero?...