Capitolo
2
-
Fear -
«E
così il vecchio ti ha incastrato, eh?» Matt
ridacchia divertito, prendendo un ultimo tiro dall'ottava sigaretta
della giornata. Sono solo le sette del mattino e già un
pacchetto è andato. I suoi poveri polmoni un giorno o
l'altro
gli chiederanno pietà... «Sei fregato, amico
mio.»
«Quel...»
Distruggo la barretta di cioccolato che tengo fra
le mani e digrigno i denti. «Quel pidocchio...»
Roger ha
scelto alla perfezione la mia punizione. Non avrei potuto
chiedere di peggio. Io e Near a stretto contatto per un'intera
giornata, io a fargli da balia, io a studiare e a curarlo, io al suo
servizio... Impossibile. Questo deve essere un incubo o direttamente
l'Inferno in terra.
«Io
rischio di ammazzarlo, Matt», mormoro scuotendo la
testa e fissando un punto indistinto fra l'erba. «Hai visto
fino
a che punto mi sono spinto ieri... Se voglio posso arrivare ad
ammazzarlo.»
Il giardino
della Wammy's House è deserto, soltanto io e Matt
occupiamo uno dei gradini vicino all'entrata principale. Le lezioni
inizieranno tra breve, ma non so quanto sia in vena di frequentarle
oggi. Potrei entrare in classe, prendere un banco e scaraventarlo
contro una finestra in preda ad un raptus, se non riesco a calmarmi
entro il suono della campana. Il fatto è che non riesco ad
accettare questa punizione. Non esiste. Non posso entrare nella stanza
di Near e non mettergli le mani addosso. Va contro la mia natura.
Inoltre ho
già trasgredito alle regole imposte da Roger: prima
delle lezioni sarei dovuto passare da quel pidocchio per accertarmi del
suo stato. In poche parole, ora dovrei essere da lui. Ma non ho
intenzione di andarci. Non adesso.
«Non
fare stronzate, Mello», sospira Matt, gettando il
mozzicone di sigaretta sull'erba e fissandomi con serietà.
«Cerca di non commettere azioni di cui potresti
pentirti.»
«Far
soffrire quell'ameba inutile potrebbe solo darmi tanta
gioia.» Ricambio il suo sguardo e un sorriso malizioso si
dipinge
sul mio viso. «Però saprò
controllarmi, non
temere. O almeno tenterò.»
Lo vedo
scrutarmi per un istante, in cerca di qualcosa di cui persino
io sono all'oscuro, poi alzarsi e pulirsi il fondoschiena con le mani.
Il suo sguardo si perde lontano, rifiuta di incrociare ancora una volta
il mio.
«Sarò
sincero, Mello...»
Alzo la testa,
aspetto, ma lui non continua subito. È come se
stesse cercando le parole giuste, quelle che non faranno esplodere la
bomba già attivata.
«Ho
paura», conclude alla fine. «Ho paura di quello di
cui potresti essere capace.»
Continuo a
fissarlo, ma non proferisco parola.
«Non
provo simpatia per Near, sia chiaro... Ma non vorrei
comunque svegliarmi un giorno e venire a sapere che ti sei trasformato
in un assassino. Forse sto esagerando... Ma certe volte vedo una strana
luce nei tuoi occhi, specialmente quando si tratta di lui. Non la
riesco ad interpretare... e mi spaventa.»
Non saprei
nemmeno cosa rispondergli. Forse anch'io mi faccio
paura certe volte. Non comprendo i miei sentimenti verso Near, non so
cosa mi spinga ad odiarlo così intensamente e totalmente...
E
non so fin dove potrei spingermi.
Questa
situazione, in realtà, mi terrorizza a morte.
Come avevo in
sostanza già deciso, alla fine non mi sono
presentato a lezione. Ho vagato per buona parte della mattinata per i
corridoi della Wammy's House, evitando accuratamente quello in cui si
trova la stanza del pidocchio. Ho bisogno di stare da solo, di cercare
di mettere a tacere la bestia dentro di me che potrebbe
indurmi ad
atti avventati. Forse Matt ha ragione... In questo momento sono
pericoloso.
La
verità è che non sono pronto per trovarmi faccia
a
faccia con Near, solo io e lui, in una situazione completamente diversa
dal solito. Se oggi fosse stato un giorno come un altro, in questo
momento lo starei cercando, quel pidocchio, per dargli una lezione;
invece mi ritrovo ad evitarlo come la peste.
Perché
mi sono dovuto cacciare da solo in questa situazione? No,
un momento... Non sono stato io. Near mi ha provocato! Quel gran...
Un rumore
improvviso interrompe il flusso dei miei pensieri e in un
batter d'occhio mi rendo conto di dove mi trovo: nel corridoio in cui
si trova la stanza di Near. Rimango impietrito. Fino a questo momento
sono riuscito a stargli alla larga, ma ora improvvisamente mi ritrovo
qui. Le mie gambe, proprio quando la mia testa ha cominciato a fare
pensieri cattivi su di lui, mi ci hanno portato. Il mio corpo reagisce
male, non riesco a controllarlo ormai.
Sto
impazzendo. Lui mi fa impazzire.
Lancio uno
sguardo in fondo al corridoio: una ragazza, probabilmente
una di quelle che si occupa di servire i pasti a Near, sta sistemando
su un carrellino una ciotola fumante e delle posate; ma improvvisamente
si blocca, forse accorgendosi della mancanza di qualcosa. Fatto sta che
la vedo allontanarsi di corsa. Quando la vedo scomparire dietro
l'angolo, decido di avvicinarmi a quel carrello. Il pranzo di Near:
zuppa.
La
porta della stanza è chiusa e dall'interno non
proviene
alcun rumore. Nulla di strano comunque, mi sarei stupito del contrario
piuttosto. Sto per andarmene quando improvvisamente qualcosa sul
carrello colpisce la mia attenzione.
No... No,
Mello. Vattene da qui subito.
Guardo ancora
quel fottutissimo barattolino e rileggo più volte
la scritta 'sale' che vi è sopra. Fisso la porta chiusa, poi
il
corridoio vuoto, poi la zuppa, poi il barattolo, poi di nuovo la
zuppa...
No!
La voce di
Matt mi risuona ancora nelle orecchie, dicendomi di non fare
cazzate. Però... Un po' di sale non lo ucciderà,
giusto?
Gli ho fatto di peggio.
Afferro con
decisione il barattolo, lo apro e lo verso quasi completamente nella
ciotola con la zuppa.
Ghigno e mi
allontano di corsa. «Buon appetito, pidocchio.»
«Capo,
questa è un'occasione più unica che rara! Vero
che gli darai del filo da torcere? Vero?»
La mensa
è così rumorosa, così affollata... Il
mio
umore è nero, e non so precisamente perché ho
deciso di
pranzare oggi. Avrei preferito la tranquillità a questo
fracasso
e a questo branco di facce di merda. Specialmente quelle del mio
piccolo e ridicolo gruppo - che io non ho mai voluto avere, per la
precisione! -. Come se non bastasse, quel pezzente di Bruce continua a
tartassarmi di domande sulla mia punizione. La cosa sembra divertirlo
parecchio, tanto da riempirmi di gomitate nei fianchi, in
cerca di
complicità. Beh... a me non diverte per niente.
Improvvisamente
la mia mano afferra un coltello dal tavolo, puntandolo
direttamente verso la faccia di quel grassone sudaticcio.
«Dammi
ancora una gomitata e questo coltello finirà
dritto in
mezzo ai tuoi occhi», sibilo con i denti di fuori.
Lo vedo
tremare e alzare le mani in aria in segno di resa. «Scusami,
capo, scusami!»
Ridicolo
lardone...
Lascio andare
il coltello e torno a fissare senza appetito la mia
ciotola di zuppa fumante. La stessa zuppa che è stata
servita a
Near. Forse adesso capisco perché non ho tanta fame...
«Che
hai?»
Strabuzzo gli
occhi, preso contropiede dall'improvvisa domanda di Matt. Lo fisso
confuso.
«Stai
sorridendo in modo strano», precisa lui con un'espressione
fin troppo seria.
Non me ne ero
accorto... Ma so una cosa per certo: comincio ad averne
abbastanza di questo comportamento inquisitorio di Matt. Mi controlla
forse? Non ho più la libertà di fare quello che
mi pare
quando mi pare?
«Piantala
di farmi la paternale!», sibilo stringendo gli occhi e
alzandomi dalla sedia.
Non ne posso
più. Voglio andarmene da qui. Ne ho abbastanza di tutti!
«Ah,
Mello!» Una mano si chiude sulla mia spalla e in un
batter d'occhio mi ritrovo a fissare lo sguardo severo di Roger.
Perfetto...
Gli altri si
voltano a fissarci, curiosi di sentire ciò che ha
da dirmi. Qui nessuno si fa mai gli affari suoi. Oppure sono io ad aver
a che fare con una banda di completi idioti.
«Oggi
non ti ho visto a lezione... Immagino fossi con Near.»
Il suo sguardo
perforante sembra voler scavare attraverso i miei occhi
per leggere la verità. So che sa che non ci sono andato.
Forse
ha controllato di persona, forse ha direttamente parlato con Near... Ma
lo sa. Mi sta solo mettendo sotto pressione. Vuole farmi capire cosa
c'è in gioco: l'obbiettivo della mia vita, L.
Mentirò.
«Certo»,
mormoro con tono inespressivo, sostenendo il suo sguardo.
Continua a
scrutarmi, lo fa ancora per un po'; poi scuote
impercettibilmente il capo, lancia uno sguardo al nostro tavolo e se ne
va senza proferire alcuna parola. Io resto impietrito sul posto,
fissando le sue vecchie spalle allontanarsi.
Sto sbagliando
tutto... vero?
Una sedia si
sposta, una mano si appoggia ancora sulla mia spalla. Matt.
«Passa
da lui. Non hai altra scelta, Mello», mi sussurra piano.
No. Non ne ho.
Alla fine sono
veramente qui, davanti alla sua fottutissima porta
chiusa. Il respiro è diventato improvvisamente affannoso e
mi
tremano le mani, mi formicolano. Sento il viso in fiamme, il corpo
scosso dai brividi.
Sto male. Lui mi fa stare male.
Perché
devo farlo, perché? Non lo voglio vicino, non lo
voglio! Potrei aprire questa porta e non essere più padrone
delle mie azioni. Potrei fargli male... molto male.
Appoggio una
mano sulla maniglia e trattengo il fiato. Non sono sicuro
di essere pronto. Anzi, non lo sono e basta. Che cosa farò
una
volta entrato? Che cosa dirò? Un flusso di domande mi invade
la
mente, quasi non riesco più a sentire i miei stessi pensieri
da
quanto gridano forte. E si sovrappongono, mentre la mia mano abbassa la
maniglia e la porta si apre lentamente, quasi a rallentatore.
Trattengo il
respiro.
Mello, non
fare cazzate. Qualunque cosa dica, qualunque cosa faccia... non fare
cazzate.
Chiudo gli
occhi, stringo le palpebre. La porta si apre. Apro gli occhi.
Vuota. La
stanza è... vuota.
Non so come,
ma riprendo a respirare, lascio andare un gemito.
Lui non
c'è.
Roger mi ha
voluto fare uno scherzo? Ha forse voluto mettere alla prova
la mia resistenza, i miei nervi? Perché questo gioco non mi
piace, non mi piace per niente.
«N-Near...?»
Quasi non riconosco più la mia voce quando questa esce
soffocata dalla mia bocca.
Nessuna
risposta. Nessun rumore.
Senza pensarci
un secondo di più, indietreggio, volto le spalle
alla stanza e faccio per andarmene di corsa. Voglio fuggire. Ma ecco
che un suono strano arriva alle mie orecchie, una specie di tonfo. Mi
blocco sul posto. Che diavolo è stato?
«C'è
nessuno?», domando incerto, tornando a fissare l'interno
della stanza.
Il letto
disfatto è vuoto, le coperte toccano il pavimento da un
lato. Avanzo lentamente, entro dentro. Sulla sinistra c'è il
piccolo bagno che ogni bambino della Wammy's House possiede nella
propria stanza e la porta è aperta. Sento un fruscio, un
suono
che assomiglia tanto a una persona che striscia per terra, poi degli
strani gemiti. Non faccio in tempo ad avvicinarmi all'entrata che
subito una visione sconvolgente mi pietrifica sul
posto.
La sensazione
che provo ora... credo di non averla mai provata in tutta
la mia vita. Le voci nella mia testa riprendono a gridare e a
sovrapporsi, insieme a una marea di immagini indistinte. Sento Matt,
mentre mi prega di non fare niente di cui potrei pentirmi. Sento me
stesso, mentre rido sguaiatamente davanti alla visione celestiale di
Near a terra mentre viene pestato dagli altri. Sento Roger, mentre mi
ripete di prendermi cura di Near, mentre mi parla di L. Sento i miei
pensieri confusi... Qualcuno mi dice di fare qualcosa, qualcun altro di
godermi lo spettacolo che ho davanti: Near, a terra, in preda ai conati
di vomito, il viso tendente ad
un colorito rosso fuoco. Sta tossendo, mentre il suo corpo viene scosso
dagli spasmi. È a pancia in alto, ma non dà segno
di
volersi spostare da quella posizione.
Si sta soffocando.
Non so che
espressione abbia ora la mia faccia, non sento altri suoni se
non quelli emessi da Near e quelli nella mia testa. Cosa devo fare?
Cosa?
È
la scena che ho sempre sognato di vedere: Near a terra,
sofferente, sul punto di lasciare questo mondo, e io in piedi sopra di
lui, a ridere a squarciagola. È ciò che ho sempre
desiderato, ma...
Ma.
«Girati...».
La mia voce esce da sola, soffocata, stridula. È
più un gemito.
Near continua
a tossire e ad emettere suoni spaventosi dalla bocca, in preda
all'agonia. Ma non fa niente. Perché non fa niente? Non ha
mai vomitato in vita sua?
«Girati»,
ripeto forse con più decisione.
Non so
perché non muovo un passo per far qualcosa. Non ci riesco.
Non lo voglio... toccare. Ma lui non ascolta,
forse non mi sente nemmeno. No, un momento... forse non
vuole
sentirmi. Non mi sta ascoltando come al solito!
«Idiota...»
Iniziano a tremarmi le mani e la mia
espressione si tramuta in una maschera di rabbia. «Ti ho
detto di
girarti!»
Il mio corpo
si muove da solo, scatta in avanti. Lo afferro per una
spalla e con violenza lo obbligo a girarsi su un fianco. Lui finalmente
riesce a rigettare ciò che lo stava strozzando sul
pavimento. Il
mio respiro è accelerato, ma la mia mano non vuole staccarsi
dalla sua spalla: la tiene stretta, bloccandolo in quella posizione.
L'odore che mi pervade mi fa girare la testa e i suoni che
sento
mi impressionano, forse troppo.
Che schifo...
Quando
finalmente sembra essersi calmato, con la stessa violenta con
cui l'ho girato sul fianco lo induco a rimettersi a pancia in alto.
«Sei
così idiota da riuscire a soffocarti con il tuo stesso
vomito?!», gli grido in faccia allucinato.
Lo vedo aprire
gli occhi lentamente, mentre il suo viso assume un
colorito verdastro e il suo petto continua ad alzarsi e ad abbassarsi
con foga. Quei pozzi febbricitanti mi scrutano, ma non mostrano alcuna
emozione. Anche in situazioni come queste, Near riesce ad essere di
ghiaccio.
Improvvisamente
mi rendo conto di avere ancora la mia mano stretta
attorno alla sua spalla. Una scarica elettrica risale lungo il mio
braccio, arrivando alle spalle e alla schiena.
Lo. sto.
toccando.
Lascio andare
la presa e mi rialzo di scatto, quasi come se qualcuno mi
avesse dato una spinta violenta. Lui non smette di fissarmi
intensamente e io non riesco a staccare gli occhi dai suoi.
Poi un suono
di passi frettolosi raggiunge le mie orecchie e mi obbliga a voltarmi
verso l'entrata della stanza. Roger entra con gli occhi sbarrati, il
fiato grosso, e si ferma proprio vicino a me.
«Che
sta succedendo?», mi chiede in un soffio. I suoi occhi si
posano su Near e lo vedo diventare pallido. «Near! Che
cos'hai? Non stai bene?»
Si fionda su
di lui e con delicatezza lo tira su da sotto le ascelle, mettendoselo
poi sottobraccio e trascinandolo lentamente verso il bagno. Near sembra
un lenzuolo bianco, privo di peso, così debole e... piccolo. Anche Roger sembra
aver paura di toccarlo e di fargli male quando apre il rubinetto del
lavandino e comincia a pulirgli il viso. Solo allora, quando lo volta
verso di me e fa per trascinarlo lungo la stanza fino al letto, noto
veramente i segni che io stesso gli ho lasciato: il labbro inferiore
è rotto e due lividi violacei occupano il lato della bocca e
la parte sotto l'occhio destro; sotto la camicia da notte bianca
intravedo una fasciatura che gli avvolge tutto lo stomaco e
probabilmente anche il petto. Non sembra capace di reggersi in piedi da
solo.
«Mal
di stomaco», esordisce con voce roca quando Roger lo mette a
letto, sistemandogli il cuscino dietro la schiena.
«Come?»,
gli domanda lui confuso. «Mal di stomaco? Cos'hai mangiato
che ti ha fatto star male?»
Mi si chiude
improvvisamente la gola, la mandibola si contrae e finalmente capisco:
la zuppa. Sono stato... io.
«La
mia zuppa oggi era troppo salata... Anzi, in realtà sapeva
solo di sale.» Mentre parla, Near non mostra alcun
risentimento o fastidio. Racconta semplicemente i fatti con
tranquillità, con la sua solita pacatezza. E mi fissa.
Sospetta forse
qualcosa? Perché mi guarda così intensamente?
«Ma
perché l'hai mangiata se era troppo salata? E poi...
com'è possibile? Mi sono raccomandato in cucina di prestare
attenzione al tuo pranzo e la zuppa che è stata servita alla
mensa non aveva nulla che non andava!». Roger sembra capire
sempre meno.
«Non
volevo che andasse sprecata. Ormai era stata preparata.»
Non ho mai
sentito nulla di più assurdo. Che razza di idiota! Io
credevo che avrebbe digiunato, piuttosto che mangiarsi quella
schifezza! Non può esserne normale.
«In
ogni caso non capisco ancora come possa essere successo.»
Roger si volta improvvisamente verso di me, fissandomi con sospetto.
È come se avesse il radar per le mie malefatte.
«Mello...», comincia lentamente. «...sei
stato-»
«È
colpa mia.» La voce di Near mi blocca il respiro.
C-Cosa?
Roger torna a
fissarlo con gli occhi sbarrati, chiedendo spiegazioni.
Near abbassa
lo sguardo, portando una mano ai capelli e iniziando a giocherellare
con una ciocca bianca. «Ho aggiunto io troppo
sale.» Non si dilunga in altre spiegazioni, dice solo questo.
Io mi rendo
conto di star tremando. Non so perché, non so come...
Non ha detto
nulla. Ha mentito, piuttosto. Eppure so che lui non ha alcun dubbio
riguardo a chi sia stato a salare quella zuppa. Lo so. Poteva dirlo e
mettermi nei guai... ma non l'ha fatto.
Improvvisamente
lo vedo rialzare gli occhi e puntarli nei miei. Mi sento sopraffatto,
sconvolto. Nessuno riesce a farmi tremare con uno sguardo come riesce
lui. Nessuno. E non so... il perché.
Perché...
Near?
Roger si
schiarisce la voce, quasi come se potesse percepire la strana carica
che si è instaurata fra noi e non sapesse come mettersi in
mezzo. Qual è il suo ruolo in questa stanza, esattamente?
Perché al momento riesco a percepire solo Near. Non
c'è nient'altro attorno a noi.
«Beh...
ehm... Bene. Devo chiamare... qualcuno che pulisca il
pavimento.» Continua a fissarci, sentendosi a disagio. Io so
solo che non riesco a staccare gli occhi da Near. «Mello, tu
puoi andare a dormire. Qui ci penso io per oggi, ok? Domani mattina
però voglio che passi a controllarlo.»
Near distoglie
di nuovo lo sguardo. Io sbatto le palpebre confuso, finalmente libero
da quello strano incantesimo che mi impediva di guardare qualsiasi
altra cosa in questa stanza. Fisso Roger deglutendo e annuisco
insicuro. Lui mi fa un cenno di approvazione e io sento il mio corpo
muoversi quasi da solo verso la porta.
La mia testa
è un casino. Quello che sento è un casino. Non
capisco... Sono confuso... Non so cosa stia succedendo dentro di me,
che cosa sia questa sensazione... Mi sento solo privo di forze.
Near mi ha strappato ogni energia.
Le 6:00 del
mattino. Di solito sono abituato ad alzarmi presto, ma non dopo aver
passato una notte in bianco. Non ricordo esattamente di essermi
appisolato ad un certo punto, ma so che tutto ciò che vorrei
fare in questo momento è staccare a morsi il braccio che mi
sta scrollando come se l'intero orfanotrofio stesse andando a fuoco.
Perché,
Roger? Perché mi odi così tanto?
«Mello,
c'è bisogno di te!», continua a sbraitare come un
ossesso. «Near ha la febbre alta!»
Ancora. Ancora
quel fottutissimo pidocchio.
Non solo non
ho dormito a causa sua - per qualche motivo non voleva andarsene dalla
mia testa, quel bastardo -, ma ora riesce anche a rovinarmi la
mattinata! Non c'è altra soluzione: devo ammazzarlo.
«Devi
andare da lui, Mello!»
«Neanche
pagato. È troppo presto, Roger. Lasciami dor-»
Non so se
recentemente Roger abbia iniziato ad andare in palestra né
cosa diavolo mangi la mattina al posto dei cereali, fatto sta che non
ho mai visto una persona della sua età riuscire a sollevare
completamente qualcun altro semplicemente tirandolo per un braccio. E
nessuno, nemmeno Matt, riesce a farmi alzare in piedi in quel modo con
tanta facilità.
«Andiamo!»,
esclama il vecchio, prima di iniziare a tirarmi per lo stesso braccio
fuori dalla mia stanza e poi per tutto il corridoio.
Giuro che se
fosse stato un altro, a quest'ora l'avrei già ridotto con la
faccia spalmata contro il muro. Ma non ho altra scelta, no? In fondo
è colpa mia se mi ritrovo a correre mezzo nudo in giro per
la Wammy's House a quest'ora del mattino, per soccorrere la persona che
più detesto al mondo. È colpa mia se quel
pidocchio maledetto è nato apposta per rovinarmi l'esistenza
ogni santo giorno.
'Fanculo.
Da venti
minuti siamo entrati in questa fottutissima stanza che profuma
fastidiosamente di pulito e da venti minuti Roger continua a caricarmi
di raccomandazioni su raccomandazioni, di orari da rispettare per
medicinali e quant'altro, di nomi e cognomi di persone che ho
già dimenticato e che dovrei chiamare nel caso la situazione
dovesse peggiorare...
Nel mentre
Near se ne sta sdraiato sul suo letto, coperto fin sotto al mento, gli
occhi chiusi e il respiro apparentemente inesistente.
Più
morto che mai.
Ma cerco di
guardarlo il meno possibile: non è una vista che mi mette di
buon umore, il che è strano, perché vederlo
soffrire, nella mia testa, mi ha sempre provocato una gioia e una
goduria immensa; evidentemente il piacere non è lo stesso se
provocato da fattori esterni o da qualcuno che non sono io.
Peccato.
«Hai
capito, Mello?», conclude finalmente Roger, dopo essersi
dilungato in un discorso che non ho ascoltato nemmeno per
metà.
Mi limito a
sbuffare seccato. Voglio che se ne vada. La mia giornata è
già stata rovinata abbastanza. Ma lui non sembra concordare
con me, infatti non perde l'occasione per ricordarmi quanto io sia
nella merda.
«Non
scherzare, ragazzo. Ricordati che cosa c'è in
ballo.» E con uno sguardo a metà tra il truce e il
rassegnato, abbandona finalmente questa stanza.
'Fanculo,
Roger... So benissimo che cosa mi sto giocando. E so benissimo che dal
momento in cui mi volterò e guarderò quel
pidocchio orrendo nascosto sotto quintali di coperte dovrò
trattenere l'istinto omicida che mi accompagnerà per tutta
la giornata. Ma prima o poi devo farlo, no? Prolungare l'agonia non ha
senso, quindi mi volto. Mi volto e lo vedo lì, immobile e
quasi imbalsamato nel suo rifugio di coperte bianche, esattamente come
lui.
Non
è la prima volta che entro nella stanza di un malato:
solitamente uno strano tanfo invade ogni angolo più remoto,
come se la malattia avesse un odore, un odore acre che ti entra nelle
narici e che ti si attacca ai vestiti. Questa stanza invece profuma.
Profuma di qualcosa che non credo di aver mai sentito da nessun'altra
parte e non so cosa sia. Anzi, forse lo so, ma non voglio ammetterlo,
perché sarebbe come confessare che quell'odore, quel
dannatissimo profumo delicato e leggermente dolce, mi piace.
E mi piace tanto.
Mi avvicino al
letto, scorgendo qualcosa di più di qualche ciuffo di
capelli bianchi. Credevo che non stesse respirando, da lontano sembrava
così, e invece lo sta facendo eccome: è un
respiro pesante, irregolare, spezzato. Le guance solitamente pallide
ora sono di un colore rosso intenso, nemmeno roseo, e la sua fronte
è completamente imperlata di sudore, i capelli umidi gli
coprono quasi gli occhi.
Perché
non sento quella goduria che mi ero immaginato? Perché non
mi provoca piacere vederlo inerme e in quelle condizioni nel letto?
Perché mi dà quasi fastidio che una stupidissima
febbre gli faccia più male di quanto gliene possa fare io
ogni giorno?
Non l'ho mai
visto così conciato male, eppure non provo niente di
confortante. Forse sento soltanto rabbia dentro di me e voglia di
prenderlo e risvegliarlo e picchiarlo violentemente per essere
lì con gli occhi chiusi e non considerarmi come suo solito.
Dio, Near...
Come puoi farmi incazzare anche in questo modo?
«Acqua...»
È un mugugno appena udibile, talmente inaspettato da far
perdere al mio cuore un battito. Non credo di averlo nemmeno visto
muovere le labbra.
Near non apre
gli occhi, ma finalmente si muove leggermente, consolandomi del fatto
di non essere completamente impazzito. Ha detto davvero qualcosa,
è sveglio.
«Acqua...»,
ripete, questa volta con un tono più comprensibile.
Acqua? Mi sta
davvero chiedendo di muovermi per prendergli da bere?
Controllati,
Mello. Ricordati le parole di Roger. Ricordati cosa rischi di perdere.
Cercando di
obbligare le mie mani ad afferrare le coperte e non direttamente il suo
collo, lo scopro con rabbia e lo lascio in balia di quella che per lui
deve essere una scarica di brividi insopportabile, perché lo
vedo irrigidirsi e tremare come una foglia.
«Non
hai più la capacità di usare le
gambe?», gli sbotto contro. «Prenditela da
solo.»
Rivolgendogli
un'ultima occhiata truce, gli do le spalle e incrocio le braccia al
petto. Dovessi lasciarlo patire la sete per un'intera giornata, non mi
abbasserò a servirlo come un cameriere. Roger vuole che io
lo faccia, ma non intendo...
Un tonfo alle
mie spalle mi fa sobbalzare e voltare istintivamente: il letto...
è vuoto.
Non. ci.
posso. credere.
Near
è rannicchiato sul pavimento, vicino alle mie gambe, il
corpo piccolo ma apparentemente troppo pesante per lui. Punta le mani
contro il parquet, la testa a ciondoloni, i capelli sul viso e il
respiro accelerato.
Si
è letteralmente buttato giù dal letto.
Lo guardo
incredulo. Quanto può essere perseverante un esserino del
genere? Pensavo che sarebbe rimasto a letto a patire davvero la sete... e invece
mi ha ascoltato. Vuole prendersela da solo, l'acqua.
Ansima
più forte, come se cercasse invano di far entrare aria nei
polmoni.
Dovrei
lasciarlo lì. Ma se lo facessi sul serio...
“Ricordati
che cosa c'è in ballo.”
Al diavolo.
Mi piego su di
lui e porto le braccia sotto le sue ascelle, sollevandolo senza alcuna
fatica.
Non pesa. Near
non ha peso.
Voglio alzarlo
e metterlo a letto, ma lui improvvisamente e per qualche assurdo motivo
che non riesco a spiegarmi si libera dalla mia presa, cadendo contro di
me e avvolgendomi i fianchi con tutte le braccia, premendo il viso
contro il mio stomaco in quello che sembra essere un goffo abbraccio.
Ma dura un istante, perché preso in contropiede perdo
l'equilibrio e barcollo fino a finire in ginocchio, con Near accasciato
completamente contro di me.
Non so come,
non so perché... qualcosa ha fatto sì che le mie
braccia si siano andate a chiudere attorno al suo corpo. Forse stavo
cercando un appiglio, forse è stato solo un caso, ma lo sto stringendo. Ed è come
avere addosso una palla di fuoco rovente, che mi brucia la pelle, i
muscoli e le ossa. Magari è soltanto la mia mente confusa da
quel contatto troppo ravvicinato, o il fatto che toccare Near per me
sia esattamente come infilare due dita in una presa di corrente, ma non
riesco a realizzare immediatamente di avere ancora le mie braccia
attorno a lui. Posso soltanto concentrarmi sul fatto che è bollente.
Lo afferro per
le spalle, allontanandolo per guardarlo in volto, ma la sua testa
continua a ciondolare verso il basso, gli occhi coperti dai ciuffi di
capelli.
«Ehi!»
Lo scuoto vigorosamente, ma non ricevo alcuna risposta.
Gli sollevo il
volto con una mano e gli tiro uno schiaffo, forse troppo forte, ma non
mi importa.
Near non
reagisce. Non è più cosciente.
Lentamente il
panico comincia a farsi strada nel mio corpo. Non so cosa fare. Non
ricordo neanche più chi dovrei chiamare. So solo che in
questa fottutissima stanza ci sono soltanto io, lui dipende da me, e se
non faccio qualcosa...
Non ho altra
scelta.
Lottando
persino contro me stesso, riesco a trovare la forza per stringerlo a me
ancora una volta e sollevarlo da terra, mentre il suo viso si va a
posare contro il mio collo. Posso sentire il suo flebile respiro contro
la pelle e se da una parte questo mi consola, dall'altra mi provoca una
scarica di brividi lungo tutta la spina dorsale.
Ma non ho
tempo per pensare a questo. Ho già appurato che Near, in
qualsiasi modo, è in grado di mandarmi in confusione.
Mi viene in
mente soltanto una cosa che potrei fare per farlo rinvenire e
abbassargli la temperatura: lo porto in bagno e lo faccio sedere dentro
la doccia. Non sono un medico, non so se gli sto facendo più
bene che male, ma voglio che in qualche modo riapra quei fottutissimi
occhi scuri e scacci via la paura che mi ha improvvisamente invaso
dalla testa ai piedi.
Paura di cosa
poi? Che non si svegli più? Perché dovrebbe
importarmene davvero in fondo? Per L?
Sono troppe
domande, troppe per me che in questo momento sono in grado a malapena
di respirare.
Apro al
massimo il rubinetto dell'acqua fredda e lascio che l'acqua scorra su
di lui e anche su di me, inginocchiato davanti al suo corpo privo di
vita.
Ma non serve a
niente.
Near non apre
gli occhi e il colore del suo viso sta diventando sempre più
chiaro, sempre più pallido.
Una risata
nervosa mi sfugge dalla gola, ma è talmente lugubre che
quasi non sembro io a parlare. «Non ti azzardare a prendermi
in giro, bastardo!»
Con una mano
gli schizzo l'acqua in faccia, senza rendermi conto di star tremando
come una foglia. Ma non sento freddo... Non riesco a sentirlo in questo
momento. Ho una vaga idea di quanto sia gelata l'acqua, ma la mia testa
e tutti i miei sensi riescono soltanto a concentrarsi su ciò
che sta accadendo. O che non sta accadendo, per meglio dire,
perché Near continua a non aprire gli occhi e il panico mi
sta divorando vivo.
Mi immobilizzo
come una statua di cera, mentre i capelli fradici mi coprono per
metà la vista. Non sta scherzando. Ma non può
essere vero!
«Cazzo,
svegliati!», gli urlo contro, quasi gettandomi addosso a lui,
afferrandogli il volto e sollevandoglielo fino ad averlo davanti al mio.
Non reagisce.
A nulla serve l'acqua gelata che ci sta cadendo addosso, i miei
schiaffi sul suo viso e gli insulti. Sembra quasi... morto.
«Lo
stai facendo sul serio?!», grido con tutta la voce che ho in
corpo, afferrandolo per il colletto del pigiama. «Me la stai
dando vinta?!»
Niente.
Il mio volto,
anche se non posso vederlo, deve essere l'immagine del terrore. Non
posso credere che Near lo stia facendo sul serio. Non... non
può!
«E
finisce così?! Sul serio?!»
Non so cosa mi
prende, ma inizio a picchiarlo con tutte le mie forze, a dargli
schiaffi su tutto il viso, pugni sulle spalle, a gridargli di
svegliarsi. Sembro pazzo. Dovrei chiamare aiuto, ma ho paura che se me
ne vado da qui... anche lui se ne va. È un pensiero che non
ha senso, ma in questo momento cosa ha senso? Non so
nemmeno perché io abbia totalmente perso il controllo in
questo modo, perché abbia così tanta paura... So
solo che vorrei che riaprisse quei fottutissimi occhi neri.
Smetto di
schiaffeggiarlo e tenendo saldamente il suo viso fra le mani mi fermo a
guardarlo. Non l'ho mai visto in quel modo, non gli sono mai stato
così vicino... Non l'avevo mai toccato veramente.
Mai.
La mia mano
incontrollata si muove da sola, si posa sulla sua fronte e sposta i
ciuffi di capelli fradici dai suoi occhi.
Aprili,
pidocchio.
«Near...»
Non ho mai sentito la mia voce così piena di dolore.
È più simile a un lamento, a una preghiera.
Sì,
lo sto pregando, e non so nemmeno perché!
Ma questa
volta, forse, mi ascolta davvero: le sue palpebre si muovono appena, la
sua bocca si schiude e finalmente quei fottutissimi occhi scuri si
riaprono lentamente e mi guardano.
Non so come
reagire, non so cosa pensare. Per un attimo non riesco nemmeno a
ricordare il mio nome. Lo guardo con gli occhi sbarrati e ansimo forte,
incapace di fare qualsiasi cosa.
Near non dice
una parola, si limita soltanto a fissarmi e a respirare faticosamente.
Non so se mi sta vedendo sul serio, ma è sveglio, e questo
mi basta.
«Non
ti azzardare mai più a-» La voce mi si mozza in
gola, quasi come in un singhiozzo.
Non sto
piangendo... o forse sì? Non lo so, il mio viso è
bagnato, io sono bagnato, e non capisco che cazzo mi prenda. Sto
impazzendo probabilmente. Ho ancora tanta rabbia addosso, tanta paura.
E improvvisamente inizio a rendermi conto di star tremando, e anche
Near se ne accorge e sembra che mi voglia dire qualcosa, ma non ci
riesce.
«Pidocchio.»
È un sussurro, una parola appena percettibile che non sono
sicuro nemmeno io di aver pronunciato.
E poi non so
perché, non so come... Lo attiro a me e lo stringo con tutte
le mie forze, intrecciando le dita di una mano con i ciuffi dei suoi
capelli. In quel momento lo sento lasciarsi scappare un gemito
soffocato, e forse è la prima volta che lo sento emettere un
suono di dolore. Near non si è mai lamentato di nulla.
Non ho idea di
cosa io stia facendo, ma l'unica cosa che in questo momento riesce a
riscaldarmi è il suo corpo contro il mio, anche se il suo
è molto più freddo di quanto lo sia il mio. Sento
le sue fragili ossa scricchiolare appena, ma non mollo la presa,
anzi... lo stringo più forte, disperatamente.
Non voglio che
se ne vada ancora.
La mia mente
oggi riesce soltanto a formulare pensieri insensati e vergognosi, di
cui mi pentirò per mesi probabilmente, ma adesso voglio solo
tenerlo così. E la cosa strana è che se prima
anche solo l'idea di sfiorare la sua pelle mi ripudiava, adesso non
posso fare a meno di toccarla. Come una calamita. Non sono mai riuscito
ad entrare in contatto con lui in tutti questi anni, ma ora che posso
sentire concretamente la consistenza del suo corpo con le mie mani
è come se in qualche modo riuscissi a rendermi conto che
Near, in realtà, non è soltanto un incubo ad
occhi aperti che mi perseguita giorno e notte, un fantasma che mi
appare davanti per rovinarmi l'esistenza. È fatto di carne,
è morbido, e... profuma.
«Mi
odi davvero così tanto?»
...Cosa?
È
un mugugno appena percettibile contro il mio petto, ma la sua
è una domanda diretta, improvvisa, posta senza esitazione,
come se tutto questo casino non fosse mai successo. Come fa ad avere
questo controllo? Può essere reale? E soprattutto,
perché mi fa questa domanda adesso?
Io non ti
capirò mai, Near.
«Mello...»
La sua voce diventa più sicura e leggermente la sua testa si
alza, ma non si libera dalla mia morsa. «Ti sei mai chiesto
perché io cerchi così assiduamente la
morte?»
Quella domanda
mi gela il sangue nelle vene. Che sta dicendo? È la febbre a
parlare? Io non sapevo che lui volesse... morire. Non riesco a pensare
o fare qualsiasi cosa. Ma non credo che Near si aspetti una risposta da
me.
«Perché
so che poi arrivi e mi salvi. E sai perché?»
No, Near, non
lo so. So solo che mi stai facendo paura, che quello che mi hai detto
non ha senso e che... non capisco. Sta delirando, non c'è
dubbio. Ma perché, pur sapendolo, riesce comunque a
paralizzarmi in questo modo?
La sua testa
si riabbassa e si preme di nuovo contro il mio petto. Lo sento
sospirare forte.
«Pensaci.»
Il suo corpo
diventa improvvisamente pesante e si accascia completamente contro il
mio. Forse è tornato nel mondo dei sogni... Io non so cosa
stia succedendo, ma tutto questo non ha senso. Cosa dovrei pensare? Non
riesco a ragionare. Tutto questo mi ha completamente... devastato.
'Fanculo,
pidocchio.
Con tutta la
rabbia che ho in corpo lo spingo via, contro il muro, lasciandolo
lì privo di sensi. Io mi allontano schifato e mi accascio
più in là, guardandolo con odio. Come ho anche
solo potuto pensare di fare quello che ho fatto? Come ho potuto preoccuparmi per un essere del
genere, il cui unico intento è umiliarmi e confondermi le
idee? Chi ti ha dato il permesso di dire simile stronzate, Near? Chi?!
Vorrei
andarmene da qui, ma mi rendo conto di non avere nemmeno la forza per
farlo. Ciò che è successo mi ha persino tolto la
capacità di intendere e di volere. L'unica cosa che riesco a
fare ora è chiudere gli occhi. Per non pensare
più, per non vederlo più, per... dimenticare
tutto questo.
“Perché
so che poi arrivi e mi salvi.”
Le sue parole
mi rimbombano nella testa. Che cosa vuoi da me, Near?
“Pensaci.”
Mentre le mie
palpebre si sollevano lentamente, un odore delicato mi entra dentro e
mi riempie i polmoni. Il suo odore. Ma
è così strano sentirlo adesso, dal momento che
addosso mi rendo conto di avere soltanto una triste coperta verde.
È quella del suo letto, la riconosco, ma lui non
c'è. Resta soltanto quel profumo impresso ovunque, nella
coperta, nei miei vestiti, persino nella mia pelle.
E la cosa me
lo fa odiare ancora di più.
Scosto la
coperta e mi alzo, fermandomi sulla soglia del bagno quando lo vedo
seduto sul letto, la testa posata contro il muro e gli occhi chiusi.
Addosso ha ancora il suo pigiama umido. La coperta che lui stesso deve
avermi messo addosso mentre stavo dormendo è stretta da un
angolo nel mio pugno e se fosse viva probabilmente starebbe urlando di
dolore. La mia rabbia cresce a quella vista, come l'umiliazione che a
poco a poco ha iniziato ad invadermi, facendomi sentire quasi nudo e
sporco. Sporco di lui, di quell'orribile essere che per qualche strano
motivo poche ore prima ho desiderato ardentemente stringere forte a me.
Mi vergogno.
Mi vergogno di aver fatto una cosa del genere, di aver pianto
addirittura, di avergli permesso di dirmi quelle cose e di averle
ascoltate. Tutto ciò che è successo oggi...
è stato uno sbaglio. Near mi ha umiliato. E il modo in cui
lo ha fatto mi sta facendo venire voglia di strapparmi la pelle di
dosso con le mie stesse mani.
Lo vedo aprire
gli occhi, fissarmi con quel viso di porcellana e non battere ciglio.
Probabilmente non stava nemmeno dormendo, ma soltanto ascoltando il mio
respiro affannato, cercando di capire il flusso dei miei pensieri. So
che può sentirli.
I nostri
sguardi per l'ennesima volta si incatenano, ma giuro che da oggi in poi
non permetterò più che ciò accada.
Voglio solo che quest'ultima volta capisca quanto la sua esistenza mi
stia angosciando e umiliando.
Mi avvicino di
qualche passo, lanciandogli la coperta addosso. Lui non si muove.
«Io
non so esattamente cosa ti passa per la testa... Non so
perché tu mi abbia detto quelle cose prima e non voglio
nemmeno sapere se eri sincero o delirante.» La mia voce
è stranamente ferma, mentre dentro mi sento morire.
«Una cosa però è certa.»
Posso solo
sperare che ciò che gli sto per dire sarà per lui
tanto umiliante quanto ciò che lui ha fatto oggi lo
è stato per me. Ma non vedo nessun interesse da parte sua,
nessun cambiamento nei suoi occhi. Deglutisco a fatica, come se stessi
trattenendo un magone enorme in gola.
«Tu
per me sei l'equivalente del nulla più totale.» La
mia voce trema per un istante, esita, ma non mi fermo perché
la mia rabbia è più forte. «Sei
soltanto l'unico ostacolo a ciò che desidero di
più, una seccatura che prima o poi riuscirò a
togliere di mezzo in qualche modo.»
I suoi occhi
si chiudono leggermente in uno sguardo più intenso, ma a me
sembra soltanto più vuoto. Sì, non c'è
niente lì dentro. Sono io... ad averlo svuotato?
«Nulla
di più.»
Forse altre
volte gli ho detto queste parole... ma credo che soltanto ora stiano
facendo effetto. Magari perché è la prima volta
che mi prende sul serio, o perché non sto gridando come un
ossesso, o forse perché io
gliele
sto dicendo credendoci veramente. E lui lo sente. Solo... vorrei non
sentire questo magone in gola.
Per fargli
male, posso solo fare questo: togliergli l'unica cosa che in qualche
modo lo fa sentire non del tutto morto. E lo devo fare,
perché fino ad oggi l'unico che ha sofferto sul serio sono
stato io.
«Quando
tutto questo sarà finito, per me diventerai un semplice
fantasma che si aggira fra queste mura, qualcosa privo di valore e di
senso, che cercherò a tutti i costi di evitare con tutto me
stesso. Se prima il mio interesse era quello di renderti la vita
impossibile, adesso sappi che cercherò in tutti modi di far
sì che diventi completamente insignificante. Esattamente
come te.»
Il mio sguardo
vorrebbe essere minaccioso, ma sa solo trasmettere frustrazione. E lui,
per quanto voglia farmi credere di non sentire niente, mi sta
comunicando la stessa identica sensazione. Cos'è quello
sguardo, Near? Mi stai forse... pregando?
Nella mia
testa visualizzo le immagini di quella giornata e improvvisamente torno
a sentire quell'odore odioso addosso a me, come se lui fosse ancora
stretto fra le mie braccia. La mia mano si stringe a pugno e le unghie
si conficcano nella carne per la rabbia.
«Se
non vuoi morire... non ti azzardare mai più ad umiliarmi in
quel modo.»
Gli do le
spalle e mi avvio verso la porta, ignorando i suoi occhi fissi su di
me, i miei doveri nei suoi confronti, qualsiasi cosa. Poi,
improvvisamente, la sua voce rimbomba ancora una volta nella mia testa:
“Mi odi davvero così tanto?”. Quella
domanda che mi aveva fatto poche ore prima...
Sorrido
appena, ma non si può davvero definire un sorriso, e mi
fermo soltanto per un istante.
«La
mia risposta alla tua domanda, comunque, è ovvia. Prova a
immaginarla da solo.»
Non voglio
più vederlo. Non voglio più nemmeno sentirlo respirare. Mi volto e chiudo la
porta alle mie spalle.
Sì,
Near. Io ti odio.
NdA: Eccomi qua,
come al solito in ritardo. Mi scuso ancora per la mia indecenza. Questa
volta però ci ho messo tanto per un motivo preciso, che mi
sembra giusto esporvi con sincerità, perché
potrebbe interessarvi dal momento che seguite questa fanfiction. Ci ho
pensato e ripensato più volte in questi mesi e per poco non
prendevo la decisione di interrompere la storia ed eliminarla dal sito.
Il motivo è che purtroppo non riesco più a
trovare l'ispirazione per portarla avanti o, se la trovo, è
veramente sporadica e non dà buoni risultati. È
come se non la sentissi più mia e di conseguenza non riesco
a metterci più tanto sentimento, e sono sicura che questo si
vede. Non so quanto possa arrivarvi... Però, riflettendoci
meglio, ho realizzato che ci sono delle persone che ci tengono
veramente tanto, soprattutto una, che con tanta pazienza mi aspetta
sempre e ogni tanto mi invia anche qualche messaggio per incitarmi a
continuare. Ho pensato di dedicare a lei questo capitolo,
perché probabilmente se la storia e l'aggiornamento ora sono
qui, è tutto merito suo e del suo 'rompermi le palle', come
dice lei. Quindi grazie, Crazy
Sisters. Non so quante volte abbia scritto e cancellato
questo capitolo... Non mi piaceva mai. Anche per questo ci ho messo
tanto a pubblicarlo. Comunque la mia decisione finale è
questa: 'Emotionless' rimane qui dov'è e verrà
anche conclusa; magari ridurrò il numero di capitoli che
avevo previsto di scrivere - 10 - a 7, ma cercherò comunque
di renderli belli corposi e pieni di avvenimenti. Ho raccolto un po' di
idee e forse posso dire di sapere come mandarla avanti.
Un'altra cosa: questo al momento è il terzo capitolo, ma
quando arriverà il prossimo aggiornamento più
avanti, ho deciso che questo capitolo verrà incorporato con
il secondo, perché a mio parere ha più senso,
soprattuto per come ho in mente di procedere. Avrei dovuto presentarli
insieme in un unico secondo capitolo, ma come ho già fatto
intendere le mie idee erano parecchio confuse e non ho agito bene.
Quindi voi aspettatevi la prossima volta il terzo capitolo - comunque
non eliminerò niente, semplicemente unirò due
capitoli -. Forse sarebbe stato più giusto eliminare tutto e
ripartire da capo, ma sinceramente non mi andava proprio a genio
l'idea. Quindi questa è la soluzione che ho trovato. Spero
che vi faccia piacere comunque.
Beh, che dire... Spero che tutto sommato vi sia piaciuto.
Cercherò di tornare il prima possibile. Grazie mille per la
pazienza e l'affetto che mi dimostrate. Alla prossima, un bacio!
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