[Partecipante
al “Canvas contest - Scrivi e scegli un canovaccio per la tua fanfic!” indetto
da Ayumi Yoshida]
Autore
del canvas:
Mokochan
Personaggio
e/o coppie:
Kiba/Hanabi
Rating:
Giallo
Prompt:
"Ascolta, so che per te dovremmo chiuderla qui, ma io non voglio rinunciare a
questa cosa anche se non sappiamo che cosa sia. Voglio riaprirla... per favore
possiamo riaprirla? E prima che tu dica di no... non dire di no." [frase tratta
dal telefilm "New Girl"]
Avvertimenti
e/o note:
introspettivo
Altro:
vorrei che fosse una AU
*
La loro
convivenza era iniziata con le soavi note di una bella melodia.(#)
Questa era
giunta alle sue orecchie, mentre varcava per la prima volta la soglia
dell’appartamento, chewing-gum tra i denti e borsone in
spalla.
Si tolse le
scarpe.
Evidentemente
uno dei due coinquilini con i quali avrebbe diviso le spese e l’affitto studiava
musica, così, incuriosito, decise di andare e presentarsi.
Scoprì che si
trattava di una ragazza.
Era minuta, con
la schiena perfettamente diritta mentre sedeva sullo sgabello di un pianoforte,
con i lunghi capelli che ricadevano come i rami di un salice piangente, con le
braccia e le gambe così magre da fargli pensare di trovarsi dinnanzi una che
mangiava poco.
Non poteva
vederla in viso, perché lui era dietro di lei, a circa sei passi di
distanza.
E continuava a
suonare, come se nulla potesse disturbarla, chiusa in un mondo a
parte.
Allora si
schiarì la voce, annunciando la sua presenza nella stanza, obbligandola suo
malgrado a fermare il dito su un “la” acuto.
La pianista
voltò appena il capo.
«Ciao», la
salutò. «Io sono il tuo nuovo coinquilino. Vuoi sapere come mi chiamo, o la cosa
ti disturba?» domandò.
«No. Mio cugino
Neji mi aveva avvisato, sapevo del tuo arrivo,
Inuzuka-san».
«Immagino che
sia lui, l’altro coinquilino». Sorrise, certo di averci
azzeccato.
«Lo conoscerai
più tardi. Ti mostro le camere», decise, alzandosi in piedi e procedendo schiva
verso la sua sinistra. Non si era ancora degnata di guardarlo negli occhi… Ah,
questi artisti! Davvero strani.
Con un’alzata di
spalle, lui le andò dietro.
«Sei formale,
nonché scortese. Non mi hai ancora detto il tuo nome», le
ricordò.
«Hyuuga…
Hanabi».
«Hanabi, eh?
Interessante… Il mio invece è Kiba, anche se lo saprai già», insinuò, dando per
scontato che il cugino della ragazza dovesse essere ben informato. “Chissà
che tipo è…” pensò.
Lei si limitò a
sospirare, per poi fermarsi in prossimità di una porta
chiusa.
Finalmente si
girò e lui scoprì i suoi occhi. Chiarissimi, inespressivi, per nulla
timorosi.
«Tu dormirai in
questa. La stanza di fianco è sua, mentre quella in fondo la sto occupando io»,
spiegò in modo spiccio ed essenziale.
«Ah…
ok».
Il giovane
annuì, distogliendo lo sguardo da quegli occhi tanto particolari, che l’avevano
colpito, anche se non l’avrebbe ammesso tanto facilmente.
La camera era
piccola e confortevole; semplici erano l’armadio, la scrivania, la sedia e la
poltrona.
Una piccola TV
al plasma appesa alla parete laterale sarebbe stata un ottimo diversivo, nel
caso in cui non avesse preso subito sonno.
Si voltò per
ringraziare Hanabi, ma lei non c’era più.
«Grazie, eh!»
esclamò ugualmente, per nulla risentito, chinandosi a disfare il borsone con le
sue cose.
“Mi aspetta una
convivenza davvero interessante… Già”, pensò tra sé,
masticando il chewing-gum, anche se non rivide l’incomprensibile Hanabi per
qualche ora, né la sentì suonare.
*
Uscì dalla
doccia tutto gocciolante, pulito e rigenerato.
Dall’apposito
sgabello da bagno recuperò l’asciugamano da assicurarsi in vita e un altro per
la testa.
Attraversò il
corridoio frizionando i corti e arruffati capelli castani.
Una volta
raggiunta la sua stanza, però, si accorse che mancava la felpa che voleva
indossare, quindi si mise il resto - boxer e pantaloni della tuta - per poter
andare in soggiorno.
Hanabi era
seduta compostamente al solito posto, ma invece di esercitarsi al piano teneva
le cuffie nelle orecchie e un lettore CD tra le mani.
«Hanabi?» la
chiamò.
Nessuna
reazione. Non l’aveva sentito. Riprovò alzando la voce, ma lei rimase immobile e
concentrata nell’ascolto.
«Senti un po’…»
si avvicinò e con un dito le picchiettò la spalla, finché non ottenne la sua
attenzione.
La ragazza,
voltandosi, si trovò davanti il petto del giovane, e distogliendo veloce gli
occhi sgranati arrossì. Non se l’aspettava.
«Per caso sai
dov’è finita la mia felpa grigia?» chiese, chinandosi appena per scrutare il
profilo delicato della ragazza, constatando che doveva essersi
imbarazzata.
«S-sì… La felpa.
Secondo me aveva bisogno di una rinfrescata e l’ho messa… l’ho messa in
lavatrice», rispose, in evidente disagio.
«In
lavatrice?».
«Non
preoccuparti, ho usato il lavaggio delicato. Vuoi che esca fuori e veda se è
asciutta?» proseguì, sempre senza guardarlo. Se diceva di sì, almeno aveva una
scusa buona per dileguarsi.
«Mh. A dire il
vero non c’è fretta, no», dichiarò, sorridendo sornione. Forse la piccola Hanabi
non era così insensibile e controllata come gli aveva fatto credere in tutti
quei giorni passati sotto lo stesso tetto.
Senza chiedere
il permesso, si sedette accanto a lei, rubandole una delle due
cuffie.
«Cosa stai
ascoltando?» s’incuriosì. Non che volesse interessarsi ai gusti musicali di lei,
ma per non farsi cacciare doveva pur intavolare una
conversazione.
Hanabi aveva
sussultato, ad averlo al suo fianco, ma si era ripresa quasi
subito.
«Questa canzone
la suonerà una collega al suo prossimo concerto con il violino, senza le parole.
Mi ha chiesto gentilmente se posso accompagnarla con il piano, e io ho
accettato», spiegò senza esitazioni. «Anche se mi ha dato lo spartito, ho
bisogno di ascoltarla più volte, per capire i tempi».
«Come si chiama?
Mi sembra di non averla mai sentita…».
«È Inori.
La canta Lena Park», lesse dalla custodia del CD.
Kiba le restituì
la sua cuffia. «Sicuramente la suonerai benissimo. Non è il mio genere, ma per
quel poco che ho sentito, sembra che faccia stare bene… È il classico crescendo
di sentimenti ed emozioni che piace a voi ragazze, no?» disse il suo parere,
incrociando le braccia dietro la testa.
Vedere quei
muscoli in tensione la fece sentire nuovamente in imbarazzo. Puntò il suo
sguardo sugli ultimi tasti del pianoforte e prese un bel respiro, mentre Kiba
fissava lei.
«Non so che
dire. Penso che capirò meglio quando proverò quella cosa…» mormorò, per
poi spostarsi e alzarsi in piedi. «Vado a vedere se la tua felpa è asciutta!»
esclamò, sparendo dalla porta d’ingresso.
In effetti,
Hanabi era solita stendere il bucato su, nella terrazza. Sorrise tra sé. Era
naturale che un’artista celasse certi pensieri. Ma era sorprendente che la
pensassero allo stesso modo. Quella cosa… A dispetto delle apparenze,
nemmeno lui l’aveva ancora provata.
*
Hanabi si stava
preparando. Era al ritornello, concentrata e attenta a non sbagliare neanche una
nota.
Le dita
affusolate si muovevano agilmente sulla tastiera del pianoforte, seguendo un
percorso studiato e preciso, producendo la melodia di cui aveva
bisogno.
Un urlo di
gioia, però, interruppe l’esecuzione.
Si voltò
perplessa a osservare la porta, ma lui era già uscito, sbattendola senza alcun
riguardo.
Dopo almeno un
minuto, da sotto, udì Kiba chiamare ad alta voce qualcuno. E poi una risata
vivace, probabilmente la sua, le fece pensare che era davvero molto, molto
contento di vedere – di rivedere – questa persona.
Hanabi decise di
affacciarsi alla finestra più vicina, anche perché ormai era curiosa e la
curiosità le avrebbe impedito di suonare senza commettere
errori.
Doveva essere
importante per lui se gli scatenava tali reazioni.
Speciale.
“Non sono
gelosa”, si disse Hanabi, per giustificare il suo pensiero. Ma quando lo
vide, sospirò di sollievo, assistendo a una scena che la fece quasi
sorridere.
Era un cane
enorme, quello che stava leccando la guancia di Kiba mentre il ragazzo gli dava
pacche affettuose sulla testa e sulla schiena.
«Che bella
sorpresa, nee-san! Ti ringrazio per aver portato qui il mio Akamaru», si rivolse
così alla donna che si stava avvicinando, dopo aver posteggiato la macchina
accanto a un albero.
La giovane
rispose tranquillamente, ma da dove si trovava Hanabi non riuscì a sentire la
sua frase.
Anche lei aveva
una sorella più grande, magari poi gli avrebbe fatto sapere questa cosa che li
accomunava, per poi stupirsi nuovamente dei suoi stessi
pensieri.
A furia di
osservarlo nella sua gioia selvaggia, finì per essere scoperta: Kiba a un certo
punto voltò la testa, alzandola verso l’alto, mentre lei, colta in fallo, cercò
di sparire abbassandosi. Troppo tardi.
«Guarda che puoi
scendere. Akamaru non ti mangia mica!» gridò lui, schernendola
lievemente.
Hanabi si
dileguò e fu molto combattuta per qualche minuto, perché rispettosa degli spazi
altrui e mai invadente, ma alla fine acconsentì.
Quando li
raggiunse, constatò con un certo timore che quel cane, al momento accucciato ai
piedi del suo padrone, era davvero enorme. Però aveva un bel pelo bianco con
qualche chiazza di marrone.
Voleva
accarezzarlo, ma la guardava fisso, come se la stesse studiando, con la coda
immobile.
«Avvicinati», la
spronò Kiba, il sorriso sprezzante e sicuro. «Se non gli sei simpatica, al
massimo ti ringhierà contro. Ma non ti sbranerà se non glielo ordino, perciò non
temere».
Hanabi fissò il
ragazzo spalancando gli occhi chiarissimi, come se dicesse: “Non sei per
niente rassicurante, così”, per poi provare.
Contraendo le
labbra, si scostò la ciocca di capelli, che le ricadeva spesso lungo il viso,
con la stessa mano che tese verso Akamaru.
Sorprendentemente,
quel cucciolone si lasciò accarezzare senza emettere alcun ringhio o verso
sospetto, arrivando addirittura a leccarle docile il
palmo.
«Visto? Sembra
che tu gli piaccia», affermò. Chi meglio di lui poteva capire il suo fedele
Akamaru?
Abbagliando,
l’animale confermò ciò che aveva detto, facendo ridere di gusto entrambi.
«Dai, amico,
facciamole vedere come ci divertiamo!» lo incalzò Kiba, scattando in avanti e
venendo subito rincorso vivacemente dal suo cane.
«Adesso capisco
perché vuole fare il veterinario…» ricordò Hanabi, pensando a quando una
mattina, mentre prendevano la colazione insieme, le aveva riferito di questo
lavoro a cui aspirava da quando aveva memoria. La sorella di Kiba, Hana Inuzuka,
la sentì e annuì, affiancandola.
«Sembra uno
sbruffone, ma in realtà ha un cuore grande», le comunicò, lanciandole
un’occhiata eloquente. Hanabi, con le guance color porpora, invidiò la lunga
treccia di quella bella donna, che in viso somigliava tanto al suo
coinquilino.
«Non sono la sua
ragazza, se sta pensando questo…» si difese.
«Oh, non lo
pensavo affatto», replicò tranquillamente, anche se non si capiva bene se stesse
mentendo oppure no.
Hanabi scosse il
capo, lasciando correre, mentre Kiba giocava ancora a rincorrersi con Akamaru, e
i due erano ignari di tutto.
Poi lei
assistette senza pensieri al gioco del riporto, con un ramo mezzo rotto che il
giovane aveva staccato del tutto dall’albero, finché Hana non disse che era
tardi e che doveva riportare Akamaru a casa, dalla loro madre.
*
Kiba era appena
rientrato da un’uscita tra amici, da una serata piuttosto divertente, e mai si
sarebbe aspettato di trovare Hanabi sul divano, l’aria sconsolata e abbattuta,
come se fosse vicina alle lacrime.
«Ehi… piccola,
cosa è successo?» si premurò di domandare, tendendo una mano verso la sua
spalla.
Siccome lei si
ostinava a non rispondere, a sfuggirgli, a puntare lo sguardo ovunque, ma non
nella sua direzione, si piazzò di fronte e le sollevò con gentile fermezza il
mento.
«È per le prove?
Non sei andata bene?» persisté, desideroso di conoscere il motivo del suo
turbamento.
«O forse ti è
stato fatto del male? Rispondimi, accidenti! Vorrei aiutarti, ma come cavolo
faccio se non ti confidi con me?!».
L’aveva
convinta, perché finalmente parlò.
«Le prove
generali sono andate benissimo. Però…» esitò.
«Però?» ripeté,
esortandola a continuare con un sorrisetto dei suoi.
«Sono stata
perfetta come si aspettavano, però mi hanno detto che non ci ho messo
sentimento. Ecco cosa! Non sono stata in grado di trasmettere loro qualcosa…» si
sfogò, scansando la mano del ragazzo, piegando le gambe sul petto per poi
abbracciarle.
E continuò: «Non
è la prima volta che me lo fanno notare. Fin da piccola, sono sempre stata la
figlia perfetta, quella a cui riusciva tutto al primo colpo, o comunque mi
bastavano pochi tentativi. Mia sorella invece era goffa, ma nonostante questo
non si arrendeva, non ha mai smesso di impegnarsi nelle cose che
faceva».
«E questo che
c’entra?» s’intromise Kiba, mentre Hanabi faceva una pausa. Lei
inspirò.
«È questo che
intendono. Questo! L’impegno, l’emotività, la passione… comincio a credere di
non essere capace di mostrarle agli altri. Di farle mie, completamente mie, per
poi condividerle…» rifletté, suonando un po’ pessimista,
arrendevole.
«Che
sciocchezza!» replicò lui, infervorandosi. «Tu sbagli a dare retta a certi
preconcetti, e non so nemmeno se sia questa l’espressione giusta, ma chi se ne
frega! Ascoltami bene, Hanabi! – Le afferrò le spalle con irruenza e lei lo
guardò, confusa. – Quel giorno hai ammesso di non capire bene “quella cosa”
che non hai mai prova-».
«Sì,
ma-».
«Allora, quando
suonerai sul palco, davanti a un pubblico che si aspetta che tu trasmetta
un’emozione, pensami. Pensaci, okay?».
Così, dopo
essersi interrotti a vicenda, dopo questa raccomandazione sentita di lui, che la
fissava intensamente con i suoi occhi così belli e probabilmente carichi di
“quella cosa” che andava cercando, lui che si fece più vicino,
respirandole sulle labbra prima di sfiorarle con le proprie, Hanabi
comprese.
«Fidati! Tu
pensa a questa cosa tra di noi e andrà tutto bene», la rassicurò. E non
ci fu bisogno di aggiungere altro, all’inspiegabile e meravigliosa intesa che
avevano raggiunto.
Il giorno dopo,
tornando a casa, Hanabi sorrise raggiante, come non le capitava da tempo
immemore.
Voleva
ringraziarlo, raccontargli tutto, che aveva realmente pensato a lui, ai baci che
si erano dati, che alla fine dell’esecuzione il pubblico aveva apprezzato con un
forte applauso, mentre la sua amica si era complimentata con lei e la direttrice
le era sembrata sinceramente commossa.
Quando Kiba aprì
la porta, Hanabi lo abbracciò di slancio, stretta nel suo elegante abito
nero.
«È stato
bellissimo. Io…» esordì, ma lui si era staccato per farle sapere che non c’era
bisogno che aggiungesse altro.
«C’ero anch’io
allo spettacolo, Hanabi. Non devi dire nulla, so già com’è andata», confessò con
un sorriso che faceva concorrenza al suo, per poi congiungere le loro
labbra.
«Potevi dirmelo
che venivi! Comunque grazie… è merito tuo», sussurrò con un finto
broncio, quando si fece indietro. Allora Kiba la sollevò dai fianchi, la fece
girare, ridere di cuore, e rimettendola giù ebbe nuovamente la tentazione di
baciarla.
Questa cosa tra
loro era più bella ed evidente che mai.
Così evidente
che il cugino li sorprese a scambiarsi un lungo bacio per nulla semplice e
casto.
Lei si staccò
con un “ops!” un po’ nervoso, imbarazzata, mentre lui ebbe abbastanza
faccia tosta e coraggio da dire a Neji: «Ebbene sì, da oggi stiamo insieme.
Qualche problema?».
La versione
maschile e spesso assente di Hanabi – così soleva definirlo Kiba, poiché i
due cugini erano molto simili – scosse il capo. Se era stupito o infastidito
dalla cosa, lo stava mascherando perfettamente.
«Per me no, se
lei è felice. Ma mio zio potrebbe essere un problema…» rispose controllato, ma
vago.
«Correremo il
rischio!» esclamò sprezzante Kiba, cingendo senza alcun timore le spalle esili
della ragazza, che aveva chinato il capo e più di una ciocca, sfuggita
all’acconciatura elaborata che le era stata fatta prima del concerto, le era
caduta giù.
«Come volete»,
sospirò rassegnato Neji, superandoli, diretto nella propria
stanza.
«Scommetto che
quel genio di tuo cugino l’aveva intuito già da tempo, che c’era qualcosa fra
noi», Kiba ruppe il silenzio che si era creato, non sapendo che altro
pensare.
«Può darsi»,
replicò Hanabi, sgusciando lesta dalla sua presa e mettendo subito in chiaro che
sì, stavano insieme, ma questo non lo autorizzava a starle sempre
appiccicato.
«Oh. Ora la
pensi così, ma un giorno non ti dispiacerà stare appiccicata a me»,
ribatté, pieno di malizia, «in tutti i sensi».
Lei assunse una
tonalità rosso fuoco. «Appunto! Non farti strane idee!» squittì, venendo poi
travolta dal corpo del giovane, che ridendo la strinse a
sé.
«Non
preoccuparti, aspetterò…» la tranquillizzò Kiba, accarezzando quei capelli fini,
inspirando il suo profumo, delicato come lei.
Con incrollabile
ottimismo, pensò che niente e nessuno l’avrebbe separato dalla donnina speciale
che stava abbracciando, ma si sbagliava.
Non aveva
minimamente considerato l’imminente partenza di
Hanabi.
*
«Partita? Non
sapevo… Perché non ha detto…?».
Kiba era
chiaramente spiazzato, disorientato e confuso.
«Le avresti
impedito di andare via», la giustificò il cugino, mentre beveva tranquillamente
una tazza di tè verde. Il suo comportamento serafico, però, lo portò
all’esasperazione. Attese che poggiasse l’infuso al sicuro, prima di agguantarlo
per il colletto della camicia.
«Piuttosto, non
è che hai fatto la spia, bastardo?!» ringhiò.
Ripensò alla
camera vuota della ragazza, al pianoforte coperto da un telo in soggiorno e al
senso di abbandono che l’aveva preso in una morsa per nulla
piacevole.
«No. La
questione in realtà è più seria: mio zio si è ammalato. E anche se i medici
sostengono che non sia nulla di grave, lui deve stare a riposo. Ha bisogno di
sua figlia, in questo momento», chiarì, apparentemente impietoso, minimamente
toccato e intimorito dalla sua inquietudine.
«Perché proprio
lei?» insisté, scrollandolo.
«Sai bene che io
lavoro. E Hinata da questa sera andrà all’estero per uno stage importante»,
rispose.
Kiba allora capì
che era sincero, che prendersela con lui sarebbe stato controproducente, e mollò
la presa. Non si era ancora calmato, però. Sfogò la sua rabbia e la sua
frustrazione con un pugno dritto al muro.
«Merda!
Maledizione!» imprecò, spostando la fronte aggrottata sul suo
braccio.
A questo punto,
poteva tentare soltanto quel colpo di testa.
Neji stava
uscendo dalla cucina, quando lui lo fermò con l’unica frase
logica.
«Dammi
l’indirizzo. Vado da lei».
Si fissarono,
uno fermamente deciso, l’altro vagamente perplesso.
«Peggiorerai
soltanto le cose».
«Puoi darmi
questo fottuto indirizzo?» sbottò, andando verso di lui e aggiungendo:
«Ascolta, so che per te dovremmo chiuderla qui, ma io non voglio rinunciare a
questa cosa anche se non sappiamo che cosa sia. Voglio riaprirla! E prima
che tu dica di no... per favore, non dire di no».
“Ho scoperto che
anche Neji Hyuuga ha un cuore”.
Kiba ghignò,
uscendo dall’appartamento, con tutta l’intenzione di dirigersi alla stazione, la
stessa in cui Hanabi aveva preso il primo treno del
mattino.
Il prezioso
biglietto con l’indirizzo stava stretto nella mano destra, ficcata nella tasca
larga della sua felpa grigia, la stessa che Hanabi aveva lavato in lavatrice
qualche settimana prima.
Con l’altra mano
reggeva il suo borsone, preparato in tutta fretta, pieno dell’essenziale.
Levò lo sguardo
al cielo terso, rilassato al pensiero che si sarebbero rivisti presto, prima di
quanto lei potesse immaginare.
“Perché non
m’importa cosa pensa la tua famiglia. Io ti raggiungerò, piccola
Hanabi”.
_
(#) ho pensato a
questa (ma voi potete anche immaginarne un’altra
classica, se non vi piace ^^)
Note: Ho scritto questa storia in un mese,
causa ispirazione altalenante, studio e altri impegni ^^'
Immaginate
quindi la mia gioia, quando sono arrivata all’ultima frase! Potete?
*__*
Ovviamente i
personaggi citati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di
lucro.
Ovviamente,
trattandosi di una semplice AU, i nostri eroi non sono ninja, ma ragazzi normali
che si preparano per svolgere una determinata professione – Kiba dovrebbe
studiare (xD) per diventare veterinario, Hanabi invece dovrebbe specializzarsi
in pianoforte.
Ovviamente c’è
il finale aperto, ma non credo che scriverò il seguito, per me è già tanto se
sono riuscita a trovare il modo di rispettare il prompt obbligatorio xD mi
auguro sia chiaro che la vicenda non si svolge tutta in pochi giorni, ma le
varie scene accadono dopo svariati giorni, anche dopo una
settimana.
Tra l’altro, vi
ho presentato la mia personale visione di Hanabi Hyuuga. Un personaggio che sarà
comparsa sì e no tre volte, per quel che ricordo, quindi spero che vi piaccia la
sua caratterizzazione ^^
Non esco pazza
per la coppia, ma adoro Kiba, spero di aver reso giustizia anche a lui
>.<
Ah, e
immaginateli nell’età che preferite, considerando che Hanabi è la più piccola
(ma non troppo) e Neji il più grande dei tre.
Per finire,
ringrazio tanto Ayumi per la proroga e per le
correzioni =)
A
presto!
Un
bacione,
Rina
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