Siori e siore, ho finito la trilogia!!! XD E’ stata
un’ardua lotta, ma l’ho spuntata! Speravo almeno
nell’ultimo libro un qualcosa per tirare fuori una slash
decente, ma niente. Brooks ma ha però regalato tanti bei
figoni *ç*
E, ritornata l’ispiratio, sono tornata sulle ficcine sui
fratelli elfi, con una fic stavolta non one-shot, ma credo intorno ai
due capitoli (grande progresso XDXD), uno dal punto di vista di Durin,
cioè questo, e l’altro dal punto di vista di Dayel.
Questo in particolare è ambientato dopo il loro arrivo nel
villaggio degli Gnomi Guaritori di Storlock con Dayel ferito.
Un grazie gigantesco a tutti quelli che commentano le mie cosucce,
immenso soprattutto a Taila che ha commentato entrambe le mie one-shot
su Shannara e spero gradirà anche questa X3
Au revoir e buona lettura!!
La notte era scesa lentamente, come un velo di pace e riposo, sulle
Quattro Terre, donando ai suoi abitanti, sfiniti dopo la lunga
giornata, un po’ di meritato riposo. Si sarebbero accesi i
focolari, i boccali si sarebbero riempiti nelle taverne, i paioli
avrebbero mandato il loro gustoso odore di cibo, le risate calde
sarebbero iniziate. Tutto come al solito.
Eppure per qualcuno nulla di tutto ciò sarebbe successo.
Durin, i lunghi capelli neri spettinati sciolti sulle spalle, se ne
stava accasciato su una sedia, le mani in grembo, gli occhi verdi persi
nel vuoto.
Da quel pomeriggio non si era riposato, né cambiato dai
logori abiti da viaggio, aveva soltanto lavato via il sangue dalla
pelle. Aveva questioni decisamente più impellenti di cui
preoccuparsi.
Il viso contratto dal dolore di Dayel continuava ad affacciarsi nei
suoi pensieri, la ferita sanguinante sul petto, la mascella contratta
dallo sforzo. E lui aveva potuto soltanto trascinarlo, sostenerlo, fino
a Storlock.
Un bussare improvviso alla porta lo fece sobbalzare, mormorando un
“avanti” pieno di aspettativa. Sulla porta della
sua stanza fece capolino uno gnomo, fasciato da una veste bianca,
simbolo dei Guaritori.
Senza parlare, gli fece cenno di seguirlo. Lo scatto dalla sedia fu
immediato, l’Elfo saltò su come una molla, la
speranza accesa e visibile negli occhi luminosi. Camminarono per un
tratto nel villaggio immerso nella sera, solo alcune torce illuminavano
il cammino. Guardandosi attorno, Durin notò delle piccole
figure che si aggiravano accanto alle finestre, tutte affaccendate
attorno a letti e brandine: gli Gnomi Guaritori erano attivi e pronti
anche a quell’ora della sera.
Presto giunsero ad una piccola costruzione che, come molte altre
nell’abitato, fungeva da piccolo ospedale; lo Gnomo lo
condusse, sempre senza una parola, lungo i corridoi, fino a fermarsi
davanti ad una porta.
Lo guardò, rivolgendogli uno sguardo penetrante, e si fece
da parte, invitandolo ad entrare.
Durin non se lo fece ripetere due volte. Entrò nella stanza
fiocamente illuminata da una lampada ad olio in punta di piedi,
tentando di ridurre al minimo il rumore dei suoi stivali sul legno
lucido.
Su un letto accanto alla parete era sdraiata una figura, i capelli neri
sparsi sul cuscino, gli occhi chiusi. Si avvicinò
maggiormente, fino alla sponda del letto, accanto al quale era posta
una sedia molto simile a quella dove era seduto prima.
La ignorò deliberatamente e si sedette sulle soffici
coperte, accanto al corpo.
Dayel pareva addormentato. Il respiro regolare rompeva il silenzio,
allacciandosi con quello leggermente alterato dalla preoccupazione del
fratello.
La ferita sembrava guarita, o almeno sotto controllo. Le bende erano
state cambiate di fresco, e non sembrava ci fosse nulla di strano.
Solo, avrebbe preferito che Dayel si svegliasse.
Ricordava perfettamente quando, poche ore prima, erano arrivati,
stanchi e feriti, al villaggio degli Gnomi. Lui sosteneva
difficoltosamente il fratello, ormai completamente senza forze, e
tentava in qualunque maniera di tenerlo cosciente, rivolgendogli
morbosamente la parola.
Era riuscito nel suo intento fino alla fine, quando oramai allo stremo,
Dayel gli era svenuto tra le braccia, ed era stato prontamente portato
via dai vigili Guaritori.
Non lo aveva visto fino a quel momento. E anelava con tutto il cuore di
rivedere i suoi brillanti occhi smeraldo, così simili e
così diversi dai suoi.
Lentamente, come se temesse di romperlo, si piegò su di lui
sostenendosi con le braccia, e gli sfiorò la fronte appena
scottante di una ormai passata febbre con le labbra fresche.
Quando fece per rimettersi nella sua originaria posizione, si
ritrovò a fissare quel suddetto paio di occhi, che lo
scrutavano assonnati.
-Durin…?-
Lo mormorò appena con voce impastata dal lungo riposo,
strofinandosi gli occhi con fare infantile. Era sempre uguale, il suo
Dayel.
-Ben svegliato, dormiglione-
Sorrise il maggiore tornando seduto, studiando ogni azione del fratello.
Pian piano, Dayel si mise a sedere appoggiato ai cuscini, gemendo
appena per il dolore alla ferita ancora non rimarginata del tutto.
-Quanto ho dormito?-
-Non preoccuparti, siamo arrivati soltanto stamattina…-
Esitò per un attimo, guardandolo.
-…mi hai fatto morire di paura, Dayel –
Un’ombra colpevole passò sugli occhi
dell’Elfo, ombra che esprimeva tutto quello che sentiva nel
cuore.
Il dispiacere per aver fatto spaventare Durin.
Il senso di colpa per essersi fatto ferire.
La delusione, per aver fatto una figura da debole agli occhi del
fratello maggiore.
-Sono stato uno stupido… dovevo fare più
attenzione in battaglia, seguire i tuoi consigli invece di buttarmi a
capofitto, e invece guarda…-
Si indicò mestamente.
-…costretto a letto, da una stupida ferita –
Abbassò gli occhi, rattristato dalle sue stesse riflessioni.
Aveva espresso soltanto l’ultimo dei suoi pensieri, ma
intanto era qualcosa. Più che altro aveva paura della
risposta di Durin, che poteva confermare o meno ciò che
aveva detto.
Aspettò, timoroso. Silenzio. Nessuna reazione da parte
dell’altro. Arrischiò un’occhiata.
Si scontrò con un paio di occhi furenti, le sopracciglia
sottili aggrottate in un’espressione severa. Con cipiglio
deciso, si alzò e si andò a sedere ancora
più vicino a lui.
Dayel fece per parlare ma il fratello lo ignorò e gli prese
bruscamente il viso tra le mani.
-Primo: non ci trovo davvero niente di stupido nell’essere
ferito in uno scontro, soprattutto in quelle condizioni. Secondo: non
penso assolutamente che tu sia un debole-
Il minore spalancò gli occhi. Come al solito, e comunque non
riusciva mai a farci l’abitudine, Durin aveva capito tutto
senza nemmeno che ne parlasse.
-E terzo: fai bene a sentirti in colpa per avermi fatto spaventare,
perché davvero ho rischiato di restarci secco quando mi sei
svenuto davanti.-
In quelle ultime parole c’era un velo di ironia, che fece
ridacchiare il malato, sdrammatizzando la situazione. Lui sapeva sempre
trovare le parole giuste, pensò.
-Però non provarci mai più…-
Aveva appoggiato dolcemente la fronte su quella di Dayel, sussurrando a
mezza bocca tutta la sua preoccupazione, in cinque semplici parole.
-Sei ci sei tu non credo che mi succederà niente –
Un respiro soltanto anche il suo, un soffio di voce che Durin
sentì sul viso, caldo e dolce.
Entrambi avevano gli occhi chiusi, godevano di quel piccolo momento di
intimità che di quei tempi pareva tanto difficile ottenere.
Stettero così per un tempo che parve infinito, ognuno
ascoltando il respirare dell’altro, assaporando ogni secondo
di calore che le loro pelli in contatto emanavano.
Poi, ad un certo punto, gli occhi magnetici di Durin si spalancarono,
fissando il volto perfetto del fratello minore. Erano praticamente
uguali, qualcuno, come spesso succedeva, li avrebbe potuti benissimo
scambiare per gemelli. Eppure… eppure lui vedeva sempre
quella sottile e impercettibile differenza, che percepiva nelle
espressioni, negli sguardi, nei sorrisi.
C’era sempre qualcosa di diverso tra lui e Dayel, una
diversità che andava oltre quella caratteriale, profonda e
marcata.
Ad esempio, non avrebbe mai detto che i suoi occhi, nonostante fossero
grandi e verdi come quelli dei fratello, riuscissero a dare quel senso
di innocenza e malizia allo stesso tempo, scaldando il cuore e
accendendo l’animo, quando le sottili palpebre li mostravano
al mondo.
Come in quel momento.
Un dolce sorriso si aprì sulle labbra di Dayel quando
incrociò il suo sguardo, restando appositamente a fissarlo.
Durin sentì l’impellente bisogno di dire qualcosa;
non sapeva cosa, una frase qualsiasi, una parola, un qualcosa che
esprimesse i suoi sentimenti.
Cosa che a quanto pareva non rientrava nelle cose che riusciva a fare
meglio.
-Dayel… io…-
Emanò un profondo e depresso sospiro. No, proprio no.
Fece per tentare di nuovo, ma l’altro fu più
veloce.
Gli chiuse la bocca con uno dei baci più dolci e maliziosi
che gli avesse mai regalato, sfiorandogli sfuggente le labbra con la
lingua.
-Non c’è bisogno che tu dica niente…
davvero, Durin. Va bene così. –
Quest’ultimo non era proprio convinto della cosa, ma un
secondo bacio di Dayel lo mise definitivamente a tacere, solo che
stavolta fu lui a reclamare il suo ruolo di fratello maggiore.
Rendendo il bacio più profondo, spinse delicatamente il
fratello contro il muro, in una posizione tutto meno che comoda.
Se ne dovette accorgere presto visto che, incurante dei gemiti di
protesta del fratello e senza mai staccare le labbra dalle sue,
salì sul letto e gli si mise a cavalcioni. Restando
però pacificamente sopra le coperte.
-Ti ricordo che sono ancora convalescente…-
Gli disse Dayel, in una pausa atta a non morire asfissiati, alludendo
alla pericolosa posizione del fratello.
-Oh, non approfitterei mai e poi mai di un ferito –
Peccato che la sua espressione dicesse tutto il contrario. Soprattutto
la sua mano affilata, che era già partita ad esplorare la
liscia pelle sotto la tunica, lo contraddiceva pesantemente.
Ogni obiezione fu soppressa dalle labbra prepotenti di Durin, labbra
che si incastravano perfettamente con quelle del fratello. Le quali non
sembravano, a differenza delle parole del proprietario, molto riottose
nei suoi confronti.
-Durin, ti giuro che se le tue attenzioni faranno riaprire la ferita
saprò come vendicarmi!-
A quelle parole il maggiore si fermò di colpo, guardandolo
sospettoso.
Non ci aveva pensato. Cautamente, come se avesse perso tutta
l’irruenza e l’impulsività di poco
prima, fece scorrere una mano lungo tutto il petto del fratello minore,
fino ad arrivare alle bende morbide che fasciavano la ferita.
Passò ritmicamente le dita sottili sui pezzi di stoffa
bianca, leggermente impregnati di sangue.
Poi, di botto, si tolse da sopra Dayel e si abbandonò su un
lato del letto, accanto a lui, con un’espressione
corrucciata. Incrociò le braccia e si distese meglio,
accomodandosi sui cuscini.
Intanto il minore lo fissava con un sopracciglio alzato, nonostante
fosse ormai abituato a quegli strani scatti di umore; Durin era
notoriamente lunatico.
Cercando di non fare sforzi si accomodò anche lui sui
morbidi cuscini, appoggiando la testa accanto a quella del fratello.
Senza una parola quest’ultimo si voltò e
affondò il viso nei suoi capelli neri e lisci.
-Tanto prima o poi la ferita si rimarginerà…-
La frase lasciata in sospeso aveva un inquietante sapore di minaccia,
ma Dayel la assorbì in parte compiaciuto da tutto
quell’attaccamento da parte della sua affascinante
metà.
Pian piano, tentando di trattenere qualsivoglia smorfia di dolore, si
voltò verso l’altro occupante del letto,
poggiandosi sul fianco sano.
Il fratello gli rivolse uno sguardo preoccupato.
-Sicuro che puoi stare in questa posizione?-
Dayel sorrise teneramente alla sua ansia, e gli posò la mano
sulla guancia in una dolce carezza. Senza rispondergli, gli si
avvicinò e lo abbracciò stretto, poggiando la
testa sulla sua spalla. Non gli importava della ferita,
finché poteva averlo vicino anche solo per quella notte.
Sarebbe bastato stringerlo a sé per dimenticare il dolore.
Sentire le sue labbra accanto all’orecchio per lasciarsi
tutto alle spalle.
Percepire il suo respiro sulla pelle per chiudere la missione e il
resto del mondo fuori da quella porta.
Sarebbe semplicemente bastato il suo amato fratello per sentirsi in
pace.
-Se tenti di farmi qualcosa nel sonno, sarai tu quello convalescente!-
|