Senza
fine
Stava in verticale sui
piedi nudi in mezzo ad una lastra di
mattonelle, fredda, e attorno il vuoto. I suoi lunghi capelli si
scagliavano
impazziti da un angolo all’altro, gettati dal vento come il suo candido
e
bianco vestito. Con lo sguardo assente prese a camminare: dritta, senza
pensare
neanche per un attimo di potersi sbilanciare, verso la fine di quella
lastra.
Non guardò in basso e aprì le sue braccia come per volare, allungando
un piede
al vuoto che la circondava.
Poi cadde.
La lunga caduta la
portò all’interno di un’immensa sala e
tutto si riempì d’acqua al suo arrivo, come se ci fosse sempre stata:
le
bollicine create dal percorso di quel corpo volavano verso l’alto
mentre la
donna scendeva più leggera, guardandosi attorno.
Non respirava ma
neanche tratteneva il respiro.
Cos’era quel posto?
Perché si era gettata?
Provava angoscia nel
vederla.
E tutto cambiò.
La stanza si trasformò
in un luogo nuovo e la donna svanì.
L’angoscia aumentava vedendo quelle ragazze in fila, tutte giovanissime
e nude,
con pochi stracci ognuna fra le braccia. A poco a poco le facevano
passare
oltre ad una porta dopo una breve interrogazione che teneva una donna
con
un’arma in mano.
Sentiva quel cuore che
batteva fortissimo e sapeva, lo
sapeva per certo, che era di quella donna che si era gettata. Lei
doveva essere
una di quelle ragazze. Una di queste prigioniere. Prigioniere non
sapeva di
cosa.
Quando la scena cambiò
ancora, all’improvviso come una
scarica di vento, vide quella donna con i capelli spettinati entrare in
una
cabina e la seguì. Non sapeva né come né perché, ma quella donna che si
era
gettata nel vuoto doveva ancora essere lì, in quell’acqua, in quella
sala:
questo era solo ciò che era stato. Sperava di vedere cosa l'avesse
spinta a
gettarsi.
Vide un uomo ringhiare
e sbavare, incattivito, che faceva da
guardia ad una porta. Non vedeva nessuno e sembrava che stesse fissando
lo
spettatore: credeva di essere solamente un fantasma che guardava e
nessuno
poteva interagire. Lo spettatore si voltò indietro e vide di essere
entrato in
un grande bagno: nella sauna le donne giocavano e ridevano; era la
prima volta
che le vedeva stranamente felici. Eppure lo spettatore non era felice.
Si voltò
indietro e poi avanti, alla ricerca di quella donna.
Sentì di avere male
alla pancia e guardando ai suoi piedi
vide del sangue gocciolare a terra.
Oh, no. Non capiva: perché perdeva
del sangue? Lo spettatore era ferito? Era quello il dolore?
Si accasciò sulle
ginocchia, alla ricerca di un bagno.
Lo spettatore si sentì
sporco, aveva paura che qualcuna di
quelle ragazze potesse vedere quel sangue. Pensò che sarebbe potuto
morire ma
che sarebbe stato meglio piuttosto che farsi vedere in quello stato. I
bagni
erano tutti chiusi e quando udì alcune di quelle ragazze ridere si
nascose
dietro un muro.
Perché stava accadendo
tutto questo?
Aveva paura, sentiva
il bisogno di piangere e forse lo
avrebbe fatto, se la scena non fosse cambiata ancora sotto i suoi
occhi,
trasformando quel muro in una porta, ritrovandosi su un letto.
«Ehi, no», urlò una
donna e lo spettatore si voltò. A chi si
riferiva? «Quel letto è mio: gira a largo, dolcezza»
Lo spettatore si voltò
al letto a fianco al suo ma si sentì
presto strattonare, forzandolo a scendere dal letto.
«Non avevi capito?
Abbiamo un ritardo mentale, forse?»,
sbottò acida la donna, gettando un borsone allo spettatore. «Questo
letto è
mio! Domani ti farò un disegno»
Le altre nella camera
risero e lo spettatore, impallidito,
si voltò indietro: non c’era nessun altro letto libero e si sentì
sprofondare.
Sprofondare. I suoi
piedi scalzi erano bagnati: guardò in
basso e vide l’acqua, prima di accorgersi di trovarsi in una stanza
buia.
Perché? Perché tutto
questo?
Il cuore batteva
impazzito, aveva voglia di gridare e
strinse i pugni, ma quando vide la donna dal vestito bianco si fermò,
pensando
di avvicinarsi a lei, che era sospesa nel vuoto.
Quella considerazione
le arrivò alla testa come un vento
gelido: quella donna era morta.
Si pose accanto e le
sfiorò una mano, tastando appena due
dita ghiacciate. Quella donna era fradicia. Vide la mano muoversi e
sentì uno
schiaffo sulla sua pelle, così forte da sbatterla a terra.
L’acqua era svanita e
l’immagine era cambiata ancora: lo spettatore era tornato
indietro e vide che a dare quello schiaffo fu un uomo enorme, con folta
barba e
sguardo furioso.
«Sgualdrina!», gridò
lui e lo spettatore si raggelò, pensava
di poter piangere da un momento all’altro. «Ti denuncio alle autorità»
Si sentì in trappola.
Lo spettatore ebbe
modo di capire più cose e il tempo che si
era fatto più lento sembrava offrire questa possibilità: tutti
riuscivano a
vederlo perché stava vivendo in prima persona la vita di quella donna
che si
era gettata.
Quest’uomo l’aveva
denunciata e per quella ragione era stata
arrestata. Ma cos’aveva fatto di tanto male per meritarlo?
Arrivò a breve la
polizia e lo spettatore fu preso, senza
che potesse creare resistenza.
Era tutto così triste,
così spento.
Gli sembrava di aver
visto la neve cadere ma era poca, lenta
come il tempo che lo condannava a vivere quell’incubo.
Si era ritrovato
sbattuto ad un muro, nudo, con quelle ossa
gracili che parevano potersi spezzare troppo presto e la pancia vuota
che per
pura abitudine continuava a brontolare, perché non aveva neanche più la
forza
di richiedere del cibo. L’avevano lasciato per giorni senza poter
mangiare e
con un po’ d’acqua il tanto appena per essere tenuto in vita. Perché
tanto
dolore?
Solo diversi giorni
dopo rivide la lunga fila di donne nude
e capì.
Lo spettatore era
impaurito, freddoloso, ormai malato. Era
certo di aver sentito qualcuno, nel cuore della notte, cercare il corpo
di
quella donna, il suo. Si sentiva un pezzo di carne senza anima. Sporco,
infetto, terribilmente asciutto.
Sperava, a quel punto,
di poter morire. Voleva andarsene e
svanire per sempre, come quelle immagini facevano di tanto in tanto.
Credeva di
aver sognato, una notte: un sogno in un incubo. Aveva visto quella
donna
bambina e i suoi sogni spezzarsi per mano degli adulti.
Non c’era più la
fantasia, i sorrisi sinceri, le giornate
calde che riempivano di felicità gli animi. Quello era un mondo
orribile,
creato dagli uomini che sbagliavano senza rimorsi, come se ne avessero
potuto
avere un altro a disposizione. Una trincea, un baratro senza fine dove
nascere
era diventata una colpa.
Si alzò dalla sua
branda e poggiando i piedi scalzi sul
pavimento freddo camminò lentamente fino ad uno specchio che,
riflettendo la
sua immagine, si ruppe in mille pezzi.
Lo spettatore non
stava vivendo la vita di quella donna, ma
la sua. Quella donna riflessa nello specchio, con gli occhi vuoti
mentre i suoi
capelli danzavano immersi sott’acqua, non era un’estranea: era lei.
Un brivido le percorse
lungo la schiena: ricordava tutto.
I pezzi dello specchio
caddero a terra e tutto si dissolse.
«Sei un bastardo!
Siete tutti dei vili e immorali bastardi»,
agguantò un fucile e sparò tra la folla, uccidendo molti aguzzini: li
riconosceva tutti, tra chi l’aveva picchiata e chi aveva picchiato
altre donne
e bambini, tra chi aveva pestato coppie solo perché si tenevano per
mano, tra
chi aveva stuprato bambine e le aveva costrette al silenzio, tra chi
aveva
deriso e perseguitato per anni innocenti, tra chi aveva ucciso la
propria
compagna per futili motivi. Tutti loro erano avanzi di un mondo che
stava
marcendo e lei si era ribellata: li aveva uccisi.
Lei, una donna che non
si era rassegnata al suo destino e
aveva preso sottobraccio un’arma. Una donna che aveva osato giudicare
gli
uomini violenti e condannarli. Una donna che come tante altre infine,
aveva
desiderato scomparire fra le mura di una cella.
L’avevano annientata:
avevano vinto loro.
Quando la lasciarono
andare erano certi che non sarebbe più
stata un problema.
Tornò nella sua
vecchia casa e si assicurò i rubinetti aperti.
Restò a fissare il
vuoto per giorni, seduta per terra,
lasciando che l’acqua l’avvolgesse.
Aveva sempre amato il
mare.
E adesso era lì, a
vedere il suo corpo gonfio che
galleggiava. Senza vita.
Perché tanto dolore?
Ecco, aveva rivisto
tutto. Era morta e aveva ritrovato gli
attimi più importanti della sua vita.
Aveva sofferto una
seconda volta e senza tregua. Un’altra
punizione, pensò. Il mondo era una prigione ma la morte era un incubo.
Poi vide una porta
comparire in mezzo all’acqua nella sala e
si guardò intorno. Le si accostò guardandola dal basso verso l’alto e
infine si
rivoltò, ad osservare ancora il suo corpo. Era finita. Girò la maniglia
e una
luce abbagliante la involse.
Un vagito aveva
segnato un nuovo inizio.
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Volevo
scrivere ma come purtroppo spesso
accade, sono bloccata. Poi ho ripensato ad una cosa e ho rivisto
l’immagine di
una donna che cadeva in una stanza piena d’acqua: toh, pensavo che, per
sbloccarmi, avrei dovuto scrivere qualunque cosa e così l’ho scritto.
Partendo
da quell’immagine ne è nata questa cosa.
Il
bello è che adesso che l’ho finita non so
come andrà avanti con i miei soliti blocchi.
Giusto,
ho detto “ripensato” perché in verità
quella è una scena che ho sognato una notte: una donna cadeva in questa
grande
sala piena d’acqua e provavo una strana sensazione. Che poi sì, vederlo
è una
scena bellissima, ma i sentimenti che mi dava non saprei descriverli.
Volevo
scrivere partendo da quella scena ed è
nata una sorta di “denuncia” contro quello che accade ogni giorno, tra
femminicidi, omofobia, pedofilia, ecc. Sì, questa roba non è granché e
non l’ho
scritta per essere un capolavoro ma solo per sbloccarmi un po’, quindi
mi sta
bene così (e perché la pubblico? Perché mi va XD). Per il tema
preferirei fare
cose più grandi, è solo che questo è sfociato lì da solo, quando avevo
iniziato
a scrivere non sapevo davvero dove sarei andata a parare.
Anche
la scena dei bagni (tranne il sangue)
era nel mio sogno (anche l’uomo che ringhiava XD) e così ce l’ho
aggiunta.
Per
il resto non ricordo molto e ho dovuto
improvvisare!
Saluti
=^___^=
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