.:Il
calore nel ghiaccio:.
Lontane sono le grida
eccitate,
l'adrenalina della battaglia, la frenesia, la smania di vincere ed il
desiderio di ergersi sul più debole.
Quando le armi si depongono
ed è il
corpo privo di vita di amici e parenti a rendere di nuovo le mani
piene, quando lo sguardo fiero brucia, incenerendosi sui resti della
propria patria, solo allora arriva la vana consapevolezza.
La consapevolezza portata
dal silenzio
e dalle lacrime perché solo questo è
ciò che sopravvive ad una
guerra.
Anche il potente Padre
degli Dei non
può rinnegare ciò che la realtà gli
mostra.
La guerra era stata lunga e
impervia: i
giganti di ghiaccio, forti ed orgogliosi, furono difficili da
piegare, ma ogni conflitto ha la sua moneta e la moneta di questo si
rivelò il fiume di disperazione che ormai aveva colmato ogni
crepa
che si diramava come veleno per il territorio degli Jotunn, facendo
appassire ogni speranza.
Asgard aveva ristabilito
l'ordine,
aveva arrestato l'avanzata dei nemici, ed era stata chiamata
“vincitrice”, eppure Odino, mentre camminava per le
lande
silenziose e irrequiete, si chiedeva come una cosa simile potesse
essere definita una vittoria. Quale misero folle avrebbe potuto
gloriarsi con quel termine, quale misero folle avrebbe preso come una
vittoria quell'innegabile strage.
I passi risuonavano come
massi gettati
nell'acqua.
Al suo passaggio sfiniti
occhi rossi si
alzavano su di lui, ma nessuna azione seguiva.
Giunto in una zona dove
solo il
ghiaccio sembrava felice di dimorare, dove il gelo albergava
prepotente, Odino sentì ciò che meno si sarebbe
aspettato: un
pianto. Non uno dei rantoli tetri che potevano venire uditi in ognuno
dei territori soffocati nella morsa della guerra.
Era un pianto potente e ben
distinto, che rimbombava lievemente fra le scarne pareti di un piccolo
tempio a cielo aperto.
Una richiesta di vita, non un rimpianto di morte.
Sopra ad una lastra di
ghiaccio giaceva
un bambino che piangeva agitando i piccoli pugni serrati.
Odino fu presto al suo
capezzale mentre
con lo sguardo scrutava il terreno alla ricerca del corpo inerte di
un gigante morto nel tentativo di mettere in salvo il bambino, sul
terreno però non c'era altro che il tetro bagliore emanato
dal
ghiaccio.
Il Padre degli Dei
posò lo sguardo sul
neonato e non gli ci volle molto prima che capisse.
Quel piccolo era troppo
minuto e debole
per poter diventare in futuro un glorioso gigante.
Era stato abbandonato li ad
attendere
la morte, perché crescere quella creatura sarebbe stato un
inutile
spreco del prezioso tempo per il suo popolo.
Istintivamente lo
tirò su, lo raccolse
con gentilezza, premurandosi di tenere su la testolina. Non
poté
fare a meno di notare che al contatto con una fonte di calore il
pianto si era leggermente calmato, anche la sua pelle stava
abbandonando la fredda sfumatura azzurra mutando in un tenue rosa.
Un gigante di ghiaccio che
temeva il
freddo. Odino scosse la testa: no, era solo un bambino che desiderava
il calore di un altro essere vivente.
Era strabiliante vedere
come una
creatura tanto piccola si stesse aggrappando alla vita con ogni
grammo di forza che ancora riusciva ad animare il suo corpo provato.
Gli occhi verdi del bambino
rilucevano
come ancore di salvezza nella nebbia. Ironico come una creatura a cui
fosse stato riservato un simile destino avesse gli occhi dello stesso
colore che rappresentava la speranza.
Il Dio gli
accarezzò piano le guance
arrossate e gli mostrò il primo sorriso sincero che riusciva
a fare
dopo mesi di dure espressioni vuote, senza l'ombra di emozione.
Il bambino smise finalmente
di piangere
ed allungò una manina che, dopo aver afferrato una ciocca
della
barba di Odino, prese a tirarla leggermente mentre dalla sua bocca
uscivano dei gridolini di gioia.
Il sorriso sulle labbra del
Padre degli
Dei si allargò e si sorprese nel sentire una lacrima
solcargli il
viso.
“Piccoletto, cosa
stai facendo?” Il
tono era severo, ma inspiegabilmente alla prima lacrima se ne
aggiunsero altre e il sorriso non accennava a spegnersi, come se
tutte le mostruosità a cui aveva assistito stessero
scivolando al
suono di quella tenera gioia innocente.
Strinse al petto il bambino
che tacque
preso alla sprovvista. Chissà se aveva mai ricevuto un
abbraccio o
un solo gesto affettuoso da quando era nato.
“Loki. Ti
chiamerò così, è questo
il nome che io e Frigga avevamo deciso nel caso avessimo avuto un
altro bambino. Verrai a casa con me, incontrerai una nuova madre che
ti darà un bacio sulle ferite che ti farai cadendo, e tuo
fratello
che proteggerà il messaggio di speranza celato nei tuoi
occhi,
mentre io veglierò su tutti voi, quindi adesso puoi dormire
in pace.
Non permetterò che tu abbia ancora freddo, figlio
mio.”
Odino si strappò
una parte della veste
e vi avvolse Loki che ancora lo scrutava con gli occhi sgranati.
“Mai
più freddo, promesso”
concluse stringendogli una mano che in risposta
contraccambiò la
stretta attorno ad un suo dito.
Un altro sorriso prima di
nasconderlo
meglio che poteva fra le vesti, indossare quella che adesso era solo
una maschera inespressiva, e ricominciare il cammino verso Asgard,
verso una nuova possibilità, un nuovo inizio.
Avrebbe cresciuto quel
bambino come se
fosse stato suo figlio.
Quella guerra aveva spento
troppi
sorrisi e causato troppa disperazione per gravare ancora sulla vita
di qualcuno, soprattutto di chi tanto desiderava vivere.
Era stanco e frustrato,
schiacciato dal
peso di ciò che era successo, schiacciato dal pensiero di
aver
costruito una pace fittizia ergendola sui cadaveri ormai indistinti
di compagni e nemici. Se prima tutto questo era parso vano e
spietato, adesso era consapevole che a qualcosa era servito.
Aveva salvato un bambino,
suo figlio.
Non avrebbe mai creduto di
poter
guadagnare qualcosa di tanto bello da qualcosa di tanto orribile.
Abbassò lo
sguardo verso il fagotto
nascosto fra le sue braccia e si lasciò pervadere dal
coraggio.
Era davvero quella creatura
inerme ad
infondergli la sicurezza delle azioni che aveva compiuto.
Lo stava strappando dalla
sua terra, lo
stava facendo senza chiedere il permesso di nessuno, eppure, quello
non era un bottino di guerra, era ben lontano dall'esserlo. Loki era
un simbolo di estrema speranza, di vita, di vera pace, di amore. La
prova che anche nella notte più buia può bastare
una fievole luce
per restituire la ragione. Ed è in nome di tutto
ciò che lo avrebbe
cresciuto.
Forse un giorno gli avrebbe
rivelato le
sue vere origini, ma in quel momento importava solo portarlo lontano
da li. Portarlo in salvo e regalargli quella nuova vita che tanto
desiderava.
***FINE***
Buon
dì a tutti! Questa è la
seconda fanfiction che scrivo su Thor, spero vi sia piaciuta^^"
Per
l'idea devo ringraziare LokiLove che mi ha dato lo spunto nella
recensione che mi ha lasciato in "Occhi verdi", grazie
tante^^ e come sempre ringrazio anche GRG!! che ha ascoltato i miei
vaneggiamenti da “questa storia mi mette ansia” e
ha avuto il
coraggio, insieme a Luna, di leggerla quando ancora era scritta a
mano, e quindi, prima di capire cosa ci fosse scritto ci voleva un
sano esercizio di decriptazione.
La storia è basata solo su ciò
che si viene a sapere nel film, per cui se ci fosse qualche
inesattezza chiedo venia, sono abbastanza ignorante in argomento
TT^TT
Poi.. ah si! Mi sono davvero
impegnata a mettere la punteggiatura ma è una cosa per cui
non sono
portata quindi dubito andrà bene, mi scuso anche per quello
>____<
A
presto!
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