ATTENZIONE
Sopravvivere
Another Second
Time Around
“Furto in casa Kaulitz.”
Annunciò la bionda giornalista in primo piano sul grande schermo al plasma. “Non
abbiamo prove sufficienti per poter dare un nome al responsabile, ma per ora i
proprietari hanno denunciato la scomparsa di soldi, gioielli e l’ultimo premio
che i ragazzi avevano vinto. È parso strano alla polizia, che molte altre cose
di valore non siano state nemmeno -”
Il televisore venne spento
improvvisamente ed otto paia di occhi si girarono verso l’uomo che stava
compostamente seduto sul divano con il telecomando in mano.
“Perché hai spento?” si
lamentò una voce, cercando di mantenere un tono abbastanza serio in modo da non
suscitare ulteriori ire del suo amico, che – versandogli un bicchiere colmo di
coca-cola sui lunghi capelli castani – gli aveva già espresso elegantemente il
suo dissenso per ciò che aveva già deriso.
“Perché ti ostini a
chiedere una macedonia in testa?” rispose un esile ragazzo seduto sull’altra
estremità del divano con le gambe incrociate, agitando una bottiglietta di succo
di frutta.
“Lo facevo per sapere se
avevano notizie dei tuoi gioielli.” e soffio una risata. Subito, un ragazzo con
corti capelli biondi diede una sonora gomitata contro costole dell’altro,
facendogli trasformare la risata in colpi di tosse. “E tu, Bill, calmati” lo
ammonì, minacciandolo con l’indice. Questi sbuffò rumorosamente, scuotendo la
sua chioma leonina in faccia al fratello – seduto vicino a lui – che starnutì
per un ciuffo di capelli che gli aveva solleticato il naso.
“Tom! Sei un cretino! Mi
hai sputato tra i capelli!” urlò isterico Bill.
“Colpa tua che li vuoi
tenere a questo modo! Cosa cambiava se oggi te li legavi?” berciò lui a sua
volta.
“Molto! Sarebbe come
chiedere a te di tenere il tuo coso nelle mutande invece che altrove!” gridò il
fratello, ricordandogli di due sere fa, quando lo aveva trovato in atteggiamenti
piuttosto intimi con una sconosciuta ragazza sul divano della loro immensa casa.
“Almeno io lo uso!” ribatté
Tom. L’accusa del fratello non lo aveva nemmeno toccato, ma il suo tono
superiore l’aveva colpito in pieno. “Servirebbe anche a te del movimento, ogni
tanto.” Decretò con un mezzo sorriso strafottente.
“BASTA!” urlò l’uomo,
rintronando Tom, che era accanto a lui, e impedendo a Bill di poter
controbattere. “Perché diavolo non volete capire che la situazione è seria? Non
è né il momento, né il luogo per iniziare a lanciarvi insulti! Potete fare la
coppia in crisi quando sarete tornati a casa vostra! Ora fate silenzio!” e si
portò una mano alla fronte. “È colpa vostra se ho questo mal di testa.” aggiunse
serrando gli occhi. “Portami un antidolorifico ed un tranquillizzante” ordinò
poi all’assistente sulla porta.
“Il tranquillizzante lo
vuole anche Tom!” fece Bill, rispondendo deciso all’offesa che suo fratello gli
aveva fatto subire.
“Bill, invece, chiede un
po’ di viagra!” rise Tom, alzandosi di scatto dal divano e iniziando a correre
per la stanza, inseguito da un Bill incazzato e pronto ad incenerirlo con gli
occhi, oltre che a strozzarlo.
“Legateli. E dopo portatemi
doppia dose di ciò che ho chiesto.” sospirò David, scivolando scomposto sul
divano. “L’intervista di oggi sarà un completo disastro, me lo sento.” e iniziò
a massaggiarsi le tempie, come se quel gesto potesse farlo riprendere
dall’esaurimento nervoso.
***
Era una settimana che
andavano avanti così. Non era più possibile.
Sì, c’era stato un furto in
casa loro. E allora? Cosa gliene fregava alla stampa di sapere l’ammontare dei
soldi rubati?
Saranno cazzi nostri?,
pensava Tom.
Ma la cosa che lo
preoccupava maggiormente era il non essere ancora riuscito a capire l’importanza
della domanda: perché il cassetto dei tuoi boxer era in un tale disordine?,
che più volte gli era stata posta.
Bill aveva risposto con la
sua insormontabile diplomazia in certe questioni – perché cercavano cose di
valore alla cieca –, precedendo il fratello, il quale aveva per la testa
un’unica risposta, per niente conforme a ciò che David gli aveva imposto di fare
e dire.
Ma che cazzo ve ne frega?
Siete gelosi che i miei boxer abbiano avuto successo, mentre i vostri rimarranno
sempre ignoti al mondo, oltre che sudici? E poi non è vero che me li hanno
rubati!
Ma molte altre furono le
domande a cui persino Bill, inizialmente, si dimostrava esitante nel rispondere,
sia a causa dell’insensatezza che dell’ovvietà. Cosa doveva rispondere, quando
gli chiedevano quali fossero – secondo lui – i volti dei rapinatori? E quando
domandavano il perché, chiunque avesse rubato, avesse scelto casa loro?
Tom, se avesse potuto,
avrebbe risposto sempre alla stessa maniera, senza farsi troppi problemi. Ma
visto che Bill sapeva già cosa avrebbe potuto dire, ogni volta che con la coda
dell’occhio vedeva la bocca di Tom iniziare a muoversi, il suo cervello
elaborava istantaneamente una qualunque risposta per i giornalisti.
Il susseguirsi di queste
folli interviste – in cui l’infinita logorrea del cantante aveva trasformato
l’accaduto in un copione da film – furono la causa della stanchezza che aveva
segnato profonde occhiaie intorno agli occhi dei due gemelli. Occhiaie così
scure che Bill avrebbe potuto lasciare perdere la matita nera intorno agli occhi
per qualche tempo, e darsi ad un viola naturale.
Per questo motivo, i
Kaulitz lottarono ad ogni intervallo tra un’intervista e l’altra per riuscire ad
ottenere almeno un paio di giorni di riposo, che Jost concesse con adeguate
minacce, se non si fossero ripresentati in forma allo scadere del tempo a loro
concesso.
Ovviamente i due, pur di
stare un giorno intero a poltrire sui loro letti, avrebbero accettato questo ed
altro.
***
“Bill!” lo chiamò Tom da
dietro la porta della sua stanza.
Un sonoro mugolio giunse
alle orecchie del rasta, confermandogli che l’aveva svegliato.
“Ma stai ancora dormendo?”
esclamò colto alla sprovvista. Va bene che suo fratello dormiva oltre la media –
come lui del resto –, ma erano quasi venti ore di fila che non usciva dalla sua
stanza! “Comunque, io esco con Georg e Gustav. Vieni anche tu?”
Suo fratello non rispose.
“Bill!” lo chiamò ancora,
battendo una mano contro la porta. “Ma mi senti?”
“Avrei preferito di no…”
farfugliò una voce impastata dal sonno, dall’altra parte della porta.
“Ascolta, io ora esco…”
ripeté Tom, aggiustandosi la visiera del cappello.
“L’hai già detto…”
“E allora, se hai sentito,
perché non mi hai risposto?”
Un altro mormorio che
sembrava un tentativo di sbuffare fece capire a Tom che suo fratello non aveva
ancora collegato del tutto il cervello, quindi sarebbe stato meglio non
chiedergli cose troppo complicate.
“Vabbè, io vado… e –
tranquillo – mi faccio anche la tua, come sempre. Ci vediamo domani mattina.” E
proseguì per il corridoio fino alle scale. Poi sentì una porta aprirsi, si girò
e vi trovò affacciato un individuo che ebbe serie difficoltà a riconoscere come
Bill. Aveva i lunghi capelli neri arruffati, sotto ai quali poté notare i suoi
stessi occhi, ma ancora contornati dalla matita che non aveva tolto la sera
prima per la stanchezza, e che ovviamente era arrivata fino alle guance.
“Alla buon’ora!” lo salutò
Tom.
Bill alzò con eleganza e
raffinatezza un dito, salutando a sua volta il fratello con quel gesto non del
tutto nobile.
“A cosa lo devo?” chiese
scettico.
“Mi hai svegliato” e lo
guardò torvo.
“Volevi entrare nel
guinness dei primati come la persona che è riuscita ad entrare in letargo?”
“No, volevo solo dormire.
Ma sembra che tu voglia raggiungere il primato come rompicoglioni”
“Oggi sei simpatico quanto
un dito nel -”
“Tom! Vaffanculo!” sbraitò,
prima di richiudere violentemente la porta dietro di sé.
Tom scese le scale,
piuttosto interdetto: il comportamento di Bill poteva essere paragonato alla
sindrome pre-mestruale delle donne. L’unico problema era che lui non aveva il
ciclo, quindi doveva essere davvero spossato.
Meglio non stargli vicino,
allora…
***
La cosa che poteva ripagare
Bill più di ogni altra cosa, in quel momento, era non fare niente tutto il
giorno. Dopo che Tom gli aveva dato il buongiorno – alle otto di sera – non era
più riuscito a chiudere occhio. Era, quindi, sceso in cucina a prendere qualcosa
da mangiare (ovviamente non cose troppo sofisticate da preparare. Gli bastavano
gli avanzi della pizza del giorno prima, che riscaldò – non senza problemi – nel
microonde), e tornò con il piatto in camera sua. Mangiò, guardando un film, ma
poi la stanchezza si impossessò di nuovo di lui, e cadde ancora una volta nelle
ormai note braccia di Morfeo.
Improvvisamente, un tonfo
sordo, proveniente da fuori, lo riportò alla realtà, facendolo scattare a
sedere. Sbuffò e prese nota mentale di ripagare Tom con la stessa moneta.
Com’era possibile che suo fratello fosse un perfetto esemplare di inciviltà?
Erano solo le…
Si girò verso la sveglia
sul comodino.
… le due e mezza! Certe
volte gli sembrava di vivere con una persona cresciuta nella foresta Amazzonica!
No,
rifletté un attimo. Un selvaggio sarebbe molto più educato di Tom…
Poi, un altro rumore, come
se qualcuno cercasse di entrare ma non avesse le chiavi.
No, Tom non avrebbe avuto
problemi a svegliarlo, attaccandosi a peso morto al campanello, pensò Bill,
iniziando a sentire dei brividi di paura lungo la schiena.
Una porta si aprì. Sembrava
proprio quella d’ingresso.
Bill, con le orecchie
pronte a cogliere ogni altro minimo rumore, scese dal letto e si avvicinò alla
porta. Forse Tom aveva ritrovato le chiavi all’interno delle tasche senza fondo
dei suoi pantaloni.
Passò, poi, qualche attimo
di silenzio.
Strano, però. Di solito
Tom, ovviamente facendo tanta confusione quanto le sue energie potessero
permettergli, si trascinava stancamente verso camera sua. Questa volta, invece,
sembrava piuttosto silenzioso.
Ma ancora più strano: non
era ancora andato ad avvisare Bill del suo ritorno. Ogni volta che rientrava di
notte, infatti, prima di andare nella propria stanza, Tom passava da quella del
fratello e batteva una mano sulla sua porta un paio di volte. Ormai quello era
un gesto che faceva in automatico da anni!
Il moro iniziò a
preoccuparsi davvero troppo, così tanto che le mani avevano iniziato a sudargli.
Poi, chiuse gli occhi e
sospirò. Sarebbe andato a vedere cosa era successo. Dopotutto, se non era Tom
chi mai doveva essere? Ladri? No. Lo escludeva a priori, visto che aveva già
avuto una loro visita la scorsa settimana. Non potevano tornare nel solito
luogo! Erano come i fulmini! Mai due volte nello stesso punto.
Forse.
Girò lentamente la maniglia
della porta ed uscì, camminando altrettanto lentamente ed in punta dei piedi,
rischiando più volte di perdere l’equilibrio e cadere. Scese le scale, sperando
che il terzo scalino non cigolasse come al suo solito, cosa che fortunatamente
non fece, e si accostò allo sgabuzzino. Aprì la porta con delicatezza ed afferrò
la prima cosa che riuscì a trovare – una scopa – per poi impugnarla come arma
per un’eventuale invasione.
Cercò di avvertire qualche
altro rumore che gli permettesse di individuare l’ospite, ma niente. Sembrava
che si fosse volatilizzato.
Bè, meglio così…
Non fece in tempo a
rilassare i muscoli che aveva teso ed a sospirare, che sentì come se qualcosa
sbattesse contro un mobile. E il “cazzo!” che seguì quel colpo, fu la prova
evidente che qualcuno era sul serio entrato in casa. E la voce non era quella di
Tom. Assolutamente. A meno che non avesse fatto un’operazione alle corde vocali,
per renderla più femminile, quella voce apparteneva sul serio ad una donna.
Che Tom se ne fosse portata
una a casa? Era forse impazzito? Cioè… ulteriormente? Come gli era passato per
quella sua testa di portare una ragazza a casa loro? Anche se per la finezza con
la quale si era espressa era proprio adatta a lui, era severamente vietato
portare fans in casa!
Ma era inutile dirglielo,
visto che lo faceva in continuazione, nonostante la regola…
Però, non sentiva altri
‘rumori’ che caratterizzavano quei momenti. Quindi, che non fosse Tom?
Allora era proprio un
ladro! O meglio, una ladra!
Ma non gli importava del
sesso, fosse stato anche un trans, ora lui sarebbe entrato dentro quella stanza
e gli avrebbe fatto cambiare idea sulle sue intensioni.
Si avvicinò, per niente
sicuro di ciò che avrebbe potuto fare una volta che si fosse trovato davanti a
lei. E se fosse stata armata? Bill impallidì a quel pensiero, immobilizzandosi
proprio davanti alla porta della porta dello studio. C’era la possibilità di
fare una brutta fine e lui stava andando incontro a questa possibilità quasi a
braccia aperte.
Forse, se fosse rimasto
rintanato in camera sua sarebbe stato meglio. Però, poteva sempre provare a
tornarci, no?
Non ebbe il tempo di
riuscire a trovare una risposta a ciascuna delle paranoiche domande che gli
stavano affollando la testa, che la porta dello studio cigolò e si aprì.
Il primo pensiero di Bill
fu l’essere stato fortunato a non averla aperta lui, perché se così fosse stato,
sarebbe stato scoperto grazie a quel fastidioso stridio. Ma subito dopo
impallidì per la seconda volta. Stava per trovarsi faccia a faccia con un ladro!
Anche se era femmina…
C’era solo la luce della
luna che trapelava dalle persiane semichiuse dello studio e della sala alle sue
spalle ad illuminare i due individui e proprio quando Bill fu certo di vedere
quella donna uscire dalla stanza, alzò la scopa e colpì l’intrusa.
Doveva averla sul serio
colta alla sprovvista, perché questa cadde a terra, battendo la testa contro la
porta dello studio.
Una piccola parte di Bill,
subito si sentì in colpa per aver dovuto colpire una persona, ma dopotutto…
… o lei o me…
Si avvicinò
impercettibilmente alla ladra, che era stesa a terra. Aveva le mani vuote,
coperte solo da un paio di guanti neri che nascondevano solo il dorso e il
palmo.
Bill sospirò. Era
disarmata.
Subito lui corse ad
accendere la luce per illuminare un po’ di più l’ingresso, per poi tornare dalla
sua vittima.
Appunto. Vittima.
Bill iniziò a preoccuparsi
vedendo che la ladra – che a guardarla meglio non poteva che avere una ventina
d’anni – non si rialzava. Che l’avesse uccisa? Ma non c’era andato troppo forte!
Era anche vero, però, che era una donna. Le donne non erano resistenti come gli
uomini…
Ma forse, non era del tutto
morta… già, poteva essere solo svenuta. O forse era in coma!
Il moro sbiancò ancora una
volta. L’avrebbero arrestato e portato in prigione per ciò che aveva fatto!
Però, era legittima difesa!
Ma si poteva parlare di legittima difesa, se l’aggressore era disarmato e non
aveva aggredito proprio nessuno?
Non credo…
Ma era una ladra! Qualcosa
avrebbe pur dovuto valere questo!
Fece due passi verso la
ragazza, si accucciò vicino a lei e le posò una mano sulla spalla, scuotendola
leggermente.
“Oh, non sei morta, vero?”
sussurrò timoroso.
Lei non rispose e Bill si
sentì in dovere di fare qualcos’altro per risvegliarla. Iniziò, quindi a
schiaffeggiarla lievemente sulla guancia con la mano libera dalla scopa.
La ladra strizzò gli occhi
ed emise un flebile lamento.
Era viva! Bill si sentì
sollevato da un intero mondo che stava pensando sulla sua testa. Non sarebbe
stato incriminato come assassino.
“Ehi, svegliati! Forza!”
picchiettò ancora un po’ sul suo viso.
La ragazza si mosse e si
mise seduta, portandosi una mano alla testa, proprio dove Bill l’aveva colpita.
“Come stai?” le chiese il
moro, piegando la testa di lato, seriamente preoccupato, ma più che per lei, per
se stesso.
“Ma cosa -” e si
interruppe, aprendo gli occhi e realizzando. “Oh cazzo…”
Bill la guardò, leggermente
allarmato dal suo risveglio. Ok. Aveva appurato che non era morta e che non era
in coma. Ma ora?
Lei, intanto, nel tentativo
di capire meglio cosa le fosse successo, fece scorrere gli occhi per tutto
l’ingresso, per poi farli posare sulla scopa che il giovane teneva ancora in
mano.
“Tu!” e indicò Bill con
tono accusatorio. “Tu! Ma che cazzo hai fatto?” sbottò lei, indicando, ora, la
scopa.
“Che cazzo hai fatto tu!
Questa è casa mia!” eruppe Bill a sua volta.
La ragazza sembrò
trattenere il fiato per qualche attimo ed improvvisamente si alzò, iniziando a
correre verso le scale.
Bill, per niente pronto ad
una cosa del genere, rimase immobile a guardarla scappare senza capire.
Ed una volta che il suo
cervello ebbe dato la notizia a tutto il suo corpo di muoversi, il ragazzo corse
dietro alla fuggiasca.
Merda! Non puoi farla
franca!
Quando, dopo aver salito
tutta la rampa di scale, si rese conto di averla persa di vista, non poté far
altro che provare ad entrare in una delle tante stanze che riempivano il piano
superiore della casa, sperando che fosse quella in cui la ladra si era nascosta.
Aprì, quindi, la porta già
socchiusa della prima stanza – la camera degli ospiti – ed entrò. Là dentro non
c’era nessuno.
Forse sotto il letto… si
accovacciò ed alzò le coperte del letto, per infilarci sotto la testa.
Niente. Solo polvere. Prima
o poi avrebbe dovuto pulire.
Proprio in quel momento,
sentì la porta dietro di sé chiudersi di colpo, al quale lui trasalì e batté la
testa contro il letto.
Porca…
Subito si alzò,
massaggiandosi la testa e catapultandosi nel corridoio, per poi scendere le
scale correndo scompostamente a causa dell’agitazione. E proprio per questo, il
manico della scopa, che ancora teneva in mano, si impuntò davanti alle sue
gambe, facendolo inciampare e cadere per le scale.
Urlò per tutta la caduta,
serrando gli occhi e portandosi le mani davanti agli occhi, finché non andò a
sbattere contro qualcosa. O qualcuno. La ragazza venne travolta nella caduta
libera del moro e con lui scivolò gli ultimi gradini.
Quando finalmente si
fermarono – con somma gioia di entrambi – Bill scese da sopra di lei, per farla
rialzare, ma non senza prenderla per un braccio, in modo da evitarle ogni altro
tentativo di fuga, che già gli era costato un bernoccolo in testa.
“Tranquilla, dolcezza. Non
scappo.” Sbuffò lei.
“Sono un maschio.” precisò
Bill, colpito un po’ nell’orgoglio, anche se ci aveva fatto l’abitudine ormai.
“E io sono la regina
Elisabetta…” sbuffò di nuovo la ragazza.
Lui la guardò torvo.
Possibile che tutto a lui doveva succedere? Non solo una rapina in casa sua una
settimana prima, ma anche una seconda! E per giunta lui si era dato anche alla
cattura del ladro! Cioè… ladra.
La ragazza imitò il suo
sguardo torvo, aggiungendo a questo una scansione su di lui tale da
innervosirlo. Di fatto, anche lui si soffermò, poi, sul proprio abbigliamento.
Effettivamente, poteva mettersi qualcosa addosso.
Indossava i suoi stretti
boxer neri e una maglietta arancione sopra. Non era proprio il massimo
dell’eleganza. Dopo questa constatazione, però, si mise ad analizzare la
ragazza.
A parte i due occhi che
erano diventati due fessure, che guardarle per troppo tempo implicava
un’immediata morte, aveva un viso dai fini lineamenti, con qualche lentiggine
qua e là. Le labbra non erano particolarmente carnose, ma belle rosee. Il
piccolo naso, leggermente all’insù, le dava quell’aria sbarazzina degna di una
giovane ragazza. Non azzardò guardare il colore degli occhi per paura di
rimanere fulminato dal suo sguardo, e quindi si spostò ad osservare i capelli
che contornavano il suo viso. Poteva capire che erano mossi da quei due ciuffi
leggermente più corti che le scendevano morbidi ai lati del volto, mentre gli
altri li teneva legati in una lunga coda. Ma quello che lo meravigliò
maggiormente fu il colore. Erano rossi. Ma non rossi rossi. Erano più un rosso
ramato.
Possibile che una ragazza
come lei, che Bill dovette ammettere, non era per niente male, potesse essere
una ladra? Bè, stava per rubare in casa sua, quindi era possibile. Molto
possibile.
“Hai finito di fissarmi?”
domandò seria lei. “Vuoi anche che mi spogli?”
“Cosa?” farfugliò Bill,
riprendendosi dall’analisi, forse troppo minuziosa.
“Mi stavi fissando. Odio
essere fissata.” Spiegò a tono duro e minaccioso.
“Ah…” fece Bill, intimorito
dalla sua voce. Bella sì, ma pericolosa.
Poi, lui si alzò, tirandola
per il braccio per portarsela dietro. L’avrebbe rinchiusa in una delle camere e
avrebbe chiamato la polizia. Dopotutto, lei stava per rubare in casa sua! E
anche se era giovane, carina – e pericolosa – era pur sempre una criminale.
La ragazza obbedì, ma
proprio mentre stava cercando di stabilire un equilibrio sulle proprie gambe,
doloranti per la caduta, la caviglia le cedette, facendola accasciare per terra.
“Oh! Che ti prende ora?”
chiese preoccupato il moro, chinandosi accanto a lei.
“Oh! Ma saranno cazzi
miei?” gli rispose finemente.
Bill sbuffò. E dire che
stava cercando di essere gentile con lei.
“Hai bisogno di aiuto?” si
sforzò di chiederle ancora una volta.
Lei roteò gli occhi. “Bè,
se vuoi che io ti segua, sì…”
“Ti fa male la caviglia?”
“No, il dito…” fece
scocciata la ragazza.
Il moro alzò un
sopracciglio.
Lei sospirò. “Se sono
cascata, secondo te è perché mi sente un dito?”
Giusto.
Bill le passò un braccio
intorno alla vita e l’aiutò ad alzarsi, per poi darle sostegno mentre saliva le
scale.
Gli venne, poi, da
chiederle perché non si stava più ribellando. In fondo, per una semplice
slogatura avrebbe potuto cercare di fuggire di nuovo, non era niente di così
grave – anche se lui per primo si sarebbe dato malato terminale e sarebbe stato
a letto tutto il giorno.
Tradusse quel suo pensiero
a parole.
“Perché in carcere almeno
mi danno da mangiare…” rispose lei e soffiò una risata malinconica.
“Ah, capsico”
Poteva allora farsi
catturare subito, no?
Bill l’accompagnò sul letto
della stanza degli ospiti, esattamente quella dove prima lei aveva provato
rinchiuderlo, e si assicurò che la finestra non fosse aperta – anche se dal
primo piano sarebbe stato un po’ difficile scappare. Poi uscì dalla stanza,
chiudendola a chiave e portandosi la chiave con sé.
Andò in camera sua per
recuperare il cellulare. Avrebbe chiamato Saki, in modo da sapere precisamente
cosa fare con quella ragazza…
Metti che lui la voglia
portare via da qui per evitare che si venga a sapere di un altro tentativo di
furto…
… e poi anche Tom. Anche
lui viveva in quella casa e quindi era più che giusto avvertirlo che c’era una
ladra nella camera degli ospiti.
Ma proprio quando Bill finì
di cercare il numero di Saki nella sua rubrica digitale, suo fratello si attaccò
a peso morto – degno di lui – al campanello della casa.
Quando si dice tempismo…
Buttò il cellulare sul
letto e corse ad aprire al fratello, altrimenti la sua testa sarebbe esplosa per
colpa di quell’assordante ronzio.
“Porca miseria, Tom! Ma le
chiavi mai, eh!” sbottò Bill.
“Tanto ci sei tu che mi
vieni ad aprire.” E alzò le spalle entrando.
“Ci credo! Mi assordi con
il campanello!” e sbatté la porta.
“A me non dà mica noia.”
Fece completamente rilassato lui, togliendosi la grande felpa e buttandola sulla
spalliera del divano.
“A me sì! E anche la tua
felpa!” e la indicò con un dito smaltato, per poi indirizzare il dito
all’attaccapanni, completamente occupato solo dai giacchetti di Bill.
Tom biascicò un “che
palle!” e andò a mettere il suo pseudo giacchetto sull’attaccapanni.
“Sta sicuro che lo troverò
il modo di lasciarti fuori almeno per una notte intera, senza che tu debba
torturare le mie potere orecchie e la mia testa!”
“Fammi un fischio quando
l’hai trovato.” Rise Tom, attraversando l’ampio ingresso, per poi fermarsi nel
centro. “E quello?” e diresse lo sguardo verso un borsone nero ai piedi della
porta dello studio.
“Deve essere il suo
borsone” pensò Bill ad alta voce, avvicinandosi alla porta.
“Suo?” alzò un sopracciglio
Tom, incrociando le braccia al petto.
“Sì, c’è una ragazza qui
che -” iniziò a spiegare Bill, gesticolando come al suo solito.
“Come come come? Tu che mi
fai tutte le volte due palle così…” e mimò la grandezza – l’esagerazione non
è mai troppa! “… perché non devo portare ragazze in questa casa, proprio
tu!, ne hai portata una qua dentro?” e schioccò la lingua. “Mi deludi, Bill.” e
soffiò una mezza risata.
Il fratello, già abbastanza
irritato per la serata vissuta, arrivò al limite. Prese un cuscino dal divano e
lo tirò a Tom, che ovviamente lo evitò ridendo.
“Prima che tu mi
interrompessi…” disse, calcando parola per parola. “… stavo dicendo che stanotte
è entrato un ladro in casa. Il ladro in questione è una ragazza che sta
rinchiusa nella stanza degli ospiti di sopra…”
“Ci si è rinchiusa lei per
scappare da te?” chiese scettico Tom.
“Vaffanculo!” rispose Bill,
per niente intenzionato a reggere le battutine provocanti di suo fratello in un
momento come quello. “Ce l’ho messa io!”
“Hai catturato un ladro?”
si meravigliò, forse con troppo entusiasmo il rasta, per niente convincente.
“Diciamo di sì…” tossì lui.
“Comunque, ora chiamo Saki e chiedo che devo fare.”
Ma Tom non lo stava già più
ascoltando. Si era avvicinato alla borsa e, dopo essersi seduto per terra, si
era messo ad analizzarla. Poi la aprì e ne rovesciò rumorosamente il contenuto
sul pavimento.
Quando Bill si accorse
degli occhi pericolosamente sgranati di Tom, si avvicinò a lui per capirne la
causa.
Sul pavimento
dell’ingresso, oltre ad un Tom in coma, c’era il primo premio che vinsero. Il
premio annuale dei Comet Award che avevano vinto come miglior gruppo.
“Non mi dire…” riacquistò
la parola Tom. “… che questa ladruncola voleva rubare il nostro premio!”
ringhiò.
“Bè, se era nella sua borsa
non credo che lo volesse solo portare a spasso.” Rispose con una punta di
sarcasmo, sapendo bene quanto Tom tenesse a quel loro primo premio.
“È morta.” Decretò lui,
prendendo il premio, riportandolo nello studio e correndo a velocità
impressionante – per quanto i suoi abiti potessero permetterglielo – verso la
stanza della criminale.
“Ehi, Tom! Aspetta!” cercò
di fermarlo il fratello invano. L’unica cosa da fare era raggiungerlo.
Già a metà scala, Bill poté
sentire i colpi di suo fratello sulla porta. “Apri!”
“Non voglio essere
incriminato come complice di omicidio! Perché non mi lasci chiamare Saki e poi,
con calma, ne parliamo?” disse il moro, una volta raggiunto Tom.
“Apri questa porta. Ora!”
Bill, leggermente intimorito dalle parole del fratello, non se lo fece ripetere
due volte, anche perché molto probabilmente la seconda non ci sarebbe nemmeno
stata e Tom avrebbe potuto iniziare a prendere la porta a spallate per buttarla
giù.
Bill inserì la chiave nella
serratura, che scattò e la porta si aprì, rivelando una ragazza seduta
educatamente su un lato del letto che osservava i due gemelli. “Voi il silenzio
proprio non sapete dove sta di casa, eh?” commentò lei.
“Tu!” la indicò Tom
ruggendo.
“Io!” si indicò la ragazza
con lo stesso tono incazzato del rasta.
“E non farmi il verso!”
sbottò stizzito.
“Mica ti faccio il verso!”
replicò anche lei stizzita.
“Tom, questa è alla tua
altezza in quanto rompicoglioni…” constatò Bill, portandosi un dito sotto il
mento e spostando il suo peso sulla gamba sinistra.
Tom sospirò, come se stesse
cercando di riacquistare il controllo di se stesso. “Hai cercato di rubare in
casa nostra!” la accusò, poi.
Lei assunse un’espressione
pensierosa, aggrottò la fronte e con aria seria rispose. “Sì!”
“E lo confessi pure?”
intervenne Bill incredulo.
“Posso negare?” alzò le
spalle.
In effetti, non era
possibile negare.
“Come hai fatto ad entrare
in casa?” domandò Tom, come se fosse sotto interrogatorio.
“Quando? La prima o la
seconda volta?” chiese con tono innocente.
Tom ebbe la sensazione che
la sua mandibola avesse toccato terra. “Cosa? Sei stata tu a rubare una
settimana fa?”
Lei annuì.
Bill sgranò gli occhi
incredulo.
Ok. I giornalisti volevano
sapere come se lo sarebbe aspettato il volto del rapinatore? Bè, tutto il
contrario di lei.
“Ad ogni modo, la prima
volta ho trovato il cancello sul retro aperto e non c’era l’allarme. Oggi ho
scavalcato il muro che circonda la casa e sono stata fortunata a non trovare di
nuovo l’allarme.”
“Colpa dei giornalisti che
avevano assediato il cancello principale! Poi, nella fretta, ci siamo
dimenticati pure di inserire quel coso.” farfugliò Tom, riconoscendo che era
colpa sia sua che di suo fratello se tutto questo era successo, ma cercando lo
stesso di salvare la faccia a tutti e due.
“Tom! È colpa tua!” capì al
volo l’altro.
“Perché mia?” obbiettò
stizzito il ragazzo.
“Chi è uscito per ultimo da
dietro una settimana fa? Se non avessimo lasciato il cancello aperto non ci
sarebbe stato nemmeno il secondo!” gli ricordò il moro, guardandolo con aria
superiore.
“Primo: non c’è ancora
stato il secondo furto. Secondo: ma chi se lo ricorda chi è uscito per ultimo!
Ed anche se fosse colpa mia, sei tu che sei uscito senza dirmi niente! Terzo: la
seconda volta, potevi inserire l’allarme!” si difese, per poi lanciargli
un’occhiata inteneritrice.
“Ma ero in casa! Mica mi
aspettavo certe visite!” ed indicò la ragazza, che assisteva alla scena del
tutto falsamente coinvolta. “Vabbè, l’importante è che ti abbia preso…” sospirò
Bill, sempre rivolto a lei, contento, in un certo senso, che la nottata fosse
finita in quel modo.
“Ti correggo, mi sei caduto
addosso…” puntualizzò la ladra.
“Comunque ora sei qui,
quindi non importa più come ci sei arrivata…”
“E di certo non ci resterai
per molto!” concluse Tom.
“Ne puoi stare certo. Ti
immagini vivere con due perfetti idioti?” lo sfidò la ragazza.
“Oh, tu! Chi ti credi di
essere?” e Tom le si avvicinò minacciosamente.
“Inge!” rispose
semplicemente.
“Come?” alzò un
sopracciglio il rasta.
“Chi mi credo di essere.
Inge. È il mio nome.” Sorrise beffarda.
Tom iniziò a stuzzicarsi
con la lingua il suo piercing. Le cause di quel gesto potevano essere due: o
stava cercando di sedurla, o era al limite della pazienza. E visto che aveva
pure stretto le mani a pugno e che dalle sue orecchie era quasi possibile veder
fuoriuscire del fumo, il secondo era il motivo più evidente.
“Vado a chiamare Saki.”
Annunciò Bill, uscendo dalla stanza per tornare in camera sua a prendere il
cellulare.
“Non sei granché come
ladra.” Disse Tom, allentando la tensione sulle proprie mani e incrociando le
braccia al petto. Voleva riprendersi la rivincita. E quale sarebbe stata la
mossa migliore, se non quella di farla sentire un’incapace?
“Ma so fare molte altre
cose.” Gli sussurrò maliziosa, ribaltando i tentativi del ragazzo.
“Ah sì?” Tom accettò la
sfida, avvicinandosi maggiormente a lei.
“Vuoi vedere?” e si sporse
leggermente dal letto verso il suo viso.
Poteva lui, Tom Kaulitz,
tirarsi indietro? No, mai. Doveva farle vedere chi comanda! E in quella casa, in
quel momento e per certe cose, il padrone indiscusso era proprio lui. E tra poco
lei l’avrebbe capito.
Tom la guardò. Le sue
labbra erano ancora piegate in quel sorrisetto malizioso e beffardo, così come i
suoi occhi. Spostò il suo sguardo fugacemente anche al resto del corpo. Era
discreta. Molto discreta.
E poi, quei capelli rossi
non erano poi così male.
Lei si inumidì le labbra
con la lingua, provocandolo maggiormente.
Ingenua,
pensò Tom, avvicinandosi a lei, posandole una mano sotto il mento. Credi
forse che tu possa vincere questa sfida?
Quando le loro labbra
furono alla distanza di un soffio, lui chiuse gli occhi. Ma Inge si allontanò e
con un’adeguata ed esperta preparazione, gli sputò sul viso.
Tom rimase immobile per
qualche secondo, senza aprire gli occhi. Lei non disse più niente, rimanendo
ferma sul letto con un sorriso strafottente sulle labbra, mentre lui, cercando
di respirare profondamente per non fare esaurire le ultime briciole della sua
pazienza, con la mano si pulì l’occhio destro dalla saliva della ragazza, che
aveva preso a scendere anche lungo la guancia.
Poi si rialzò in tutta la
sua altezza. Sospirò un’ultima volta e aprì gli occhi.
“Bill. O chiami Saki. O io
la uccido.”
¤°.¸¸.·´¯`»
«´¯`·.¸¸.°¤
Continua...
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ATTENZIONE:
I Tokio Hotel non mi
appartengono e con questo mio scritto non voglio dare rappresentazione veritiera
della loro personalità. No scopo di lucro.
***
Lo so, lo so... non ho ancora
concluso le altre ff... ma è più forte di me...^^"...
Quest'ispirazione è arrivata
qualche tempo fa... e devo dire che è già prossima alla conclusione...^^"...
quindi non dovrebbe portarmi via troppo tempo..^^"
Spero vi sia piaciuto questo primo
capitolo. fatemi sapere lasciando un commentino..
Lascio già un grazie a tutti
coloro che solo leggeranno..=P
Baci!!
_irina_
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