Olèèèè la seconda parte!!
X3 All'inizio avevo adirittura pensato ad un epiloghetto, come dire, un
pochito più "spinto" però poi ho abbandonato
l'idea, rimandandola ad un altra fic *sorrisetto malefico* preparatevi.
XDXD Sorvolando i miei piani di conquista del mondo conosciuto e non,
come detto in precedenza questa parte è dal punto di vista
di Dayel dopo la battaglia finale, discostandomi un pelo dal libro che
dice che è Dayel stesso a trovare Durin tra i feriti. Spero
che sia almeno leggibili e non eccessivamente smielata x3
Un grazie gigantesco di nuovo a Taila che commenta ognuna di queste
piccolezze ^_______^ e anche a Silver, che ogni tanto si ricorda di
venirci a dare un'occhiata XD
P.S. Il titolo del capitolo viene dalla canzone di Utada Hikaru
"Passion" dalla colonna sonora di Kingdom Hearts, in particolare la
versione che accompagna il filmato finale, che come titolo aggiuntivo
ha "After the battle". Quindi ho fuso le cose XDXD
I suoi passi affrettati ed ansiosi risuonavano chiari per tutto il
corridoio di pietra, rimbombando tra le pareti levigate di solida
calce, mentre quasi correva, il fiato corto per lo sforzo di reggersi
anche solo sulle gambe.
Svoltò un angolo, accelerando il passo quel poco che poteva,
la spada che gli tintinnava al fianco, la testa tutta concentrata a
raggiungere una certa stanza.
Che non aveva la più pallida dove si trovasse.
Svoltato un altro angolo, si ritrovò a sbattere contro una
figura alta e magra, che sgranò gli occhi non appena lo vide.
Menion.
Fermandosi affannato, l’Elfo lo prese per le spalle e lo
fissò allucinato.
-Dov’è, Menion?? Dov’è
Durin??-
L’ansia nella sua voce era palpabile, ansia che non gli
permetteva nemmeno di riprendere fiato. Il principe di Leah
abbassò lo sguardo, cercando le parole per non allarmare
maggiormente il giovane.
-Dayel… ecco lui…-
Ma lui non si faceva prendere in giro così facilmente.
Strinse la presa sulle spalle del ragazzo e lo costrinse a guardarlo
negli occhi verde smeraldo, disperati.
Menion sospirò e indicò una porta di legno alla
fine del corridoio, prima di una svolta. Il giovane Elfo gli
lanciò un’occhiata riconoscente e si
buttò a capofitto verso la destinazione indicata,
raggiungendo la porta in un secondo.
Senza nemmeno bussare la aprì. Tre teste si voltarono
stupefatte verso di lui.
Due guaritori si affaccendavano accanto ad un letto, coperto
parzialmente di sangue, e rivolsero verso di lui soltanto un attimo
della loro attenzione.
La terza testa apparteneva all’imponente figura di Balinor,
che lo guardava triste.
Prima che Dayel facesse anche un passo, gli si avvicinò e
gli posò dolcemente una mano sulla spalla esile. Era stanco
e tirato, eppure si stava occupando personalmente di controllare i suoi
compagni feriti.
Gli rivolse un’occhiata incoraggiante e lo condusse
più vicino al letto, che fino a quel momento Dayel non aveva
avuto il coraggio di guardare.
-Non è molto grave, ma ancora non si è svegliato
da quando lo abbiamo portato qui… temono che non lo faccia
per niente…-
La sua voce era triste, e quelle notizie crudeli ma, si disse il
giovane, sarebbe stato inutile nascondergli la reale situazione.
Non appena i medici si scostarono permettendogli di guardare la figura
sdraiata sul letto, circondata dal sangue, le sue gambe sembrarono non
reggerlo più.
Durin, i capelli sparsi sul cuscino, il volto pallido e tirato dalla
sofferenza, era abbandonato sulle coperte, una ferita spaventosa alla
spalla sinistra, attorno alla quale i due medici si stavano affannando.
Gli occhi del fratello minore si velarono di lacrime.
-Non c’è più rischio che perda
l’uso del braccio, dovrà soltanto tenerlo a riposo
per un periodo. Devi assicurarti tu che lo faccia. -
La voce di Balinor lo fece voltare a stento dalla visione straziante
del fratello. Il gigante della Frontiera tentava di sorridergli e
infondergli speranza, e Dayel gli fu riconoscente per questo.
Rimasero a guardare per qualche tempo, finché i guaritori
non ebbero stretto sottili e resistenti bende attorno alla ferita,
allontanandosi dal ferito.
Balinor lanciò a Dayel un’occhiata eloquente, gli
diede una leggera pacca su una spalla e condusse fuori assieme a lui i
medici, chiudendo la porta.
Erano rimasti soli.
Lentamente, senza fare rumore, l’Elfo si avvicinò
al corpo del fratello, così debole e fragile in quel
momento, e si sedette sul bordo del letto, continuando a tenere gli
occhi fissi su di lui.
Il suo petto magro si alzava e si abbassava sommessamente, al ritmo di
un respiro fin troppo flebile per i gusti di Dayel; gli occhi erano
serrati, le profonde iridi verdi nascoste dalle palpebre. Quegli occhi
che lui avrebbe preferito vedere aperti.
Le mani erano abbandonate ai lati del corpo, morbide e rilassate.
Delicatamente Dayel ne prese una tra le sue: era liscia e calda, ma
sembrava così fragile, dava l’impressione che se
l’avesse lasciata cadere si sarebbe infranta in mille pezzi.
La strinse dolcemente, con una disperazione a stento repressa, e se la
portò alle labbra.
Il contatto con quella pelle così familiare
riportò alla sua mente tanti momenti simili, tante
disperazioni, tanti dolori, tante lacrime, ma anche tante risate, tanti
sguardi, tanta gioia.
Tutto portato e causato dalla persona che ora se ne stava abbandonata
su un letto triste e freddo, combattendo con la morte come aveva fatto
per una vita. Battaglia che se fosse stata persa avrebbe portato alla
fine e alla distruzione non soltanto Durin, ma anche il fratello.
Una lacrima solitaria percorse mestamente la guancia liscia del minore,
lasciando una traccia lucente di dolore. Dayel non si sprecò
ad asciugarla, inutile dato che, lo sentiva negli occhi, molte altre
presto l’avrebbero seguita. Non c’era nessuno a
vederlo, se lo sarebbe anche potuto permettere.
Con la mano di Durin ancora stretta tra le sue, cadde in ginocchio a
terra, il pianto ormai incontrollabile, i singhiozzi silenziosi a
stento trattenuti. Appoggiò la testa al petto del fratello;
poteva sentire il suo cuore battere, silenzioso e fievole, come se
dovesse fermarsi da un momento all’altro.
E pregò, pregò perché non si fermasse,
perché resistesse, perché aprisse quegli stupidi
occhi e lo guardasse come aveva sempre fatto.
Un solo sussurro scappò dalle sue labbra bagnate di lacrime
salate.
-Per favore, Durin… non lasciarmi da solo. Non puoi
farlo…-
Avrebbe voluto dirgli tante altre cose, che lo amava, che non avrebbe
sopportato che morisse, che avrebbe voluto rivederlo sorridere.
Ma si limitò a stringere ancora la sua mano, cercando di
infondergli quella forza che in quel momento forse avrebbe voluto anche
lui.
Lentamente e con fatica, aprì gli occhi, disturbato da una
luce fuori dal suo campo visivo.
Si guardò attorno spaesato, e vide brillare la luce di una
lampada ad olio sul piano del tavolo accanto al letto.
Durin!
Si voltò di scatto e davanti ai suoi occhi si
ripresentò la vista del fratello addormentato, il respiro e
il ritmico alzarsi ed abbassarsi del suo petto regolare sotto di
sé.
Guardò fuori dalla piccola finestra: doveva essersi
decisamente addormentato, pensò. Era scesa la sera. Qualche
stella brillava nel cielo nuvoloso, piccoli bagliori luminescenti.
Si alzò da terra, con le ginocchia intorpidite per la
scomoda posizione e si risedette sul materasso, comodissimo in
confronto al freddo pavimento. Non aveva mollato nemmeno per un secondo
la mano del fratello.
Pian piano, la riposò sul petto del proprietario,
accarezzandola un’ultima volta.
Pensò per un momento agli altri suoi compagni, a Balinor, a
Menion, ad Hendel.
Non aveva fatto sapere a nessuno di loro, a parte vagamente di
sfuggita, come stava. E viceversa. A malincuore decise di alzarsi ed
andarli a cercare, magari chiedendo a uno dei medici se avesse potuto
sostituirlo per un po’ di tempo.
Avrebbe voluto fare tutto meno che allontanarsi da Durin, ma il suo
istinto gli diceva che lui non si sarebbe mai svegliato senza di lui.
Dolcemente, alla ricerca di un ultimo contatto prima di andarsene,
posò le labbra su quelle morbide ed immobili del fratello,
lasciandoci un delicato bacio. Era tutto quello che poteva fare.
Fece lentamente per alzarsi, spostando il peso dalle braccia dove si
teneva alzato, quando gli si presentò un bizzarro fattore:
un essere non ben identificato, che chiaramente non poteva essere suo
fratello, addormentato fino a pochi secondi prima, stava
prepotentemente rispondendo al suo bacio.
Si staccò di scatto, ad occhi sgranati. Quelli di Durin lo
fissavano maliziosi, ancora con una vaghissima ombra di sonno.
-Mi piace parecchio questo nuovo metodo di sveglia-
Aveva la voce impastata dal lungo riposo, e mentre il fratello minore
lo fissava come fosse un fantasma cominciò a strofinarsi gli
occhi, come un gatto sornione.
Quando ebbe finito, riportò la sua attenzione su Dayel,
ancora nella stessa posizione.
-Beh?! Dayel stai bene?-
Faceva lo spavaldo, nonostante la voce affaticata e la poca
mobilità.
Fece di nuovo per parlare, ma le parole gli si strozzarono in gola
quando vide le lacrime negli occhi e lungo le guance di Dayel. Stava
… piangendo.
Prima che potesse proferire parola, il fratello gli si gettò
letteralmente tra le braccia, soffocandolo.
-Sei contento di avermi fatto prendere questo spavento?! Stupido di un
fratello!!-
Piangeva e gli gridava contro, affondato nei suoi capelli, mentre lo
stringeva a sé, aggrappato convulsamente alla sua stessa
vita, che aveva temuto di perdere per sempre.
Durin restò scioccato per qualche secondo, poi dolcemente
gli passò le braccia dietro la schiene, abbracciandolo. Per
fortuna erano abbracciati in quella maniera, si disse, non avrebbe
fatto una grande figura da fratello maggiore se Dayel avesse visto
anche le sue di lacrime.
Il pianto si spense poco dopo, quando il minore si alzò,
puntellandosi sui gomiti, per guardare Durin in viso. Aveva gli occhi
arrossati, le guance ancora più rosse e lo sguardo truce.
Il maggiore si trattenne a sento dal ridere a quello spettacolo. Dayel
sapeva sempre sembrare un bambino.
Alzò lentamente la mano destra, l’unica che poteva
muovere, fino a raggiungere il suo viso e posarvi una dolce carezza,
portando via le ultime lacrime che ancora indugiavano sulla sua pelle
lattea.
-Non sarò mai contento di vederti in questo stato. E per
quanto riguarda lo spavento, prendila come una piccola vendetta.
–
Strizzò malizioso l’occhio all’altro,
sottintendendo il tremendo spavento che anche Dayel gli aveva fatto
prendere prima di giungere a Storlock, molto molto tempo prima.
Quest’ultimo fece per ribattere, ma Durin lo interruppe.
-Preferisco farti spaventare che permettere che ti facciano del male.
–
Dayel sentì il respiro mancargli. Lo aveva detto con una
tale passione, con una tenerezza, che l’Elfo ebbe paura di
finire per piangere di nuovo. Si era fatto ferire in quella maniera
orripilante perché non voleva che capitasse a lui. Quello
stupido.
Quell’appellativo adattato a suo fratello maggiore lo fece
sorridere.
-E adesso cosa hai da ridere? Il mio sacrificio è
così ridicolo?!-
Il tono poteva sembrare irato e offeso, e Dayel ci avrebbe potuto anche
credere se non avesse visto chiaramente quel brillio divertito negli
occhi smeraldo.
Senza rispondergli lo baciò di slancio, tappandogli la
bocca. Durin, come suo solito, volle approfondire la reciproca
conoscenza, posando una mano dietro la nuca del fratello e
avvicinandolo maggiormente a sé. Lo lasciò
soltanto quando temette di soffocarlo.
-Tu hai la pessima abitudine di zittirmi con un bacio quando non vuoi
sentirmi parlare…-
-E tu quella più che deviata di tentare di violentarmi ogni
volta che cerco un po’ di affetto…-
gli rispose per le rime Dayel. Con una voce leggermente incrinata ed
ansimante, constatò con piacere.
Rimasero a guardarsi per un’infinità di tempo
negli occhi, movendoli appena per catturare un piccolo e insignificante
movimento l’uno dell’altro, persi nel loro piccolo
mondo perfetto.
Fatto della reciproca presenza.
All’improvviso, colto dalla stessa subitanea sensazione che
lo aveva preso quel giorno a Storlock, Durin sentì in fondo
al cuore di dover parlare.
Ma stavolta non di dover dire qualcosa, una cosa qualsiasi.
No, lui doveva dire a Dayel una cosa precisa, che mai aveva avuto il
coraggio di esternare.
Prese un profondo sospiro.
-Dayel…-
Il suddetto lo guardò con più interesse ed anche
un velo di preoccupazione.
-Senti Dayel…-
Niente, non riusciva a terminare un qualsiasi periodo articolato.
-Durin, non ti preoccupare…-
Anche quella volta stava cercando di interromperlo, dicendogli di non
preoccuparsi.
Non poteva permettergli di sfuggire ancora una volta; perché
ora che ci pensava non era la prima volta che tentava di svicolare il
discorso, quando vedeva che Durin o la situazione si facevano troppo
seri.
-No, Dayel ascoltami!-
Si sarebbe imposto, con sé stesso e con suo fratello. O
prima o poi sarebbe esploso.
-Durin, davvero, è tutto a posto così. Non
c’è bisogno che tu…-
-No!-
L’esclamazione del maggiore lo fece zittire, lasciandolo a
fissarlo con un’aria tra lo spaventato e il rassegnato.
Sembrava ad un passo dal tapparsi le orecchie con le mani, come i
bambini.
Per precauzione, Durin gliele prese tra le sue, e puntò i
suoi occhi splendenti in quelli speculari di lui.
-Dayel…-
-No…-
-Dayel, fammi parlare!-
Lo guardava con un cipiglio deciso che lo spaventò.
Non voleva che lo dicesse, non voleva che parlasse, voleva soltanto
godere quel bellissimo silenzio che solo tra loro sapeva crearsi. Dire
significava ammettere, ed ammettere non era loro concesso.
Di nuovo Durin fece per prendere la parola, e di nuovo un moto di
panico si impadronì del minore. Glielo avrebbe impedito.
Di getto lo baciò, premendo prepotentemente la bocca su
quella del fratello, in un gesto che sembrava molto più
adatto all’altro che a lui.
Durin non si sottrasse, ma nemmeno cercò di approfondire la
cosa. Semplicemente, assecondò le sue labbra, lasciando in
Dayel un sano senso di scampato pericolo.
Ma non aveva calcolato la furbizia maliziosa del fratello. Durin si
lasciò scappare un sorrisetto malefico, e proprio ad un
passo dalle sue labbra rosate sussurrò:
-Ti amo-
Dayel sgranò improponibilmente gli occhi, tramutandoli in
due laghi verdissimi, e un rossore scarlatto si impadronì
delle sue guance diafane.
Lo aveva fatto, lo aveva detto. Adesso niente avrebbe potuto salvarli,
non si sarebbero più potuti nascondere dietro nulla.
Eppure non suonava così male. Se lo ripeteva nella mente,
era un suono così dolce, così piacevole; lasciava
una sensazione inspiegabile di appagamento e di calore nel cuore.
Inconsapevolmente un sorriso si formò sulle sue labbra,
ancora ad un passo da quelle di Durin.
-Dovresti vederti, Dayel. Sembri un pomodoro maturo!-
Ridacchiava quest’ultimo, guardando l’espressione
di beatitudine mista ad imbarazzo del fratellino. Che, indignato, mise
su un cipiglio imbronciato, e senza guardare il viso
dell’altro, si alzò e facendo un giro impossibile,
si buttò sotto le coperte assieme a lui.
-Fammi spazio, stupido. –
Borbottò, ancora rossissimo in volto. Durin rise di gusto a
quel comportamento infantile, e ignorando le sue flebili proteste gli
passò un braccio attorno alle spalle e lo attirò
a sé, abbracciandolo. Dayel, sempre imbronciato,
poggiò la testa sul suo petto, accomodandosi.
Non avrebbe lasciato quella stanza per molto tempo, se lo sentiva.
Scese un silenzio rotto solo dai loro respiri regolari, tranquilli
nella vicinanza al sonno.
-Durin? Beh… insomma… volevo dirti che
anch’io… anche io ti…-
La voce gli tremava e soltanto il buio non permetteva al maggiore di
vedere quel particolare colorito violetto vergogna che le sue guance
avevano assunto.
-Insomma… anche io… hai capito no?!-
Concluse spazientito, ritirandosi nella sicurezza dell’incavo
del collo dell’altro.
Durin sorrise nell’oscurità e posò un
bacio delicatissimo sulle labbra di Dayel.
-Lo so, lo so… non preoccuparti-
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