La
frase
in
corsivo
è
un
incipit
dell'autore
Marco
Vichi.
E'
un
racconto
a
cui
ho
partecipato
ad
un
concorso
e
mi
par
giusto
riconoscere
a
chi
di
dovere
le
prime
righe
^^
una
delle
poche
storie
che
ambiento
nel
tempo
odierno,
non
so
perchè,
ma
raramente
riesco
a
scrivere
dei
tempi
correnti...
*°*°*
Uscì
di
casa
fischiettando.
Era
contento
che
fosse
finalmente
tornato
il
sole.
Voltò
l’angolo
e
si
bloccò.
Sul
marciapiede
opposto
stava
camminando
l’ultima
persona
che
si
sarebbe
aspettato
di
vedere.
Quanti
anni
erano
passati?
Stava
per
gettarsi
sulle
strisce
pedonali
quando
dall’incrocio
si
sentì
il
rumore
di
una
frenata
e
uno
schianto.
Fu
uno
dei
tanti
a
voltarsi
e
a
vedere
una
macchina
che
urtava
un
motorino
buttandolo
a
terra.
Evidentemente
era
passato
col
rosso
e
aveva
causato
quell’incidente.
Si
soffermò
a
lungo
ad
osservare
il
ragazzo
che
era
caduto
dal
motorino
e
non
accennava
a
rialzarsi.
“Povero
ragazzo”
pensò
sospirando.
Osservò
ancora
qualche
minuto
la
scena
e
la
gente
che
accorreva
in
quel
punto,
poi
attraversò
la
strada
e
raggiunse
il
marciapiede
opposto.
Lo
aveva
appena
intravisto,
ma
evidentemente
non
era
tra
coloro
che
si
erano
fermati
per
curiosare.
Si
maledisse
per
aver
atteso
e
decise
di
provare
a
cercarlo,
in
fondo
non
poteva
essere
troppo
distante.
Svoltò
l’angolo
avanzando
a
passo
spedito
guardando
tra
la
gente
che
camminava,
infine
lo
intravide.
Camminava
tranquillo,
era
come
lo
ricordava.
Spalle
ampie,
capelli
brizzolati
che
si
diradavano
appena
sopra
la
testa.
Una
giacca
di
pelle
marrone
e
dei
jeans,
non
era
cambiato
di
una
virgola.
Prese
a
correre
per
raggiungerlo.
Scansava
persone
di
cui
non
guardava
neanche
il
volto,
non
ne
sentiva
neanche
le
voci.
Era
una
mattina
silenziosa
e
tiepida,
la
luce
chiara
del
sole
illuminava
tutto
uniformemente.
Alzò
una
mano,
schiuse
le
labbra
per
chiamarlo,
ma
si
rese
conto
di
non
avere
un
nome
da
chiamare.
Rallentò
la
corsa
e
si
rese
conto
che
seppur
quella
figura
gli
fosse
familiare,
non
si
ricordava
esattamente
né
il
nome
né
chi
fosse.
Sentiva
di
conoscerlo,
sentiva
il
desiderio
incontenibile
di
volergli
parlare,
addirittura
di
volerlo
abbracciare.
Iniziò
a
camminare
lentamente
rimanendo
con
lo
sguardo
su
quella
figura
che
pareva
spiccare
su
tutte
le
altre.
Lo
sforzo
di
ricordare
gli
era
difficile,
pareva
che
la
sua
memoria
fosse
inaccessibile.
Si
impose
la
calma
e
cominciò
lentamente
a
vagliare
i
ricordi
più
recenti,
gli
ultimi
risalivano
solo
all’incidente,
prima
non
ricordava
nulla.
Continuò
comunque
a
concentrarsi
mentre
camminava
lungo
il
marciapiede
del
viale.
Per
un
attimo
lasciò
vagare
lo
sguardo
sui
manifesti
pubblicitari
affissi
ai
muri.
Si
soffermò
su
di
uno
guardando
la
figura
di
un
uomo
che
parlava
con
un
bambino
tenendolo
per
mano.
Come
se
quelle
due
figure
fossero
vive
e
non
immagini,
le
vide
muoversi.
Vide
quell’uomo
chinarsi
davanti
a
quel
bambino
di
circa
dieci
anni
carezzandogli
il
capo
“Non
voglio
che
te
ne
vai”
continuava
a
ripetere
tra
le
lacrime
quel
bambino
“Ma
tornerò
presto
da
te
e
dalla
mamma”
lo
rassicurava
il
padre,
ma
il
bambino
non
ne
voleva
sapere
di
rassegnarsi.
Infine
quell’uomo
si
allontanò
salutando
il
bambino
tenuto
per
mano
dalla
madre.
L’aereo
si
alzò
in
volo
e
il
bambino
rimase
a
guardarlo
e
a
salutarlo
fin
quando
non
fu
troppo
lontano.
Come
nulla
fosse
si
ritrovò
a
fissare
quel
manifesto,
ma
un
nuovo
ricordo
era
affiorato.
Si
mise
a
correre
di
nuovo
dietro
quella
figura
più
veloce
che
poteva
per
raggiungerla
“Papà!”
urlò
con
quanto
fiato
aveva,
ma
l’uomo
non
parve
accorgersi
che
quel
richiamo
era
per
lui
e
continuò
a
camminare.
“Papà!”
chiamò
ancora
senza
risultati,
più
e
più
volte
fin
quando
non
raggiunse
quella
figura.
Gli
posò
una
mano
sulla
spalla
“Papà?”
domandò
dubbioso
verso
quella
figura
di
spalle.
L’uomo
si
voltò.
I
suoi
occhi
scuri
erano
come
se
li
ricordava,
sinceri
e
tranquilli
dietro
gli
occhiali.
Aveva
lo
stesso
profumo,
solo
che
adesso
era
alto
quasi
quanto
lui.
In
fondo
erano
passati
dieci
anni.
”Ciao
Marco”
lo
salutò
con
un
sorriso
abbracciandolo.
Non
pareva
sorpreso
“Papà!
Perché
sei
tornato
e
non
hai
avvertito
me
e
la
mamma?”
domandò
osservando
il
padre
“E’
stata
una
cosa
improvvisa,
avevo
intenzione
di
venirvi
a
trovare
dopo
pranzo,
non
avevi
scuola
oggi?”
Quella
domanda
parve
metterlo
in
difficoltà.
Non
sapeva
rispondere,
ma
si
ricordò
di
quanto
fosse
diligente
suo
padre
con
gli
impegni,
così
scosse
il
capo
“No,
oggi
c’era
assemblea
dei
professori”
suo
padre
sorrise
e
riprese
a
camminare.
“Dove
vai
adesso?”
gli
chiese
seguendolo
“Nel
mio
appartamento,
puoi
accompagnarmi”
rimase
stupito
da
quella
risposta
“Ma
potevi
stare
da
noi!”
l’uomo
continuò
a
sorridere
tranquillamente
“Ha
prenotato
tutto
la
mia
segretaria,
almeno
non
darò
disturbo”
Per
quanto
si
sforzasse
non
riusciva
a
ricordare
che
lavoro
facesse
suo
padre.
Parlarono
a
lungo
del
più
e
del
meno,
di
come
andasse
la
scuola
e
di
come
stesse
la
mamma.
L’edificio
dove
alloggiava
suo
padre
era
abbastanza
lontano,
ci
misero
alcune
ore
per
raggiungerlo,
ma
non
si
affaticò
come
quando
era
piccolo
per
seguire
suo
padre.
Si
fermarono
davanti
a
un
edificio
di
tre
piani
abbastanza
vecchio,
ma
ben
tenuto
“Sono
arrivato”
disse
suo
padre
fermandosi
davanti
alla
porta
mentre
cercava
le
chiavi
“Posso
accompagnarti?”
chiese
Marco
ansioso
di
poter
discutere
ancora
con
lui
“Va
bene”
rispose
il
padre
con
un
sorriso.
Aprì
la
porta
ed
entrò
in
un
piccolo
ingresso
dal
quale
partivano
delle
scale
che
conducevano
ai
diversi
piani.
Iniziarono
a
salirle
tranquillamente.
All’inizio
il
ragazzo
non
contò
neanche
gli
scalini
o
i
pianerottoli,
intento
a
parlare
col
padre,
ma
dopo
un
po’
sentiva
la
stanchezza
e
cominciava
a
guardarsi
intorno
“Ma
quanti
piani
ha
questo
posto?”
chiese
spazientito
sentendo
ormai
i
muscoli
delle
gambe
iniziare
a
lamentarsi
“Più
di
quanto
sembra”
rispose
vagamente
il
padre
“La
tua
segretaria
poteva
prenotare
un
posto
con
l’ascensore!”
l’uomo
rise
divertito
“Ma
ti
assicuro
che
è
un
condominio
tranquillo,
ci
si
sta
molto
bene
e
il
vicinato
e
piuttosto
paziente
e
cordiale”
Continuarono
a
salire,
ormai
Marco
iniziava
a
sentire
anche
caldo,
forse
prima
non
vi
aveva
fatto
troppo
caso
“Niente
ascensore
e
niente
condizionatore”
sbuffò
innervosito
“E’
un
palazzo
vecchio,
quando
l’hanno
fatto
neanche
sapevano
cosa
fosse
l’ascensore
e
il
condizionatore”
era
paziente
come
se
lo
ricordava,
fin
troppo
forse.
Le
scale
continuavano
a
salire,
la
luce
aumentava
senza
che
riuscisse
a
vedere
dove
si
trovavano
le
finestre.
Avevano
passato
i
due
pianerottoli,
il
terzo
sembrava
irraggiungibile.
Ormai
il
ragazzo
saliva
le
scale
a
fatica
appoggiandosi
al
corrimano.
Non
aveva
più
voglia
di
parlare,
sperava
solo
di
arrivare
presto
e
prendersi
un
bicchiere
d’acqua
in
casa
del
padre.
Aveva
perso
il
conto
degli
scalini
quando
alzò
il
piede
senza
trovare
appoggio.
Guardò
innanzi
a
se
e
si
accorse
di
essere
sul
pianerottolo
del
terzo
piano.
“Eccoci
qua”
l’uomo
prese
le
chiavi
e
aprì
la
porta
lentamente.
Dall’interno
si
spandeva
una
luce
intensa
e
un
silenzio
irreale
“Che
strano
posto”
borbottò
il
ragazzo
facendo
per
seguirlo,
ma
suo
padre
sorridendo
gli
impediva
di
entrare
“Dai
papà!
Non
ho
voglia
di
scherzare…ho
una
sete
che
muoio”
fece
per
passare
ma
ancora
gli
fu
impedito.
“Non
posso
farti
entrare”
disse
lui
sciogliendo
quel
sorriso
che
lo
aveva
animato
“Cosa
nascondi?”
chiese
il
ragazzo
perplesso,
poi
si
adombrò
“Non
è
che
ti
sei
fatto
un’amante?”
l’uomo
rise
appena
“Ma
figurati!
Io
ho
amato
e
amo
tua
madre.
Anche
se
credo
dovrebbe
rifarsi
una
vita
dopo
dieci
anni
che
l’ho
lasciata
sola”
sospirò
e
calò
il
silenzio.
Fissava
senza
comprendere
il
volto
del
padre
poi
in
esso
vide
la
figura
di
sua
madre
che
piangeva
inginocchiata
davanti
al
telefono.
“Cosa
c’è
mamma?”
lei
si
voltò
sforzando
un
sorriso.
Lo
aveva
abbracciato
e
stretto
forte
a
sé.
Era
rimasta
a
lungo
in
silenzio
poi
con
le
migliori
parole
che
aveva
trovato
gli
disse
che
suo
padre
era…
“Morto”
mormorò
il
ragazzo
sgranando
gli
occhi
“Tu
sei
morto!
Quell’aereo
precipitò”
indietreggiò
allarmato
osservando
quell’uomo
identico
a
suo
padre
“Chi
sei?”
gli
urlò
contro
“Ti
pare
uno
scherzo
divertente?”
ma
l’uomo
rimase
impassibile
sulla
soglia
di
quell’appartamento.
Sospirò
cercando
di
sorridere
“Sì
Marco,
io
sono
morto”
prese
a
parlare
con
voce
calma
“Questa
soglia
non
possono
varcarla
i
vivi.
A
dirla
tutta
non
possono
entrare
in
questo
palazzo”
il
sangue
gelò
nelle
vene
del
ragazzo
“I-io
sono…”
l’uomo
scosse
il
capo
“Non
ancora”
calò
ancora
il
silenzio.
L’uomo
avanzò
per
poi
stringere
a
sé
il
figlio
“Hai
avuto
un
brutto
incidente
mentre
andavi
a
scuola
in
motorino”
mormorò
appena.
Nella
mente
del
ragazzo
riaffiorò
il
ricordo
dell’incidente
all’incrocio.
Non
lo
vide
come
prima,
vedeva
innanzi
a
sé
scorrere
la
strada
e
le
macchine.
Il
semaforo
verde.
Poi
all’improvviso
sentì
frenare
una
macchina
e
si
volse.
Non
fece
in
tempo
a
vederla
arrivargli
addosso
che
era
stato
sbalzato
dal
motorino.
”Oddio”
mormorò
tremante
stringendosi
a
suo
padre
“Già,
un
brutto
incidente”
l’uomo
sospirò
“Ma
i
medici
si
stanno
adoperando
per
salvarti”
lo
scostò
da
sé
guardandolo
negli
occhi
“Torna
indietro
Marco,
puoi
farlo”
il
ragazzo
osservò
la
soglia
dell’appartamento.
Aveva
sete
e
si
sentiva
terribilmente
stanco.
“Resisti
Marco”
lo
scosse
suo
padre
“Non
puoi
abbandonare
tua
madre”
fu
il
ricordare
sua
madre
piangere
a
dargli
la
forza.
Si
lanciò
sulle
scale
scendendo
velocemente
senza
guardarsi
indietro,
senza
salutare
suo
padre.
Aveva
la
mente
sgombra
da
qualsiasi
pensiero.
“Marco”
un
eco.
Qualcuno
chiamava
insistentemente
quel
nome.
Quando
arrivò
nell’ingresso
spalancò
la
porta
quasi
senza
più
fiato,
colto
da
una
paura
irrefrenabile:
la
paura
di
morire.
Aprì
gli
occhi.
Una
luce
lo
accecò
qualche
istante.
Non
riusciva
a
sollevare
le
braccia,
erano
troppo
pesanti
“Marco!”
esclamò
quella
voce,
la
voce
di
sua
madre
“Nh?”
non
riusciva
a
parlare,
aveva
la
bocca
asciutta
e
non
capiva
nulla
“Dottore!”
sua
madre
corse
a
cercare
i
dottori.
Chiuse
gli
occhi
quasi
si
fosse
appena
svegliato
e
avesse
ancora
sonno.
Rivide
qualche
istante
il
volto
di
suo
padre
“Salutami
la
mamma”
sorrise
sentendo
quasi
il
bisogno
di
piangere
“Certo
papà”
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