My
Heroine
The drugs begin to peak
A smile of joy arrives in me
but sedation changes to panic and nausea
And breath starts to shorten
And heartbeats pound softer
You won't try to save me!
You just want to hurt me and leave me desperate!
Sdraiata
su un lettino di ospedale non sento nulla.
Attorno a me le figure dei medici che si muovono frenetici appaiono
come immagini sfocate avvolte dalla nebbia, come personaggi di poco
conto
in un film quando la scena si focalizza solamente sul protagonista e
tutto il resto perde la sua importanza.
E in questo folle istante in cui il mondo
sembra
procedere a rilento ecco che appari, belissimo e pericoloso
come
solo tu sai essere, con il volto deturpato da un sadico sorriso di
gioia, mentre i tuoi occhi neri sembrano ripetere all'infinito "ho vinto io".
Improvvisamente il mondo torna ad essere percepibile e un senso di
nausea mi assale.
Sento la macchina che segna il battito del mio cuore impazzire al mio
fianco, mentre il suo fastidioso bip si ripete all'infinito nella
stanza causando un ondata di panico generale. Il fiato comincia a
mancarmi.
Così come sei arrivato, tuttavia, tu sei sparito: in un
soffio
di nulla; invisibile gli occhi di tutta questa gente che ignara vive
una via felice ed ordinaria.
Ma io potevo vederti e, anche se ora i miei occhi si chiudono, ho
ancora impresso nella memoria il tuo sorriso.
Ho vinto io.
Ho vinto io.
Ed
è davvero così.
******
You
taught my heart, a sense I never knew I had.
I
can't forget, the times that I was
Lost
and depressed from the awful truth
How
do you do it?
You're
my heroine!
Quel
giorno, esattamente come il giorno prima e quello prima ancora, pioveva.
Avvolta in una misera coperta di pile, di quelle vecchie, pungenti e
piene di buchi, me ne stava appollaiata sul davanzale della finestra,
coi vetri spalancati, ad osservare la fredda e pungente
pioggia
che mi sferzava il viso.
Non avevo mai pensato seriamente alla pioggia, o forse ci avevo pensato
troppo spesso, ad ogni modo amavo quando il cielo si annuvolava e le
prime goccie d'acqua scappavano dalla loro prigione soffice per
raggiungere la terra rendendola ogni istante un po' più
grigia,
un po' più sporca, un po' più vera.
Ricordo disintamente la pioggia, tuttavia non ricordo il motivo che mi
indusse ad alzarmi ed usicre di casa.
Era un evento raro per me lasicare il rifugio sicuro della mia stanza
ed avventurarmi nel mondo esterno; io, la ragazza difficile da capire,
impossibile da sopportare, troppo distante per poter essere raggiunta,
ero
finalmente uscita di casa senza alcn obbligo dettato da insulse lezioni
universitarie che ormai avevo smesso di seguire o da un lavoro che non
mi interessava più. Probabilmente era qualcosa di
importante.
Certamente era qualcosa di stupido.
Scesi le poche scale che separavano l'appartamento dove vivevo, uno
squallido monolocale abbastanza vicino all'università da
poteri
permettere di dormire qualhe ora in più alla mattina, aprii
il
portone e mi avviai lungo il viale centrale, diretta verso qualcosa che
nemmeno io sapevo cosa fosse. Non presi l'ombrello.
Camminai per quelle che mi parvero ore, anche se in realtà
ci
misi pochi istanti ad arrivare al piccolo parco pubblico di fronte alla
stazione: mentre camminavo le persone mi passavano accanto come frecce
indistinte dai colori scuri, troppo occupate dallo scorrere della loro
vita per accorgersi di urtare o bagnare con i loro ombrelli colorati
qualcuno di così insignificante, ma non mi curavo di loro,
nessuno dei loro volti mi rimase impresso per più di un
secondo,
erano solo passanti insignificanti tanto quanto lo ero io per loro.
Il parco era vuoto: nessuna madre saggia porterebbe il suo prezioso
figlioletto a giocare in quel parco sotto un acquazzone del genere.
Nessuna madre saggia porterebbe il suo prezioso figlioletto a
giocare in quel parco, punto.
Non era un bel posto e non era frequentato da persone raccomandabili,
ma a me non era mai importato molto. In realtà erano davvero
poche le cose di cui mi importava qualcosa e nessuna di queste poteva
considerarsi vitale o, talvolta, reale. Ma andava bene così.
Del resto, in ventidue anni di vita non avevo mai trovato nessuno a cui
importasse di me; come potevo dispensare un sentimento che non
conoscevo?
La pioggia continuva a cadere e io, ovviamente, continuavo a bagnarmi e
con tutta probabilità mi avvicinavo sempre di più
a
prendere un raffreddore, come minimo, ma non aveva importanza.
Il parco vuoto, la pioggia...era tutto ciò che volevo, tutto
ciò che amavo. Erano, in una maniera un po' terribile, la
rappresentazione stessa della mia vita: un luogo malfamato e vuoto,
dove le uniche tracce che si possono trovare sono pozzanghere fatte di
ricordi dimenticati.
-Signorina, tutto ok?-
Ci misi qualche istante a capire che si stavano rivolgendo a me.
Sollevai lentamente la testa e scostai le corte ciocche castane
appiccicate alla mia fronte per via dell'acqua e osservai il nuovo
arrivato: era un uomo alto, dalla pelle scura e gli occhi neri, in una
mano stringeva un piccolo ombrello rosso aperto, mentre nell'altra
tanti suoi simili erano ancora incelofanati in attesa di essere venduti
a qualche sprovveduto che non aveva controllato le previsioni del tempo
prima di
uscire di casa.
Decisi di ignorarlo, nella speranza che in questo modo non avrebbe
insistito e se ne sarebbe andato tranquillamente, ma a dispetto di
tutto lui si sedette al mio fianco, osservandomi e senza offrirmi
riparo dalla pioggia. Gli fui grata di questo.
-Non sembra stare bene...-
L'uomo parlava con un italiano un po' strascicato, ma abbastanza
corretto, tuttavia ancora un po' insicuro.
Inaspettatamente risposi, non senza essermi prima lasciata andare in un
sospiro al metà tra lo sconforto e la disperazione.
-Già...-
Lui mi osservò ancora per qualce istante, come se mi stessse
valutando, poi cominciò a guardarsi attorno con
circospezione,
come spaventato dall'idea di poter essere sorpreso da qualcuno, ma in
quel luogo dimenticato c'eravamo soltanto noi.
-Tieni signorina, ti regalo queste.- Lo vidi trafficare con
le
sue ombrella per raggiungere le tasche, prima di allungarmi una
piccola bustina di plastica trasparente. Dentro c'erano due piccole
pillole bianche.
-Prendi queste e poi tutto andrà bene...-
Velocemente si alzò, improvvisamente nervoso, mentre mi
faceva
dei gesti confusi con le braccia occupate per dirmi di mettere via le
pasticche in fretta.
-Prima volta è gratis.-
Poi, così come era arrivato, sparì, avvolto dalla
pioggia
e dal buffo rumore tamburellante dell'acqua sulla stoffa tesa
dell'ombrello.
Osservai per qualche istante la sua figura scomparire nella confusione
della folla, poi la mia attenzione si spostò su quello che
mi aveva dato.
Non ero una bambina, sapevo esattamente cosa fossero quelle piccole
pastiglie bianche dall'apparenza innocua.
Risi mestamente di me stessa: sembravo davvero così
disperata da convincere uno spacciatore ad avvicinarsi?
Probabilmente sì.
Non che la mia vita fosse così orribile, ma la sua
normalità e tranquillità era così
opprimente da rendere il respirare ogni giorno sempre più
difficoltoso. Non c'era un motivo preciso, solo un'accozzaglia di
piccole sviste da parte degli altri che mi avevano portata a sentirmi
come un inutile personaggio di sfondo, così invisibile da
non meritare nemmeno un'inqadatura completa: solo gambe e braccia, il
resto non interesava a nessuno; il resto non sarebbe mai stato amato
davvero da qualcuno, quel cuore confuso che mi batteva nel petto non
sarebbe mai stato amato da nessuno e quella mente così
libera da perdersi in contnui viaggi fantastici non sarebbe stata
capita da nessuno...quindi a cosa servivo? Per chi ero importante?
Con la solita lentezza aprii il piccolo sacchetto e lascia scivolare le
pasticche sul palmo della mia mano aperto.
Le studiai ancora per qualche isante, indecisa se fosse il caso di
prenderle lì e subito o di aspettare una volta tornata a
casa. Buffo come il pensiero di buttarle non mi fosse nemmeno balenato
nella mente.
In un gesto veloce le avvicinai alla bocca e inghiottii.
Con mia somma delusione, tuttavia, non successe nulla.
Sbuffai indispettita, convinta di essere stata raggirata da uno
sconosciuto e il mio umore peggiorò ulteriormente, mentre la
pioggia ancora cadeva.
Fu in quel momento che lo vidi.
Poco distante da me c'era un ragazzo. Immobile sotto la pioggia, lo
sconosciuto mi osservava sorridendo, mentre le piccole gocce di pioggia
cadevano dai suoi capelli scuri e andavano a bagnare il suo volto dai
lineamenti armonici.
Ricambiai lo sguardo leggermente intimorita, chiedendomi per quanto
tempo fosse stato lì e se mi avesse vista, se fosse il caso
di andarmene prima che chiamasse la polizia accusandomi di spaccio o
qualsiasi altra cosa...tuttavia non sembrava minimamente intenzionato a
fare nulla di tutto ciò: si limitava a guardarmi sorridendo.
Poi, accompagnato da un soffio di vento, iniziò ad avanzare
verso la piccola e sporca panchina dove ero seduto fino ad accomodarsi
tranquillamente al mio fianco. Quando fu abbastanza vicino mi accorsi
che i suoi occhi, che non avevano abbandonato i miei nemmeno per un
istante, erano neri,
-Lo fai spesso quello?-
Lo chiese come se stesse parlando del tempo, come se ci conoscessimo da
una vita e come se fosse il modo più normale di iniziare una
conversazione.
-No-
Mi sorpresi a rispondere allo stesso modo.
Lui sorrise gentilmente.
-Io sì...-
Ci fu un attimo di silenzio in cui il rumore della pioggia che scemava
fu l'unico rumore che riuscii a distinguere chiaramente.
-Se solo importasse a qualcuno...-
Le parole sfuggirono dalle mie labbra senza che io fossi in grado di
fermarle, senza controllo.
Lo sconoscituo si limitò a sorridere nuovamente e sorridere,
chiudendo gli occhi per volgere il volto verso il cielo romai calmo.
-Già...-
Restammo così, seduti l'uno di fianco all'altro senza dire
nulla perchè non c'era nulla da dire.
-Lawrence.-
All'improvviso la sua voce risuonò nel parco,
calda come il fuoco di un caminetto acceso in pieno inverno. Sicura.
-Il mio nome.-
Disse nuovamente, ridendo appena della mia espressione confusa e io mi
ritrovai contagiata da quell'allegria, iniziando a ridere come una
bambina.
Restammo ancora qualche minuto nel parco, ridendo, mentre i primi raggi
di sole lasciavano insicuri il loro rifugio sicuro dietro le nuvole per
illuminare quel piccolo angolo di mondo appena più sporco di
altri.
Fu il nostro primo incontro.
Fu l'incontro che mi vìcambiò la vita, per sempre.
******
You won't leave me alone!
Chisel my heart out of
stone,
I give in every time.
Da
quel giorno tornai al parco sempre più spesso: era il mio
unico rifugio, il mio piccolo angolo di paradiso lontano dalle brutture
del mondo.
Ogni giorno fuggivo ai miei doveri, abbandonavo le aule scure e
opprimenti dell'università e mi sedevo su quella stessa
panchina, tra le mani le pillole comprate giusto qualche istante prima
con i soldi che avrebbero dovuto pagare i miei studi, e parlavo con
Lawrence.
Mi sentivo come una novella Wendy alla scoperta della sua
personalissima Neverland, mentre lui, Peter Pan troppo cresciuto,
restava al mio fianco ad ascoltare le favole che gli raccontavo, poco
importava se parlavano solo di cose brutte e noiose, di eventi
inutili e compleanni dimenticati.
Era diventata una sorta di routine: io prendevo le mie piccole pillole,
lui arrivava e io iniziavo a parlare.
Talvolta l'effetto delle pasticche era appena più forte e io
mi ritrovavo solo capace di riderementre osservavo il turbinio di
colori magici con cui si riempiva l'aria, ma Lawrence non se ne andava
e rideva assieme a me.
Ci misi poco ad abbandonare definitivamente gli studi e la noiosa vita
che avevo sempre fatto.
Ci misi ancora di meno ad innamorarmi di lui.
Passarono i giorni, le settimane, i mesi addirittura, ma la piega che
stava prendendo la mia vita stava diventando troppo magica per essere
lisciata.
Non mi importava più nulla che non fosse quel parco e quel
ragazzo dal sorriso furbo; non importava se i miei genitori avevano
iniziato ad accorgersi di me chiedendosi falsamente preoccupati cosa mi
stava accadendo; non importava se avevo perso, pian piano, i pochi
amici che mi erano rimasti, spaventati da quel mondo che non riucivano
a vedere.
Mi andava bene così.
-Lawrence....tu non mi lascerai mai, vero?-
Lui aveva sorriso con la solita dolcezza alle mie parole spaventate,
come si fa con i bambini che chiedono al papà di controllare
che il grande lupo cattivo non sia nascosto sotto il loro letto, poi,
lentamente, mi aveva attirato verso il suo petto per potermi stringere
in un caldo abbraccio che mi riportò indietro nel tempo,
quando ancora ero una bambina e quel tipo di abbracci ero solita
riceverli prima di andare a dormire dalla mamma.
Restai così per qualche istante, accovacciata tra le sue
braccia alla ricerca di pretezione, poi lui si allontanò
appena, giusto quel poco che bastava per permettergli di chinarsi a
donarmi un bacio, mentre una nuova pillola passava dalle sue labbra
alle mie.
Sì, andava bene così.
Avevo Lawrence.
Avevo la mia Neverland.
Sarei rimasta bambina per sempre, fino a quando non mi fossi
allontanata da quell'abbraccio.
******
I
bet you laugh, at the thought of me thinking for myself (myself).
I
bet you believe, that I'm better off with you than someone else.
Your
face arrives again, all hope I had becomes surreal.
But
under your covers more torture than pleasure
And
just past your lips there's more anger than laughter
Not
now or forever will I ever change you
I
know that to go on, I'll break you, my habit!
Erano
passati sei mesi dal mio primo incontro con Lawrence nel parco.
Tre da quando mi aveva baciata la prima volta.
Ero felice, ma sembrava che il mondo non capisse questa mia
felicità e volsesse in qualche modo straparmela, curandomi come
diceva mia madre, allontanandomi dall'unica cosa che in tutta la mia
vita avesse avuto davvero un senso.
Loro non capivano e continuavano ad urlare, ma più loro
uravano più io fuggivo lontana.
Credevo di essere furba, di avere una vita migliore di quelle grigie e
spente di tutti gli altri; fino a quando non mi ritrovai distesa sul
pavimento di casa mia, priva di sensi.
Fu la mia coinquilina, l'unica a non essere ancora fuggita, ad
accorgersi del mio malessere e subito mi mise a letto.
Quando ripresi conoscenza sembrava che l'intero mondo si fosse
riversato nella mia stanza.
Eliza se ne stava seduta sul bordo del letto, mentre con una pezza
bagnata mi tamponava la fronte; in un angolo c'era mio padre che
cercava in tutti i modi di calmare mia madre, seduta su una sedia
rubata alla cucina; appoggiato alla parete di fondo, infine, c'era
Lawrence che mi ossevava da lontano sorridendo dolcemente, come la
prima volta che lo avevo visto.
-Ti sei svegliata!-
La voce preoccupata di Eliza calamitò l'attenzione di tutti
i presenti e subito i miei genitori si avvicinarono al letto, ma
l'unico effetto che ebbe su di me fu quello di far aumentare il mio mal
di testa.
-Eravamo così preoccupati...-
-Ci hai fatto prender eun bello spavento!-
-Come ti senti adesso? Stai meglio,tesoro?-
Le loro voci si mischiavano in un turbinio di parole che per me non
avevano alcun senso e a cui non prestavo la minima attenzione.
Il mio sguardo era rivolto solo ed unicamente alla parete di fondo e al
sorriso del ragazzo che se ne stava in disparte per lasciare a me e ai
miei genitori una privacy di cui non sentivo il bisogno.
-Lawrence...-
Lo chiamai con un filo di voce, ma lui parve sentirmi perchè
si avvicinò di qualche passo.
-Lawrence.-
Ripetei più forte e mia madre, attratta da quel nome
sconosciuto smise di blaterare la sua preoccupazione senzza senso.
-Che succede, tesoro?-
La ignorai, ripetendo nuovamente il nome del mio ragazzo.
-Sono qui.-
Mi disse, ma non si avvicinava.
-Andrà tutto bene, piccola. Basta una pillola e tutto si
sistemerà.-
Istintivamente allungai il braccio verso di lui, ma l'unica cosa che
riuscii a raggiungere fu il comodino dal quale, urtato dalla mia poco
aggraziata mano, caddero le piccole pillole bianche che avrebbero fatto
passare tutto il male.
Il silenzio raggelò la stanza, ma io nemmeno sentii il
cambiamaento.
Nella mia mente c'erano solo gli occhi neri di Lawrence e il suo
sorriso ammaliante.
-Basta una sola pillola. Una sola e tutto il male sparirà.
Una sola e io potrò tornare da te.-
Cominciai ad agitarmi, cercando disperataente di raggiungere la busta
trasparente che ora si era teletrasportata come per magia nelle mani di
mio padre.
-Dammele!-
Urlai, ma mio padre non si mosse, guardandomi come mai mi aveva
guardato in tutta la vita: con occhi freddi e severi, delusi forse, ma
che per la prima volta mi vedevano davvero.
-Dammele! Ne ho bisogno!-
Urlai nuovamente, cercando di avventari su di lui per riappropriari del
mio lasciapassare per i sogni, ma le mani di Eliza mi bloccavano in una
stretta che mi sorpresi essere più fore della mia
volontà.
-Dammele! O Lawrene non si avvicinerà! Dammele! Lawrence!
Lawrence!-
-Tesoro....chi è Lawrence?-
Le parole di mia madre mi trafissero come tanti aghi di ghiaccio.
-Che stai dicendo, mamma? Conosci Lawrence, è qui!-
Incurante delle buone maniere indicai il punto in cui sostava il
ragazzo che ancora non si muoveva, che ancora non tornava da me.
-Amore...lì non c'è nessuno...-
Silenzio.
Osservai per qualche istante confusa mia madre, poi portai lo sguardo
sul ragazzo poco distante da noi.
Cosa?
-Cosa? Mamma...che stai dicendo? Lui è lì! Come
fai a non vederlo?-
Non capivo.
Cosa stava succedendo? Perchè nessuno poteva vedere
Lawrence? Eppure lui era lì, in quella stessa stanza, a
pochi passi da noi, con il suo sorriso e i suoi immutabili occhi neri.
-Loro non possono vedermi...-
Le parole di lui irrupperò nella mia mente improvvise.
-Le loro vite sono felici, vero? Loro non possono vedermi
perchè nessuno di loro conosce la sofferenza della
solitudine...Ma tu sì. Tu conosci il mondo per quello che
è, con la sua bruttura e il suo dolore. Eppure tu hai la
chiave per scappare, per un mondo migliore...Loro non possono vedermi
perchè si accontentano di questo insulso mondo fatto di
normalità. Ma bsta una pillola. Basta una pillola e tutto
migliora, no? Basta una pillola per essere felici....basta una pillola
per tornare con me.-
Il ragazzo avanzò di un passo verso di me e io,
istintivamente, mi tirai indietro, sfuggendo per la prima volta quegli
occhi neri che ora mi apparivano pericolosi e devianti.
-Una sola pillola e io avrò vinto sulla monotonia della
vita. Non vuoi farmi vincere? Non vuoi fuggire da tutto?-
-No...basta....basta...-
Gridai per sovrastare la sua voce, mi tappai le orecchie per non
sentire più le sue parole carezzevoli; tuttavia la sua voce
era viva nella mia testa e nulla poteva cacciarla.
-Un ultima pillola, tesoro mio, e poi saremo insieme per sempre.
Bambini per sempre. Non è questo ciò che hai
sempre voluto?-
Urlai nuovamente, scuotendo la testa, mentre vedevo chiaramente dietro
le mie palpebre abbassate il suo sorriso angelico diventare il ghigno
di un diavolo che sa di aver vinto.
Mi agitai come una di quei pazzi di cui si leggono nei racconti,
scalciai e urlai ancora, poi privata delle mie energie, semplicemente
svenni.
******
You won't leave me alone!
Chisel my heart out of stone,
I give in every time.
Da
quel giorno sono passate tre settimane.
Non avevo più toccato nemmeno una pillola: mio padre aveva
fatto un giro di perlustrazione nella stanza, scovando quasi tutte le
mie scorte, mentre io ero rimasta chiusa in ospedale per un breve
periodo di disintossicazione sotto stretta sorveglianza medica e di mia
madre.
Non avevo più visto Lawrence da allora.
I medici avevano detto che non c'era più alcun bisgno di
tenermi in ospedale, che la crisi era passata e potevo finalemente
tornare a casa.
Mia madre insistette tanto per non farmi tornare da sola nel mio
vecchio e squallido monolocale, ma io fui più testarda di
lei.
Quando entrai mi sembrò che non fosse cambiato nulla, che
non fosse successo nulla.
Avevo la sensazione che il tempo fosse tornato a quel giorno di pioggia
in cui tutta quella pazzia aveva avuto inizio, ma i piccoli segni sul
mio braccio lasciati dalgi aghi della flebo mostravano la
realtà.
Abbandonai la borsa con i vestiti puliti che mia madre mi aveva
lasciato e mi avviai in bagno.
Sapevo dell'ispezione di mio padre, ma da quello che mi aveva detto ero
certa che avesse tralasciato un unico posto.
Aprii il piccolo sportello bianco del mobiletto posto sopra il
lavandino e, spostando piccol flaconi di cosmtici, giunsi al mio
abbiettivo.
Per il deodorante roll ormai finito da mesi e, senza molte cerimonie,
staccai il sotto della confezione che venne via con estrema
facilità: nascosto all'interno di quell'improbabile
nascondiglio stava una piccola bustina di plastica con un'unica
solitaria pastiglia suerstite all'interno.
La fissai a lungo.
-Ancora qui, mia diletta?-
Improvvisamente una voce conosciuta si presentò alle mie
orecchie, mentre dietro di me apparve un ragazzo che non avevo bisogno
di girarmi per dire che stava sorridendo.
-Lawrence...-
Bisbigliai il suo nome con timore, mentre lo sentivo avvicinarsi e
avvolgere le mie spalle in un caldo abbraccio.
Ah! Quel calore....
-Sei ancora intrappolata in questo mondo trsite, vero?-
Iniziò a parlari, ma questa volta non sarei caduta nella sua
trappola.
-Lasciami!-
Tentai di divincolarmi, ma avevo la terribile sensazione che
più io mi agitavo, più la sua stretta si
rafforzava.
-Tu non appartieni a questo mondo. Tu meriti qualcosa di meglio. Torna
con me. Un ultima volta. Una sola. Poi ti lascerò libera di
scegliere in quale realtà ti senti più felice,
più viva...-
Il ragazzo soffio dolcemente al mio orecchio, prima di posarvi un
leggero bacio.
-Un ultima volta...un ultimo bacio.-
Incapace di resistergli, lasciai il mio corpo in balia dei suoi
desideri e in un istante mi ritrovai nuovamente stretta in un abbraccio
caldo, assuefacente.
Poi il bacio e l'ultima pillola cadde nella mia bocca, ancora una
volta. Ancora un sogno.
-Adesso sei mia...-
Le ultime parole.
L'ultimo sorriso.
L'ultimo viaggio nel mondo perfetto.
Poi ci fu solo il buio.
°Blabla vari°
Mamma che fatica...
Allora spendiamo un paio di paroline su questa cosa...Il pezzo iniziale
è, in realtà, la conclusione della storia. Ho
voluto metterlo all'inizio perchè mi piaceva di
più e per dare subito il contesto in cui si sarebbe tuffata
la storia.
Ho sempre voluto scrivere qualcosa del genere, mettendo come
personaggio la personificazione stessa di una dipendenza o una
malattia, perchè Lawrence è questo: la dipendenza
che la droga crea...tuttavia non credo di essere riuscita a rendere al
meglio quello che volevo, ma va bene lo stesso....
La canzone che ho usato è My heroine dei Silversetin che
assieme a questa immagine
https://scontent-b-mxp.xx.fbcdn.net/hphotos-frc1/q71/1004983_10202537932119216_528969982_n.jpg
erano il pacchetto datomi per il contest "Look 'n' Listen" indetto da
Laura Tosetti (perdonami, non conosco il tuo nick su EFP!) nel gruppo
"Fanfiction Challengers II" su facebook.
Boh, spero che non sia una schifezza colossale come pare a
me....
Saluti, Seki
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