Sfumature

di Judy Kill Em All
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La mia vita era in bianco e nero.

C’era la tua pelle nivea e c’erano i tuoi capelli di petrolio.

Eri nocivo da guardare (figurati da respirare), perché i tuoi occhi inghiottivano tutto quanto.

Mi avevano informato di pazzia incombente quando avevo smesso di sottomettermi ad ogni battito delle tue ciglia ed avevo iniziato a risucchiare la tua immagine nelle mie iridi per imprimerla a fuoco.

Avevo compreso malesseri psichici quando avevo notato che il tuo viso era stato selezionato, impacchettato e destinato alla memoria a breve termine.

Avevo tutta le ossa rotte, ma mi ergevo come una statua in diamante: mi brillavano gli occhi, dentro splendevo completamente.

Interamente nella mia mancanza di componenti, sia mentali che fisiche, mi ero spinta troppo oltre e la tua perfezione era diventata arte.

Mi ero sviluppata da quel punto di vista tanto da non riuscire più a comunicare con il genere umano; non dire, non fare, non sorridere, non mentire, non piangere, non ridere, apatia allettante.

Le poesie migliori si tramutavano in luoghi comuni, il mio cervello era stereotipo di insanità mentale.

 

Tu ridevi, sogghignavi ed i tuoi denti affilati mi squarciavano: erano bianchissimi, il sangue invece era come le piume di un corvo.

Non ricordavo più il colore dei tuoi occhi.

(Forse non lo avevo nemmeno mai visto)

I polmoni rivendicavano la propria libertà, perché respirare era diventato un lavoro forzato e troppo faticoso.

Avresti dovuto guardarmi per conoscermi (meglio), perché in realtà ero un libro aperto. Avevo eliminato ogni traccia di finzione ed ero rinata per la seconda volta.

Sembra banale dire “di nuovo in vita” per chi lo è sempre stato.

E rimasto.

E rimane.

Un ricordo orribile e frastagliato di com’ero prima.

 

Continuo a pensarci, ma non trovo il nesso logico, come fare per tornare, perché probabilmente ti sarei piaciuta.





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