Avvertimenti:
Siete
avvisati, ci sarà del sesso, ma non sarà descritto (in
accordo alle regole di Fanfiction.net) e credo che dire né
"seno", né tanto meno una brevissima scena di nudo
gli facciano meritare un rating NC17.
Se
qualcuno non è d'accordo, sarò felicissima di
cambiarlo. Poi, imprecherò giusto un paio di volte, ma perché
non posso evitarmelo.
Le
parole in corsivo tra parentesi sono principalmente cose che Sachiko
ha scarabocchiato ai margini del blocco dove ha scritto sta roba. Non
proprio note dell'autore, e nemmeno cose che non pensava fossero
abbastanza importanti da essere incluse nel racconto, ma cose
comunque per lei importanti, lo erano.
Ho
mantenuto i titoli onorifici nella fic perché diventano
importanti verso la fine. Ricordate che il più importante
titolo, in Giapponese, è l'assenza di suffissi - denota
estrema intimità.
Poi,
in giapponese "San" sono due sillabe, non è un
errore mio, davvero.
Un
paio di note finali:
Il
Japan Times è un un editore giapponese reale. Non un giornale,
proprio un editore di libri. Non me lo sono inventato, così,
perché non ho fantasia, ecco.
Poi,
ringrazio la mia editrice Sumiregawa-nene, per aver reso questa fic
leggibile e per la fruizione al pubblico. Non ce l'avrei potuta fare
senza di lei.
Throwing
off the sadness and the pain / in my heart I spread / these wings of
courage you’ve given me
Scrollandomi
di dosso la tristezza e il dolore / nel mio cuore apro / queste ali
di coraggio che mi hai dato
White
reflection
Bianco
riflesso
Qualcuno
una volta mi ha detto che il vero coraggio sta nel fidarsi degli
altri. Nell'abbassare le tue difese e permettere che qualcuno colmi
quel vuoto del cuore che tutti abbiamo, anche se, facendo ciò,
permetti a qualcuno di accedere alla parte più fragile di te.
Mentre è lì, può farti qualsiasi cosa. Può
cullarti teneramente, certo, farti sentire amata e calma e piena per
un po'; ma può anche farti cose veramente orribili.
Penso
che la maggior parte di noi abbia maggiore esperienza con la seconda,
tra le due, e non sia mai stato abbastanza vicino alla prima.
Sono
sicura, anche, che alcune persone vorrebbero usare questa come prova
che la vita, in effetti, è soltanto dolore, ma io non la penso
così.
Ho
passato periodi in cui avevo una paura enorme della vita. Mi isolavo
dal mondo in un cantuccio sicuro chiamato alta società.
Il
mio primo libro è stato pubblicato di recente. Penso che
questo provi che posso scrivere decentemente, ma non voglio scrivere
cose di cui non mi importa niente. La narrativa non è il mio
forte, penso, perché non mi piace l'idea di seppellirmi in una
storia ancora.
Così
scrivo cose che rappresentano realmente la mia vita. Questo sposta le
mie storie lontano dalla narrativa, lo so, o almeno penso che sia
così. Puoi trovare i miei libri nella sezione "narrativa"
di una libreria, sì, ma troverai me in quel libro. Non qualche
personaggio a caso. Me. Scrivo delle storie che ho vissuto, e delle
storie dei miei amici.
Poi
ho il sentore che alla luce del mio recente quasi-successo come
scrittrice, questa storia debba essere raccontata. Ognuno ha la sua
storia della perdita della castità (la maggior parte di voi la
chiamerebbero verginità, perché verginità è
una parola scomoda, che rende la sua perdita qualcosa da festeggiare
- la mia famiglia la chiamava castità, perché era
qualcosa da tenere in gran conto), penso che la maggior parte di
queste storie siano interessanti. Spero di collezionarne altre. Mi
piacerebbe scrivere di quella di Sei, ma penso che nemmeno il Japan
Times pubblichi cose così "esplicite".
Yumi
mi ha detto che era una presa in giro quando l'ha letta. Ci ha riso
sopra, anche, quindi penso che lo fosse.
Comunque
non lo è.
E'
una storia che merita di essere raccontata. O al limite, scritta.
Quindi
è quello che farò.
Vi
racconterò della neve.
Eravamo
nel mezzo della nostra passeggiata quando per la prima volta ci
accorgemmo della neve.
Prima
esitante, fluttuava cadendo sul terreno dilatato aperto, venendo a
posarsi dove l'avremmo notata: l'erba di fianco a noi, i tronchi
marroni scuri degli alberi di fronte e, in particolare (per me,
almeno) la punta del naso di Yumi.
All'inizio
lei non se n'è accorta, e io ho cercato di non evidenziarlo.
C'era qualcosa di...attraente in quel fiocco di neve. Non intendo
attraente in allusione a qualcosa di erotico, ma più in un
modo che era quasi affettuoso, tenero, allo stesso modo in cui
potreste pensare ad un'amica come tenera quando vi fa ridere.
Questo
non mi ha fatto ridere, precisamente. Non penso di sapere come si
ride, precisamente. Mi è sempre sembrato... una mancanza di
classe. No, non è la parola giusta. Di cattivo gusto. Non ho
più davvero classe, ora, non da quando ho cominciato a vivere
in quella che, rispetto alla mia vecchia dimora,
ammonta più o meno a una baracca con il caminetto. Scrivere
non permette molto più di questo.
Quello che mi ha fatto
è stato farmi sorridere. Yumi dice che quanto a me è
una cosa piacevolmente rara, motivo per cui l'ha notato.
“Che
c'è, Onee-sama?”
(E' passato più o meno un anno, ormai, e sono appena
riuscita a cancellare questa sua abitudine. Considerando quanto
duramente ho lavorato per forzarla a chiamarmi così, penso che
sia una buona cosa, ma non penso che sia corretto ora, non più.
Suppongo che lo fosse, prima.)
mi ha chiesto Yumi, sbirciando l'espressione del mio viso con una di
quelle sue facce abitudinarie.
Ho cercato di guardare
altrove e far finta di niente, ma l'immagine del fiocco di neve che
si posava sul naso di Yumi, l'unica cosa che penso potesse essere più
pallida della sua pelle delicata, era troppo perché riuscissi
a farlo subito.
Si
accorse che le stavo guardando il naso, e ha pensato che avesse
qualcosa – credeva, sono sicura, che fosse qualcosa come un
pezzetto di fondotinta, così ha cercato di darci un'occhiata,
incrociando a fatica gli occhi, determinata a capire cosa fosse,
prima di toglierselo. Era una cosa molto femminile, per principio –
di guardare prima di lanciarsi, o pensare prima di parlare, insomma –
ma fatto da Yumi, aumentava soltanto il suo essere così dolce
(oserei dire addirittura carina, ma non penso che potrei
scriverlo in una storia senza il bisogno fisico di cancellarlo un
secondo dopo) nelle espressioni
del viso.
Mentre si concentrava
sempre di più, le sue labbra si stringevano in una linea
sottile, nello sforzo, e la punta della lingua spuntava leggermente
dai lembi del sorriso.
Tutto
questo era troppo per me. Mi misi a ridere, sollevando una mano a
coprire la bocca più in fretta che mi riusciva, per coprire i
denti. Quando faceva cose del genere diventava dolce come una bimba,
ma non mi dava affatto fastidio – la cosa di lei che amavo di
più era proprio il suo viso. Era l'esatto opposto del mio in
molti modi – beh, di me in effetti, non soltanto del mio viso –
sempre aperta ed espressiva (e bella, sì. così
incredibilmente bella)
sembrava impossibile per lei
nascondere qualunque espressione dal volto. (Immagino che
sia stata questa l'abitudine dalla quale lei
ha cercato di allontanarmi)
“Onee-sama!”
protestò Yumi, strofinò due dita sulla punta del naso e
tentò di asciugarle dal fiocco ormai sciolto. Cercai di
contenere il mio divertimento, quanto possibile, per paura della sua
ira onnipotente, e misi una mano sulla sua spalla.
“Mi
dispiace, Yumi-san,” dissi meglio che potei, forzando gli
angoli della mia bocca a rimanere dritti in linea, senza sorridere.
Mi era piuttosto difficile “Era solo...,” l'immagine di
lei quasi strabica nel guardarsi il naso, persa nella concentrazione,
e la sua lingua poi che spuntava da un angolo della bocca, mi tornò
alla mente, chiara come il sole, e cominciai a ridere ancora. Non era
una risata forte, o esuberante in qualche modo, ma era comunque una
risata, e sembrava quasi che negli gli anni passati dall'estate del
mio diploma, (e non ultimo superare una brutta ulcera – dato
che mi ci volle molto di più di quanto i dottori si
aspettavano) fossero state così rare che mi sembrava una cosa
inaspettata e fantastica. Anche ora, ora che ci siamo laureate tutte
e due e viviamo le nostre vite, più lontano di quanto avremmo
voluto.
O
magari è proprio il fatto che le nostre due vite siano
separate, a rendere le mie risate così rare.
“O-nee-sa-ma!”
Ancora, il suo tentativo di riprendermi, sottolineando ogni sillaba.
Accoppiato con quell'immagine, che ancora non se ne andava dalla mia
mente, ora immobile di fronte a me, non mi fece desistere.
“Smettila,
non ridere di me!” Ma Yumi stava cominciando a sentire la mia
buon senso dell'umorismo, e così quello che avrebbe potuto
obbiettivamente essere un severo rimprovero, non diventò molto
più di un'espressione di finto sdegno, dal suo bellissimo,
stupendo viso.
Un
momento dopo, qualcosa di freddo e bagnato toccò il mio naso.
Senza nemmeno pensarci aprii gli occhi e cercai di osservare meglio –
sentii qualcosa come la punta della lingua di un minuscolo gattino
(questa è più o meno la miglior difesa che
riesco a sollevare.) Prima che
riuscissi a capire cosa stava succedendo mi trovai ad incrociare gli
occhi per guardare, e Yumi si mise a ridere. Non appena lo fece, mi
ricomposi in fretta, con grande successo, stavolta, ma il danno era
fatto, temo, e anche se ricominciammo a camminare, in un paio di
secondi Yumi stava già ridendo a crepapelle.
Penso che non sia una
cosa difficile per lei. Ha sempre avuto un ottimo senso
dell'umorismo. Anche se insegna alle superiori, e non posso
immaginarla in nessun altro lavoro, sarebbe una perfetta
cabarettista. O perlomeno è quello che penso. Lei dice che non
ho visto abbastanza cabaret per poterlo dire, che non reggerebbe il
confronto. Probabilmente ha ragione, ma rimango della mia opinione.
Camminammo
in silenzio per qualche minuto, senza sentire il bruciante bisogno di
dire qualcosa, per un po', questo finché il silenzio non
cominciò a darmi fastidio. (Sempre me. mai che
succeda a lei, strano, no?)
“Yumi-san”, dissi, ancora correttamente, a quel punto,
ancora camminando con la schiena dritta e parlando in un Giapponese
corretto. (Scrivere un romanzo finì per risolvere
questo mio problema abbastanza rapidamente – vedete? Qui si
nota particolarmente.)
“Raccontami come è andato il tuo primo semestre da
insegnante”.
“Oh,
è stato meraviglioso!” disse raggiante – amava il
suo lavoro, e questo dal primo momento in cui aveva messo piede nella
scuola in cui ora insegnava. “E' una sensazione che non
immagineresti mai, Onee-sama,
Davvero – Non credo di aver mai provato qualcosa di simile in
vita mia”
“Cosa
–“ Mi fermai nel sentire qualcosa di umido e freddo sui
capelli. Mi ero preparata a chiederle cosa le piacesse di più
del suo lavoro. Chiacchiere. A volte mi sembrava che fosse l'unica
cosa che le persone potessero – che gli estranei potessero
fare. Dal momento stesso che ci eravamo trovate più o meno un
chilometro indietro, nel parco, tutto quello che eravamo state capaci
di fare era stato chiacchierare inutilmente.
Era passato troppo
tempo.
Mi sentivo come se non
avessi mai niente da dire, a volte, ma a parte questo, era passato
troppo tempo.
Non era forse proprio
il motivo per cui allora stavo scrivendo? Così che avrei
potuto avere qualcosa di interessante da dire? Una delle cose
peggiori di essere ricchi era che mi sembrava sempre di non avere
nulla di interessante di cui parlare. Cosa avrei potuto dire? Non
sapevo nulla del lavoro di mio padre. Nulla della vita di mia madre.
Non sapevo niente del mondo, in senso lato; e questo cosa mi
lasciava? Il tempo.
Una delle cose che mi
avevano insegnato all'Università, poi, era che: l'Ironia è
un piatto che va servito all'improvviso. Un ottimo aperitivo ad un
party che nessuno sapeva ci sarebbe stato finché qualcuno non
avesse tirato fuori quell'ironia.
Ironia,
certo “E la neve sul tuo naso? Quella sensazione si avvicina,
magari, a quella di insegnare ai ragazzi?”
Yumi
arrossì un poco, e si fermò dov'era, e lentamente le
sue labbra si incurvarono ancora. Quel sorriso spettacolare, ma
questa volta non c'era traccia di divertimento.
“Sei
diventata un po' più coraggiosa dall'ultima volta che ci siamo
viste” disse lei con una grande tranquillità nella voce,
fissandomi negli occhi. Mi fermai anch'io e mi girai per guardarla
“penso che sia fantastico”. Qualcosa nel suo tono mi
diceva che, comunque, stava un po' mentendo. (Si può
davvero mentire un poco? Penso di sì. Penso di aver imparato
come mentire in ogni modo il tuo cuore voglia).
La neve stava
cominciando ad accerchiarci pesantemente, ora, cominciava a
nascondere alla vista sempre più il resto del mondo, via via a
bagnarci entrambe, ma non volevo andarmene, ancora. Mi avvicinai e
presi la sua mano, ora sorridendo.
“Non
è vero” dissi prendendo la sua mano tra le mie,
strofinandola per scaldarla – lei aveva dimenticato i guanti,
ma per la verità li avevo dimenticati anch'io “penso
semplicemente di essere diventata più sciocca con il freddo.”
“Non
penso affatto che sia stupido, Onee-Sama,”
disse lei, prendendo la mia mano sinistra nella sua, così che
ci scaldassimo a vicenda “Penso solo che tu....”
Lo so cosa voleva dire.
Voleva dire che io non avevo bisogno di lei come un tempo. Avevo
intenzione di negare. Nessuna di noi lo fece, comunque.
Invece,
con la mano che lei non stava tenendo (magari potresti dire
la tua mano destra invece di essere così ambigua)
sollevai il suo mento verso di me. Mentre lo facevo, un fiocco di
neve venne a posarsi sul suo naso, non piccolo, questa volta, ma
grosso e soffice. Lo pulii con un dito. “Penso che dovremmo
andare a casa” dissi. “Possiamo parlare qui, se vuoi, ma
rischiamo di prenderci un gran raffreddore se lo facciamo”.
Lei si limitò ad
annuire. Sembrava triste, e credo di sapere perchè –
sembrava che la sua vecchia amica, la sua sorella grande, stesse
scivolando via da lei, ed eppure, per qualche strana ragione, io non
mi sentivo affatto triste, cosa che penso fosse una prova sufficiente
che era vero l'opposto. Ci sarebbe stato un tempo in cui il solo suo
pensare una cosa del genere mi avrebbe fatta stare male, mi avrebbe
costretta, ma era molto tempo fa, e probabilmente questo è il
motivo per cui ciò che accadde quel giorno non capitò
prima.
E così
cominciammo a camminare per il vialetto che avevamo percorso, le mani
strette l'una nell'altra. Sorrisi per tutto il tragitto.
(Suppongo
che il motivo per cui non sto cercando di tagliare corto con questa
storia sia perchè nessuno se la berrebbe. Le persone vogliono
che le storie del tipo
crescita-e-perdita-della-verginità abbiano uno
sviluppo interessante, un'accurata preparazione ed un apice fin
migliore, idiozie come queste. Se io avessi voluto venderla in quel
modo, avrei dovuto cambiarla, per avere grandi scene in cui io o
entrambe saremmo scoppiate in lacrime per il suo sentirsi abbandonata
da me, e io che avrei istantaneamente realizzato che ero lesbica e
che l'unica via che avevo per confortarla era era di avere
una folle, appassionata, notte di sesso con lei. Sesso
curativo, lo potrebbero chiamare, medica le ferite della distanza, ed
è una puttanata
ecco cos'è. Non è sesso, non è un qualche tipo
di cerotto, e non succede mai perchè semplicemente non
funziona.
Mhm.
Non ho mai preso l'abitudine di bestemmiare. La mia parlata, certo, è
diventata via via più comune, grezza, negli anni. Yumi ancora
mi dice che parlo come una signora, ma non penso che una signora
l'avrebbe chiamato “folle, appassionato amore” forse
nemmeno “sesso”, e nemmeno avrebbe creduto il “sesso
curativo” essere una “puttanata”.
Sarebbero
stati, al meglio, divenire
intimi e un errore.
In genere parlo ancora così, ma mi piace pensare di sapermi
lasciare andare, una volta ogni tanto. Inoltre, non penso che
pubblicherò mai tutto questo, quindi, chi mai lo verrà
a sapere?)
Gli ultimi duecento metri li
passammo correndo, perchè nel frattempo, la neve aveva
cominciato a cadere così spessa che cominciavamo a bagnarci
attraverso i cappotti. L'aria sembrava luccicare debolmente, la luce
che ancora filtrava attraverso le nuvole sembrava danzare e spingersi
contro ogni fiocco, singolarmente. Quando raggiungemmo la porta di
casa, pescai le chiavi velocemente dalla tasca – qualcosa che
mi ci era voluto un certo tempo per abituarmi a fare, quando mi
trasferii dall'enorme villa in cui vivevo prima – e spinsi con
forza la porta perchè si aprisse più in fretta
possibile. Entrammo entrambe velocemente e ci togliemmo le scarpe
ancora in enorme fretta. Tenendoci ancora per mano, la portai in
cucina, dove avrei lasciato la stufa accesa, e fu soltanto lì
che ci fermammo e il mio cervello tornò al suo posto per la
prima volta da quando avevamo cominciato a correre. Ci accovacciamo
all'istante vicino alla piccola stufetta elettrica, stringendoci
tremando nei cappotti.
“Wow”
sussurrò Yumi, qualsiasi cosa avesse sentito un momento prima
sembrava aver ceduto, per il momento. “Non mi sarei mai
aspettata che cominciasse a venir giù così forte. E'
addirittura possibile che nevichi in quel modo?”
Scossi la testa – in realtà,
tremavo semplicemente – e la guardai “Penso che se
fossimo state anche solo un paio di minuti in ritardo, ci saremmo
trovate fuori bloccate dalla neve”.
“Capisco”
disse lei, sorridendomi. E piombammo nel silenzio.
Il mio soggiorno ha una sola
finestra, ma la vista è spettacolare, così non mi ha
mai dato fastidio, questa cosa. La mia casa è sulla cima di
una collina sulla quale non devo nemmeno fare fatica ad arrivare –
è messa vicino ad un fiume – e questa finestra gli è
proprio davanti, e potremmo vederlo mentre ancora ci scaldiamo vicino
alla stufa.
“Guarda
dalla finestra” sussurrai a Yumi, già sapendo che era
lì, e non ancora scongelata, in ogni caso.
Yumi dette uno sguardo di prova,
all'inizio, non ancora pronta a sentire freddo ancora. Da dove noi
eravamo rannicchiate, potevamo soltanto vedere il cielo, un vasto
panorama di grigio, sbriciolato nella lanugine bianca. Ma poi Yumi si
mise in piedi, e il suo viso si tese in avanti, mentre si avvicinava
alla finestra. Stetti ferma per un momento, e poi la seguii. Lei si
scostò un poco per farmi spazio, ma lo rifiutai, piuttosto mi
sistemai accanto a lei, mettendole un braccio attorno al collo per
proteggerla, almeno un po', dal freddo.
Se il cielo fosse stato un
panorama, la collina e il fiume lì sopra sarebbero stati il
capolavoro dell'artista. L'intera zona, per la maggior parte foresta,
era completamente coperta di bianco, e il sole che aveva danzato coi
suoi raggi tra i fiocchi di neve, ora illuminava i cumuli di neve che
crescevano a vista d'occhio, il lago ghiacciato, un grande muro di
ghiaccio.
“E'
così bello, Onee-sama,”
sospirò rapita dalla visione “Incredibilmente bello.”
Il nome mi fece storcere il naso. Perchè mi chiamava ancora
Onee-sama? Non era
ovvio per lei? Non era ovvio che non ero più la sua amata
sorella maggiore? Che lei era cresciuta e non aveva bisogno di tutto
questo, non più?
Perchè
la chiamavo ancora Yumi-san?
“Yumi-san...”
mi fermai, bloccata nei miei pensieri.
Non era ovvio per me che non
l'avrei mai voluta così lontana da me? Quelle due sillabe
significavano per me un'incolmabile distanza.
E
ancora non potevo fare a meno di usarle. Non ero abbastanza
coraggiosa. Quella flebile voce dentro la mia testa mi diceva ancora,
non lasciare che si avvicini troppo. E' ancora pericolosa
per te. Tutti sono pericolosi.
“Ti
prego” mormorai piano. “Non chiamarmi più in quel
modo, Yumi-san.”
Lei
prese fiato – un piccolo, suono spaventato – e mi guardò
dritta negli occhi, il suo viso dipinto all'improvviso di enorme
orrore. Per un momento se ne stette in silenzio, poi, nervosa, “Cosa
vorresti dire, Onee-sama?”
Che questo fosse un atto voluto di disobbedienza –
probabilmente uno dei suoi primi – o semplicemente una svista,
non credo che lo saprò mai. Non penso che importi, più
che altro. La sua voce era più bassa, più seria.
Cosa
davvero intendevo
dire?
Volevo dire che lei era cresciuta.
Che era mia amica. Che non volevo una sorellina. Volevo Yumi.
No,
questo non era giusto. Non volevo che lei continuasse a chiamarmi
così perchè mi sentivo insufficiente per lei. Io
ero quella che ero andata in un college che la sua famiglia non
poteva permettersi. Io
ero quella che si era trasferita lontano, nelle profondità di
Kyoto, per rinchiudermi lontano dalla vita.
Io
ero quella che aveva imparato dalle sue lezioni, le sue preziosissime
lezioni su come essere... semplicemente una persona,
e non una Signora, e correre. Meritavo di essere la sua sorella
maggiore? la sua Onee-sama? Assolutamente no.
Potevo dirglielo, questo?
Assolutamente no.
Così lo lasciai che la cosa
scivolasse nel silenzio.
Yumi
non lo fece. Yumi disse “No, no. Non puoi metterti a fare così,
Onee-sama,” con
ancora più tensione di prima, sepossibile. “Non puoi
metterti a dire queste cose e poi semplicemente cambiare discorso.
Siamo entrambe adulte adesso, Onee-sama,
e voglio sapere cosa intendevi dire quando hai detto quelle cose.
Yumi era cresciuta. Io pure, ma lei
era cresciuta di più. Era più di una spanna davanti a
me in moltissime occasioni.
Cosa
intendevo dire?
La guardai negli occhi. I suoi
occhi grandi, spalancati, le sue sopracciglia, ora piegate in una
smorfia di ansia e frustrazione. I suoi occhi erano grandi e fondi
come la neve.
Come la neve.
Guardai ancora fuori dalla
finestra. La neve stava cominciando ad attaccare. Se fossi uscita,
con tutta la neve che stava cadendo, probabilmente mi sarei bagnata
le caviglie. C'era ancora sole, e nonostante questo la neve non
accennava a sciogliersi. Nonostante fosse faccia a faccia con il suo
peggior avversario, l'unica cosa che poteva distruggerla facilmente,
resisteva a fondo. Era forse una metafora di qualcosa nella mia vita?
Forse, con qualche fantasiosa interpretazione, sì. Ma non
avevo certo intenzione di pensarci.
Nei suoi occhi non vidi altro che
totale preoccupazione .
Dall'altro lato, non ho idea di
cosa vedesse lei. Guardando il mio riflesso nei suoi occhi, vedevo
soltanto la mia faccia, impassibile come sempre.
Lei, apparentemente, vedeva
qualcos'altro. La sua espressione si intenerì un po' e mi
sorrise, e c'era qualcosa in quel sorriso che non c'era mai stato,
prima, qualcosa molto più adulto e molto meno
spensierato.
Qualcosa che mi fece sentire il mio stomaco rivoltato
come un guanto, tutto il suo contenuto sparpagliato sul pavimento.
Si alzò in punta di piedi e
con una mano sottile con grazia lo prese da una ciocca dei miei
capelli. Se lo passò sulle dita e vidi le sue mani inumidirsi
un poco.
“Era
solo un fiocco di neve troppo ostinato per sciogliersi,”
sorride “un po' come te, no?”
Con questo cosa intendeva dire?
Penso di sapere cosa intendesse.
Sapevo cosa voleva dire.
Non
volevo che mi chiamasse Onee-sama.
Non volevo nemmeno che mi chiamasse Sachiko-san.
Solo Sachiko.
Solo...
Quando l'avevo vista per la prima
volta, quel giorno, mi ero sentita esattamente così. Mi ero
sentita più completa di quanto non fossi stata anche solo un
ora prima. Avevo corso sotto la neve, stretto la sua mano, camminato,
parlato di cose che non erano il tempo atmosferico senza nemmeno
sforzarmi un poco.
Avevo sempre pensato che Yumi
probabilmente era la mia antitesi. Una persona che mi faceva sentire
intera perchè era il mio opposto complementare. Questo non era
più vero - noi due eravamo maturate parecchio, certamente in
direzioni inverse. Io ero diventata più passionale, meno
riservata.
Lei era diventata più controllata, più
calma senza dover fare ricorso all'educazione che quella scuola le
aveva dato.
E nonostante questo, mi trovai più
persa nei suoi occhi, tanto più a lungo guardavo.
Era semplice amicizia? La semplice
amicizia arrivava davvero a questi livelli?
L'essere sorelle no, questo era
ovvio.
Sorridendomi ancora, abbasso la
mano che prima mi aveva accarezzato i capelli, e me la mise attorno
al collo, tirandomi vicina a lei. Quindi distolse lo sguardo, riprese
a fissare il paesaggio fuori dalla finestra, plastico e raggiante.
“E'
così bello” sussurrò “Assolutamente
fantastico.”
E sapevo che non stava soltanto
parlando della vista.
Stava parlando di tutto. Tutto
questo. Tutto questo era fantastico.
Rimanemmo
così per lungo tempo, davanti alla finestra, a guardare quello
che io con affetto chiamavo “il mio giardino sul retro”
diventare sempre più bianco e sprofondato nella luce.
Avrei
desiderato stare lì più a lungo (immagino che
dire “per sempre” in un'occasione come questa suoni
eccessivamente lezioso, dunque non lo dirò)
ma, mentre la stufa era calda, noi avevamo molto, molto freddo, ed
eravamo fradice, soprattutto.
Yumi starnutì, e questo
diede il colpo decisivo, quel che si dice “la goccia che ha
fatto traboccare il vaso”.
“Tu
ti fai una doccia,” dissi “Adesso.”
Lei
mi guardò con quello sguardo divertito, adulto, che tuttora
non riesco acapire (non ancora, intendo dire. Avevo ancora,
dopotutto, la mia casta
verginità) e disse,
“Perfavore, falla prima tu”.
Sbattei le palpebre “No, no,
sei un ospite in casa mia. Sentiti libera di farti la doccia per
prima. Comincerò ad asciugare i tuoi vestiti.”
Fece
una smorfia, come spesso capitava quando la trovavo a pensare, e dopo
qualche secondo acconsentì. “Lascerò i miei
vestiti fuori dal bagno, O...Sachico-san”.
Nemmeno
questo mi andava bene,
ma pazienza. Passi avanti.
piccoli passi, di certo.
Feci
tutto pigramente, le mie mani facevano quello che la mia mente
avrebbe dovuto fare. Avrei dovuto pensare a come mi guardava. Avrei
dovuto pensare a un sacco di cose. Beh, non lo stavo facendo. Ero in
uno stato che una volta un mio amico maschio ha definito come lo
stato dell'azione, lo
stato in cui sei appena prima che quel qualcosa che sai,
veramente accada, quando questo qualcosa è estremamente
importante. Lo citava di solito come ciò che succede appena
prima di fare sesso - “Quando la mia ragazza è nella
stanza accanto, cambiandosi i vestiti dopo la scuola, e so che si sta
mettendo qualcosa di sexy per il modo in cui mi ha guardato tutto il
giorno, ecco quando succede. Se puoi tenerti le mani occupate, tutti
i tuoi pensieri svaniscono dalla testa. Magari è un pregustare
l'attesa, magari è qualche residuo di istinto animale –
preparati, sto arrivando, cose
del genere. Qualunque cosa sia è un bel sentimento. Quasi
quanto l'atto in sé, per quei pochi minuti di silenzio in una
testa altrimenti affollata di pensieri.”
Era un bel sentimento.
Più
o meno dieci minuti dopo che era entrata, sentii l'acqua spegnersi.
Urlai a Yumi che c'era un asciugamano appeso all'attaccapanni, e che
avevo buttato sul letto un paio di pigiami a caso per lei, se li
voleva. Non ci fu risposta, ma penso che mi avesse sentita. Avresti
potuto sentire il respiro di un topo da qualunque punto della casa,
tanto era piccola. (E stranamente acustica. Yumi mi disse
“avresti potuto sentire un
topo scoreggiare”, ma non penso di essermi ancora
abbassata a tanto. Magari presto, ma non ancora, perlomeno”.
La porta del bagno si aprì.
Mi impegnai a non guardare in corridoio finchè non avessi
sentito la porta della camera da letto chiudersi, semplicemente
scaldandomi le mani alla stufa, e permettendo alla mia mente di
riprendere a funzionare.
Non si mosse in fretta, tuttavia,
finchè non mi resi conto che avevo aspettato lì per
circa un minuto. Sentii Yumi fare un respiro profondo, in corridoio.
Guardai da quella parte proprio nel
momento in cui lei entrò in salotto.
Era completamente nuda. La sua
pelle bianca brillava un po' come la neve, e per un momento mi
dimenticai di respirare, tanto mi toglieva il fiato, il suo essere
liscia e perfetta. Prese a camminare verso di me, e che aveva la
pelle d'oca, e guardai un po' più in basso e colsi un altro
segno del fatto che aveva freddo. Erano piccole ma sode e..
Sì, sì c'era freddo.
Mi tirai in piedi e quasi senza
fiato dissi “Yumi, cosa stai...”
Si fermò a meno di un metro
da me. Potevo sentire il leggero profumo dello shampoo che aveva
usato – il mio – e del sapone. Le sue guance erano rosse,
e sicuramente quello non era colpa del freddo.
“Hai
detto” disse lei, la sua voce ancora più profonda, ora
più roca, i suoi occhi mi fissavano nello stesso modo in cui
avevano fatto prima “che non volevi che ti chiamassi Onee-sama,
mai più. Questo... è questo il motivo?”
Mi sembrò quasi arrendevole,
per un momento, ma poi guardai la sua faccia e lessi quello che c'era
scritto come in un libro aperto.
C'era speranza, c'era paura. Le due
strette e unite mano nella mano.
Stava facendo quello che io non
avrei mai potuto fare. Si stava aprendo a me e stava correndo un
rischio su qualcosa di incredibilmente fragile.
Sapevo esattamente il motivo per
cui non volevo che mi chiamasse più così. Sapevo quello
che avevo voluto dire.
Era precisamente questo.
(un
altra ragione per cui non potrei mai vendere questa storia – è
che non c'è nessun “pathos del coming out”. Non ce
n'è stato per me. Non sono mai stata con un uomo o una donna
prima; Ci ero andata vicina con quegli uomini deplorevoli ai party, e
con Suguru, certo, ma mi ero scansata (o loro l'avevano fatto) vicino
al momento clou, alla parte importante. Penso che il fatto che sono
stata innamorata di Suguru, un tempo, renda chiaro che sono
bisessuale, ma un'altra volta, non penso che importi, così non
ho sentito il bisogno di parlarne qui, anche se l'idea ammetto che mi
è venuta)
“Come..
come facciamo?” Chiesi, anche la mia voce era diventata roca.
Yumi mi sorrise – mi disse poi, che era stata con una ragazza
una volta, al college, nel periodo in cui era stata malissimo –
e si avvicinò per colmare il poco spazio tra di noi, prese il
mio viso tra le mani, e – alzandosi sulle punte dei piedi –
mi spinse verso di se, e mi baciò. Le sue labbra erano
morbide, calde, proprio come le ricordavo; meravigliose. La sua
lingua giocava nella mia bocca, e lei cominciò a togliermi i
vestiti bagnati. Tremavo mentre lo faceva.
Dopo di questo...
Dopo di questo, fummo solo un
riflesso bianco come la neve. per un po'.
Una
volta finito, chiesi a Yumi se le andava di chiamarmi solo Sachiko.
Lei ride e disse che l'avrebbe fatto soltanto se io l'avessi chiamata
Yumi. E se, ovviamente, mi
andava. Se ero a posto con queste cose, in questo piccolo angolo di
pace con lei. Mentre diceva questo io me ne stavo tra le sue braccia,
con la testa poggiata sul suo petto.
Questo mi fece ridere, e
anche lei rise, come qualcuno che racconta una barzelletta e gli
altri ridono, ride anche lui.
Dopotutto, questa casa era così
bella in inverno.