louis 5
Capitolo
4
Alice
Piove.
Prendi
l'ombrello, Alice.
Non
mi va.
Prendilo.
No.
Pioveva.
La
pioggia batteva insistente sul marciapiede e quel giorno Alice non ne
aveva mezza di andare a scuola.
Iniziò
a camminare a testa bassa, cercando di aprire l'ombrello e di
sistemarsi gli auricolari nello stesso momento.
Oh,
if you could see me now,
Oh, if you could see me now.
Alice
strinse forte il manico dell'ombrello e si impose di continuare a
camminare sul marciapiede, come se nulla fosse.
Le
lacrime tentavano disperatamente di uscire, incoraggiate ancor di
più dal grigiore di quella giornata e dalla pioggia
insistente.
Oh,
se tu mi potessi vedere adesso.
Mi
defineresti un santo o un peccatore?
Un perdente o un vincitore?
Alice
serrò gli occhi e strinse i denti, lasciandosi cadere sulla
prima panchina libera che trovò durante la strada.
Il legno era di colore più scuro per via della pioggia e i
jeans della ragazza si inumidirono non appena ci si appoggiò.
Guardò dritto davanti a sè per un momento, le
macchine, gli autobus e le moto che sfrecciavano veloci come il battito
del suo cuore.
Oh, se tu mi potessi vedere adesso.
Aspettò le lacrime, lacrime che non arrivarono.
Aspettò ancora, e ancora, e ancora, ma la sua anima sembrava
essersi seccata, prosciugata da qualsiasi liquido, da qualsiasi
emozione.
Oh, wow.
Aveva trattenuto così a lungo le lacrime che
ormai non era più abituata a piangere.
Forse era una questione di resistenza morale, o forse quel fatto era
dovuto soltanto alla pratica estenuante svolta nei precedenti anni.
La pioggia bagnava l'ambiente circostante, quasi fosse la sostituta
delle sue lacrime, l'eco lontano di numerosi tichettii irregolari e
storti, in gruppo ma con una sola, unica direzione.
I capelli neri di Alice si inumidivano sempre di più,
l'ichiostro sulle sue mani nude sbiadiva gradualmente, e la sua ultima
bolla di felcità l'abbandonava cercando di passare
inosservata, eppure lei rimaneva lì, lo sguardo fisso
sull'asfalto e la mente altrove.
Come ali invisibili, i pensieri la portavano via da un mondo
così freddo e apatico, troppo rigido e contenuto per una
personalità come la sua.
Come fili di una marionetta, le sue idee la tiravano su e la
innalzavano a universi paralleli che non esistevano realmente, frutto
di una fantasia troppo sviluppata e articolata, così tanto
articolarata da risultare sbagliata.
Un errore, una cosa di troppo che tuttavia non era abbastanza.
Era così Alice, come la sua fantasia.
Volteggiava sulla panchina come su un materasso ad acqua, le braccia
come ali e la testa come centro del suo corpo.
Accenditi, Alice.
Stai andando a fuoco,
adesso.
La pioggia non appena ti
sfiora brucia, scotta e infine evapora.
Accenditi.
E invece che accendersi Alice si spegneva, lentamente, le
braccia cadevano lungo i fianchi, le palpebre si abbassavano e il peso
crollava - all'indietro - fino a cadere per terra, con un impatto secco
e improvviso e un dolore lanciante alla schiena.
Alice teneva gli occhi ben chiusi, le goccioline di pioggia che le
bagnavano il viso con delicatezza, e ascoltava in silenzio.
Se ne stava lì, in quel limbo tra l'acceso e lo spento, tra
il vivere e il morire.
Vedeva il cielo grigio e sentiva il rumore assordante dei motori delle
macchine, la terra umida e fredda sotto le dita delle proprie mani.
Rumori insensati e silenzi profanati per così poco.
La testa le scoppiava dal dolore, causa di una tristezza talmente
enorme da non poter essere nemmeno paragonata a qualcosa.
Era solo estrema tristezza.
Accenditi, Alice.
Louis
C'erano giorni in cui Louis si svegliava e si chiedeva chi glielo
faceva fare di vivere la sua schifosissima vita.
Un continuo circolo, regolare e prevedibile, ecco che cos'era la sua
vita.
Si alzava, faceva colazione, andava all'università,
studiava, andava a fare sport e tornava a casa.
Si perdeva nelle superficialità, nelle cose insignificanti e
inutili, per poi ritrovarsi a parlare con Zayn del senso di tutto
quello che facevano.
Erano poche le cose in cui si ritrovava davvero, poche le cose che non
lo deludevano, e tra queste cose c'erano Zayn, la birra e le sigarette.
La sua vita era concentrata in quelle tre cose, tanto carnali quanto
reali.
Concrete e incredibilmente a portata di mano, quando voleva,
quando più gli faceva comodo.
Louis camminava lentamente, il berretto grigio calato sulla testa e le
mani infilate in tasca.
Quel giorno il cielo era grigio e pioveva a dirotto, e a Louis la
pioggia piaceva, gli paiceva da morire.
Alzò il viso verso il cielo e spalancò la bocca,
aspettando che l'acqua piovana vi entrasse indisturbata e ottenendo
varie occhiate perplesse da parte dei passanti.
Era felice, così: il viso rivolto al cielo e l'acqua sul
viso e tra le labbra, il freddo che si insinuava sotto il cappotto e i
muscoli che si contraevano.
Gli bastava poco per essere felice, e lo stesso valeva per illudersi.
Una parola, un gesto, un'occhiata, e Louis era capace di evolvere il
tutto in qualcosa che non sarebbe mai successo.
Troppe le volte in cui aveva sperato senza ottenere, desiderato senza
avere e amato senza essere amato.
Era così che aveva imparato ad accontentarsi di
ciò che aveva e a non deisderare troppo; e in quel
momento non desiderava altro, solo la pioggia e il freddo, per essere
spento e per morire dentro ancora una volta.
Procedeva a passo lento nella pioggia, guardandosi attorno di tanto in
tanto, senza tuttavia assistere alla sua stessa vita.
Si limitava soltanto a condurre le sue giornate secondo i bisogni del
proprio corpo, senza fare ciò che voleva o ciò
che gli sarebbe piaciuto fare.
Faceva le cose che voleva fare in quel momento, senza preoccuparsi
troppo; infatti in quel preciso momento aveva voglia di vedere Zayn e
non gli importava se non sarebbe stato in casa, Louis lo avrebbe
aspettato in camera.
Così raggiunse la casa di Zayn, dove la madre del suo amico
lo invitò ad entrare e gli diede dei vestiti asciutti,
rimproverandolo come solo lei sapeva fare, con quel misto di
severità e dolcezza tipico delle madri dei propri migliori
amici.
Aspettò in silenzio, steso sul letto del ragazzo con lo
sguardo fisso sul soffitto, pensando a tutto e a niente.
"Lou" mormorò Zayn quando arrivò, per poi
affrettarsi a chiudere la porta e a sfilarsi gli anfibi.
"Ciao Zay" rispose lui, seduto sul letto con la schiena appoggiata alla
parete e una cartina tra le mani.
Zayn lo guardò per un momento senza proferir parola, poi
"Come stai?" gli domandò, mentre iniziava a sfilarsi gli
strati di vestiti.
"Sei felice, Zay?" sussurrò Louis piano, passando la lingua
sulla cartina e chiudendola, per poi sporgersi verso il comodino e
afferrare un accendino.
Il moro si immobilizò all'improvviso, la felpa che
si stava sfilando a metà strada e le braccia in una scomoda
posizione.
"Io... Sì, immagino" sbottò alla fine, come se
gli fosse costato un grande sforzo trovare una risposta del genere.
Si sfilò la felpa e ne infilò una più
vecchia e malandata, per poi sostituire i suoi jeans a dei pantaloni
della tuta e raggiungere Louis.
Incrociò le gambe e guardò Louis negli occhi,
come per capire che cosa lo portasse a discorsi di quel genere.
"E tu sei felice, Lou?" mormorò ad un tratto, quando lo
sguardo di Louis diventò insostenibile.
Quello inclinò la testa di lato e guardò
attentamente Zayn, poi si lasciò cadere a peso morto sul
letto, poggiando la testa sulle gambe dell'amico.
"No."
"No?" ripetè Zayn, abbassando la testa per guardarlo negli
occhi e sfilargli di mano il drum.
Louis si corrucciò quando venne separato dalla sigaretta, le
sopracciglia incurvate e le labbra arricciate nel disappunto che lo
coglieva ogni qual volta che Zayn gli fregava le sue amate sigarette.
"No Zay, non sono felice, per niente" biascicò, gli occhi
fissi sul soffitto. Si girò su di un fianco e
osservò attentamente la camera di Zayn, nella testa un
dolore estenuante che si stava prendendo troppe libertà.
Quando tornò supino, Zayn gli scoccò un'occhiata
incerta, per poi avvicinargli la sigaretta alle labbra.
Louis aspirò, mentre il moro "Perché?" chiedeva a
bassa voce, passandogli una mano tra i capelli esageratamente lunghi.
Louis scrollò piano le spalle; era così e basta,
si sentiva triste, sempre: da quando si alzava a quando andava a letto.
Poco importavano i sorrisi e le risate, poco importavano le cose che lo
rendevano davvero felice, perhé erano tutte istantanee.
Duravano troppo poco, nulla era per sempre, eccetto la tristezza.
Un'enorme, incolmabile tristezza, fattadi sospiri, di sorrisi tirati e
di notti insonni.
Una tristezza che non aveva un motivo preciso.
Era tristezza per il mondo, per la società, per il
consumismo.
Per il fatto che per Louis le cose che contavano non erano i soldi
bensì altre cose.
"Non lo so" si decise a rispondere. "Come va con Rhebecca?"
Zayn fece un verso contrariato e la sua bocca si storse in una smorfia
amara.
"Di merda."
Louis si tirò a sedere e spense la sigaretta nel posacenere,
poi "Che cos'ha che non va, di preciso?" chiese, accostandosi a Zayn e
poggiando la schiena contro il muro.
Il moro scosse il capo scoraggiato, sollevando un sopracciglio e
parlando fissandosi le mani. "Suo padre picchiava lei e sua madre, da
quanto ho capito."
"Merda" sussurrò solo Louis, guardando dritto davanti a
sè, così come stava facendo anche il suo amico.
"Già" replicò Zayn. "Quando... Quando
lunedì ci siamo visti l'ho salutata dandole un bacio sulla
guancia e da lì è stato un disastro."
Louis restò in silenzio per un po'. "Quando l'hai scoperto?"
Sentì Zayn deglutire piano. "Sempre lunedì. Dopo
che l'ho toccata ha dato di matto, allora l'ho riportata indietro e i
tutori mi hanno spiegato tutto."
Il ragazzo castano annuì piano, ancor più triste
di prima. "Mi dispiace tanto, Zay. Posso provare a vedere cosa ne dice
mia ma-"
"No" lo interruppe precipitosamente Zayn. "No, non preoccuparti,
davvero. Va bene così. Lascerò...
Lascerò passare un po' di tempo, adesso."
La voce di Louis risultò stanca quando parlò di
nuovo. "Come vuoi tu."
Il moro annuì piano e posò la testa sulla spalla
dell'amico. "La mia vita fa schifo."
I capelli di Zayn solleticavano il collo di Louis, che restava in
silenzio, attendendo che il moro riprendesse a parlare.
"Oh, ma chi voglio prendere in giro, Lou? Con Rhebecca va tutto una
merda e nonostante io le voglia un bene dell'anima succede un disastro
dopo l'altro. Tra un po' abbiamo l'esame e io non sono per niente
preparato, ho una concentrazione da fare schifo. Ho ventuno anni e vivo
ancora con i miei genitori perché non riesco a trovare un
cazzo di lavoro."
Louis impallidì quando le lacrime di Zayn gli inumidirono la
maglietta: non lo aveva mai visto piangere, sapeva che Zayn tendeva a
non esternare i suoi sentimenti e se lo faceva erano davvero casi
eccezionali.
Gli accarezzò debolmente i capelli, gli occhi fissi sulla
mappa del mondo appesa sulla parete di fronte a loro.
Fin da quando erano bambini adoravano entrambi segnare i luoghi che
avrebbero visitato una volta che sarebbero diventati "grandi".
Tuttavia, "grandi" lo erano di già, eppure non avevano
raggiunto nemmeno una delle loro mete.
"Guardami, Lou" riprese Zayn con voce abbattuta, le lacrime incastrate
in gola. "Sono un fallimento totale, la mia vita sociale fa schifo,
quella scolastica pure, mia madre si fa un culo assurdo per pagarmi gli
studi e mio padre sputtana tutti i soldi con i giochi d'azzardo. A
volte vorrei scomparire, andarmene e lasciare tutto. Solo andarmene.
Sono così inutile. Ci sono giorni in cui mi chiedo per quale
motivo mi alzo la mattina o-"
"Che cazzo dici Zayn?" quasi urlò Louis, raddrizzandosi di
scatto e voltandosi verso l'amico.
Gli accarezzò il viso con una mano e gli asciugò
le lacrime mentre gli occhi scuri di Zayn gli stavano addosso,
addolorati e distrutti.
Sembrava un dolore così concreto e palpabile che Louis si
chiedeva come poteva non essersene accorto prima.
Lo guardò per un momento, poi senza nemmeno pensarci lo
tirò verso di sè e lo baciò,
provocando nel ragazzo un verso sorpreso.
Louis non aveva mai baciato un ragazzo, ma era più o meno
come baciare una ragazza, soltanto che Zayn aveva la barba.
E il suo busto era privo di curve, un unico blocco sottile e in
tensione.
Mosse piano le sue labbra su quelle dell'amico, cercando di
trasmettergli il bene che gli voleva e tenendoselo vicino grazie alla
presa salda che esercitava sulle sue spalle.
"Guardami, Zay" susurrò, allontanandosi leggermente da lui
ma tenendo la fronte accostata alla sua.
"Non sei inutile. Tu sei uno dei pochi motivi per cui io mi alzo dal
letto la mattina. Non sarai mai inutile finché io
sarò vivo, perché tu mi rendi un po' felice."
Zayn annuì piano e serrò gli occhi, nascondendo
il viso contro l'incavo del collo di Louis. "Ti voglio bene, Lou."
Louis gli diede un bacio tra i capelli, poi iniziò ad
accarezzargli piano la testa. "Anche io, Zay. Non dire mai
più una cosa del genere."
"Okay" la voce del moro giunse all'altro ragazzo ovattata e carica di
tristezza.
"Okay" replicò Louis, e sorrise leggermente.
-
Vi voglio molto bene, ricordatevelo.
In ogni caso, scusatemi per questo ritardissimo, ma avevo completamente
perso l'ispirazione.
Non che mi sia tornata, però comunque mi sono sforzata per
voi, stavate aspettando da quasi un mese o più, credo.
Mi dispiace davvero tanto :(
Mi scuso anche perché il capitolo è orrendissimo,
davvero.
Mi dispiace molto, non credo ci siano altri modi per dirlo, no?
Faccio schifo, madonna mia.
Ci tenevo a precisare che nello scorso capitolo non avevo annotato che
Sweeney Todd è un film di Tim Burton, come voi mi avete
fatto notare.
Volevo anche dire che dell'istituto ne parlerò
più avanti, non subito, quindi per ora dovrete accontentarvi
di quello che ho scritto, scusatemi :(
In ogni caso, ringrazio chi preferisce/ricorda/segue, chi recensisce
(grazie mille, ora rispondo alle recensioni) e tutte le lettrici
silenziose.
Okay, corro che devo aggiornare anche altre due storie e non ho ancora
scritto nessun capitolo.
Un bacio :) xx
Su twitter sono @queerzay, se volete parlarmi e tutta quella roba
lì.
Ciao ciao xx
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