Salve
popolo. Sì, sembrano passati secoli e invece è
solo un anno... Un anno in cui
sono successe tante cose, belle e brutte. Qui è Elena che vi
parla e beh,
avrete capito (spero) che io e la Rose siamo ufficialmente tornate.
Sapete si
avvicina il Natale e quindi dovremmo essere tutti più
buoni... Certo.
Sinceramente
non so cosa dire. Ho - abbiamo - tanta ansia. E preferirei lasciare a
voi il
resto. So... Buona lettura.
P.S.
Rosa ha, come ad ogni Natale -__- , il pc guasto
quindi sarò io a postare anche i suoi capitoli dal suo
account.
Prologo
Strong
enough to leave you
Paura.
La
paura, nel vocabolario, è definita come uno stato
emotivoconsistente in un
senso di insicurezza, di smarrimento e di ansia di fronte a un pericolo
reale o
immaginario.
Paura.
Le
persone hanno paura di tutto: dell'amore, della morte, delle malattie,
di
soffrire, dei cani, degli squali, della velocità; perfino
delle farfalle.
Si
ha paura di sbagliare, di provare qualcosa, di perdere qualcuno a noi
caro.
Paura.
La paura ci spinge a fare
scelte. Chi ha paura, di solito, sceglie di
non vivere. Non completamente,
comunque.
Io, Kristen Stewart, non
esulavo da quella definizione.
"Kristen?"
"Uhm?"
Lui ammiccò: labbra tese in un sorriso malizioso, occhi
socchiusi,
un sopracciglio alzato, voce roca.
Lei
mugugnò infastidita.
"No."
Il sorriso del biondo non si spense.
Avevano
fatto l'amore tutta la notte, eppure la voleva ancora. Fece forza sui
bicipiti, si alzò per metà e posò il
suo corpo su quello della donna che
cercava di recuperare
le
ore di sonno 'perse' ad 'accontentare' il suo
fidanzato.
"Robert... È tardi." Robert scese con la
bocca sul collo di Kristen, cominciando
a posarle baci lievi su tutta la mascella. Lei, in risposta, si morse
un labbro
per non gemere.
"Tecnicamente, Kristen, non è tardi",
arrestò la sua manovra per guardare
la radiosveglia che Kristen si ostinava a tenere sul comodino,
"sono le
sei e due minuti del mattino. Non è tardi."
"Mh" la sentì dire, "allora è
presto."
"Nah,"disse un attimo prima di baciarle la bocca
con impeto. Schiusero
insieme le labbra, nello stesso momento, quasi come se si fossero messi
d'accordo;
dopo furono solo gemiti, urla sommesse, sorrisi
orgogliosi
trattenuti in un morso e lasciati andare in un bacio frettoloso, parole
sconnesse e labbra umide.
Quello
che successe dopo fu l'amore senza paura. Quello vero, incondizionato.
Come se si
fossero sussurrati le migliori promesse. E le promesse si mantengono.
Si mantengono anche dopo giorni, mesi, anni, urla, "sì" e
"no",
"forse" e "se", "a domani" e "ci vediamo",
"Io ti amo" ed "io ti odio".
Le
promesse, quelle fatte col sangue di chi vive, col cuore di chi ama,
con gli
occhi di chi venera, le mani di chi adora, e la mente di chi pensa,
vanno
mantenute.
"Posso
portarle qualcosa, signorina?"
Scossi la testa in segno di diniego, e lasciai che l'hostess di volo mi
sorridesse
accondiscendente prima di andarsene.
Parigi.
Poi Cannes. Nessuno avrebbe saputo nulla. Né mio padre,
né mia madre.
Nessuno.
Men
che meno lui.
"signorina, posso portarle qualcosa?" Lei si morse
un labbro,
trattenendo una risata che altrimenti sarebbe esplosa potente.
"Si."
"Bene, cosa le porto?" La donna dagli occhi verdi
fece finta di pensarci,
guardandolo: Robert indossava uno stupido grembiule da cucina ed un
paio di
boxer,
in mano teneva un vassoio vuoto.
"Uhm" fece finta di pensarci. Lui sorrise. "Mi
andrebbe un
te".
"Alla pesca?" Kristen scosse la testa.
"Al limone?" Negò ancora.
"Alla men", stavolta non lo fece finire di parlare.
Si alzò in piedi sul
letto sovrastando in altezza il ragazzo, e posandogli due dita sulla
bocca.
"Mi andrebbe del te inglese." Lui
deglutì. " 'Te'. Mi andresti
tu. Alla colazione ci pensiamo dopo".
Paura.
Alla
paura, il nostro corpo, reagisce in determinati modi: attacchi di
panico,
vomito, ansia, tachicardia, addirittura infarto. Alcuni ridono. Il mio
corpo
aveva reagito così la prima volta.
La
paura mi aveva solo sfiorata; forse era più un'inquietudine.
Risi.
La
seconda volta, invece, tramai. Cominciai a chiedermi se quella minaccia
era
davvero pericolosa. Poi risi ancora. Mi diedi della stupida.
Al
terzo sms il cuore mi si fermò in gola.
La
quarta volta vomitai.
Da
quel momento, ogni qualvolta che il cellulare vibrava, il cuore
cominciava a
battere più forte, il viso impallidiva e lo stomaco si
contorceva.
È
la paura.
E quella... Beh, ti fa fare
cose
insensate.
"Kristen?"
"Ancora?" Lui rise
dell'espressione shoccata della ragazza.
"No amore," le diede un bacio
leggero sulla tempia destra, lei vi si adagiò
sopra quasi come se si stessero dicendo 'Ti amo, sai?' 'Anche io.'
"Volevo solo dirti che tra
poco devo andare. Oggi giriamo".
"No." Gli disse convinta,
abbracciandogli il torace non più longilineo,
ma muscoloso.
"Come no?"
"Ti voglio qui." Robert rise
ancora.
"Devo andare, lo sai."
"No."
"Siamo insieme da tre giorni
esatti, abbiamo fatto l'amore tutta la notte.
Non sei stanca di me?". Lei lo guardò negli occhi, rivedendo
in quelle
iridi celesti a volte verdi, tutto il piacere che si erano donati in
quelle
ore, in quella notte.
S'erano amati come mai.
S'erano donati a loro come mai. Avevano giocato e
sperimentato. Avevano riso, poi baciato. Quasi... Quasi come se non ne
avessero
più avuto il tempo, l'occasione. Come se fosse l'ultima
notte.
Quasi.
"Non potrei
mai stancarmi di te, Rob" Si sorrisero; lei sulla pelle
nuda di lui.
"Tanto
torno presto. Per pranzo. Così al mio ritorno potremmo
continuare a" cambiò tono di voce, usandone uno
più solenne, "bearci di quella parte piccola, ma perfetta,
della
nostra eternità."
Kristen lo
fissò sbigottita, per secondi interi, scrutandolo, cercando
di capire se stesse facendo sul serio oppure no. Poi scoppiò
a ridere.
"No, non
fai sul serio", gli disse fra le risate.
"Non ridere
di me, ehi!"
"Ma... Hai
citato Twilight!" Lui si fece stranamente serio.
"Beh...
È grazie a quel libro che t'ho trovata."
Kristen
smise di ridere, lasciando che le sue labbra si modellassero in un
sorriso tenero. Adorante.
"Già."
Lo baciò. "Robert?"
"Mh?"
"Ti amo."
"Anche io."
Un altro sorriso.
"Kristen?"
"Mh?"
"Facciamo
un figlio?" Che poi lei ci era abituata a quella frase. Quindi
perché le si apriva il cuore?
"Tra
qualche anno." E lui era abituato a quella risposta. Quindi
perché ci rimaneva male?
Era come un
copione ripetuto migliaia di volte. Senza modifiche.
"Ma... Sono
vecchio! Ho bisogno di un erede, capisci?" Le diede un morso sul
polpastrello del pollice.
"Hai Bear."
"Voglio un
bambino."
"No... Io
no. Non ora."
"Ma
andiamo, non lo vorresti un piccolo cucciolo con i tuoi occhi e i tuoi
capelli, e magari la mia altezza perché tu, amore, sei nana"
"Ehi!" Gli
diede un pugno sul braccio.
"Ma
è la verità. Comunque, dicevo, non lo vuoi un
figlio? Un mix di noi due. Sai che figo!"
"Non ora...
Lo sai, Rob."
"Ma io
voglio un piccolo Pattinson. Marlowe ha bisogno di un cugino."
Lei si
indispettì.
"Beh,
allora fallo con... Con quella lì, la Penn." Un altro morso,
stavolta più forte, come a volerla punire per quella pessima
uscita.
I giornali
si erano inventate troppe cazzate nel periodo in cui il loro rapporto
aveva vacillato.
Ma era
acqua passata.
"Io un
figlio lo voglio con te."
"Spiacente."
"Kristen?"
"Che vuoi?
Vuoi un figlio? Fallo con qualcuna delle troie che ti sei fatto."
Robert le prese il mento tra l'indice ed il pollice, portò
il suo viso ad un anelito da quello della ragazza,
e
le baciò il naso.
"Io non lo
voglio il figlio di un'altra." Un bacio sulle labbra. "Non
vorrò mai nessun altra madre che non sia tu per i miei
figli."
Il
perché delle lacrime di Kristen, Robert lo
associò al ciclo.
Poi lei lo
baciò. E lo fece ancora, ed ancora, ed ancora. Si baciarono
tanto, troppo forse; anche mentre lui si vestiva.
Poi un
ultimo bacio: a fior di labbra, dolce, ad occhi aperti, come a voler
consumarsi la bocca e tutto il resto.
La promessa
di un 'a dopo'.
"Ah
Kristen?"
"Dimmi." Il
sorriso stanco. Falso. Dai Kris, un'ultima volta. L'ultima scena e poi
avrai terminato la tua miglior interpretazione.
"...a
pranzo vorrei tanto le tagliatelle."
Applauso.
È finita.
Guardai l'ora sul display
dell'iPhone: tra poco Robert sarebbe tornato a casa. Avrebbe trovato le
sue tagliatelle nel forno, ed un biglietto attaccato al frigo.
Ero decisa a lasciarlo, a
salvarlo, e sapevo che lui non mi avrebbe mai e poi mai perdonata.
Ma... Ma quando ami qualcuno, e lo ami così tanto da
strapparti il cuore con le tue
stesse mani, allora
non ti importa.
Per Robert mi sarei presa il
colpo peggiore, l'insulto più brutto, la vita meno bella.
Per Robert, per la sua vita,
stavo dando la mia.
Forse in senso lato, ma lo
stavo facendo. Stavo rinunciando a me.
Non lo facevo solo per lui,
quello no. Non ho mai creduto alla cazzata dell'amore che ti fa
annullare te stesso per l'altra persona. No. Questo no.
L'amore è anche
egoismo.
Non stavo scappando per lui.
Io lo facevo anche per me. Perché una vita senza avere
Robert accanto non era vita; ma vivere con la consapevolezza del suo
cuore muto,
beh, era la morte. Vivere in
un mondo in cui lui non esisteva era morire.
Per questo l'avevo deluso una
volta ancora.
Perché l'amore
è egoista, ed io lo ero.
Lo
lasciò andare così, trattenendo il pianto -quello
vero- fino a quando non vide l'auto di Robert uscire dal vialetto.
Come
un'attrice navigata. Da premio Oscar.
Poi
lasciò le maschere, tornò Kristen, la ragazza
innamorata, impaurita. Quella che avrebbe voluto dirgli: "Aiutami."
Lo
sapeva che non l'avrebbe mai fatto.
No. Troppo
pericoloso. Per lei, per lui. Per chiunque.
Si rese
conto che piangere non le serviva. L'aveva fatto anche troppe volte
negli ultimi tre mesi.
Non ne
aveva parlato con nessuno; lui si sarebbe fatto male. O forse lei.
Qualcuno, comunque, avrebbe sofferto.
No, no, no!
Non avrebbe
potuto sopportare una cosa simile.
Così
si asciugò le lacrime; alle dodici aveva quel volo che le
avrebbe salvato la vita; lui, a lei. Ma che li avrebbe spezzati; a lui,
a lei.
Mise le
ultime cose nella valigia, le altre erano pronte da tempo. Poi
andò in cucina, prese la farina e le uova ed
impastò. Lui amava le sue tagliatelle.
Quando
ebbe finito, trascinò i bagagli nel baule della Jeep.
Tornò in casa.
C'era odore
di sugo, di talco e dopobarba. Profumo di Rob.
Decise che
una volta arrivata a Cannes, ne avrebbe acquistato una bottiglia...
Giusto per averlo con sé.
Poi vide il
blocchetto giallo e la matita che scendeva, appesa ad un filo; erano
incollati al frigo. Su quei post it ci scrivevano di tutto.
Dai "Ti
amo", ai "...oggi esco con i ragazzi, ci vediamo stasera. Le lasagne
sono in frigo. Ah Rob, il formaggio grattuggiato va messo
quando lo
inforni, okay? Non dopo. Ti amo"
Staccò
un foglio giallo canarino, e con la mano che tremava,
cominciò a scrivere:
"Mi
dispiace Rob. Non cercarmi. Non telefonarmi. Non amarmi. Io e te... Non
abbiamo futuro. Scusa per quel 'Ti amo'.
Scusa per
tutto. Dimenticati di noi, io lo farò. K."
In
realtà avrebbe voluto scrivergli cose ben diverse.
"Le
tagliatelle sono in forno; rob attento alla cottura, 5 minuti bastano",
e lui, leggendolo, si sarebbe fatto sfuggire un sbuffo.
Poi, quel
"Ci vediamo stasera. Ti amo. K.", gli avrebbe fatto tornare il sorriso.
O magari
nulla del genere sarebbe accaduto. Aveva tremolato scrivendogli quel
post it. Le parole vacillavano, e con loro, la voglia di Kristen di
andare via.
Ma doveva.
Lo doveva fare. Attraversò per l'ultima volta quel
corridoio, all'ingresso c'era una foto di loro due. Gliel'aveva
scattata Ruth.
Così
prese la cornice tra le mani, e tirò fuori la fotografia.
Era liscia, quasi appiccicosa; accarezzò il profilo di
Robert. Quasi sorrise, tirò su con il naso.
"Io ci ho
provato Rob. Ti giuro che l'ho fatto... Volevo dirtelo, volevo, ma come
posso, amore, come?
Lo so che
non è giusto ciò che sto facendo, che su di noi,
su questa storia, io e te c'abbiamo buttato il sangue, le lacrime. Lo
so che ti amo, lo so che mi ami, e so anche che è da
codardi
dire tutto ciò ad una tua foto, e che non mi senti, e che
mai lo saprai. E so che mi odierai, come so che ti ho amato
dall'inizio.
Non faccio
altro che amarti da quando ero su quel letto, stanca, e ti aspetto; sei
entrato e ti ho visto.Non faccio altro che amarti da quando ti ho
scelto, mi hai scelta.
In questa
vita non faccio altro che amarti da quando ci siamo trovati, e persi.
Ma soprattutto da quando ci siamo ritrovati.... Un centinaio di volte,
forse.
Sono una
codarda, Rob. Non ce l'ho il coraggio di dirti cosa sta succedendo, ma
sappi che già mi manchi, che ti amo. Che ti amerò
sempre. Che sei tu, che sei sempre tu.
Che se tu
ora entreresti da quella porta io te lo direi, e forse mi lascerei
salvare, CI lascerei salvare. Che se tu ora mi chiedessi di sposarti ti
direi sì, e mille volte ancora sì.
Che lo
voglio un figlio. Che se non lo avrò da te, allora non lo
voglio. Che non vorrò mai nessun altro padre che non sia tu
per i miei figli. Che sei tu, tu, tu e sempre tu, Robert.
E forse
doveva finire così, no? Io e te non siamo destinati a stare
insieme. Non oggi, non domani. Forse in un'altra vita.
Magari
ci rincorreremo per decenni, e forse ci fermeremo solo per darci un
bacio e scappare ancora. Lo facciamo sempre.
T'amo da
tutta una vita, Robert Pattinson... E forse, è proprio
questo il problema."
Si
asciugò le lacrime, diede un ultimo sguardo a quella casa, e
col cuore gonfio di lacrime, uscì, chiudendosi la porta alle
sue spalle.
Si strinse
di più nel suo giubbotto di pelle, quello Balenciaga nero,
quello che Rob amava tanto perché "è come te".
Tirò
su col naso, la fotografia in una mano; la stava stropicciando.
Si tolse la
giacca, alzò il coperchio del bidone della spazzatura e ce
lo buttò dentro, con rabbia. Come un'ancora quella foto.
Entrò
nella jeep, e finse un sorriso per Jessica, la loro vicina di casa.
Attrice
fino in fondo.
Cosa
dicevano i suoi fans? Che era da premio Oscar? Forse avevano ragione
loro.
Guardai
un'ultima volta l'ora sul display dell'iPhone: Rob era tornato a casa.
In
questo momento stava accarezzando i cani... Ora si stava togliendo le
scarpe.
Gli
avevo chiesto scusa per quel "ti amo". Gli avevo schiesto scusa dei
baci dati, e dei "ti amo" ricambiati; delle ferite inflitte, dei
silenzi rispettati e dei segreti tenuti fino a farmi -farci
affogare.
Riuscivo
a sentire quel suo "sono a casa, Kris"
BOOM.
Il
suono di qualcosa che si rompe, forse il forno dove c'erano le
tagliatelle che tanto amava. O magari il frigorifero dove c'era quel
pezzo di carta giallo canarino, con una menzogna scritta
a
caratteri cubitali: dimenticati di noi, io lo
farò. Bugia.
E
tutto quello -io e lui fatti a pezzi, un futuro andato, lacrime amare,
un giacchetto buttato nella spazzatura- accadeva solo per una ragione:
paura.
Perché
la paura si nutre dei sogni andati, delle debolezze.
E
l'amore vive di speranze, di vita.
E
la paura... Beh, la paura è il peggior nemico dell'amore.
Non
che non avessi mai provato a cambiare numero di telefono, l'avevo
fatto, e più volte anche; ma finiva sempre con riapparire
quell'anonimo.
L'ultima
volta non era bastato un sms.
Fu
quello a farmi paura. A farmi decidere.
Accadde
in una sera di Ottobre; eravamo a letto, ero felice quel giorno.
Credevo che la mia vita stesse cominciando a girare sul binario giusto.
Robert
era di nuovo con me, finalmente, e tutto andava bene.
Ci
baciavamo, parlavamo, ridevamo... Ci comportavamo come un fidanzato ed
una fidanzata.
Poi
le luci saltarono, un sms, ed una scritta nell'auto di Rob.
Lui
l'associò ai paparazzi. Io no. Fu allora che capii di essere
in trappola.
A
Robert non avevo mai provato a dirlo... Lui, lui avrebbe dato la sua
vita per me.
Ed
io non volevo.
Cannes
era stata la scelta più ovvia, quasi.
Nel
corridoio che portava alla nostra stanza, c'erano appese varie
fotografie: io e lui ai tempi di Twilight, una a casa dei suoi, lui e
le gemelle, noi e Tom, noi e Marlowe, noi con i cani,
noi
a Cannes.
Scappare.
Andare via. Trasferirmi nel posto in cui più eravamo stati
felici; prima di Rupert, prima di Dylan, prima della paura.
Sbuffai.
Sotto
di me solo nuvole.
La
California era lontana. Robert era lontano.
Forse,
lo era anche il pericolo.
Arrivare a Parigi, per la
coincidenza, fu estenuante. I ricordi di un volo simile, il jet lag,
l'insonnia... avevo riposato poco e niente.
Se chiudevo gli occhi vedevo
Robert. Robert che fissava quel foglietto, quella frase, quel "ti amo"
camuffato in un addio. E più tentavo di dimenticare, di
togliermi quell'immagine
della mente,
più queste si moltiplicavano.
Eravamo in aeroporto.
Una volta in questo stesso
luogo io e Robert ci eravamo nascosti in un bagno a fare sesso.
Sorrisi. Per poco non venimmo
beccati dagli inservienti.
Il sorriso svanì.
Io non avrei più
toccato il suo corpo... Lo avrebbero fatto altre persone.
Non... Non mi piaceva
quell'assurda idea. Non era giusto.
Robert era mio. Robert
è mio.
Perché lo stavo
facendo? Perché ero scappata? E se... E se gli dicessi tutto?
Presi il cellulare dalla tasca
posteriore dei pantaloni.
Chiusi gli occhi. Pensai.
Pensai al altre mani che
accarezzavano il suo corpo. E non per finta, su un set... Per davvero.
Se prendevo quella
coincidenza, se lo facevo, dicevo addio. Non un arrivederci.
Se andavo fino in fondo, lo
avrei salvato. Ci avrei salvato. L'avrei fatto.
Perché Robert se lo
meritava. Perché tra due anni, senza di me, lui
sarà vivo.
Sarà su qualche
poltrona degli Oscar, ad ascoltare il suo nome accompagnato da un "e il
vincitore è", pronunciato da qualche bella e perfetta
attrice.
E quando verrà il
momento del discorso lui sorriderà, imbarazzato -lo
è sempre-, e dirà qualche assurdità.
Ed io riderò con
lui. Da lontano.
Poi lo vedrò
toccare e fissare quella statuetta d'oro; emozionato, incredulo. Lo
capirò io quello sguardo. Solo io. Perché io e
lui ci siamo sempre capiti con gli occhi...
Perché in tutti
questi mesi non se n'era mai accorto? Perché aveva creduto a
tutte le mie bugie? Ai miei "va tutto bene".
Perché mi hai
creduto, amore mio? Se tu non l'avessi fatto...
Qualcuna, ad un party, lo
punterà, gli ammiccherà, e lui forse
ricambierà.
Ed un giorno lo
vedrò con una donna che non è me. E
dovrà andarmi bene perché l'ho scelto io. Mi
andrà bene anche quando si sposerà, quando
avrà dei figli.
Perché mi hai
creduto Rob?
Quindi riposi il cellulare
nella tasca, perché altrimenti lo avrei chiamato per dirgli "vienimi a prendere". E lui lo avrebbe fatto.
Scossi la testa, scacciando
quei pensieri dalla testa: io dovevo andare via.
'Non essere una codarda', mi
ripetevo. 'Fallo per lui'.
'Salvalo. Perché da
una come te bisogna essere salvati. Non te lo meriti uno come lui.
L'hai tradito, l'hai ferito. L'hai fatto stare male... Quindi goditi lo
spettacolo quando accadrà.
E vai via, lascialo stare. Se
anche lo chiamassi, gli spiegheresti tutto, e magari addirittura
tornereste insieme, credi che lui non ti lascerà?
Lo farà.
Perché sei tu. Sei quella che lo ha fatto soffrire, sei
quella che ha preferito gli amici al proprio fidanzato. L'hai fatto
scappare, ricordi?
E altre persone
l'hanno fatto sorridere, tu solo piangere. Te ne rendi conto?
Entra in quell'aereo e non
farti più vedere.'
Mi asciugai gli occhi con le
maniche della maglia, e tornai decisa sui miei passi.
Cannes era la mia nuova vita.
Una vita senza Robert. Una
vita che forse non sarebbe mai stata tale.
Quando arrivai all'aeroporto
di Cannes fui assalita dal profumo di vaniglia.
Il ché era stupido,
ma sentivo quell'essenza.
Come le torte fatte con Robert.
Come il bagnoschiuma che avevo
comprato e di cui si era innamorato.
Come i fiori che avevamo in
giardino.
Come il nome della nostra
terza cagnolina.
Come me e lui, e quel
té preso alle sei del pomeriggio; alle cinque no, era troppo
da inglesi, e noi eravamo in America.
Non sapevo se i ricordi
potessero avere un odore, ma in questo momento era così; lui
ed io eravamo vari profumi messi insieme. Ed ero sicura che questo
posto mai me li avrebbe
fatti scordare.
Forse anche per questo l'avevo
scelto. L'avrei avuto sempre vicino... O almeno, così amavo
pensare. Accesi il cellulare,convinta a sentirlo almeno un'ultima volta.
Una chiamata in anonimo,
volevo solo sentire la sua voce. Oramai ero nel taxi. La mia decisione
era stata presa. Solo un'ultima volta.
Schiacciai l'icona verde sulla
sua faccia, e attesi.
Attesi per sei lunghi squilli.
Poi rispose qualcuno.
Non seppi mai come feci a non
scoppiare a piangere, a riconoscere una voce che non avevo mai sentito.
Era Dylan.
Lui era con lei. S'era
già dimenticato di me.
"C'è qualcuno?"
C'era qualcuno? Io non lo
sapevo. C'ero? C'ero davvero o era il mio fantasma? Al momento mi
sentivo vuota. Spenta. Inutile.
Come... Come derelitto. Un
rifiuto. Uno zombie.
Staccai.
Scesi dall'auto cinque minuti
dopo. Ero arrivata da Ellie.
Mi attendeva sulla soglia di
casa sua: I capelli biondicci sciolti, un pigiama rosso, e ai piedi un
paio di ciabatte a forma di Minions. Quasi le sorrisi.
Mi venne incontro,
m'abbracciò. Mi lasciai stringere. Il suo profumo di
caramelle, così dolce, così familiare, mi
distese, tranquillizzandomi almeno in parte.
"Come stai, K?" La guardai,
fissai i suoi occhi grigio azzurro, e mi sentii... Stanca.
Stanca di tutto. Stanca della
mia vita, delle bugie. Di me e Rob.
Ero stufa di mentire.
Perché mi hai
creduto Robert?
Perché amore mio?
Perché non hai
letto nei miei occhi le bugie?
"Mi sono appena uccisa con le
mie mani." Ecco come stavo. O non stavo.
Tre ore dopo ero su un letto
non mio, con la consapevolezza che lui era con lei.
Lo odiavo... Mi aveva lasciata
andare senza neanche combattare. Né una chiamata,
né un messaggio. Come gli avevo chiesto.
La odiavo... Aveva
già preso il mio posto. E probabilmente l'avrebbe
occupato meglio di me.
Mi odiavo... Avevo fatto la
cazzata più grossa della mia vita. Stupida. Stupida. Ero una
stupida.
Ci odiavo... Perché
ci uccidevamo a vicenda. Perché?
Ci dicevamo sempre che eravamo
noi contro loro, ma non era vero: la battaglia più grande, i
nemici più forti, eravamo noi stessi.
Eravamo noi contro noi. E di
solito, perdevamo sempre.
Volevo... Volevo scrivergli
qualcosa. Insultarlo, magari. Dirgli che era un bastardo.
E lo stavo per fare: digitai
le prime parole, ma poi il suono di un sms.
Il
cuore partì in quarta. L'ansia esplose. Il respiro
accelerò.
La
paura mi invase.
Anonimo.
Lui.
O forse lei. Ancora una volta.
"Non
avvicinarti mai più a lui, puttana. Resta dove sei. Non
farti più
vedere...
O te ne pentirai. Amaramente".
Paura.
Io non parlo. Si avvicina il
Natale. Quindi abbiate Fede u.u
Baci e abbracci, frizzi e
lazzi.
Helen & Rose.
|