Nda
– Questa storia si è classificata settima su dodici, ma
posso dire che non ci sono rimasta per niente male (tranne che in un
primo momento, ma questo mi sembra più che naturale ^///^);
non so se posso riportare i giudizi dei due giudici (Izumi e Naco
chan, che ringrazio XD), però voglio dire che hanno apprezzato
soprattutto la trama e i dialoghi, che Izumi ha definito 'i meno
banali che abbia mai letto': sto ancora gongolando!
Se
volete, leggete e lasciate un commentino, che mi servirà per
cercare di strappare un buon posto in un altro contest (il quarto) a
cui sto partecipando^^
Ah,
ho cercato di sistemare tutte le posizioni sbagliate degli accenti:
il computer non me li segna e così me ne dimentico sempre, eh
eh^^'
***
Un
ricordo può essere felice, piacevole; può essere di
poca importanza, facilmente trascurabile, oppure così forte da
non poter essere dimenticato. Un ricordo può portare serenità,
ma anche angoscia.
Vi
siete mai chiesti se la forza di un ricordo possa condurvi alla
morte?
Un
vecchio libro impolverato riportava queste poche parole nella prima
pagina, come introduzione al suo intero contenuto. Giaceva
dimenticato sopra una vecchia libreria che cadeva a pezzi, in bilico
contro un muro sporco di sangue. Questo libro, tra le poche cose in
quella stanza che ancora non erano ricoperte da macchie rosse, attirò
l'attenzione di un giovane ragazzo dall'aspetto gentile; il ragazzo,
che si guardava attorno con cautela, non poté fare a meno di
spostare lo sguardo su quell'unico libro abbandonato e, alzatosi in
punta di piedi, lo prese dal suo posto. Rimase fermo per qualche
secondo mentre rileggeva quelle tre righe, come se queste
suscitassero in lui qualche particolare sensazione.
“Hai
trovato niente?” chiese qualcuno ad alta voce, da qualche parte
nella stanza affianco. Il ragazzo parve non sentire.
“Hakkai!”
“Eh?”
esclamò infine, abbandonando i propri pensieri. “Scusa,
non ti ho sentito. Temo che qui non ci sia niente di interessante.”
“Allora
tutta questa faticaccia non è servita proprio a nulla? Che
seccatura!”
Hakkai
richiuse il libro, soffiò via la polvere dalla copertina e lo
portò con sé, mentre con il suo compagno usciva dalla
casa.
“Sanzo
e Goku hanno scoperto qualcosa?” chiese, ma dall'espressione
annoiata dell'altro intuì che la risposta sarebbe stata
negativa; per questo lo precedette con una sua idea:
“Forse
sarebbe il caso di cercare qualche informazione in città,
prima di fare irruzione alla cieca nelle case: in questo modo
sprechiamo solo tempo ed energie.”
“E
ci vai tu a chiedere? Perché io non sono portato per queste
cose, e nemmeno quella stupida scimmia.”
Hakkai
sorrise:
“Dillo
che non ne hai voglia, Gojyo!” scherzò. “Ci
andremo tutti e quattro, senza fare storie.”
“Ma
guardati, sembri un maestrino! Non crederai mica di avere a che fare
con un moccioso?”
“Beh...”
fece Hakkai e Gojyo non ci mise molto a cogliere il suo sarcasmo.
“Spero
sia riferito alla scimmia!” esclamò, minaccioso.
“Anche!”
rispose. “Sbrighiamoci a tornare, così possiamo decidere
con calma come agire d'ora in poi."
“Eh,
cambia discorso...”
Continuarono
a battibeccare per qualche minuto ancora, finché non
raggiunsero una Jeep verde parcheggiata al limitare di una cupa
foresta. Hakkai prese subito posto al volante mentre Gojyo, che
proprio non ne voleva sapere di passare le proprie serate a chiedere
informazioni invece di andare con qualche bella donna, e continuava a
sbuffare, si sedette nel sedile posteriore. Vennero presto raggiunti
da altri due ragazzi, dei quali uno, biondo e con una veste da bonzo,
minacciava l'altro di morte lenta e dolorosa, se non l'avesse smessa
di chiedere cibo; l'altro, un ragazzino dal carattere vivace,
appariva appunto molto affamato.
“Torniamo
in albergo?” chiese Hakkai, notando l'espressione furibonda del
bonzo.
“Subito.
E da stasera inizieremo a cercare informazioni in città.”
“Abbiamo
avuto la stessa idea!” esclamò Hakkai con un sorriso,
mettendo in moto l'auto. Il ragazzo dall'aspetto più giovane
si sporse verso i sedili anteriori con aria scioccata:
“Ehi!
Non vorrete mica andare prima di cena! Sto morendo di fame...”
“Quella
stupida scimmia...”
“Fammi
indovinare, Sanzo: Goku non è stato fermo un attimo, vero?”
“Non
ne hai idea...”
“Allora?
Allora?” insistette Goku, saltellando sul proprio sedile. Sanzo
perse la pazienza ed estrasse un grande ventaglio da una delle
maniche della veste.
“Chiudi
il becco, stupida scimmia!”
Mentre
i tre passeggeri discutevano animatamente, poiché anche Gojyo
era stato coinvolto nella zuffa, il giovane gentile alla guida della
Jeep cercava come poteva di non distrarsi; quelle frasi che aveva
letto sul libro gli erano rimaste impresse nella mente e non riusciva
ad allontanarle, avendo risvegliato in lui dei ricordi molto
dolorosi. Gli veniva da pensare che lui, negli ultimi quattro anni,
era sempre stato preda di incubi terrificanti e faceva fatica a
rammentare quali fossero i bei momenti che la sua vita gli aveva
donato.
Vi
siete mai chiesti se la forza di un ricordo possa condurvi alla
morte?
Oh,
incredibile come corrispondesse a verità! Se solo non ci
fossero stati i suoi compagni, e con loro tante altre cose a cui
pensare, certamente avrebbe impiegato non più di qualche
giorno a perdere completamente la ragione; però, malgrado
queste distrazioni, il ricordo delle sue mani insanguinate, e di un
coltello che penetrava nella carne, continuava a tormentarlo,
costantemente, ogni notte, ogni volta che aveva il tempo di pensare.
Per
questo, persa la concentrazione mentre guidava, non fece caso ad un
tronco che occupava gran parte della strada.
“Hakkai!”
urlò Gojyo, ma l'amico finì dritto addosso all'albero.
La Jeep si schiantò e rotolò in avanti per decine di
metri, cadendo infine giù per un dirupo. Sanzo, Goku e Gojyo
rimasero lì, immobili; Hakkai invece venne sbalzato fuori
dall'abitacolo e finì dentro un fiume, scomparendo sotto
l'acqua gelida.
***
“Bentornato,
Gono!. Com'è andata oggi?”
“Benissimo!
Sai, i miei alunni sono movimentati, ma passare il tempo con loro è
così piacevole che quasi non me ne accorgo.”
“Oh,
Gono... allora siediti, devo dirti una cosa!”
“Ehi,
piano! Cos'è questo entusiasmo?”
“Non
è niente, davvero! È solo che... ora mi sento pronta,
Gono. Io vorrei... vorrei avere dei bambini. Con te!”
“Dei
bambini... nostri?”
“Si,
solo nostri! Vuoi...?”
“Certo
che lo voglio, Kanan! Non desidero altro...”
Un
suono ripetuto, un ticchettio fastidioso riempiva la stanza come
avrebbe fatto un tuono. Il giovane, steso per terra, aprì
lentamente gli occhi, cercando di capire dove si trovasse; il buio
quasi totale, però, non gli permise di vedere alcunché
e dovette procedere a tentoni.
“Sarò
morto...”
Tastò
il terreno con le mani e lo sentì freddo, umido; c'era un'aria
gelida che lo colpiva dritto al collo come una lama, bloccando gran
parte dei movimenti della testa e degli arti. Una volta che ebbe
abituato gli occhi all'oscurità riuscì a distinguere i
contorni di alcune grosse pietre sul pavimento, ed una luce, molto
lontana, che scorse alle sue spalle; era una luce tenue, come di una
candela, che sembrava allontanarsi sempre di più, secondo dopo
secondo, diventando sempre più debole. Non seppe spiegarsi
cosa lo mosse verso quella decisione, ma improvvisamente sentì
come la necessità di raggiungere quel punto luminoso, di
rincorrerlo, come se in quel momento fosse stata la sua unica
possibilità di salvezza. Aiutandosi con una spinta, poiché
il freddo gli aveva bloccato i movimenti, si alzò in piedi
e iniziò a correre, scansando per puro caso le pietre davanti
a sè.
Hakkai
sentiva che qualcosa di particolare, di diverso stava occupando la
sua mente. Non riusciva a pensare a ciò che voleva, perché
sicuramente, se avesse potuto, avrebbe aspettato prima di lanciarsi
in una corsa così insensata. Il problema era che non gli
pareva affatto priva di senso! Sentiva il cuore pesante, pulsante
come un tamburo, angosciato come se temesse di perdere qualcosa di
importante. Il suo cuore, tuttavia, si faceva sempre più
leggero, quando la luce non sembrava più così lontana,
e così fioca.
Rimase
improvvisamente abbagliato e i suoi occhi furono ancora costretti ad
abituarsi un po' prima di poter vedere. Quando li aprì si
chiese se qualcuno stesse cercando di farlo impazzire: si trovava
nello stesso, identico punto di prima.
“C'è
qualcuno?” chiese ad alta voce, sperando che una qualche anima
riuscisse a sentirlo. “Vorrei uscire di qui, per favore!”
Il
suo carattere gentile gli impediva di esprimersi sgarbatamente
persino in una situazione così delicata. Nessuno rispose alla
sua chiamata, neanche dopo aver ripetuto la sua richiesta d'aiuto.
Ci
sarà pure un'uscita! Pensò nervosamente. Si guardò
nuovamente attorno, alla ricerca di una qualche via di fuga, e ancora
una volta la sua attenzione cadde
sulla luce fioca e lontana; riprese a correre senza pensarci due
volte, anche questa volta spinto dall'impulso irrefrenabile di
raggiungerla.
“Dannazione!”
Per la
terza volta aprì gli occhi e si ritrovò in mezzo
all'oscurità più totale, immerso in uno stato di
angoscia sempre più opprimente ogni minuto che passava. Non
era in grado ragionare come avrebbe voluto e si sentiva a pezzi.
Improvvisamente,
quando il ragazzo aveva ormai perso ogni speranza, un rumore poco
distante cominciò a risuonare attorno a lui.
“Cosa
sarà?” si chiese, strizzando gli occhi e tendendo le
orecchie per cercare di individuarne l'origine. Il rumore pareva un
fruscio, o uno scorrere d'acqua abbastanza intenso; ma lì nei
dintorni non aveva notato alcun fiume o ruscello, anche perché
dubitava ve ne fossero in un luogo così buio e sperduto.
Un odore
fortissimo gli penetrò nelle narici, stordendolo.
Questo
è... sangue! Come può essere tanto forte? È come
se ce ne fosse a litri... e si stesse avvicinando velocemente!
“Accidenti!”
urlò. Un istante dopo venne travolto da un'enorme massa
d'acqua. Ma non era acqua.
Hakkai non
aveva paura del sangue, e sicuramente con il suo modo di vivere
sarebbe stato assurdo averne almeno un po', ma di certo la sola vista
di una macchia rossa gli faceva tornare alla mente i momenti peggiori
della sua vita: essere in un fiume di sangue non avrebbe di certo
giovato al suo umore.
***
“Sai,
Kanan, ho trovato lavoro presso quell'istituto per bambini poco fuori
città. Qui intorno non ci sono scuole, e lì possono
andare anche gli orfani come noi. Lo stipendio non è un
granché... però è sufficiente a mantenere
entrambi!
Quindi
potremo vivere insieme.”
“Gono.
Adesso... non siamo più soli, vero?”
C'erano
delle sfere luminose. Tutt'attorno a lui, sospese in aria. Il fiume
di sangue era scomparso, senza lasciare alcuna traccia, alcuna
macchia di sangue: era come se non fosse mai esistito.
Hakkai era
ancora una volta steso a terra, semi svenuto, con gli occhi che
cercavano di abituarsi alla forte luce di quella stanza completamente
bianca. Si mise a sedere, guardandosi attorno; vide che davanti a sé,
dietro, ai lati e persino in alto, sopra di lui, c'erano delle sfere
luminose grandi quanto un pallone e che queste, a intervalli
irregolari, sembravano spegnersi e riaccendersi. Si avvicinò
ad una di queste, che stava poco più avanti. Notò che
la sfera, al suo interno, non era chiara come le altre; c'era
qualcosa di scuro, come delle sagome che si muovevano, che parlavano
tra di loro. Qualche istante più tardi, quando l'immagine si
fece più nitida, individuò due figure: sé stesso
e la sua Kanan.
Chiacchieravano
allegramente, seduti su un divano, abbracciandosi stretti.
Hakkai
avrebbe voluto piangere, e forse lo avrebbe anche fatto, se alcune
voci poco distanti non avessero attirato la sua attenzione.
“Io
vado, Kanan!”
“Tornerai
in tempo per la cena? Vorrei prepararti qualcosa di speciale questa
sera.”
“Certo.
Sarò puntuale...”
Hakkai si
sentì morire. Aveva promesso che sarebbe tornato in tempo, ma
aveva inutilmente perso tempo al lavoro. Aveva quasi dimenticato
questa scena...
Chissà
cosa volevi prepararmi, Kanan... avrei tanto voluto saperlo...
Attraversò
lentamente la stanza, che pareva non avesse una fine, e si fermò
ad osservare ogni sfera che aveva vicino; rivide i momenti più
belli della sua vita, ma che in quella situazione, colmo di sensi di
colpa, lo ferivano come un coltello piantato nel cuore. Perso in quei
ricordi, non fece neanche caso al fatto che tutti, dal primo
all'ultimo, riguardavano la sua donna.
Dopo un
tempo indefinibile, i ricordi iniziarono a scorrere uno dopo l'altro
nella sua mente, senza sosta, costringendolo a riviverli ancora e
ancora.
“Sono
tornato! Scusa, ho fatto tardi! Stavo giocando coi miei alunni, non
volevano più smettere...!
...
Kanan?”
“Basta...”
“Adoro
le tue mani, Gono...”
“Fatelo
smettere...”
“Ascoltami,
nel mio grembo... sta crescendo il figlio di quel mostro. Per questo
ora...”
“FATELO
SMETTERE!!”
“Addio
per sempre, Gono!”
“BASTA!”
Hakkai cadde in ginocchio. Teneva la testa tra le mani e gemeva
disperato. “Lo so! Lo so, è colpa mia! Non sono riuscito
a salvarla! Ma perché devo rivedere tutto questo?! Fa troppo
male... troppo...”
La
sua mente non avrebbe retto oltre. Quei ricordi erano troppo
dolorosi, e visti così, uno dopo l'altro, uno insieme
all'altro, potevano solo distruggere il cuore di quel povero
ragazzo. Continuava a tenersi la testa con forza e a strizzare gli
occhi, nel vano tentativo di non perdere nuovamente il controllo e di
mantenere un minimo di lucidità; ma la voce che sentì
poco dopo gli fece pensare di averla persa completamente.
“Aiuto...”
“...
chi è?” chiese. Di nuovo la voce chiamò:
“Qualcuno
mi aiuti!” Era un suono lontano, ma non era chiaro se
appartenesse ad un uomo o ad una donna. Hakkai, ripresosi un poco
dalla sua crisi, cercò, con la vista annebbiata, di
individuare una qualche sagoma lì intorno da cui potesse
provenire quella voce, ma non riuscì a vedere nessuno; tutto
ciò che poté notare fu che la stanza, d'improvviso, si
faceva a poco a poco più scura e che le sfere luminose
andavano rimpicciolendosi.
Calmati,
Hakkai! Cerca di capire da dove viene quella voce. Sembrava una
ragazza, ma non è detto...
“Per
favore... qualcuno... mi aiuti...”
Hakkai si
alzò in piedi, con le poche forze che ancora aveva in corpo, e
procedette in avanti, benché non avesse idea di dove andare a
cercare; si sentiva però in dovere di aiutare quella persona
che lo chiamava così disperatamente, tanto che quasi non si
curò delle fitte di dolore che lo colpivano alle gambe,
stanche di dover camminare inutilmente. Le pareti – se di una
stanza si poteva parlare: era tutto molto strano lì attorno -
erano sempre più scure, l'aria sempre più fredda e il
pavimento sempre più umido; la voce, invece, diveniva più
forte ad ogni suo passo.
Giunse
infine, dopo quelli che a lui parvero ben più di alcuni
minuti, in una grotta quasi completamente buia, se non per una
piccola candela che pendeva dal soffitto.
“C'è
nessuno?” chiese Hakkai, sperando di non aver fatto altra
strada per niente. Qualcosa si mosse alla sua destra.
“Ti
prego, aiutami...”
“Chi
sei?"
“Vuoi...
aiutarmi?” chiese la voce, debole ed incerta. “Come?”
Hakkai
avanzò di un passo verso la figura in penombra. “Non lo
so... perché sei nascosto?”
“...
non posso muovermi...”
“Sei
legato? Allora ci penso io. Proverò a...”
“No!
Tanto è inutile!” esclamò la voce, e un
rumore di ferro sbattuto contro il muro diede ad Hakkai la prova che
quella persona era veramente legata. Poiché non riusciva a
vedere chi fosse, si alzò in punta di piedi per prendere la
candela, ma ancora una volta la voce lo bloccò.
“No,
fermo! Non devi vedermi...”
“E...
perché mai?” chiese Hakkai, preoccupato. “Cosa ti
hanno fatto?”
Per un
attimo la persona non disse niente. Hakkai poteva sentire il suo
respiro affaticato anche senza sforzarsi, tanto era silenzioso quel
luogo; lo sentì sospirare, poi tossire, ed infine rispondere.
“Vuoi
proprio saperlo? Qui... c'è un uomo, che odio con tutta
l'anima. C'è sempre, in ogni momento... e mi tormenta.”
“Ti
tormenta?”
“Si,
continuamente. Sento sempre la sua voce che urla, vedo sempre i suoi
incubi peggiori... e dice ogni volta, ogni volta, che è colpa
mia...”
“Tua?
Perché... cosa hai fatto?” chiese Hakkai, avvicinandosi
ancora di due passi. La persona, invisibile agli occhi del ragazzo,
prese alcuni respiri profondi prima di rispondere.
“Io...
non ho fatto niente” disse, tra un colpo di tosse e
l'altro. “Ma lui è convinto che io... abbia
fallito...”
“...
in che cosa? In cosa hai fallito?”
“Ne
è convinto, e per questo mi tormenta! Lui mi odia, e ha detto
migliaia di volte che mi vorrebbe morto! Lui mi odia, come odia quel
colore...”
Hakkai non
chiese niente. Gli era venuto un dubbio, ma era troppo assurdo per
poterci credere; però la storia del colore non lo faceva stare
tranquillo, gli faceva pensare... no, era un'idea stupida!
Poi un
rumore fortissimo rintronò nella grotta, facendo tremare le
mura e la terra sotto di loro. La persona sembrava spaventata a
morte.
“Eccolo!
Vuole ucciderci!” gridò. Evidentemente cercò
di muoversi, perché le catene si colpirono tra di loro più
volte.
“Ma
chi è?” domandò Hakkai, controllando attorno a sé
che non si stesse avvicinando nessuno.
“Viene
ogni volta... ogni volta che lui sogna, arriva quel mostro. Viene
sempre da me... mi fa a pezzi...”
“Come
sarebbe?” fece Hakkai, quando il terreno cominciò a
tremare e dovette faticare per rimanere in piedi. “Ti fa a
pezzi? Cosa vuol dire?”
Un colpo
fortissimo fece tremare le pareti. Vibrò tutta la grotta, e un
rombo, simile ad un tremendo ruggito di bestia, colpì Hakkai
dritto allo stomaco.
“Io
un tempo ero felice” continuò la voce, “ma
lui ora viene ogni giorno. Io...”
Il soffitto
venne giù con un colpo sordo. La luce finalmente entrò
nella grotta...
“...sono
ciò che resta della sua felicità...”
...
e Hakkai vide sé stesso, rannicchiato contro la parete. Vide
tutto ciò che rimaneva di un ragazzino spaventato; di un
ragazzino fatto a pezzi, che non voleva essere visto da altri.
Una rabbia improvvisa lo pervase completamente, anche se non sapeva
spiegarsene il perché; era incredibilmente furioso, e il
continuare a vedere quel povero corpo martoriato non faceva che
incrementare la sua ira.
Prima che
potesse anche solo avvicinarsi a quel ragazzo tremante, Hakkai venne
colpito con incredibile forza da una grossa coda squamosa. Cozzò
con violenza contro una parete di pietra; la testa gli girava e il
femore della gamba destra era certamente rotto, ma riuscì
comunque a rimettersi in piedi, ritrovandosi così a fissare un
paesaggio raccapricciante. Un demone gigantesco, forse più
grande di qualsiasi altra creatura avesse mai incontrato, sovrastava
i resti della grotta, e ovunque era ricoperto di sangue. Sangue
fresco, sangue raggrumato... tutto intorno a lui era rosso. Persino
il demone grondava sangue.
“Accidenti!”
esclamò Hakkai, aggrappandosi ad una roccia per non cadere.
“Temo che dovrò sconfiggerlo per uscire di qui...”
Ma
come? Sono senza forze e non ho idea di cosa sia quell'essere! Se
solo ci fossero anche gli altri, almeno avrei una speranza, ma
così... non credo di poter fare qualcosa.
Il demone
alzò all'improvviso una zampa rossa, e con un colpo buttò
giù la parete dietro Hakkai. Il ragazzo la scansò per
pochi centimetri, ma questo non gli impedì di essere colpito
dall'altra zampa, che lo scaraventò lontano.
“Ah...”
gemette, portando una mano su alcune costole rotte. “Ho
paura... che non sarà facile...”
Cadde in
ginocchio, piegato in avanti per le fitte lancinanti al petto. Quel
colpo lo aveva distrutto, tanto che persino respirare era per lui una
tortura; stava a poco a poco perdendo i sensi, e di questo se ne
accorse subito. L'unica cosa che riusciva a sentire, e vedere, era
quel povero ragazzino in fin di vita, ancora legato alla roccia con
le pesanti catene. Quel ragazzino lo guardava, poteva capirlo anche
con la vista annebbiata. Disse qualcosa, ma la voce arrivò
poco chiara alle sue orecchie...
“Cosa...?”
Hakkai
cadde di lato, steso sul pavimento ricoperto di sangue. Il mostro
ormai non aveva più importanza per lui, perché la sua
mente pensava solo al dolore che stava pervadendo ogni parte del suo
corpo; e pensava a ciò che quel ragazzo stava cercando di
dirgli.
“Hai
paura di lui?”
“I...
io non...”
“Io
si, ne ho molta... ma tu? Tu lo temi?”
Hakkai
respirò a fondo, ma questo gli provocò diverse fitte su
tutto il petto.
“No...
non ho paura...” rispose infine, ripreso il respiro.
“E
allora perché non combatti?”
“perché...
non ne ho la forza... ah!” Ancora dolore alle costole. Il
ragazzino era lontano, ma ora la sua voce era forte e chiara, come se
fosse stato lì, accanto a lui... no, non accanto. Come se
fosse stata dentro di lui.
“Non
è vero. Tu potresti farcela."
"Cosa...
te lo fa... credere?"
"Lo
so" rispose il giovane Hakkai, "perché so che
tu... odi quel mostro. Tu hai visto cosa mi ha fatto... e per questo
lo odi."
"Si...
credo che tu abbia ragione" rispose Hakkai - quello adulto -
dopo aver preso ancora, dolorosamente, un respiro profondo. "Vuoi
dire che per colpa... dell'odio, io non sono nemmeno riuscito a
fronteggiarlo...?"
Il ragazzo
non rispose, ma Hakkai sentì dentro di sé di aver
indovinato. E sentiva anche una piccola verità, che lentamente
si stava facendo strada nella sua mente. Una verità che gli
fece capire tante cose, in appena un istante.
"Quel
demone... rappresenta il mio odio per il sangue, non è vero?"
Il
ragazzino annuì.
"E tu
sei... me, quando ancora ero felice... con Kanan?"
"Si.
Ma tu non odi solo il sangue: quante volte hai desiderato di essere
morto?"
"Tante"
rispose, chiudendo gli occhi. "Tante... e ogni volta che lo
penso, uccido una parte di me..."
"Hai
capito in fretta, dopotutto..." fece l'altro, e sembrò
finalmente rilassarsi un poco. Il demone era lì, davanti a
loro, che li sovrastava imponente e grondante sangue; ma pareva che
si fosse immobilizzato, da quando avevano cominciato a parlare -
quasi non li volesse interrompere! Solo ora, dopo un momento di
silenzio, riprese a muoversi minaccioso. Mentre si avvicinava, il
giovane Hakkai si rivolse ancora una volta al suo io più
grande, con una voce piena di speranza.
"Hai
capito che questo è un sogno, vero? Ora sai cosa devi fare..."
Il demone
gentile sorrise. "Sarò più buono con me stesso,
d'ora in poi... o meglio, con te."
Il mostro
si allontanò da loro, e con lui il suo mare rosso.
***
"Non
si sveglia..."
"Avanti,
apri gli occhi... dì qualcosa!"
"Non
vorrai mica lasciarmi solo con questi due?"
"State
tranquilli, sono qui" disse Hakkai, quando fu abbastanza
cosciente da formulare una frase di senso compiuto. Aprì gli
occhi e si mise a sedere, vedendo i suoi amici che lo accerchiavano
preoccupati. Tranne Sanzo, apparentemente.
"Si
può sapere a cosa diavolo stavi pensando, incosciente?"
esclamò Gojyo, afferrandolo per le spalle. "Hai rischiato
di ucciderti, te ne rendi conto?"
"Si,
mamma! Ho capito, sarò più prudente!"
"Tu
non fai altro che prendermi in giro... maledetto..."
Hakkai e
Goku scoppiarono a ridere, mentre Sanzo si avviò verso la
Jeep, parcheggiata li vicino.
"Andiamo,
o vi uccido tutti."
"Arriviamo!"
esclamarono, come un coro di pecore. Poi Hakkai aggiunse:
"A
parte gli scherzi, vi chiedo di perdonarmi. Vi ho messi in pericolo e
proprio io dovrei essere quello più prudente."
Sanzo si
accese una sigaretta e lo corresse. "Scusati con te stesso,
piuttosto."
Si.
Ho molte cosa da farmi perdonare...
FINE
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