Deserving-1
Note
dell’autrice.
- L’ambientazione
di questa storia è l’Oltrepò pavese.
Nonostante i
nomi chiaramente giapponesi dei personaggi, volevo farli muovere in
Italia, visto che le fanfic di solito snobbano il Bel Paese, e anche
se all’inizio avevo optato per la classica Toscana, alla fine
ho
deciso di spostare il tutto in una zona a me familiare, così
da descrivere i paesaggi con più semplicità.
Ovviamente
sfrutto soltanto i nomi dei luoghi, e lascio totalmente perdere la
storia che li riguarda. Anzi, mi riservo il diritto di aumentare e
diminuire l’importanza dei singoli paesi.
Per ovvi
motivi, inoltre, fingerò che tutti parlino un italiano
corretto e probabilmente fin troppo moderno, ignorando il dialetto.
- La gerarchia
nobiliare prevede, in ordine di importanza decrescente: Duca, Conte,
Marchese.
- Ammetto
pubblicamente di aver tratto ispirazione da «Mistakes are
gonna
fade over time» per l’atmosfera.
- Sasuke mi è sfuggito pesantemente di mano.
Per questo c'è l'indicazione OOC.
Deserving
Gli zoccoli
dei cavalli al trotto lasciavano segni curvi sulla polvere della
strada.
Il sentiero,
largo poco più di due metri, si snodava dritto attraverso la
campagna coperta dal grano maturo, e in lontananza si alzavano le
prime propaggini dell’Appennino, morbide colline solcate dai
vigneti.
Nella calura
inclemente del primo agosto, sei cavalieri procedevano attraverso i
campi, schierati su due file parallele. I loro cavalli erano sudati,
ma ancora in forze: marroni e bianchi, digrignavano i denti sui morsi
nelle loro bocche e sbuffavano di tanto in tanto.
«Manca
ancora molto?»
Uno sbuffo
umano andò a sovrapporsi a quello del cavallo, con
incredibile
precisione.
Il ragazzo
biondo che cavalcava nella coppia centrale si issò sulle
staffe per sbirciare il percorso più avanti, asciugandosi il
sudore dalla fronte.
«Dobbiamo
arrivare ai piedi delle colline» rispose il compagno, i cui
capelli erano tanto scuri quanto chiari erano quelli
dell’altro.
«Ti conviene stare giù e non sprecare energie, ne
avremo
ancora per un paio d’ore»
«Avete
sete, mio signore?» chiese il cavaliere davanti al biondo,
voltandosi a guardarlo. La pelle chiara del suo viso, liscio e bello
tanto da farlo sembrare una ragazza, sembrava soffrire per il
solleone. «Nella bisaccia c’è ancora
dell’acqua»
disse, portando una mano alla sacchetta in cuoio che ondeggiava dai
finimenti del suo cavallo.
«No
Haku, lascia perdere» il ragazzo alle sue spalle sorrise,
rivelando un sorriso aperto e abbronzato. «Te la richiedo tra
un’ora, magari»
«Eccolo,
vuole di nuovo fare l’eroe!» sbuffò il
cavaliere alle
sue spalle, il più giovane di tutti. «Prendete
quell’acqua prima di svenire e cadere da cavallo! Sarebbe una
macchia sull’onore della vostra famiglia!»
«Non
sono così
stanco!» si indignò il biondo.
«E
io non capisco perché concedi ai tuoi servitori tante
libertà»
commentò il suo compagno, con un’occhiata severa
al
ragazzino che aveva parlato.
«Come
tratto chi mi accompagna sono affari miei...»
borbottò
lui incassando la testa tra le spalle. «E poi viaggiare con
Inari è molto più divertente che viaggiare con le
mummie che ti porti appresso»
Sia
il cavaliere davanti al moro che quello dietro lo fulminarono con lo
sguardo, nonostante il rango nettamente inferiore. Il loro signore
invece non si scompose più di tanto, ma fece affiorare un
ghigno all’angolo delle labbra.
«Mizuki,
Tazuna. Possiamo tollerare un simile affronto alla nobile casata
Uchiha?»
«No,
signore» rispose il vecchio alle sue spalle, con un sorriso
sghembo.
«E
allora mostriamogli che vale più l’esperienza
dell’umorismo»
Senza
preavviso l’uomo davanti a lui lanciò il cavallo
al galoppo,
subito imitato dai due che lo seguivano.
«Ehi!»
esclamò il biondo, trattenendo il cavallo che cercava di
scartare bruscamente. «Haku, accelera! Non possiamo farci
lasciare indietro!»
«Agli
ordini!»
Sotto
un cielo blu cobalto, sei cavalieri sollevavano la polvere
chiamandosi a gran voce.
Guardandoli,
nessuno avrebbe mai detto che il loro arrivo avrebbe portato tanto
scompiglio.
*
Erano
passati già tre giorni dall’arrivo del nuovo
signore a
Montebello.
Nonostante
il cognome del duca padrone di quelle terre fosse rimasto immutato,
tutto il resto stava cambiando rapidamente: mobilio, menù,
candelabri, persino il materasso e i cani da guardia venivano
sostituiti, e il personale sudava le proverbiali sette camicie per
eseguire ognuno degli ordini del nuovo signore.
Nella
fatica, tuttavia, cameriere e garzoni trovavano sempre il tempo per
commentare e spettegolare alle spalle degli Uchiha.
«Dicono
che abbia lasciato la sua proprietà nel piacentino in
amministrazione a un conte suo amico...»
«Non
ha aspettato niente per trasferirsi qui, nemmeno i funerali!»
«E’
l’ultimo erede di tutta la famiglia, vero?»
«Ha
ucciso il fratello con l’arsenico...»
«Allora
il nobile Itachi è davvero morto?»
«Se
fosse stato in vita, non avrebbe mai permesso a nessuno di entrare
nel suo palazzo con quell’aria da conquistatore!»
Sussurri
e bisbigli si rincorrevano lungo le stanze del palazzo, insieme ai
manovali che sudavano per far salire dagli scaloni guardaroba e
specchiere. Il vecchio attendente zittiva tutte le voci che gli
capitava di intercettare, ma le ali dell’edificio erano
troppe per
essere controllate in ogni istante.
E
così capitava che il giovane e avvenente padrone captasse
qualche sussurro inopportuno.
«Ma
quale arsenico?» ringhiò attraversando
l’ampio
terrazzo ad ovest, le code della giacca che sventolavano
nell’aria
calda. «Naruto!» chiamò
all’improvviso, cercando
con gli occhi assottigliati il compagno che si era portato dietro.
Alla
balaustra, appoggiato con aria noncurante e un bicchiere di moscato
tra le mani, un ragazzo biondo girò lo sguardo e
sogghignò.
Senza dire una parola, gli fece segno di stare zitto e raggiungerlo.
Come
se fosse dell’umore adatto per i suoi stupidi scherzi.
Tuttavia
obbedì, il perché non lo sapeva nemmeno lui, e
andò
ad affiancarlo con aria stizzita.
«Che
c’è?» sbottò piantando i
gomiti sulla ringhiera
in ferro battuto.
«Guarda,
Sasuke» ridacchiò il compagno, additando
l’ampio viale
che dava accesso alla villa e scendeva per un pendio dolce e ben
curato.
All’inizio
della strada, ancora nella piazzetta antistante il palazzo,
c’erano
due giovani e un cavallo. Uno dei due, il ragazzo, carezzava i
fianchi dell’animale con aria da uomo di mondo; la cameriera
davanti a lui invece rideva per qualcosa che aveva sentito,
sistemando ogni due minuti un ciuffo di capelli sfuggente.
«Inari
si sta dando da fare» commentò Naruto,
sorseggiando il
suo moscato con aria compiaciuta.
Sasuke
gli scoccò un’occhiata irritata.
«Sì,
molto interessante» sibilò asciutto.
«Mh?
C’è qualcosa che non va? Sei più acido
del solito, il
che è tutto dire» Naruto inarcò un
sopracciglio,
e Sasuke sbuffò.
«Dovrei
cambiare anche tutta la servitù»
bofonchiò
passandosi una mano tra i capelli sudati.
«Ahh...
spettegolano!» comprese Naruto, voltandosi e appoggiando la
schiena alla ringhiera. «Beh, dopotutto è normale.
Non
credo che i dettagli sulla morte di tuo fratello siano già
arrivati fin qui»
«Mi
danno dell’avvelenatore!» biascicò
Sasuke indignato.
«Come se avessi strisciato nella sua camera per mettergli
l’arsenico nel vino!»
Naruto
ridacchiò, e lui lo fulminò con lo sguardo.
«Scusa»
si affrettò a dire, tossicchiando. «E’
che cercavo di
immaginarti mentre strisciavi,
tutto impomatato e profumato come sei»
«Idiota»
ringhiò Sasuke.
Naruto
si strinse nelle spalle con noncuranza, e sbadigliando lo
rassicurò:
«Smetteranno di parlare, se hanno caro il loro
stipendio»
«Che
smettano in fretta, allora»
«Sì,
va beh, lasciali divertire nell’unico modo che possono! E a
proposito di divertimento... Come siamo messi con il
ricevimento?»
Sasuke
si strinse nelle spalle, improvvisamente apatico. «Non ne ho
idea, chiedi all’attendente»
«L’idea
di una festa non ti solletica affatto, vero?»
ridacchiò
Naruto, svuotando il suo bicchiere.
«Per
niente» confermò Sasuke, cupo.
«Ma
è tradizione! Ad ogni nuovo insediamento il padrone deve
dare
un ricevimento per conoscere i suoi nuovi vicini!»
«Li
conosco già tutti»
«Davvero?»
Gli
occhi di Sasuke si fecero sfuggenti, come ogni volta che
inavvertitamente parlava del passato.
«Sì»
troncò, scarno, e Naruto avvertì la chiara
sensazione
di un muro eretto in fretta e furia tra di loro.
«Mh...
Almeno sono simpatici?» buttò lì per
cambiare
discorso.
Il
grugnito di Sasuke fu abbastanza eloquente da farlo scoppiare a
ridere.
«Devono
essere fenomenali!» commentò con una pesante pacca
sulla
spalla dell’altro. «In fondo anche se ti
chiedessero di me
storceresti il naso»
«Veramente
mi domando ancora perché mi sono lasciato convincere a
portarti qui»
«Perché
ti ho assillato quasi un mese per una villeggiatura in campagna, mi
sembra ovvio!»
Sasuke
sbuffò, crollando il capo.
«E
sempre grazie a me darai la festa migliore degli ultimi cento
anni»
aggiunse Naruto gioviale. «Vedrai Sasuke, vedrai! Non
lascerò
che tu abbia nulla di che pentirti, finché sarò
con
te!»
E
Naruto mantenne la promessa, per lo meno la prima.
Il
ricevimento che si premurò di organizzare ebbe una risonanza
vastissima, fece nascere discussioni e commenti anche a distanza di
chilometri, arrivando fino alle Alpi e oltrepassando gli Appennini.
Dal
momento che Sasuke gli aveva lasciato carta bianca, rifiutandosi di
mettere anche solo un’unghia in quella che definiva la
formalità
più seccante della sua vita, Naruto si ritenne autorizzato a
dar fondo ad ogni riserva del ducato, procurandosi cibo e vivande a
non finire, mobilitando l’intera campagna e visitando
personalmente
metà delle cantine e delle fattorie da cui prelevava le
vettovaglie.
Tutti,
dalla massaia in carne al ragazzetto delle consegne, lo videro
caracollare sul suo cavallo chiaro, insieme ai due giovani che lo
accompagnavano e a una guida del palazzo, e tutti, chi più e
chi meno, finirono per scambiare due parole con lui.
Il
risultato fu che prima della festa metà pianura riteneva che
Sasuke avesse inclinazioni da pederasta.
«Tu,
brutto imbecille di un idiota!» gridò Sasuke
quando la
prima voce raggiunse il suo delicato e nobile orecchio. «Che
diamine vai a dire per il ducato?!»
«Eh?
Io?» fece Naruto con aria ingenua, in quel momento a torso
nudo
nelle sue stanze. Un catino di acqua tiepida era posato sul tavolino
pregiato, illuminato dai raggi del primo sole, e un asciugamano
morbido era lì accanto.
«Le
voci Naruto, le
voci!»
ringhiò Sasuke, attraversando la stanza a grandi passi.
«Ahh,
quello!» si illuminò lui, immergendo la testa nel
catino. Quando si tirò su i capelli bagnati gli si
appiccicarono alla fronte, e da sotto le ciocche grondanti rivolse
all’altro un sorrisino sghembo. «Non è
colpa mia se
quaggiù sono tutti un po’ ingenui. Dal loro punto
di vista
stare in compagnia dopo le dieci di sera è pura
perversione»
Sasuke
lo incenerì con gli occhi, passandosi le mani tra i capelli.
«Tu
sei un imbecille!» inveì, furibondo.
«Già
la mia reputazione prevede l’aggettivo assassino, se
aggiungiamo
anche pederasta non durerò un solo istante come signore di
queste terre!»
«Oh,
quante storie» sbuffò Naruto, afferrando
l’asciugamano
e frizionandosi energicamente il viso. «Tanto entro la fine
della settimana succederà qualcos’altro, e tu
verrai
dimenticato»
«Qui
le cose non funzionano come in città! A Bologna gli scandali
erano all’ordine del giorno, ma in campagna sono la fonte di
intrattenimento dei contadini per anni!»
«Se
vuoi te lo creo io uno scandalo. Vado a rubare un paio di
mucche?»
propose Naruto generosamente.
«Lascia
stare, idiota!» sbottò Sasuke esasperato.
«Ehi,
la mia era una proposta seria»
«E’
proprio questo il pericolo... Ora vestiti, hai ancora gli ultimi
dettagli da controllare, alle cinque inizieranno ad arrivare gli
invitati!»
E
prima che Naruto potesse insinuare che Sasuke si interessasse alla
festa, lui sparì fuori dalla stanza, ancora con un diavolo
per
capello.
Se
i primi ospiti arrivarono alle cinque di pomeriggio, gli ultimi
fecero il loro ingresso mentre il sole moriva incendiando i campi, e
portando nella tomba un po’ dell’arsura che aveva
sparso
abbondantemente durante la giornata.
Quando
i domestici al cancello videro fermarsi la carrozza scura, furono
sorpresi nel riconoscere lo stemma che ne decorava un intero fianco.
Furono sorpresi e spaventati, per la precisione.
D’altronde,
il serpente grigio avvolto attorno a una corona era un simbolo sin
troppo noto, da Torino a Napoli.
Lo
sportello si aprì silenziosamente al tocco del valletto, e
una
mano bianca e scarna si posò sull’ebano nero,
stringendo le
dita affusolate con grazia quasi ferina.
Un
uomo alto e nodoso si issò sul predellino, facendo vagare
tutt’attorno gli occhi dorati, innaturalmente chiari, e
lentamente
scese fino a terra, lasciando che la carrozza ondeggiasse debolmente.
Aveva capelli lunghi e neri, raccolti in una coda bassa, e la pelle
candida e fin troppo liscia.
«Ebbene?»
sibilò con un sorriso rigido, quando vide i domestici che lo
fissavano impalati. «Non raccogliete il mio
cappotto?»
Quelli
si riscossero all’improvviso, e uno si affrettò a
raggiungere il nuovo arrivato e a prendere con mano tremante la
giacca di daino che gli veniva porta, giacca impensabile per
chiunque, considerato il caldo, ma non per l’uomo dagli occhi
dorati.
«Grazie»
sussurrò quest’ultimo, in tono di scherno, e
rivolse uno
sguardo alla carrozza. «Kabuto» chiamò
freddo, e
dall’interno ombroso si fece avanti un ragazzo dai capelli
precocemente ingrigiti, con un paio di curiosi occhiali di vetro in
bilico sul naso.
«Mio
signore Orochimaru, avete dimenticato il vostro orologio»
disse
premuroso, scendendo dalla carrozza e porgendo all’uomo che
accompagnava un orologio in oro massiccio, con catena.
«Oh,
hai ragione» commentò quello, prendendolo dalle
sue mani
e sistemandolo con noncuranza. «Forza, ora andiamo. Siamo
notevolmente in ritardo»
I
domestici si fecero bruscamente da parte mentre lui passava, senza
più degnarli della sua attenzione. I suoi occhi felini erano
fissi sulle torce che illuminavano il viale principale e,
più
oltre, sulla villa da cui veniva il suono leggero di un valzer.
«Credo
che ci siano tutti» commentò Sasuke giocherellando
nervoso con un polsino.
«E
come fai a dirlo? Sei arrivato solo ora» ribatté
Naruto,
sollevando verso di lui il calice di spumante che teneva in mano.
«E
il mio salone è pieno. Ed è tardi. E i cuochi in
cucina
sono pronti. Quindi ci sono tutti» sintetizzò
Sasuke,
palesemente a disagio.
«Uh,
non fa una piega!» ridacchiò Naruto sarcastico.
Fermi
in cima allo scalone in marmo rosa, i due guardavano gli invitati che
bevevano spumante al di sotto, avvolti nei loro abiti migliori e
circondati da nubi di profumo.
«Trovati
una donna e smetti di bere» fu il commento disgustato
dell’Uchiha.
«Nh,
una l’ho intravista, forse, biondina... ma non ne sono tanto
sicuro, sembrava un po’ troppo dispotica»
«Bionda?»
Sasuke fece mente locale. «Ah, potrebbe essere la figlia dei
conti Yamanaka: dicono sia diventata una ragazza piacente»
«Piacente?
Diamine, con quello che ha addosso quella figliola ci starei bene una
vita intera!»
«Non
se il suo carattere è rimasto invariato...»
«Conosci
anche lei?»
Sasuke si strinse nelle
spalle, quasi
ingobbendosi su sé stesso.
«Faccio
annunciare la cena» svicolò rapido, dando le
spalle a
Naruto.
Ma
prima che potesse allontanarsi fu bloccato dalla sua mano sulla
spalla.
«Aspetta
un attimo. Io non ho invitato lui!»
esclamò sorpreso.
Sasuke
si accigliò, voltandosi, e oltre la balaustra chiara vide il
piano inferiore e il salone, fino all’ingresso. Davanti alla
soglia, un uomo dall’incarnato cereo si guardava attorno
lentamente, accompagnato da un ragazzo con i capelli grigi.
«Ma
che diavolo ci fa qui?» sussurrò Sasuke,
irrigidendosi
all’improvviso.
«E’
Orochimaru, vero?» chiese conferma Naruto, incupendosi, e
scoccò un’occhiata indagatrice al compagno.
«Perché
uno come lui è nel ducato? Quando l’hai
incontrato, a
Torino? E cosa ha a che fare con te?»
L’Uchiha
si fece improvvisamente di marmo, serrando le labbra.
«Niente»
sibilò stringato, e con uno scossone si liberò
della
mano di Naruto sulla sua spalla.
Sentì
il suo richiamo dietro la schiena, ma lo ignorò e scese i
gradini in fretta, facendo risuonare i tacchi sul marmo levigato.
Arrivò al pianterreno, nervoso, e avanzò senza
curarsi
dei cenni degli invitati e dei loro tentativi di attaccar bottone,
gli occhi neri fissi sull’ingresso.
“Perché
è qui?” si chiese, furente. “Come ha
saputo del
ricevimento? Le voci non possono essere arrivate fino alla corte dei
Savoia, a meno che Naruto non sia stato tanto idiota da...!”
Si
divincolò dal semi-accerchiamento di un nutrito gruppo di
madri in cerca di genero facoltoso, e finalmente incrociò lo
sguardo di Orochimaru.
Bastò
un solo istante perché le labbra sottili dell’uomo
si
incurvassero in un sorriso.
E
Sasuke seppe che era una minaccia.
«Splendido
ricevimento, duca»
salutò Orochimaru quando Sasuke lo ebbe raggiunto.
«Che
fate qui?» sibilò lui, chiaramente teso.
«Ho
sentito del vostro insediamento, duca»
commentò l’altro, velenoso e mielato insieme.
«Mi è
sembrato doveroso passare a rivolgervi i miei rispetti... dopotutto
abbiamo avuto un rapporto piuttosto stretto, di recente»
Sasuke
si guardò intorno rapido, constatando che nessuno era
abbastanza vicino per origliare. Ma quando spinse lo sguardo fino
alla balaustra della scalinata, vide Naruto che lo fissava con
insistenza, e un brivido d’allarme gli corse lungo la schiena.
«Non
qui» disse in fretta, contrito.
«Seguitemi»
Orochimaru
non si oppose, freddo e pacato com’era. Gettò
un’occhiata
rapida nel punto in cui aveva guardato Sasuke, e per un attimo, alla
vista del ragazzo biondo che lo fissava dall’alto, nei suoi
occhi
passò un brillio di sorpresa, che fu subito soffocato dal
solito gelo.
E
quindi seguì Sasuke, che camminava rapido verso le stanze
della servitù.
“In
che pasticcio si è andato a cacciare?”
pensò Naruto
nervosamente, svuotando il suo calice.
Fece
scorrere uno sguardo distratto sulla folla al di sotto, e per un
attimo si soffermò sulla porta quasi invisibile,
nell’atrio,
che conduceva alle cucine e ai locali dei domestici. Sentiva le mani
formicolare, e aveva una mezza idea di andare a spiare... Ma Sasuke
lo avrebbe ucciso. E non metaforicamente.
Inspirò
a fondo, cercando di darsi una calmata.
“Sasuke
non è un bambino né uno sprovveduto” si
disse.
“Probabilmente mi preoccupo per nulla, non è tipo
da
infilarsi in guai troppo grossi”
Eppure
non smetteva di essere inquieto.
Sapeva
fin troppo di Orochimaru e del genere di affari di cui si occupava:
era uno di quei personaggi poco raccomandabili che bazzicavano la
corte e risolvevano i pasticci degli altri, e la maggior parte delle
volte le sue soluzioni prevedevano qualche morto. Di solito a lui si
rivolgeva chi aveva già toccato il fondo e non sapeva
più
come uscire da qualche guaio.
E
allora perché Sasuke...?
Non
riuscì a concludere il pensiero, che il rumore di un
bicchiere
in frantumi lo fece trasalire.
«Oh,
m-mi dispiace... I-Io non volevo, non intendevo...»
balbettò
una voce spaventata, in un angolo del salone.
Accanto
al quartetto d’archi che per un attimo aveva smesso di
suonare, una
ragazza dai capelli nerissimi era chinata a terra e tendeva le mani
verso i cocci di vetro, con il viso arrossato.
«No!
Ti graffierai!» esclamò un’altra,
fermandola un attimo
prima che raggiungesse il pavimento.
E
quando Naruto la vide alzare il viso, decise che quegli occhi verdi
meritavano una maggior considerazione.
Gettò
un ultimo sguardo alla porta dietro la quale erano scomparsi Sasuke e
Orochimaru, e poi di nuovo alla ragazza dai capelli rossi, quasi rosa
sotto le luci soffuse, che aveva fermato l’altra. Un leggero
sorriso gli incurvò le labbra, furbo.
Adocchiò
un cameriere che si aggirava con il vassoio dello spumante, e decise
che se ne sarebbe procurato altri due calici.
In
quello stesso momento Sasuke camminava veloce attraverso le cucine,
cercando invano un luogo appartato.
Sentiva
la presenza di Orochimaru alle sue spalle come una sanguisuga gelida
attaccata alla schiena, e il sudore correva sulla sua pelle per la
tensione.
Alla
fine, esasperato dagli infiniti domestici che incontravano e che li
fissavano sbalorditi e preoccupati, decise di prendere la via
dell’orto, e uscì nel buio della sera.
«Luogo
ameno, nevvero?» commentò Orochimaru quando
finalmente
si fermarono lungo un sentiero, tra le zucchine e i pomodori. Da
qualche parte i grilli frinivano, e lucciole vaghe si posavano sulle
foglie e riprendevano il volo.
«Perché
siete qui?» scattò subito Sasuke, allentando il
colletto
della camicia con un dito. «Mi sembrava di essere stato
abbastanza chiaro con voi!»
Anche
nel buio, il sorriso di Orochimaru brillò sinistramente.
«Chiaro,
dite?» ripeté freddo. «I miei ricordi
sono
diversi, se permettete. I miei ricordi vedono voi che chiedete un
servigio a me, ma non voi che pagate per tale servigio»
«Alla
fine avevamo abbandonato il progetto!» inveì
Sasuke.
«Ma
io avevo fatto ogni preparativo» rispose Orochimaru pacato.
Più
l’Uchiha si alterava, più lui sembrava sereno e a
suo agio.
«Non
avevate parlato di nulla di simile!» sibilò
furente.
«La
morte di vostro fratello è avvenuta prima di quanto
prevedessi» Orochimaru fece un cenno vago, annoiato.
«Avevamo
stabilito che cadesse da cavallo, se ben ricordo, ma il giorno prima
della data designata voi avete avuto la brillante idea di sfidarlo a
duello e uscirne vincitore. Nonostante le vostre intenzioni di
sciogliere il nostro contratto, pensavo che mantenerlo integro
sarebbe stata cosa a voi gradita. Ma ahimé,
all’ultimo
istante sono venute a mancare le condizioni di base, e la vostra fuga
precipitosa dal piacentino mi ha impedito di ricordarvi che i nostri
accordi erano ancora validi»
«L’avevo
sciolto!» lo interruppe Sasuke, stringendo i pugni.
«Ero
venuto da voi e vi avevo detto di scioglierlo! Vi avevo anche pagato
per il disturbo!»
Orochimaru
sorrise gentilmente.
«Per
quel
disturbo, per ciò che avevo preparato fino a quel
momento»
spiegò con voce vellutata. «Non per gli oneri
successivi, che sono stati assai più ingenti»
Sasuke
aprì la bocca, e la richiuse. Si passò una mano
sulla
fronte, sfregando le dita sulla ruga che la solcava, e poi
fissò
Orochimaru, trattenendo a stento la rabbia. Intravide alle sue spalle
il valletto che lo accompagnava sempre, e si rese conto che anche se
avesse voluto tentare, non sarebbe mai uscito vincitore da
un’eventuale colluttazione.
«Non
avrete un soldo di più, da me» ringhiò
allora,
frustrato.
Come
per ogni nobile del circondario, l’ammontare delle sue
finanze era
soltanto una montatura: sia la proprietà nel piacentino che
quella nel pavese erano gravate da debiti più o meno
pesanti,
e le prospettive non erano certo delle migliori.
Ma
Orochimaru gli rivolse una risatina bassa e stranamente pacata.
«Non
temete, non voglio certo del denaro» sussurrò, nel
buio.
Sasuke
rimase interdetto.
«E
allora cosa volete?» domandò confuso.
«Il
vostro matrimonio»
«Prego?»
«Ho
un piccolo debito nei confronti degli Hyuuga, immagino li
conosciate»
spiegò Orochimaru. «Questa sera sono tra gli
invitati, e
si dà il caso che abbiano una figlia in età da
marito.
Per quanto i loro possedimenti siano estesi, il loro titolo
è
soltanto quello di conti, e sarebbero molto lieti di unire le sorti
della loro famiglia alla nobile casata dei duca Uchiha»
Sasuke
sbatté le palpebre, a bocca aperta.
«Dovrei
sposare l’erede degli Hyuuga?» allibì.
«Quella
scialba ragazzina incapace di mettere insieme due parole?»
«Dicono
che il dono migliore sia quello del silenzio» sorrise
Orochimaru.
«Ma...
Ma che razza di proposta è?» chiese Sasuke
sconcertato e
furioso.
«Non
è una proposta» il sorriso scemò sul
volto
pallido. «E’ un consiglio. Un consiglio che terrei
particolarmente in considerazione, se fossi in voi»
Sasuke
aprì e chiuse i pugni, in fermento.
Un
matrimonio di convenienza con la figlia degli Hyuuga,
l’insipida
ragazzina della quale conosceva a malapena il nome, oppure...
«Se
mi rifiutassi?» osò chiedere, rigido.
«Non
è contemplato un rifiuto» rispose Orochimaru,
immobile.
Il
che era sinonimo di arsenico, prima causa di mortalità tra i
nobili della corte a Torino.
Sasuke
si tormentò i palmi delle mani con le unghie, respirando
pesantemente.
Ora
che aveva finalmente vendicato la scomparsa dei suoi famigliari ad
opera di Itachi, ora che gli aveva impedito di mettere le mani
sull’intero patrimonio e si era trovato a capo dei resti del
casato, ora che iniziava a pensare di guardare avanti e ricostruirsi
una vita, ecco che l’ennesimo ostacolo gli si parava sul
cammino.
E
ancora una volta non era un ostacolo aggirabile.
“Sposarsi...”
si trovò a pensare, con una punta di rammarico.
Ma
prima che i suoi pensieri prendessero una piega nostalgica, la voce
di Orochimaru lo riportò bruscamente alla realtà.
«Naturalmente
non pretendo una risposta immediata» disse riprendendo a
sorridere. «Ma mi auguro che ci penserete abbastanza
intensamente da darmi la vostra risposta entro tre giorni. Oh, e
spero che sia positiva. Lo spero intensamente»
Sasuke
dovette mordersi la lingua per non sputargli ai piedi.
Ma
aveva le mani legate. Con Orochimaru, chiunque aveva le mani legate.
«Mi
dispiace, non credo di potermi trattenere per il ricevimento»
riprese lui in tono discorsivo, ora molto più asciutto.
«Vi
faccio le mie congratulazioni e i migliori auguri per il futuro,
duca. Ora mi perdonerete se vi chiedo di congedarmi: ho una tenuta
oltre il Po, e conto di raggiungerla entro la mezzanotte»
«Prego»
sibilò Sasuke, velenoso.
«Ah,
un’ultima cosa» aggiunse Orochimaru, giocherellando
con
l’anello nero che gli circondava l’indice.
«Ho notato tra i
vostri ospiti il nipote del Re» Sasuke si
irrigidì.
«Conoscendo la sua spiccata attitudine
all’impulsività,
vi consiglio di ricordare che il nostro piccolo accordo potrebbe
estendersi anche a lui, con onori e soprattutto oneri, se dovesse
cercare di aprir bocca su questa faccenda. Naturalmente confido che
certe conversazioni restino segrete, ma ci tengo a mettervi in
guardia da subito... Non vorremmo mai che gli capitasse qualcosa di
spiacevole, nevvero?»
Sasuke
fremette.
«Via»
sibilò, pericolosamente vicino a perdere il controllo.
«Andate
via!» gridò alla fine, sovrastando il frinire dei
grilli
e tagliando l’aria spessa di agosto.
Orochimaru
sorrise, sornione.
«Vi
auguro una buona serata, duca»
Quando
rientrò nel salone, Sasuke non vide nemmeno gli sguardi
degli
invitati che si posavano sul suo viso arrossato e sul colletto
scomposto della camicia. Con il cuore in subbuglio,
attraversò
il pavimento di marmo e cercò Naruto, colto da
un’ansia
immotivata.
Guardò
in cima allo scalone, ma lo trovò deserto. Allora
girò
su se stesso, tentando di individuare la sua testa bionda tra quelle
degli invitati, ma all’improvviso sembrava che
l’intero vicinato
fosse composto di tedeschi in villeggiatura.
Poi,
tutt’a un tratto, sentì la sua risata levarsi al
di sopra
del quartetto d’archi. E lo vide, accanto alla piattaforma su
cui
suonavano, circondato da un piccolo gruppo di ragazze in abiti color
pastello, con un calice di moscato che seguiva il gesticolare della
mano.
La
sua prima reazione fu il sollievo. Un sollievo sconfinato, profondo
e, ora che ci pensava, immotivato.
Dopotutto
non è che gli stesse poi tanto simpatico quel Naruto.
Insomma,
non si può dire di no all’amicizia del nipote del
Re, ma la
sua era più che altro una sopportazione obbligata. Era
troppo
chiassoso, troppo impulsivo, troppo esuberante, troppo... troppo
biondo, persino.
E
nonostante ciò, se Orochimaru gli avesse fatto del male
Sasuke
non se lo sarebbe perdonato.
Naruto
era troppo bianco
per
restare coinvolto nei suoi problemi.
Con
un sospiro profondo, risistemò il colletto della camicia e
cercò di darsi un tono.
«Sasuke!»
chiamò in quel momento Naruto, incrociando il suo sguardo.
«Unisciti a noi!»
Lui
si accigliò, restio di fronte alla compagnia tutta
femminile.
Intravide Hinata Hyuuga dietro le spalle di Naruto, e la sua ansia di
raggiungerli scemò visibilmente.
Finché
non gli cadde l’occhio sulla ragazza alla destra di Hinata. E
allora si irrigidì di colpo.
«Dai,
vieni!» insisté Naruto, scusandosi con la
compagnia e
raggiungendolo. «Che figure mi fai fare?» gli
sibilò
impaziente. «Ho detto a tutte che eravamo praticamente
fratelli, non puoi piantarmi in asso ora!»
«L’idea
della festa è stata tua» ribatté Sasuke
asciutto,
fissando ostinatamente uno dei candelabri alla parete. «Io ho
fornito solo i locali»
«Ma
la festa è in tuo
onore!» esasperato, Naruto gli piazzò in mano il
suo
calice di moscato. «Non fare il solito scorbutico! Un
po’ di
aura di mistero va anche bene, ma a tutto c’è un
limite!»
«Smettila!»
sbottò lui, irritato. «Io non posso venire
lì!»
«Non
puoi?» chiese Naruto, perplesso. «E cosa te lo
impedirebbe, di grazia?» aggiunse sarcastico.
Gli
occhi di Sasuke sfrecciarono rapidi alla ragazza dai capelli rossi
ancora accanto a Hinata. Per un attimo incrociarono quelli verdi di
lei, ma li videro ritrarsi subito, fingendo di prestare attenzione a
ciò che diceva la bionda che sussurrava guardandoli.
«Non
posso, e basta» disse stringato, serrando le dita attorno al
vetro fragile del calice.
Con
un gesto brusco lo rimise in mano a Naruto, e poi gli voltò
le
spalle e si allontanò prima che potesse ribattere.
Continua
Allora, questo doveva essere
un regalo di compleanno.
Per
ieri.
Doveva essere una one-shot.
E'
diventata una long-fic di media lunghezza.
Doveva essere una SasuSaku.
In
teoria la è ancora, ma mi
sa che ci saranno triangoli strambi, e comunque Sakura a malapena si
vede in questo capitolo! (è inutile, non posso
scrivere di loro e basta!)
Ma che
diavolo ho combinato?
Persino
il layout fa davvero schifo!
Ad ogni modo, auguri sammy1987! Con
un giorno di ritardo, lo so, con un regalo imperfetto, so anche questo,
ma ti faccio i miei più sentiti auguri! >_<
L'intera fic
è dedicata a te!
Ayachan
PS: gli aggiornamenti
saranno più lenti di quelli cui siete
abituati! Diciamo che il prossimo capitolo è tra una
settimana,
eh? XD
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