Rimetteremo insieme tutti i pezzi.
Se mai esisteva una cosa
certa, quella era assolutamente la stranezza di Zacky.
A molte persone
l’elemento atmosferico influisce sullo stato emotivo, ad esempio nubi grigie
topo tendenti al nero, aria fredda o nebbia mattutina crea una sensazione di
disagio, stress, amarezza; ma per Zacky non era
affatto così, non lo era mai stato.
Probabilmente perché lui
viveva i propri sentimenti indipendentemente dal tempo o perché ancora più
semplicemente, tutto dipendeva da come passava le notti insonni, dalla quantità
di pensieri che ronzavano nella sua testa stordendolo, o dal soggetto dei suoi
pensieri, e questa era la parte peggiore.
Stava lavorando sodo
ultimamente, sforzando ogni singolo neurone per comporre e rimanere attento ad
ogni singolo particolare, nonostante la stanchezza si facesse sentire, sia per
le ore di sonno mancate, sia per l’estenuante peso che percepiva accarezzando
con i polpastrelli la maniglia dello studio.
Si sentiva
incredibilmente stupido a volte, perché non credeva di farcela. Credeva di non
riuscire ad arrivare a fine serata intatto e senza nessuna ferita riaperta, perché
per quanto il mondo potesse andare avanti, certi pensieri non cambiano, mai.
Anzi, peggiorano in alcuni casi.
E difatti, il rimanere
intatto, non accadeva mai.
Il testo di St. James
era stato l’appiglio per iniziare un nuovo album, l’inizio di una scalata verso
la “liberazione dalle tenebre”. Era certo che Jimmy, in qualche modo,
detestasse tutta quell’amarezza e tristezza che girava attorno al suo nome,
Jimmy era il sole, l’allegria, la gioia.
Jimmy era il sole nella
sua vita, tante volte lo aveva rialzato, era il raggio di sole nel tunnel buio
e, proprio per questo la sua improvvisa scomparsa aveva creato un odio
involontario in Zacky, aveva creato solitudine, una
voragine.
E se prima Zacky detestava il sole, adesso lo odiava completamente.
Quando erano rientrati
in studio, tutti fra le mani stringevano un pezzo di carta con il titolo ‘St.
James’, Brian aveva addirittura pregato tutti, uno ad uno, di leggerlo
attentamente perché in caso mancasse qualcosa bisognava aggiungerla, era la
storia di Jimmy e, per quanto potesse essere certo di aver scritto tutto ( a
meno che la sua memoria non facesse cilecca), una controllatina
non guastava.
Zacky non aveva fatto nemmeno in tempo a fare una
fotocopia di quel testo dalla calligrafia piccola, stretta e disordinata, perché
Brian lo aveva anticipato, stranamente anticipato. Ma nonostante ciò, non aveva
letto una singola parola di quel testo, non ci riusciva.
Non l’aveva mai
confessato a nessuno, in primis alla band ma anche alla sua stessa famiglia:
lui non aveva superato nulla.
Continuava ad avere
incubi e per non averne spesso assumeva pastiglie, gocce e caffè in quantità
industriale solo per non varcare la soglia della camera da letto.
Aveva paura, aveva paura
di svegliarsi di scatto, sudando freddo, in un letto ora mai vuoto, paura di
svegliarsi respirando a fatica non ricevendo una molecola di ossigeno in cambio.
I ragazzi notavano tutto
di Zacky, ma spesso non andavano oltre, forse per
disinteressamento o semplicemente per non varcare un confine da lui stesso
tracciato, in realtà c’erano davvero tante e, tante cose che i ragazzi non
sapevano, come la motivazione della sua costante insonnia, o della giacca
impolverata di Jimmy sull’attaccapanni, o ancora peggio la chitarra di specchio
rotta, distrutta, frantumata. E quest’ultima lo rispecchiava e rispecchiava
totalmente il suo stato d’animo, ma non lo avrebbe mai detto.
Era una giornata afosa
ad Huntington Beach, un sole atroce che spaccava le
pietre ed un aria talmente calda che ci si poteva cucinare le uova.
Il telefono di Zacky era da circa ore che non cessava di suonare e lui era
da altrettante ore che ignorava tutto ciò. Questo errore l’avrebbe pagato caro,
ma proprio non aveva le forze.
Fissava inespressivo,
seduto sulla poltrona rossa, la chitarra in mille pezzi, poggiata sul tavolo
della sala; anche i suoi cani sapevano che in quei momenti era meglio non
interrompere il flusso dei suoi pensieri, ma mentalmente ringraziò che i suoi
cani fossero con lui in quella giornata particolare, un giornata fatta apposta
per annegare in un silenzio ovattato.
A differenza di tante
altre persone, lui non voleva essere salvato, aiutato e tantomeno non voleva
parlarne.
Il muso umido del suo
alano color tortora, gli sfiorò il mignolo e, notò con grande dolcezza che la
sua cucciola, un po’ troppo ingombrante, gli aveva portato un foglio spiegazzato.
Lo prese, evitando schizzinosamente le parti ricoperte di saliva, scoprendone
il testo di St. James, aprì totalmente il foglio prendendo un respiro profondo
e promettendosi di leggerlo tutto, per la mia volta.
Si poteva sanguinare dentro?
Si poteva morire continuando a vivere?
Si poteva essere così tanto incazzati con il
destino? Che per giunta noi stessi tracciamo?
Si dovrebbe rispondere di no, eppure era un sì.
Era un brutale e sanguinoso sì.
Una guerra persa in partenza, un cuore
ridotto in polvere. Un ricorrente incubo reale.
Aprì la porta d’ingresso con un calcio, troppa
rabbia, rancore, amarezza, delusione, solitudine.
Una voragine, un vuoto.
I singhiozzi non cessavano, anzi aumentavano.
Lo avevano spedito sotto terra, a marcire.
Lo avevano abbandonato, no anzi, lui aveva
abbandonato loro.
Imprevedibile, incontrollabile, arrabbiato,
no anzi incazzato. Ecco cos’era. Era nero.
Livido di rabbia, abbandonato a se stesso,
con gli occhi rossi che bruciavano, lacrime salate. Lacrime di disperazione.
Non era accaduto davvero, no, era un incubo,
uno di quegl’incubi che riviveva giorno e notte.
Quella bara non poteva aver toccato il fondo,
non poteva aver sentito quel rumore tonfo.
Dovevano morire tutti, lui in primis.
Dovevano sparire tutti, lui in primi.
Sbatté la testa alla parete, mugolando dal
dolore che sentiva dentro.
Prese con rabbia la chitarra, appoggiata sul
sofà e la lanciò per terra.
No, non bastava.
La riprese, gridando con tutta la forza di
aveva, facendo uscire uno stridulo urlo disperato.
Quello non era dolore, quella era la morte. La
sua morte.
Lanciò ripetutamente la chitarra sul
pavimento, corde che saltavano, pezzi di legno che diventavano schegge mortali,
vetri che volavano in aria.
- Zacky..-
Era tutto così dannatamente reale, si
riscosse singhiozzando appena.
Alzò lo sguardo incrociando, lo sguardo
profondo di Brian.
Uno sguardo preoccupato, ferito, in netto
contrasto con la disperazione di Zacky.
Brian si sedette sul divano in pelle, al
fianco della poltrona.
- Non mi ricordavo com’era vedere piangere
qualcuno, sai da quel giorno è come se avessi bandito il pianto di uno di noi -
Zacky lo fissò attentamente, notando un luccichio nei suoi
occhi.
- Posso solo dirgli grazie per.. per essere
stato la mia luce nel buio, la mia ancora di salvezza, il sorriso dopo, dopo le
lacrime. Lui..– Brian strozzò un singhiozzo abbassando la testa – Mi completava.
Era la certezza che mi spingeva ad affrontare il mondo perché, ero certo che se
avessi fallito lui era, lì, al nostro bar preferito ad aspettarmi. Con lui
anche il silenzio era musica e, invece sai cosa sento adesso?-
Zacky scosse la testa strofinandosi gli occhi.
- Nulla – Brian tirò su col naso, passandosi
il braccio sul viso. - Per questo ho scritto St. James. Avevo bisogno di dare
un ritmo ai suoi ricordi.-
-E come sono questi ricordi?- sussurrò il
castano.
- Sono Jimmy, non esiste altra descrizione.-
Matt fece capolino nella sala, lanciando le
chiavi della macchina addosso a Brian.
- Prima di prendere la bellissima decisione
di non rispondere al telefono potresti avvisare, intendo il giorno prima, sai
mi hai fatto prendere un infarto e, voglio precisare che sono un padre, mio
figlio rischiava di rimanere orfano di un genitore e sai la cosa brutta? Non si
sarebbe ricordato della mia faccia dato che ha quattordici mesi –
Brian rise di gusto giocando con le chiavi
della macchina, ora che prestava più attenzione era la sua macchina.
- Sono arrivati i rinforzi! -
Johnny piombò nella sala con due cassette di
birra, Matt fissò incredulo le casse che il suo amico aveva fra le mani.
- Prima che tu possa dire qualcosa, mio
carissimo neopapà, voglio precisare che anche tuo figlio andrà giù pesante di
alcol e lo zio Johnny farà di tutto e, sottolineo tutto, per far si che accada.
Tuo figlio sarà un alcolizzato, proprio come me. -
Ma prima che Matt replicasse, Johnny aveva
già iniziato a distribuire birra.
- Perciò è questa la chitarra? -
Zacky annuì lentamente soffiandosi il naso, Matt si schiarì la
voce alzandosi andando verso la chitarra prendendola delicatamente, stando
attento a tutti i pezzi, per posarla sul tavolino di fronte alle loro
postazioni sul divano.
- Beh, adesso? -
Johnny guardò, uno ad uno, attento alla
risposta, anche se inconsciamente sapeva con certezza la risposta di Matt.
- Picchieremo la porchetta per non averci
detto nulla in questi tre anni, semplice.
–
Matt rise alla battuta di Brian, fissando la
chitarra, percependo un leggero peso all’altezza del petto.
- Rimetteremo insieme tutti i pezzi. -
Brian sorrise tirandosi al petto Zacky che rideva fra le lacrime.
- Brian..-
Il moro si voltò fisicamente, continuando ad
avere gli occhi fissi sulle due dita incollate.
- Non so se capisci la gravità, ma sono un
chitarrista ed ho le dita incollate, insomma le mie dita incollate. La prossima
volta convinci Johnny a non usare l’attack perché sto
per mettermi a piangere e, no, questa volta non è per Jimmy.-
- Come sapevi che non avevo letto St. James?-
Brian sorrise facendo spallucce –Ho scritto
un testo a parte per te, non ho inserito il pezzo che ti riguardava sperando mi
saresti venuto a fare il culo, letteralmente-
Zacky lo fissò a bocca socchiusa.
- Ma non l’hai fatto.-
- Come inizia il pezzo?-
- On the sea by the
cliff he watches..-
Brian non aspettò molto, osservò gli occhi
sbarrati di Zacky e la sua bocca socchiusa.
- He waits the night
to see the day..-
- His way-
Completò a sua volta Zacky,
che sorrideva.
- Grazie..- il castano lo abbracciò forte,
suscitando la risata di Brian.
Zan zaaan zaaaan.
E indovinate chi è tornata?
Sì, il vostro incubo peggiore. Ed ovviamente
con una os strappa lacrime.
Ho impiegato più di un mese per scriverla, un
po’ per mancata ispirazione, un po’ per contrattempi e un po’ per “dolore”. Mi
fa sempre male, ricordare la perdita di Jimmy.
Cooomunque, che dirvi?
Grazie per aver letto, il vostro supporto è aw.
Grazie per chiunque lasci una recensione,
piccina picciò.
E ci vediamo alla prossima,
Acid Sylvia.
Per chiunque volesse
conoscermi/insultarmi/qualsiasi altra cosa sono @SylviaStrangArt
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