Dal quaderno dei deliri di Glenda:
Il trasferimento
Mervin Hudson era stato per diversi anni lontano
da Quantico, ma non aveva perso familiarità con quegli uffici, benché le facce
fossero tutte cambiate. Dell’unità a cui era stato assegnato non conosceva
nessuno: era una squadra la cui età media era spaventosamente bassa, e questo
turbava il capo sezione, che aveva caldeggiato il suo trasferimento.
Una ragazza sulla trentina aveva alzato la testa
ad osservarlo non appena lui aveva messo piede là dentro, e lo guardava con
l’espressione di chi aspetta che l’interlocutore apra bocca per primo.
“L’agente Tee Murphy?” chiese Mervin
La donna si alzò dalla sua postazione
“Chi lo cerca?” fece, con aria di
sufficienza.
C’era troppo vai e vieni, quel mattino, negli
uffici dell’Unità Analisi Comportamentale; c’era un nuovo caso a cui lavorare e
Tee era ancora chiuso in ufficio al telefono, Tobias aveva una di quelle
mattinate in cui era meglio non parlargli e Risa era in ritardo: questo bastava
a rendere Avril Spencer nervosa.
“Sono l’agente speciale…”
Non fece in tempo a finire. La porta dell’ufficio
del supervisore si aprì, e un alto uomo dall'aspetto atletico e lo sguardo
vivido si incamminò tra i separè con passo veloce.
“Tutti in sala riunioni, ragazzi. Cinque minuti”
fece un gesto con la mano e lanciò qualcosa in direzione di una delle scrivanie
“Al volo, Tobias!”
Uno ragazzo seduto di spalle fece scattare il
braccio in aria e afferrò l’oggetto che gli era stato indirizzato.
“Fondente amaro: ottimo modo di iniziare la
giornata. Grazie Tee”
Continuando il suo giro tra le scrivanie, sbatté
davanti ad Avril un corposo fascicolo.
“Questa è roba tua” fece, frettoloso “mentre
Risa...” posò lo sguardo sullo scomparto vuoto, e fu quello l’attimo
d’esitazione che Mervin colse per imporre la propria presenza.
“Agente Tee Murphy” scandì, con un tono che
richiedeva attenzione.
Tee si fermò, lo guardò, lo riguardò, e non gli
parve di riconoscerlo.
“Con chi ho il piacere…?”
L’uomo gli porse un paio di fogli con la
sinistra, mentre la destra si
tendeva verso di lui.
“Agente speciale Mervin Hudson” disse “Pare che
da oggi io e lei lavoreremo insieme”
“Mervin Hudson!” esclamò Avril, balzando in piedi
“Quello che ha catturato il mostro di Meridian!?”
Egli annuì, con un sorriso compiaciuto. Notevole
che si ricordasse di un caso così vecchio: erano passati almeno 15 anni!
Intanto Tobias, che aveva finito di mangiare il
cioccolatino, si era alzato e, seduto sul bordo della scrivania, fissava con
attenzione il nuovo arrivo, come se volesse fargli una radiografia.
“E’ un piacere, agente Hudson” fece Tee, poco
convinto “ma non mi è stato comunicato nessun trasferimento...”
L’uomo accennò ai documenti che gli aveva
passato, con sguardo sicuro di sé.
“Gliel’ho appena comunicato io” dichiarò “Da
oggi, la affiancherò nella supervisione di questa unità. Con effetto immediato”
Quell’uomo non gli piaceva.
Dal primo momento in cui l’aveva visto e si era
presentato.
Che diavolo voleva dire con effetto immediato?
Come se quella non fosse più la sua squadra…!
Tee lo invitò a entrare nel suo ufficio. Chiuse
la porta dietro di sé e i due rimasero a scrutarsi.
Che cosa poteva aver condotto quell’agente,
chiaramente avanti negli anni, a tornare in pista? Forse l’avevano chiamato i
suoi superiori? In tal caso: perché? Credevano che lui non fosse più in grado di
gestire l’unità? O c’era dell’altro?
“Agente Murphy, lieto di fare la sua conoscenza:
ho sentito parlare di lei” Tee si schiarì la voce “con effetto immediato
eh?”
Il sorriso si spense sul volto di Hudson.
“Già” fece per tutta risposta, prendendo tempo e
volgendo il suo sguardo per tutto l’ufficio “…si è sistemato bene qui”.
Tee si appoggiò alla scrivania
“Mi dica, chi è stato ad approvare il suo
trasferimento? Mackey? Lemansky? Sa, glielo chiedo perché non ne sono stato
informato e la cosa è quantomeno curiosa”
Hudson glissò la domanda puntando la sua
attenzione sull’ufficio esterno. Lì, alle loro postazioni sedevano gli altri
agenti.
“Quell’uomo, l’agente…Rendall…”.
Tee si irrigidì.
Cosa voleva da Tobias?
E soprattutto come si permetteva di arrivare lì,
senza preavviso e di fare i suoi comodi?
Se c’era una cosa che Tee non tollerava era
l’autorità imposta.
“Agente Murphy…?”
“Sì…” riprese Tee, attento. Con quell’Hudson, lo
aveva capito al volo, doveva guardarsi le spalle e qualunque parola avesse
pronunciato, l’avrebbe detta con molta, molta cautela “Tobias Rendall è uno dei
nostri…”
Hudson fece un segno con la mano, non gli
interessavano quelle cose.
“Ok, va bene, non è questo il momento giusto…sono
tutti molto giovani non trova?”.
“Sì ma molto capaci” sottolineò subito Tee,
guardandolo negli occhi e sfidando a provocarlo su quel terreno. L’aria era
elettrica. Sarebbe bastata solo una scintilla per scatenare non un incendio, ma
qualcosa di altrettanto devastante.
Inaspettatamente fu Avril a rompere la tensione:
Tee aveva insegnato ai suoi agenti a non bussare. Era un’inutile perdita di
tempo.
La porta si spalancò “Capo, noi siamo…”
La giovane si interruppe notando qualcosa di
strano nella stanza.
Tee si volse verso di lei.
“Arrivo subito, lasciamo all’agente Hudson il
tempo di acclimatarsi”.
Quando Hudson entrò in sala riunioni, la prima
cosa che notò fu la nuova arrivata: una ragazza dai tratti orientali di
incredibile bellezza, ma dall’aspetto decisamente inappropriato ad un luogo di
lavoro, e men che meno ad un agente dell’FBI. Era vestita di nero, indossava una
gonna decorata di pizzi e merletti inguardabili, e un paio di stivali con zeppe
che le regalavano almeno dieci centimetri d’altezza. Una simile ostentazione
della propria individualità poteva voler dire due cose: profonda insicurezza e
desiderio di affermare il proprio io, o ricerca di un’identità ancora non
definita. Si disse che con qualche scambio di frasi con lei, lo avrebbe capito.
In ogni caso, il suo non era un atteggiamento che denotava la stabilità
psicologica richiesta nel loro lavoro: solo Tee Murphy poteva aver reclutato un
personaggio del genere.
Stando alle informazioni ricevute, la ragazza si
chiamava Risa Michyo, era uscita solo tre anni prima dall’accademia e, dopo un
anno di brillanti successi nella omicidi, era stata trasferita all’unità analisi
comportamentale come addetta alle relazioni. Adesso faceva esperienza sul campo,
ma stava seguendo ancora i corsi per diventare una profiler a tutti gli effetti.
Tee cominciò a parlare:
“Sand springs,
Oklahoma. Tre morti, nel giro di un mese, tutti per un colpo di pistola,
senza apparente collegamento tra loro. Dalle analisi balistiche risulta che
l’arma del delitto è la stessa. Per l’ultimo omicidio abbiamo un sospettato,
attualmente trattenuto presso il dipartimento di polizia, ma durante la
perquisizione del suo appartamento non è stata trovata traccia dell’arma. Il
nostro primo compito sarà parlare con quest’uomo. Avril…”
La ragazza si alzò in piedi e si diresse al
tabellone, dove collocò la prima fotografia.
“Trisha Chatterly, 52 anni, nata e cresciuta a
Sand Springs, vedova, madre di due figli, in pensione, faceva la donna delle
pulizie per arrotondare. E’ stata trovata morta in casa propria il 20 marzo
2008: nessun segno di lotta. E’ stata trovata legata, uccisa da un colpo di
pistola al cuore. Non ci sono segni di effrazione, tuttavia i figli hanno
dichiarato che dalla casa mancano diversi preziosi. Sono stati interrogati
parenti e conoscenti: Trisha non aveva alcun nemico, era una donna amata da
tutti, madre amorevole e volontaria presso una casa di riposo. Non aveva vita
sociale al di fuori della chiesa e del ricovero: dopo la morte del marito aveva
dedicato la propria vita ai figli e al volontariato”
Seconda foto.
“Alex Zarosky, 40 anni, di Oklahoma City,
invitato in città per una lettura animata con gli alunni della scuola elementare
della città. Autore di un ciclo di libri per l’infanzia. Trovato morto nello
stesso modo, in una stanza dell’Hotel Libonne, dove soggiornava. L’uomo veniva a
Sand Springs per la prima volta nella vita. Nessuno lo conosceva, se non per
sentito dire”
Terza foto
“Mary Summers, 20 anni. Morta per un colpo al
petto: l’arma è la stessa, ma il modus operandi cambia. Non è stata legata, è
stata trovata riversa a terra. Nell’abitazione ci sono segni di colluttazione,
pare che la donna si sia difesa dal suo aggressore. E’ stato incriminato il
fidanzato, Malcom Denver, 23 anni: aveva un livido sul braccio destro e una
escoriazione in cui sono state ritrovate delle schegge. Le analisi della
scientifica dicono che provengono da una delle sedie della cucina
dell’appartamento, luogo dove è avvenuto l’assassinio. Il ragazzo ha precedenti
per ubriachezza molesta e spaccio di marijuana. Si cerca di collegarlo anche
alle altre vittime, ma l’arma del delitto non è stata trovata, né in casa sua
c’è traccia della refurtiva sottratta alla prima vittima”
“Nessuna preferenza di sesso” cominciò Risa
“questo ci renderà difficile stabilire se l’S.I. sia uomo o donna...”
“E nessun segno di tortura. La pulsione sessuale
probabilmente non c’entra”
Tobias si alzò ed andò a staccare l’ultima delle
foto che lei aveva cos’ accuratamente sistemato, portandosela al proprio posto.
Poi cominciò a guardarla intensamente: la avvicinò quasi fino al naso, poi la
allontanò quanto la lunghezza del proprio braccio, poi si tolse e si rimise gli
occhiali, poi cominciò a ruotarla in più direzioni, ripetendo il procedimento da
capo, come in uno di quegli psichedelici giochetti ottici. Hudson si chiese che
stesse facendo, e si sorprese che nessuno dicesse niente. Ad un tratto Tobias
posò la fotografia sul tavolo e con le mani ne coprì alcune porzioni, fissando
tra gli spicchi delle dita quello che ne rimaneva.
“...il fidanzato...direi di no...”
Murphy non fece una piega: guardava con un certo
compiacimento il ragazzo svolgere quella sua analisi che tanto spesso gli aveva
visto fare.
“Lei...” con le mani coprì tutta la foto,
lasciando scoperti solo gli occhi della vittima “non si sentiva minacciata, nel
momento in cui è morta. Quindi...o lui ha finto di riappacificarsi dopo la
colluttazione e poi l’ha uccisa...o è stato qualcun altro. Vedi questo sguardo,
Tee?” invitò con la testa il supervisore a guardare, senza togliere le mani
dall’immagine “non si muore con questi occhi, se si sospetta di essere in
pericolo o ci si sta difendendo. Questi sono occhi...” ci pensò un attimo su “di
una persona triste. E non si può essere tristi e al tempo stesso in ansia per la
propria vita, perché lo spirito di sopravvivenza sopraffarebbe la tristezza. Si
dice che negli occhi resti focalizzata l’ultima immagine che si vede in vita:
quella che ha visto Mary Summers certamente non era un uomo che voleva
ucciderla...”
Mervin alzò un sopracciglio.
Che razza di approccio alle indagini era? Stava
facendo il profilo di una morta guardandole gli occhi in fotografia? D’un tratto
ad Hudson fu chiaro cosa intendeva dire il capo sezione Calligh parlando con
sarcasmo di “metodi da sciamano” anziché da profiler.
“Se è capace di vedere questa immagine, ce la
stampi a colori, agente Rendall: così avremo bello e pronto per l’arresto il
nostro S.I.”
Tee fece un cenno infastidito con la mano, che
voleva chiaramente dire “Non interrompere”. Amava ascoltare Tobias analizzare
foto: come al solito si
era lanciato in uno dei suoi commenti
così particolari per acume e prontezza da lasciare senza fiato. Gli
affari interni o chi per loro avrebbero potuto dire qualsiasi cosa, ma lui
restava uno dei migliori agenti che la sua sezione avesse
avuto.
Tobias, da parte sua, non
aveva colto la malizia del nuovo collega. Si sistemò la cravatta variopinta che
cozzava in modo fastidioso con la camicia a scacchi che aveva indosso, e lo
ignorò, continuando la sua osservazione: “Il colpo è diretto al cuore. Questo ha
senso: fa pensare alla passionalità. Ma una pistola...non è l’arma giusta per un
delitto passionale...La pistola è fredda, distaccata, non implica contatto
fisico. Quando si ama, o si odia, è il corpo che veicola i sentimenti. Se io
fossi stato lui...l’avrei strangolata, credo. O forse l’avrei pugnalata e avrei
aspettato che si dissanguasse, perché attraverso il sangue si placa la
rabbia...è come se attraverso le ferite sgorgassero emozioni
represse...”
“Bello sentirti parlare come
un omicida poco dopo aver fatto colazione, Rendall!” lo interruppe Avril, che
detestava il modo indelicato di Tobias di calarsi nei panni dei killer. Risa,
invece, seguiva il discorso interessata.
“...Sì, però, Tobias...chi ti
dice che sia un “delitto passionale”?”
Il giovane aggrottò le ciglia,
si stropicciò la fronte
“Beh... era il suo
fidanzato...”
La ragazza scoppiò a
ridere
“Sei buffo! Hai idea di quanti
‘fidanzati’ stiano insieme senza amarsi affatto? Magari voleva liberarsi di lei
perché aveva un’altra, o per denaro...e la passione non c’entra
niente!”
Tobias ci pensò su,
perplesso
“...Non esattamente. Quando
hai un legame fisico con una persona, sei fisico anche nell’ucciderla. Non credo
c’entri l’amore. E’ più una questione di...confidenza
corporea!”
“Troppo macchinoso. Se
premediti un omicidio, te ne sbatti della ‘confidenza corporea’: miri a fare in
fretta!”
“In questo caso, ne dubito. Se
voleva solo spararle, così, freddamente...perché avrebbero avuto una lotta, poco
prima? Uno scontro fisico, dove vola una sedia, implica passionalità…ed
anche confidenza corporea...!”
Avril fece un fischio
arrotondando le labbra
“Questo ha senso! Un punto per
Rendall!”
Tee interruppe il vivace
confronto dei suoi tre agenti.
“Non possiamo escludere
nessuna pista” disse “finché non parliamo con Malcom Denver. Solo quando ci avrò
parlato, vi saprò dire se l’ipotesi di Tobias regge o
meno”
“Solo quando ci avrà parlato?”
la voce di Hudson intervenne provocatoria “Agente Murphy, lei pensa che saprà
dire se il sospettato è innocente solo dopo averci
parlato?”
“Ho detto questo?” Tee si alzò dal tavolo
e cominciò a radunare le sue carte “Affatto. Quando ci avrò parlato saprò
semplicemente dire se questo ragazzo sarebbe o meno il tipo da uccidere la
propria donna usando una pistola anziché un pugnale o le proprie stesse mani. Il
mio agente sostiene che la mancanza di fisicità gli suscita dei dubbi...Parlerò
al sospettato, e valuterò se questi siano fondati o meno”
“Lei è molto sicuro di sé,
Murphy. Sono ansioso di vederla al lavoro”
Lui parve ignorarlo, e si
rivolse ai colleghi.
“Ragazzi, partiamo fra due
ore. Andate a prepararvi” poi lanciò una breve occhiata al nuovo acquisto
“Hudson, dammi del tu”
Geniale e
presuntuoso –
pensava Mervin mentre infilava in valigia le sue cose - la definizione di
Calligh per ora calzava a pennello. Tee Murphy, soli 37 anni, non era solo il
più giovane supervisore di un’unità che si fosse mai visto, ma era anche
unanimemente considerato un prodigio. Il suo curriculum era sorprendente: laurea
in psichiatria e in legge nonostante le difficoltà economiche della sua
famiglia, primo del suo corso all’accademia dell’FBI, si era distinto fin da
novellino per le sue brillanti deduzioni, mostrando da subito una forte
propensione all’analisi comportamentale. Mente eccellente e eccellente uomo
d’azione: nel corso di uno scontro a fuoco era riuscito, pur con una ferita alla spalla, a
catturare il criminale e a salvare la vita di un collega. Entrato nel BAU a 27
anni, era emerso per le sue doti ed era entrato nelle grazie dell’allora
supervisore, che lo considerava una specie di genio. Aveva conseguito una
promozione per aver risolto brillantemente il caso di un serial killer di
prostitute, e a soli 33 anni gli era stata affidata la responsabilità di una
squadra. Era stato da allora che aveva cominciato a farsi notare non solo per la
sua eccezionalità, ma anche per la sua irruenza: scelte avventate, violazioni
del protocollo, testardaggine nel selezionare i collaboratori affidandosi solo
alla sua valutazione personale...Eppure, erano stati 4 anni di successi, e
nessuno aveva potuto obiettare che, nonostante le sue intemperanze e la sua
incapacità di accettare compromessi, Tee Murphy fosse un ottimo agente e un
ottimo leader. Ma i suoi colpi di testa preoccupavano le alte sfere, e l’età
media della squadra li aveva spinti ad auspicare l’inserimento di qualcuno
capace di fare da contrappeso a Murphy, e di tenere un occhio sui suoi
giovanissimi collaboratori. Quel compito era toccato a lui. Era l’occasione che
ci voleva per tornare in pista, per occupare la propria mente, e per poter,
finalmente, dimenticare...
FAN FICTION SCRITTA DA GLENDA E REM: SE VI PIACE
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