STAR WARS
L’EQUILIBRIO DELLA FORZA
di
DarthClaw
Tanto tempo fa,
in una galassia lontana lontana…
Capitolo uno
Secondo il mito la Repubblica era sconfinata come lo spazio e antica
quasi quanto il tempo. Da 25.000 anni la Repubblica teneva uniti
migliaia di mondi civilizzati estendendosi fino ai confini della
galassia conosciuta.
Il pianeta capitale della Repubblica era Coruscant, situato nella
regione più popolata della galassia conosciuta come Nucleo.
I mondi del Nucleo erano tra i più ricchi ed influenti della
galassia e Coruscant, in quanto sede del governo, era il perno attorno
al quale ruotava il destino di tutti gli altri popoli appartenenti alla
Repubblica.
L’incredibile quantità di forme di comunicazione
appartenenti ai numerosi popoli sparsi per la galassia, aveva reso
necessario lo sviluppo di una lingua standard che fosse comprensibile
sia per gli umani che per gli alieni, il Basic.
Stessa sorte era toccata all’economia, la quale aveva dovuto
adeguarsi alla continua espansione coniando una moneta che avesse
valore su ogni mondo appartenente alla Repubblica, i crediti.
Cuore di un immenso apparato burocratico e legislativo e sede del
Senato, Coruscant era meta di tutte le più alte
autorità della politica; regnanti, senatori, ambasciatori e
in cima a tutti c’era il Cancelliere Supremo, leader del
governo.
L’astronave di linea, con il suo carico di merci e
passeggeri, uscì con un boato dall’iperspazio e
proseguì la sua corsa verso Coruscant a velocità
impulso spinta dai suoi potenti propulsori ionici.
La tecnologia dell’iperspazio era uno degli elementi chiave
sui quali si basava la Repubblica. Grazie ad essa le astronavi potevano
viaggiare da un sistema stellare all’altro, attraversando
distanze fantastiche in poco tempo. Utilizzando motori a iperguida e
navicomputer in grado di eseguire complicatissimi calcoli tracciando
rotte sicure in pochi istanti, le astronavi erano in grado di compiere
balzi in una dimensione separata dallo spazio
“normale” chiamata iperspazio nella quale si poteva
viaggiare ad una velocità di gran lunga superiore a quella
della luce.
La tecnologia dell’iperspazio aveva permesso lo sviluppo
dell’esplorazione e l’espansione del commercio tra
vari sistemi stellari. Senza l’iperspazio, la Repubblica
semplicemente non poteva esistere.
L’astronave di linea proseguì nella sua rotta
verso Coruscant.
Il pianeta era unico nel suo genere. Visto dallo spazio aveva
l’aspetto di una enorme sfera grigio scura costellata da
milioni di piccole luci scintillanti simili a stelle. Una galassia
dentro la galassia. Anche avvicinandosi, non si scorgevano oceani,
né montagne o foreste, né alcunché di
naturale.
L’astronave oltrepassò la rete di stazioni
spaziali di sorveglianza in orbita geostazionaria attorno al pianeta e
si tuffò nell’atmosfera.
Per coloro che giungevano per la prima volta su Coruscant, la vista
della superficie era uno spettacolo impressionante. Migliaia di
giganteschi edifici costruiti uno sull’altro e colossali
torri che si alzavano verso il cielo fino a toccare le nuvole
dominavano il panorama.
Una fittissima rete di corsie aeree era attraversata da sciami di
airspeeder, velivoli che si libravano nell’aria utilizzando
motori in grado di creare emissioni antigravitazionali
chiamati “campi repulsori”.
Ovunque si volgesse lo sguardo non c’era dettaglio del
pianeta che non fosse stato appositamente progettato e costruito. Non
un albero, né un fiume. Nemmeno un metro quadro di terra
ricoperta d’erba. L’intero pianeta non era che
un’unica gigantesca città.
Migliaia di anni di sviluppo tecnologico ed industriale, infatti,
avevano spinto le città di Coruscant ad ingrandirsi sempre
di più. Col passare dei secoli, nuovi edifici erano stati
costruiti su quelli vecchi, nuove strade erano state ampliate e le
città si erano estese a tal punto da inglobare
l’intero pianeta. La superficie naturale di Coruscant ora
giaceva sotto strati e strati di cemento, acciaio e materiali sintetici.
Generazioni di ingegneri ed architetti appartenenti alle più
svariate specie e culture avevano contribuito a rendere Coruscant
ciò che ora era conosciuto con l’appellativo di
“gioiello dei mondi del Nucleo”.
Coruscant era un mondo cosmopolita. Vi si poteva davvero trovare
creature appartenenti a qualsiasi specie provenienti da ogni luogo
della galassia, persino dal più remoto.
L’astronave di linea si inserì
nell’intricatissimo traffico di velivoli grandi e piccoli
cedendo il controllo di volo ai sistemi di navigazione automatica
controllati dai giganteschi computer del pianeta. Grazie ad essi ogni
velivolo doveva seguire una corsia predefinita e, considerando la
grandissima quantità di mezzi in circolazione nei cieli di
Coruscant, ciò serviva a scongiurare qualsiasi
possibilità di un disastro aereo.
Il vascello sorvolò gli immensi grattacieli la cui
architettura rispecchiava le diverse nature degli abitanti del pianeta,
dirigendosi verso il terminal spaziale di Eastport che, insieme a
quello di Westport, costituiva la principale e più vasta
area portuale di Coruscant. Riducendo la velocità,
l’astronave si avvicinò ad uno dei moli e, con una
perfetta manovra, attraccò alla piattaforma di sbarco.
Il portello si aprì sulla fiancata dello scafo e una gran
quantità di persone, appartenenti a diverse specie, si
riversò sulla passerella che collegava la nave alla
piattaforma. Tra questi, un individuo coperto da una larga veste
marrone con un cappuccio che gli copriva la testa, si fece strada tra
la folla.
Il terminal brulicava di tecnici, piloti, operai e droidi di vario
tipo. Veicoli a repulsione trasportavano carichi di ogni genere
prelevati dalle stive dei giganteschi mercantili lì
attraccati. Agenti della sicurezza pattugliavano costantemente le zone
di sbarco, pronti ad intervenire qualora fossero sorti degli
inconvenienti. In luoghi in cui si affollavano persone appartenenti a
specie e culture differenti, non era raro che si manifestassero casi di
odio interspecie che a volte sfociavano nella violenza.
L’uomo incappucciato attraversò l’area
di sbarco dirigendosi verso un’ala del terminal dove
stazionava una fila i aerotaxi. L’uomo salì a
bordo di uno di essi alla cui guida c’era un Bith dal muso
piatto, con un’enorme testa bianca calva, due grandi occhi
neri senza pupille e una bocca sottile nascosta sotto una serie di
pieghe sulla faccia. Mettendosi comodamente seduto sul sedile
posteriore riservato ai passeggeri, l’uomo col cappuccio
comunicò la sua destinazione al pilota. Il Bith
attivò i motori a repulsione e avviò
l’aeroaxi sfrecciando tra gli enormi edifici, unendosi alle
altre centinaia di velivoli che attraversavano i cieli di Coruscant.
Sorvolando la vastissima metropoli, l’aerotaxi si diresse
verso un immensa costruzione a forma di piramide tronca sulla cui
sommità si innalzavano, come colonne, cinque altissime
torri; quattro situate agli angoli ed una posta al centro, leggermente
più alta delle altre. L’intera costruzione si
estendeva in altezza per circa un chilometro ed era una delle
più belle che si potessero trovare in quel agglomerato
urbano che ricopriva Coruscant. Era il Tempio dei Jedi, uno dei
più antichi edifici del pianeta. Luogo di studio e di
addestramento dei Cavalieri Jedi e sede degli archivi che raccoglievano
conoscenze che ricoprivano l’intera galassia raccolte durante
secoli e secoli di ricerche.
I Cavalieri Jedi erano i guardiani di pace e giustizia. Non disponendo
di un esercito, la Repubblica faceva affidamento sui Cavalieri Jedi per
mantenere l’ordine nella galassia.
Il Cancelliere Supremo della Repubblica Valorum, assieme al
Dipartimento di Giustizia, affidava regolarmente ai Jedi missioni di
varia natura.
L’Ordine dei Jedi contava circa 9000 membri, senza contare
gli apprendisti Padawan, e sebbene fosse composto da esseri
appartenenti ad ogni specie della galassia, non tutti potevano entrare
a farne parte. I Jedi, infatti, erano individui del tutto fuori del
comune, dotati di straordinari poteri. Solo chi possedeva una
particolare attitudine alla Forza poteva sperare di diventare uno di
loro.
L’attitudine di un individuo alla Forza era determinato dal
quantitativo di midi-chlorian presenti nelle sue cellule. I
midi-chlorian, infatti, erano forme di vita microscopiche che avevano
un forte legame con la Forza e che vivevano in simbiosi con tutti gli
esseri viventi.
Il potenziale di uno Jedi era quindi direttamente proporzionale al
quantitativo di midi-chlorian che egli aveva nelle sue cellule.
Comunque, possedere una sviluppata attitudine alla Forza non era
sufficiente per essere un Jedi. Un soggetto con caratteristiche Jedi
veniva individuato già nei suoi primi mesi di vita
effettuando un conteggio dei midi-chlorian con una semplice analisi del
sangue.
Quindi veniva portato al Tempio dove cominciava il suo addestramento
come apprendista Padawan, sotto la supervisione di un Maestro Jedi.
Soltanto chi riusciva a portare a termine il suo tirocinio, dopo anni
di studio e di duri sacrifici, poteva diventare a tutti gli effetti un
Cavaliere Jedi.
L’aerotaxi scese di quota, aggirò le colossali
torri e manovrò accostandosi alla piattaforma di atterraggio.
Il Tempio era un complesso vastissimo composto da centinaia di locali
progettati per adempiere ad ogni tipo di necessità che
l’Ordine richiedeva. Oltre agli appartamenti che ospitavano
sia i Cavalieri che gli apprendisti, il Tempio era dotato di aree di
addestramento dove gli allievi Padawan imparavano l’uso della
spada laser, stanze di meditazione e di studio, hangar per veicoli e
piccole astronavi, laboratori di analisi ed un ampia sala nella quale
erano custoditi i preziosi archivi Jedi.
Le cime delle cinque maestose torri invece erano riservate alle sale
dell’Alto Consiglio dei Jedi dove i dodici membri
più importanti dell’Ordine si riunivano per
discutere e deliberare su questioni di grande importanza.
Uno dei luoghi del Tempio maggiormente frequentati era un enorme locale
chiamato “la Stanza delle Mille Fontane” nel quale
era stato allestito uno splendido giardino ricco di piante e fiori
multicolori provenienti dai vari mondi della Repubblica e abbellito da
meravigliose e spettacolari cascate. Il giardino, illuminato da grandi
vetrate che filtravano i caldi raggi del sole, era percorso da diversi
vialetti lungo i quali i Cavalieri Jedi passeggiavano discutendo con
moderazione e contemplando la ricca varietà di flora che
adornava quel magnifico ambiente.
Tutti i Jedi indossavano ampie toghe marroni che coprivano le loro
tuniche composte da vari strati di indumenti. Ognuno di loro portava
allacciato alla cintura un oggetto metallico di forma cilindrica lungo
all’incirca una trentina di centimetri.
Quell’oggetto dall’apparenza innocua era in
realtà una delle armi più letali che esistessero:
la leggendaria spada laser. Essa era l’unica arma di cui i
Jedi facevano uso e col tempo era diventata il simbolo stesso
dell’Ordine. Tutti i membri ne possedevano una, perfino i
giovani apprendisti Padawan.
In un punto appartato del giardino, un giovane Padawan umano di circa
sedici anni, con i capelli biondo-rossicci tagliati a spazzola e con un
sottile codino che gli pendeva dietro l’orecchio destro, se
ne stava seduto sull’erba con le gambe incrociate, gli occhi
chiusi e le mani rilassate in grembo mentre attorno a lui un gruppetto
di piccole pietre volteggiava sospeso a mezz’aria come se
sostenuto da una mano invisibile.
Concentrato in una profonda meditazione, Obi-Wan Kenobi sentiva
scorrere la Forza dentro di sé. La Forza era un misterioso
campo di energia generato da tutte le creature viventi, ma che solo
alcuni individui particolarmente sensibili ad essa, potevano imparare a
controllare.
Questi individui erano i Jedi.
Sebbene tale sensibilità alla Forza fosse presente nei Jedi
sin dalla nascita, occorrevano anni di studi e di addestramento per
imparare a farne un corretto uso. Ecco perché quando in un
individuo appena nato venivano individuate prerogative Jedi, egli
veniva condotto al Tempio dove iniziava immediatamente il suo
addestramento. Una volta imparato a controllare la Forza, il Jedi
poteva contare su tutti i poteri che da essa derivavano: muovere
oggetti, controllare le menti più deboli, vedere attraverso
lo spazio e il tempo eventi trascorsi in luoghi lontani o cose che
dovevano avvenire in un futuro imprecisato.
Tra le varie cose che un Padawan imparava nel suo addestramento,
c’era la capacità di saper distinguere il Lato
Chiaro della Forza da quello Oscuro. I Cavalieri Jedi usavano soltanto
i poteri derivanti dal Lato Chiaro della Forza ed esclusivamente per
scopi altruistici, in difesa della pace e della giustizia. I Jedi
dovevano saper ripudiare emozioni come l’odio, la paura e
l’aggressività poiché essi erano gli
elementi che conducevano al Lato Oscuro della Forza. Ed il Lato Oscuro
rappresentava il male.
In quel momento Obi-Wan percepiva l’intensa energia che lo
circondava. Un’energia creata da tutti gli esseri viventi.
Dai Jedi che passeggiavano nel giardino alla meravigliosa
varietà di flora che arricchiva l’ambiente con i
suoi colori e i suoi odori, dagli insetti che volavano di fiore in
fiore fino ai microscopici organismi conosciuti come midi-chlorian.
Ogni creatura vivente, piccola o grande, senziente o meno, aveva un
legame con la Forza.
Incurante dell’ambiente che lo circondava, il giovane Obi-Wan
era totalmente immerso nella sua meditazione e con voce pacata recitava
i passaggi del codice dei Jedi: “Non c’è
emozione, c’è pace. Non c’è
ignoranza, c’è conoscenza. Non
c’è passione, c’è
serenità. Non c’è caos,
c’è armonia. Non c’è
morte…”
“C’è la Forza”, concluse una
voce proveniente da un punto dietro le spalle del ragazzo.
Obi-Wan aprì di colpo gli occhi perdendo istantaneamente il
controllo mentale sulle pietre che caddero pesantemente
sull’erba producendo un tonfo sordo. Il giovane Padawan si
voltò di scatto verso una figura incappucciata vestita con
una larga veste marrone come quella dei Jedi.
Gli occhi del misterioso individuo erano celati sotto l’ombra
dell’ampio cappuccio, ma la parte inferiore del volto,
ricoperta da una elegante barba castana, esibiva un sorriso
amichevolmente beffardo che Obi-Wan riconobbe all’istante.
“Maestro Sann!”, esclamò il ragazzo
alzandosi velocemente in piedi.
Il Maestro Jedi fece qualche passo avanti verso Obi-Wan e si
abbassò il cappuccio rivelando i bei lineamenti di un uomo
sui quarant’anni ma dall’aspetto giovanile. Una
folta chioma di capelli castani gli scendeva fin sulle spalle mentre
ciuffo ribelle gli copriva un angolo della fronte. I suoi occhi erano
chiari ed espressivi. “Come stai, Obi-Wan?”, chiese
con voce calda.
Obi-Wan era felice di rivederlo e l’espressione raggiante del
suo viso fanciullesco ne era la prova. I suoi occhi azzurri brillavano
quanto quelli del Maestro Sann.
“Bene!”, rispose il ragazzo. “Mi fa
piacere che tu sia tornato, Maestro.”
“Anch’io sono contento di rivederti”,
disse il Maestro Jedi. “Sai, osservandoti poco fa mi
è tornato in mente il periodo in cui anch’io ero
un giovane Padawan.”
“Come vanno i tuoi studi archeologici?”, chiese il
ragazzo con genuino interesse.
“Procedono”, rispose il Jedi compiaciuto. Il
Maestro Sann era uno studioso dell’antica storia dei Jedi.
Obi-Wan ricordava bene quando, tempo addietro, prima che il Maestro
Sann partisse per le sue ricerche, passava ore ad ascoltarlo mentre
narrava le imprese di valorosi Jedi vissuti secoli prima.
“Il tuo Maestro, Qui-Gon, non è con
te?”, domandò il Maestro Sann facendo tornare al
presente la mente di Obi-Wan.
“Sta svolgendo delle ricerche in biblioteca.”
Il Maestro Jedi annuì con un leggero cenno della testa.
I due presero a passeggiare per il giardino. Il Jedi osservava la gran
varietà di piante che ornavano l’ambiente
ripensando a quanti momenti aveva passato in quel giardino a meditare
come stava facendo Obi-Wan poco prima.
“Beh, giovane Obi-Wan”, riprese il Maestro,
“come va l’addestramento?”
L’espressione del ragazzo perse un po’ della sua
giovialità e abbassando lo sguardo e con un filo di voce
rispose: “E’ dura.” Poi alzò
gli occhi sul volto del Maestro Sann e con tono deciso aggiunse:
“Ma io ce la sto mettendo tutta.”
Il Jedi annuì di nuovo comprendendo ciò che il
ragazzo voleva dire. Sapeva quanto fosse duro il tirocinio e
quante rinunce e sacrifici comportava diventare Cavaliere Jedi. Ma
entrare a far parte dell’Ordine era un privilegio di cui solo
alcuni individui potevano godere. Un privilegio che comunque andava
guadagnato.
“Però…”, disse ad un certo
punto Obi-Wan esitante.
“Però?”, lo esortò il Maestro
Jedi.
Il Padawan rifletté un istante, poi si decise a parlare:
“A volte mi sembra che il Maestro Jinn non sia del tutto
soddisfatto di me.”
“Che cosa te lo fa pensare?”
“I suoi giudizi sono sempre
così…”, Obi-Wan esitò
cercando di trovare il termine giusto per terminare la frase.
“Severi?”, suggerì il Maestro Sann.
“Sì”, affermò il ragazzo.
Il Maestro Jedi rifletté per un po’, poi disse con
tono cordiale, quasi paterno: “Pazienza, Obi-Wan. Qui-Gon
Jinn è un grande Maestro. Ascolta sempre i suoi
insegnamenti.”
Obi-Wan guardò il Maestro Sann e annuì sorridendo.
Improvvisamente una voce interruppe l’amichevole
conversazione tra il Maestro Sann e il giovane Obi-Wan Kenobi dicendo:
“Spero che tu non sia tornato per portare via il mio Padawan,
Jon-Enn!”
Il Jedi e l’apprendista si voltarono insieme verso
l’entrata della sala giardino e videro un uomo alto e robusto
vestito come tutti gli altri Jedi che li osservava tenendo le braccia
incrociate sul petto. L’uomo aveva lunghi capelli lisci
castano chiaro che gli scendevano lungo la schiena ed una sottilissima
ed elegante barba che gli ricopriva il mento e gli circondava le
labbra. I suoi occhi erano azzurri e intensi, il suo sguardo duro e
carismatico e il volto dai lineamenti leonini mostrava una evidente
espressione di disapprovazione.
“Qui-Gon!”, esclamò il Maestro Sann
andandogli incontro.
L’espressione di disapprovazione di Qui-Gon Jinn si
tramutò in un sorriso caldo e amichevole e i due Maestri
Jedi si abbracciarono come due fratelli che non si vedevano da una
vita.
Obi-Wan intanto li osservava in silenzio stando discretamente in
disparte.
Jon-Enn possedeva un carattere gioviale ed espansivo.
L’entusiasmo con il quale affrontava la vita era paragonabile
a quella di un ragazzo che per la prima volta apriva gli occhi sulle
meraviglie dell’universo. Obi-Wan si trovava a suo agio con
lui. Jon-Enn sapeva comprendere i suoi problemi e le sue esigenze
più di quanto dimostrasse il Maestro Qui-Gonn.
Jon-Enn aveva sempre un caldo sorriso e parole cordiali capaci di
infondere forza e coraggio in chiunque ne avesse bisogno.
Qui-Gon era più vecchio di Jon-Enn di circa cinque anni e
aveva un atteggiamento più serio, maturo e distaccato. Era
dotato di un notevole autocontrollo. Non si faceva mai prendere
dall’emotività rimanendo sempre lucido e misurato,
in qualsiasi circostanza. Ma ciò che Obi-Wan più
ammirava in lui era il senso di pace e di infinita saggezza che Qui-Gon
sapeva esprimere con la sola presenza.
Obi-Wan non aveva mai conosciuto due Jedi tanto diversi eppure uniti da
una così grande amicizia.
“Sono lieto che tu sia tornato”, disse Qui-Gon con
tono pacato pur provando una grande gioia nel rivedere il suo vecchio
amico. “Presumo che le tue ricerche siano
terminate.”
“Per la verità, no”, rispose Jon-Enn
apparentemente un po’ a disagio. “Sono atteso dal
Consiglio, ma prima vorrei dirti due parole.”
Qui-Gon guardò il suo amico inarcando le sopracciglia con
aria incuriosita. Era evidente che Jon-Enn voleva discutere con lui di
un argomento di natura confidenziale.
Qui-Gon annuì, quindi si rivolse a Obi-Wan e con cortesia
disse: “Puoi scusarci per qualche istante?”
“Certamente, Maestro”, rispose il ragazzo facendo
un lieve inchino. Poi si rivolse a Jon-Enn e lo salutò
dicendo: “Lieto di averti rivisto, Maestro Sann. Che la Forza
sia con te.”
“Che la Forza sia con te, giovane Kenobi”, rispose
Jon-Enn ripetendo il saluto rituale dei Jedi.
Così il giovane apprendista si allontanò in cerca
di un angolo tranquillo dove continuare la sua meditazione. Obi-Wan
smaniava dalla curiosità di sapere cos’avevano i
due Jedi di tanto importante da dirsi in privato, tuttavia non gli
passò neanche per la mente di tornare indietro per
origliare, magari nascosto dietro un albero come avrebbe fatto un
comune ragazzino. Egli era un allievo Padawan e come tale era
consapevole che la disciplina era una delle caratteristiche essenziali
per diventare un Jedi.
Qui-Gon Jinn ed il suo amico Jon-Enn Sann presero a camminare
lentamente lungo il vialetto che separava due aree verdeggianti ricche
di piante adornate da bizzarri fiori dai colori sgargianti. I due
Jedi si conoscevano da quando erano dei giovani ed inesperti
Padawan. Sebbene fossero stati assegnati a due Maestri diversi, Qui-Gon
e Jon-Enn avevano avuto molte occasioni di passare parte del loro tempo
insieme addestrandosi, meditando, oppure discutendo durante una
passeggiata in quel meraviglioso giardino come stavano facendo proprio
in quel momento. Divenuti Jedi, i due amici si erano trovati
più di una volta ad unire le proprie capacità in
missione, in alcuni casi combattendo fianco a fianco.
“La tua lontananza ha destato molta preoccupazione nel
Consiglio”, disse Qui-Gon usando un tono che non suonasse
come quello di un rimprovero.
“Sì, capisco”, convenne Jon-Enn serio.
“Immagino che il Maestro Yoda sia piuttosto contrariato per
questo.”
“Ed anche per il fatto che non hai più dato tue
notizie per parecchio tempo”, aggiunse l’amico.
“Ero molto preso, Qui-Gon”, si
giustificò Jon-Enn sinceramente rammaricato, poi, con una
punta di eccitazione disse: “Non immagini neanche cosa ho
scoperto su Ord Mantell.”
Qui-Gonn si accigliò leggermente ma continuò ad
ascoltare incuriosito dalle parole dell’amico.
“Come sai”, continuò Jon-Enn,
“ho dedicato anni allo studio degli antichi Signori Oscuri
dei Sith. Ma gli ultimi tre mesi mi hanno ripagato di tutti gli sforzi.
Ebbene, amico mio, su una delle catene montuose più selvagge
di Ord Mantell ho scoperto una caverna dentro la quale ho rinvenuto dei
reperti appartenenti ad un Signore dei Sith. E tra questi reperti
c’era un’ Holocron.”
Qui-Gon inarcò le sopracciglia e guardò Jon-Enn
con espressione sorpresa.
Gli Holocron erano congegni usati sia dai Cavalieri Jedi che dai Sith
per registrare i loro insegnamenti, le loro imprese, le loro cronache
e, talvolta, i loro segreti.
Jon-Enn aveva sempre manifestato una profonda passione per il passato
dei Jedi, ed in particolar modo, per quello dei Signori Oscuri dei
Sith. Proprio questo suo interesse per i Sith aveva destato nel
Consiglio molta preoccupazione. I Sith erano, da sempre, i nemici
naturali dei Jedi. Essi erano guerrieri votati al male, seguaci del
Lato Oscuro della Forza che perseguivano tutte quelle discipline e
quegli insegnamenti che ai Jedi erano proibiti.
I Sith, a differenza dei Jedi, usavano i propri poteri esclusivamente
per fini egoistici. Sebbene i Sith risultassero estinti da circa un
millennio, anche solo sentirli nominare era, per i Jedi, fonte di
inquietudine.
Lo stesso valeva per Qui-Gon Jinn. Una punta di preoccupazione si
insinuò nella sua mente. Jon-Enn aveva trovato senza dubbio
un reperto di eccezionale valore. Ma si stava parlando di un oggetto
appartenuto a un Signore dei Sith. Chi poteva dire quale influenza
avrebbe potuto avere ciò che vi era registrato sul suo amico
o su chiunque altro si fosse apprestato a studiarlo.
“Purtroppo”, disse Jon-Enn destando
l’amico Jedi dai suoi pensieri,
“l’Holocron era danneggiato e mal funzionante e
parte della registrazione è andata perduta. Ma da quel che
ho appreso pare che sia appartenuto ad un Sith di nome Darth
Claw.”
Qui-Gon andò con la memoria a ciò che aveva
appreso sulla storia dei Sith durante i suoi anni di tirocinio, ma non
ricordava nulla a proposito di quel tale Darth Claw. Il Jedi era certo
di non averlo mai sentito nominare.
“La caverna che ho trovato”, continuò
Jon-Enn, “poteva essere stato il luogo in cui Darth Claw ha
passato i suoi ultimi istanti di vita. Probabilmente si era rifugiato
lì per sfuggire ai suoi nemici, ma la morte lo ha trovato
per prima. Quella registrazione risale ad almeno 1200 anni fa. Potrebbe
essere una preziosa testimonianza di ciò che è
accaduto durante la Guerra dei Sith.”
Ben 4000 anni prima, la galassia fu scossa da un conflitto tra i
Cavalieri Jedi e i Signori dei Sith. Nel corso dei secoli, i Jedi
affrontarono i Sith in molte occasioni. Battaglia dopo battaglia, il
numero dei guerrieri oscuri andò calando inesorabilmente
finché non furono totalmente eliminati. Da allora erano
passati 1000 anni durante i quali non si era più registrata
l’apparizione di un solo Sith. Tuttavia la minaccia di un
loro ritorno era sempre presente poiché se un Jedi fosse
caduto preda del Lato Oscuro della Forza, sarebbe diventato un Signore
Oscuro dei Sith.
“Una notevole scoperta, senza dubbio”,
osservò Qui-Gon senza però confidargli i propri
timori.
“Capisci, Qui-Gon?”, chiese Jon-Enn cercando di
trasmettere all’amico il proprio entusiasmo. “Se
riesco a recuperare buona parte di quella registrazione otterrei una
preziosa documentazione storica degli eventi che portarono
all’estinzione i Signori dei Sith.”
“Ma tale documentazione è già raccolta
negli archivi, Jon-Enn”, puntualizzò Qui-Gonn.
“Sì, hai ragione. Ma questa nuova testimonianza
potrebbe aprire un nuovo capitolo sulla guerra che determinò
la caduta dei Sith. Devo convincere il Consiglio a concedermi altro
tempo per condurre le mie ricerche. Sono sicuro di riuscire a
ricostruire la storia di questo Darth Claw.” Man mano che
Jon-Enn andava avanti a parlare, sempre di più si faceva
forte in lui la convinzione di aver intrapreso la strada giusta.
“Pensi che il Consiglio sia disposto a
concedertelo?”, domandò Qui-Gon anche se dentro di
sé era convinto di conoscere già la risposta. Il
Maestro Mace Windu, uno dei membri più influenti del
Consiglio dei Jedi, aveva più volte espresso il suo
disappunto riguardo alla ossessione di Jon-Enn per la storia dei Sith.
Pertanto Qui-Gon si aspettava, con tutta probabilità, che il
Consiglio desse una risposta negativa alla richiesta di Jon-Enn.
Tuttavia Jon-Enn sembrava di tutt’altro avviso. Era molto
più ottimista del suo amico Qui-Gon, ma questo
perché, essendo stato tanto a lungo lontano dal Tempio, non
aveva potuto apprendere come il Consiglio realmente la pensava riguardo
a quella faccenda.
“Sì”, rispose infatti Jon-Enn con tono
sicuro. “Dopo che avrò dimostrato loro i risultati
delle mie ricerche, dovranno riconoscerne
l’importanza.”
“Sono certo che il Consiglio prenderà la decisione
giusta”, si limitò a dire Qui-Gon.
“Lo spero. Ora devo andare. Quando avrò finito col
Consiglio ti farò sapere com’è
andata”, promise Jon-Enn.
“Mi troverai qui ad attenderti”,
assicurò Qui-Gon.
Jon-Enn annuì con la testa e salutò il suo amico
Jedi con un lieve inchino, poi si allontanò verso
l’uscita della Stanza delle Mille Fontane dirigendosi vero
uno dei turboascensori che lo avrebbero condotto alla sala del
Consiglio in cima ad una delle torri del Tempio.
Qui-Gon rimase lì fermo a contemplare, con aria cupa e
pensierosa, un albero Bafforr dai colori vivaci proveniente dal pianeta
Ithor.
Capitolo due
La sala del Consiglio dei Jedi era un’ampia stanza circolare
circondata da grandi vetrate che si affacciavano sullo spettacolare
panorama urbano di Coruscant. Ogni vetrata era separata da una grande e
scintillante colonna di metallo argentata che arrivava fino al
soffitto. Il pavimento liscio era abbellito da un elegante mosaico di
disegni.
Il Consiglio era formato da dodici Maestri Jedi che sedevano in circolo
al centro della sala, tutti rivolti verso Jon-Enn Sann in piedi al
centro del mosaico. Ogni membro apparteneva ad una specie diversa ed
ognuno di loro aveva accumulato tanta saggezza ed esperienza da
guadagnarsi, oltre al rispetto di tutti gli altri Cavalieri
dell’Ordine, anche un posto nel seggio che rappresentava il
vertice della gerarchia Jedi.
Di fronte a Jon-Enn sedeva il Maestro Mace Windu, un umano dalla pelle
scura che dimostrava all’incirca l’età
di Qui-Gon. La sua testa calva rifletteva la luce del sole che filtrava
attraverso la grande vetrata alle sue spalle. Il Maestro Windu stava
discutendo sottovoce con un essere minuscolo dalla pelle verde alto
meno di un metro che sedeva su una larga poltrona alla sua destra. Egli
era il Maestro Yoda, il più saggio e il più
venerato dell’intero Ordine. I suoi grandi occhi verdi ed
espressivi brillavano sul volto solcato da profonde rughe. Dai lati
della testa si estendevano due lunghe orecchie appuntite che si
muovevano a seconda dell’espressione che il Maestro Jedi
assumeva. Una striscia di capelli bianchi arruffati gli copriva la nuca
e, con la schiena curvata in avanti, sembrava portare sulle spalle il
peso dei suoi oltre 800 anni di età. Tra le mani,
dotate di tre dita ciascuna, reggeva un corto e rozzo bastone di gimer
dal quale non si separava mai.
All'altro fianco di Yoda c'era il Maestro Ki-Adi-Mundi, un Cereano il
cui aspetto non differiva molto da quello umano ad eccezione di una
caratteristica particolare: il cranio privo di capelli, ad eccezione di
un codino che gli pendevada dietro la nuca, era
esageratamente allungato per consentirgli di ospitare i due eccezionali
cervelli grazie ai quali il Maestro Jedi poteva usufruire di doti
intellettuali superiori a quelle umane. Le folte sopracciglia chiare e
l’elegante barba bianca che gli scendeva giù dal
mento fino a toccargli il petto gli conferivano un’aria
distinta. Ki-Adi-Mundi stava seguendo con interesse il dibattito tra
Mace Windu e Yoda e ascoltava le loro opinioni accarezzandosi la barba
con aria assorta.
Alla sua destra sedeva Saesee Tiin, un Maestro Jedi Iktotchi dai
lineamenti duri e spigolosi e con due robuste corna ricurve che gli
scendevano ai lati della testa fino alle spalle.
Subito dopo veniva il Maestro Yaddle, una femmina della stessa
misteriosa specie di Yoda, ma molto più giovane di lui. Una
folta criniera di capelli rossicci, dalla quale spuntavano le lunghe
orecchie a punta, le scendeva fin sopra le spalle.
Accanto a Yaddle, il Maestro Even Piell, un piccolo Jedi
dall’aspetto quasi umano, ad eccezione di due lunghe orecchie
appuntite, osservava Jon-Enn con sguardo accigliato. Una profonda
cicatrice gli solcava l’orbita dell’occhio sinistro
perso in una missione quando era ancora un Padawan. Dalla
sommità del cranio calvo, gli spuntava un unico lungo ciuffo
di capelli tenuti insieme da un nastro.
Più i là, un’affascinante Jedi umana,
Adi Gallia, dalla pelle scura e gli occhi blu e che indossava un
singolare copricapo Toloth, parlava con Oppo Rancisis, un Thissipiasano
di 170 anni circa. La testa del Maestro Rancisis era ricoperta da una
massa di capelli bianchi e da una barba talmente folta e lunga che
lasciava intravedere appena gli occhi e la bocca. Teneva le mani dalla
pelle verde e dotate di unghie affilate unite in grembo e la sua coda
serpentina che aveva al posto delle gambe si muoveva lentamente attorno
alla poltrona sulla quale era seduto.
All’altro lato di Adi Gallia, Yarael Poof, il più
bizzarro di tutti i maestri presenti nella sala, seguiva la
conversazione con interesse. Egli era un Quermian, membro di una specie
di invertebrati senzienti e aveva un lunghissimo e sottile collo sulla
cui cima era posta una testa bianca e bulbosa. Era privo di naso, ma i
suoi occhi erano grandi ed espressivi e la bocca era un largo taglio
senza labbra. Dalle ampie vesti spuntavano quattro mani bianche dotate
di tre lunghe ed esili dita ciascuna.
Di fianco a lui c'era il Maestro Eeth Koth, uno Zabrack sul cui volto
olivastro erano tatuate delle linee che lo percorrevano dagli occhi
fino al mento. Una corona di piccole corna gli adornavano la fronte
spaziosa e due lunghe code di capelli legate con dei nastri
ondeggiavano mentre discuteva con Depa Billaba, una donna umana di
bell’aspetto seduta sulla poltrona accanto. La Jedi teneva un
ampio cappuccio calato sulla testa, tuttavia si intravedevano sul suo
naso i due piccoli marchi dell’Illuminazione, simboli della
cultura del suo pianeta natale.
A chiudere il cerchio c'era Plo Koon, il Maestro Jedi appartenente alla
specie dei Kel Dor il cui volto alieno era coperto da una maschera
antiossidante che egli era costretto a indossare in luoghi ricchi di
ossigeno.
Jon-Enn aveva da poco finito di esporre al Consiglio le motivazioni che
lo avevano indotto ad assentarsi per così lungo tempo dal
Tempio, sottolineando l’importanza della sua scoperta su Ord
Mantell.
In quel momento, i membri del Consiglio stavano meditando su
ciò che avevano appena saputo consultandosi tra loro
sottovoce. Jon-Enn intanto li osservava uno ad uno.
Ad un certo punto il suo sguardo si posò su Saesee Tiin. Il
Maestro Iktotchi lo fissava a sua volta con i suoi intensi occhi color
ambra mentre cercava, con i poteri mentali tipici della sua specie, di
sondare i pensieri di Jon-Enn al fine di scoprire qualcosa che il Jedi
era restio a rivelare.
Jon-Enn abbassò gli occhi visibilmente a disagio.
Improvvisamente ci fu silenzio. A quel punto Jon-Enn capì
che il Consiglio stava per dare il suo verdetto. Il Jedi, quindi,
alzò il capo pronto ad ascoltare.
A quel punto il Maestro Mace Windu si protese in avanti sulla sua
poltrona ed unì le mani. Il suo sguardo era severo e, come
membro del Consiglio con la maggior influenza, era abituato ad
esprimersi con tono autoritario. Così, con voce profonda e
virile disse: “Siamo al corrente delle tue ricerche sul
passato dei Sith. Ma temo che la tua richiesta di portare avanti i tuoi
studi su Ord Mantell non possa essere accolta.”
Jon-Enn socchiuse la bocca in procinto di protestare, ma un gesto della
mano di Mace Windu lo fece desistere.
“Abbiamo altri compiti più importanti da
affidarti”, dichiarò con tono fermo il Maestro
Windu.
Udendo le parole del Maestro Jedi, Jon-Enn provò un tonfo al
cuore ed una profonda delusione. “Ritenete che i miei studi
non siano importanti?”, chiese guardando uno ad uno i dodici
maestri che gli sedevano attorno.
“Al contrario”, intervenne il Maestro
Ki-Adi-Mundi, “Noi tutti ammiriamo lo zelo col
quale hai condotto le tue ricerche e concordiamo sul fatto che la tua
è un importante scoperta. Tuttavia, ti chiediamo di porre la
tua attenzione su una questione che in questo momento ha maggiore
rilevanza.”
Quindi, il Maestro Windu riprese la parola: “Due compagnie
minerarie si contendono un contratto sullo sfruttamento di alcuni
giacimenti metalliferi su Dantooine, un pianeta situato
nell’Orlo Esterno. Entrambe le società sostengono
di avere il pieno diritto in esclusiva di quei giacimenti. Si tratta di
piccole imprese autonome che non fanno parte della Lega Mineraria.
Questa controversia purtroppo ha già portato a vari atti di
violenza e temiamo che ciò possa sfociare in un vero e
proprio conflitto che rischierà di coinvolgere anche i
Dantari, il pacifico popolo di quel pianeta. Tu dovrai fare da
mediatore fra le due fazioni e farle giungere ad un accordo pacifico e,
soprattutto, nel pieno rispetto della legalità.”
Jon-Enn riflettè accigliato. “Un compito del
genere avrebbe potuto svolgerlo qualsiasi Jedi”,
protestò visibilmente alterato. “La
realtà è che avete scelto me per impedirmi di
portare avanti le mie ricerche. Per quale motivo?”
Un profondo silenzio calò nella sala del Consiglio. Jon-Enn
osservò le espressioni cupe sui volti dei Maestri Jedi
seduti attorno a lui. Poi il suo sguardo si posò sul piccolo
essere dalla pelle verde che sedeva tra Mace Windu e Ki-Adi-Mundi.
Il Maestro Yoda parlò con voce grave e rauca dicendo:
“Lungo un sentiero oscuro le tue ricerche ti avrebbero
condotto. Se in quel luogo nefasto farai ritorno, un grande pericolo
troverai ad attenderti.”
Era risaputo che il Maestro Yoda era il membro con la più
alta concentrazione di midi-chlorian dell’intero Ordine,
pertanto possedeva un grado di percezione della Forza molto
più sviluppato degli altri Jedi. Egli era in grado di
sentire la presenza del Lato Oscuro anche quando gli altri non
percepivano nulla.
“Ma, Maestro Yoda”, continuò Jon-Enn,
“Quel Signore Oscuro dei Sith è morto da
più di mille anni.”
“Non sottovalutare il Lato Oscuro. Un errore esso
è”, sentenziò solenne Yoda puntando il
suo bastone di legno verso Jon-Enn. “Potente è il
Lato Oscuro. Tenace. Oltre il tempo e lo spazio esso sopravvive. Sempre
in agguato è il male. Ricorda.”
Ci fu un breve attimo di silenzio durante il quale tutti i maestri
fissarono il giovane Jedi con i loro sguardi severi.
Jon-Enn fece un sospiro e disse: “Quindi non potrò
tornare mai più in quel luogo per terminare le mie
ricerche.”
Yoda lasciò la parola al Maestro Windu. “Il tuo
lavoro non sarà vanificato”, assicurò
il Maestro Jedi dalla pelle scura. “Lo affideremo ad una
squadra di droidi ricercatori specializzati che si recheranno su Ord
Mantell per raccogliere e studiare i tuoi reperti. Questo
eviterà che l’eventuale presenza del Lato Oscuro
in quella caverna possa prendere il sopravvento su qualche essere
vivente.”
Prima che Jon-Enn potesse obiettare di nuovo, il Maestro Ki-Adi-Mundi
intervenne di nuovo: “Il Consiglio ripone molta fiducia nelle
tue doti diplomatiche, Jon-Enn. Vai su Dantooine e risolvi questa
controversia legale prima che altre vite vadano perdute. Che la Forza
sia con te.”
Quindi Jon-Enn comprese di essere stato congedato. Non c’era
più nulla da aggiungere a ciò che era stato
già detto.
Profondamente amareggiato, il Jedi salutò con un inchino i
dodici membri del Consiglio e si avviò verso
l’uscita della sala.
Yoda e Mace Windu si scambiarono uno sguardo colmo di inquietudine. Il
futuro non presagiva niente di buono. Tuttavia il futuro era sempre in
movimento e non sempre si verificava ciò che era stato
previsto. Yoda lo sapeva. Ciò lasciava un po’ di
posto alla speranza. Ma poco.
Molto poco.
I due Cavalieri Jedi Qui-Gon Jinn e Jon-Enn Sann stavano percorrendo il
Gran Corridoio incrociando di tanto in tanto Jedi appartenenti alle
specie più diverse che andavano e venivano o semplicemente
fermi a conversare tra loro.
Il Gran Corridoio era un luogo suggestivo in cui spesso i Jedi si
recavano per meditare all’ombra delle maestose colonne che si
innalzavano per centinaia di metri fino a raggiungere le meravigliose
arcate che sostenevano il soffitto a volta.
Jon-Enn era visibilmente contrariato. “E così mi
proibiscono di portare avanti le mie ricerche”, stava dicendo
il Jedi facendo trasparire nel tono irato della sua voce tutta
l’amarezza che stava provando.
Lo stato d’animo di Jon-Enn preoccupava non poco il suo amico
Qui-Gon. La rabbia conduceva al Lato Oscuro della Forza ed un Jedi
doveva sempre essere calmo e passivo di fronte a qualsiasi circostanza.
Jon-Enn camminava di fianco a Qui-Gon sfogando la propria frustrazione
senza far caso ai Jedi che si voltavano a guardarlo.
“Preferiscono che io mi occupi di una stupida faccenda
legale. Davvero credono che io possa farmi influenzare da
ciò che resta di un antico guerriero Sith ormai ridotto in
polvere da più di mille anni?”
Qui-Gon lo ascoltava paziente, col volto accigliato. “Fossi
in te non sottovaluterei il monito del Maestro Yoda”,
osservò pacato il Jedi. “Egli è molto
sensibile alla presenza del Lato Oscuro.”
“Mi sorprendi, Qui-Gon”, dichiarò
stizzito l’amico. “Più volte in passato
sei stato in contrasto con le decisioni del Consiglio. Ora invece ti
schieri dalla loro parte?”
Qui-Gon era famoso per il suo temperamento ribelle. In più
di un occasione si era ritrovato a difendere le proprie idee che non
sempre coincidevano con quelle del Consiglio. Tuttavia era sempre un
Jedi rispettoso dell’Ordine che aveva giurato di servire e
sebbene i suoi giudizi e punti di vista potevano risultare, a volte,
rivoluzionari, non aveva mai messo in discussione
l’autorità che il Consiglio rappresentava,
né aveva mai tradito la fiducia che esso riponeva in lui.
“Ti sto solo mettendo in guardia, Jon-Enn”,
precisò il Maestro Jedi. “Questa tua ossessione
per i Sith potrebbe renderti cieco di fronte le insidie del Lato
Oscuro.”
“Andiamo, Qui-Gon!”, sbottò di colpo
Jon-Enn. “Non trattarmi come un apprendista! Sono un Jedi e
so badare a me stesso!”
Per un istante Jon-Enn sostenne lo sguardo sereno del suo amico
Qui-Gonn, poi abbassò gli occhi e resosi conto di aver avuto
una reazione aggressiva, fece un sospiro e con voce affranta disse:
“Scusami, Qui-Gon. Non so cosa mi sia preso. Non mi sto
comportando come un Jedi.”
Jon-Enn alzò di nuovo lo sguardo e ancora una volta i suoi
occhi incontrarono quelli di Qui-Gon. In quegli occhi Jon-Enn non vide
alcuna traccia di collera.
Il volto di Qui-Gon esprimeva soltanto comprensione. “Ti
capisco”, disse il Jedi mettendo una mano sulla spalla
dell’amico tentando, con quel semplice gesto, di fargli
capire quanto egli gli fosse vicino. “Ti senti profondamente
deluso. Ma non lasciare che l’ira si impadronisca di
te.” Le parole del Maestro Jedi suonavano quasi come
un’implorazione.
Jon-Enn annuì leggermente col capo e accennò un
lieve sorriso vergognandosi per come aveva trattato l’amico
pochi istanti prima. Egli non riusciva a capire cosa gli fosse
successo. Certo, la delusione era stata grande, ma la reazione che
aveva manifestato con Qui-Gon era stata davvero ingiustificabile. Non
era un comportamento da Jedi.
“Tra un’ora partirò per
Dantooine”, disse quindi cercando di lasciarsi
l’argomento precedente alle spalle. “Credo che
trascorrerò questo attimo di attesa nella mia stanza a
meditare.”
Qui-Gon annuì comprensivo. “Allora ci salutiamo
qui. Sono sicuro che su Dantooine farai un ottimo lavoro.”
“Grazie, Qui-Gon.” Jon-Enn fece un lieve inchino e
si congedò dal suo amico con il solito saluto Jedi:
“Che la Forza sia con te.”
“Che la Forza sia con te”, rispose Qui-Gon.
Così i due Jedi si lasciarono. Jon-Enn si
allontanò lungo il Gran Corridoio mentre Qui-Gon lo
osservava pensieroso.
Circa un’ora dopo, un incrociatore della Repubblica dallo
scafo color cremisi che stava ad indicare la sua condizione di nave
diplomatica, atterrò sulla piattaforma in cima al Tempio. I
vascelli di quella classe, infatti, venivano usati per trasportare
senatori, ambasciatori o, come in quel caso, Cavalieri Jedi nel corso
di importanti missioni diplomatiche.
Jon-Enn attraversò l’area di atterraggio
dirigendosi, con aria assente, verso il grande incrociatore lungo 115
metri che lo avrebbe condotto su Dantooine
Il Jedi non era per niente entusiasta del compito che gli era stato
assegnato dai membri del Consiglio. Aveva un lavoro da terminare su Ord
Mantell e Mace Windu lo mandava a sistemare una controversia legale su
un pianeta che si trovava nell’Orlo Esterno della galassia.
Durante l’ultima ora, Jon-Enn non aveva fatto che pensare a
quella faccenda e per quanto si sforzasse non riusciva ad accettarla.
Con la mente immersa nei suoi pensieri, il Jedi salì lungo
la rampa dell’astronave dove trovò ad attenderlo
una giovane donna in uniforme blu.
La ragazza aveva un viso grazioso e due grandi occhi verdi e luminosi.
Tuttavia i corti capelli scuri pettinati all’indietro e la
sua esagerata rigidità le conferivano un’aria
alquanto impettita.
“Maestro Sann”, salutò la giovane
ufficiale senza manifestare la minima emozione, “sono lieta
di darle il benvenuto a bordo. Se vuole seguirmi, le mostro il suo
alloggio. Tra pochi istanti partiamo.”
Jon-Enn non disse nulla e si limitò ad annuire con sguardo
assente. Quindi seguì la ragazza lungo la rampa fin dentro
il vascello.
Pochi attimi dopo la rampa di accesso si ritrasse e il portello dello
scafo si chiuse sigillandosi. I motori a repulsione si attivarono e la
nave si sollevò lentamente da terra. I piloni di sostegno
rientrarono nei loro alloggiamenti e i tre potenti atomizzatori radiali
Dyne 577 ruggirono spingendo l’incrociatore della Repubblica
verso il cielo.
In una manciata di minuti, l’astronave attraversò
la stratosfera di Coruscant, oltrepassò le stazioni di
sorveglianza in orbita attorno al pianeta e si allontanò
verso lo spazio aperto.
Raggiunta una certa distanza da Coruscant, l’incrociatore
attivò i motori a iperguida e in un attimo balzò
nell’iperspazio scomparendo con un bagliore nella notte
eterna.
Nell’iperspazio, un viaggio di anni luce poteva durare
qualche giorno, a volte addirittura poche ore. Grazie alle rotte
iperspaziali tracciate dai primi esploratori millenni prima, ora le
astronavi potevano viaggiare da un sistema stellare all’altro
seguendo vie sicure senza perdersi nello spazio. Tali rotte,
naturalmente, dovevano essere stabilite prima di intraprendere ogni
balzo. A ciò ci pensava il navicomputer che in pochi attimi
eseguiva i calcoli che consentivano al viaggiatore di percorrere la
rotta tracciata in tutta sicurezza senza il pericolo di attraversare
qualche pianeta o qualche stella oppure di finire in un campo
di asteroidi.
A bordo dell’incrociatore della Repubblica, una porta si
aprì scorrendo dentro la parete metallica e il Maestro Jedi
Jon-Enn Sann, con il cappuccio calato sulla testa, uscì dal
proprio alloggio avviandosi lungo il corridoio. Giunto davanti ad
un’altra porta, l’aprì premendo un
pulsante sulla paratia e, silenzioso, entrò nella cabina di
pilotaggio.
Il capitano e il copilota sedevano l’uno accanto
all’altro davanti alla console di comando. Il capitano era un
giovane che dimostrava poco più di una trentina
d’anni. Aveva una folta chioma di capelli neri ben pettinati,
la mascella quadrata ed un paio di eleganti baffi scuri. Il copilota
invece era la giovane donna impettita che aveva accolto Jon-Enn a
bordo.
Piccole luci colorate lampeggiavano sui pannelli di controllo che
circondavano i due ufficiali mentre sulla grande vetrata
dell’oblò frontale scorrevano scie di luce
bianco-azzurre caratteristiche dei corridoi iperspaziali.
Il giovane capitano si voltò e lanciò un breve
sguardo al Jedi che stava in immobile in piedi dietro il suo sedile,
poi riportando la sua attenzione agli strumenti della console di
comando annunciò: “Arriveremo su Dantooine tra
poche ore.”
Ma Jon-Enn non rispose. Se ne stava lì immobile con lo
sguardo perso chissà dove sotto l’ombra del suo
cappuccio. Ad un certo punto il Maestro Jedi alzò una mano e
puntò le dita verso la nuca del capitano seduto davanti a
lui.
Jon-Enn non lo sfiorò nemmeno, ma l’uomo
crollò improvvisamente addormentato sulla poltroncina.
La donna accanto a lui si voltò allarmata, pensando che il
capitano fosse stato colto da un malore. Fece per alzarsi ma un istante
dopo anche lei si accasciò priva di sensi sul proprio sedile.
Jon-Enn si caricò il corpo del capitano sulle spalle,
uscì dalla cabina di comando e lo portò nella
sala riunioni all’interno del guscio di rappresentanza
dell’incrociatore. Lì lo depositò su
una delle sedie poste attorno ad un tavolo. Dopo di che
tornò nella cabina di comando e, caricatosi sulle spalle il
corpo della donna, portò anch’ella nel guscio
sistemandola sulla sedia accanto a quella dove si trovava il capitano.
Quindi tornò ancora una volta nella cabina di comando.
Generalmente l’equipaggio di un incrociatore della Repubblica
poteva contare fino a otto membri, ma per quella particolare missione
era sufficiente la sola presenza del capitano e del suo copilota mentre
le altre funzioni di bordo venivano espletate dai fedeli droidi
astromeccanici.
A quel punto l’incrociatore era completamente nelle mani del
Maestro Jedi.
L’incrociatore della Repubblica uscì
dall’iperspazio e rallentò nei pressi di un
pianeta dotato di tutte le caratteristiche necessarie per ospitare
forme di vita umane.
Il guscio di rappresentanza che si trovava sulla prua della nave e che
ospitava i due piloti privi di sensi si sganciò e, attratto
dalla gravità del pianeta, cominciò a precipitare
verso la sua atmosfera.
Mentre il guscio scompariva tra le nubi del pianeta,
l’incrociatore si allontanò accelerando verso lo
spazio aperto. I motori a iperguida si attivarono ancora una volta e il
vascello scomparve in un bagliore.
Un lungo fascio di luce azzurra si muoveva fendendo l’aria ed
emettendo un lieve ronzio.
Il giovane Obi-Wan Kenobi brandiva tra le mani la sua spada laser come
un vero Cavaliere Jedi, nonostante la sua giovane età.
Ogni Jedi possedeva una spada laser e, poiché era egli
stesso a costruirsela durante il suo apprendistato come Padawan, ogni
spada aveva caratteristiche proprie a seconda dei gusti e delle
necessità del suo proprietario. I materiali venivano forniti
dai laboratori del Tempio e ogni membro dell’Ordine costruiva
la propria spada partendo da un progetto standard per poi inserire le
proprie modifiche.
Per costruire la sua, Obi-Wan si era ispirato a quella del suo maestro
Qui-Gon. Era infatti usanza fra i Padawan di costruire la propria spada
prendendo come modello quella del loro maestro, come segno di profondo
rispetto.
Le spade laser erano costituite da un’elsa cilindrica di
metallo lunga approssimativamente una trentina di centimetri,
dentro la quale era alloggiata una cella energetica che alimentava la
lama di energia. Essa, controllata da una serie di microcircuiti era
prodotta da dei cristalli particolari provenienti dal pianeta Ilum, nel
sistema di Adega. La lama laser, che solitamente era lunga
all’incirca un metro, era in grado di tagliare qualsiasi cosa
e veniva attivata da un pulsante posto sull’impugnatura della
spada. Il colore della lama laser, che in genere era azzurra o verde,
dipendeva dal tipo di cristalli adegani impiegati nella costruzione
dell’arma.
Da spenta, la spada aveva l’aspetto di un innocuo cilindro di
metallo. Ma attivandola, la lama laser scaturiva dalla piastra di
proiezione posta su una delle estremità dell’elsa
diventando un’arma di straordinaria eleganza e spaventosa
potenza.
I Padawan venivano addestrati all’uso della spada laser fin
dall’inizio del loro tirocinio, pertanto non era insolito nel
Tempio vedere allievi di giovanissima età maneggiare quelle
armi tanto letali. E quando giungevano alla fine del loro
apprendistato, come prova finale veniva loro chiesto di costruire da
soli, e senza l’aiuto dei loro maestri, la loro spada laser
personale. Un compito assai difficile poiché il minimo
errore poteva far esplodere l’arma ed uccidere colui che la
impugnava. Tale prova segnava il passaggio da allievo Padawan a
Cavaliere Jedi.
Con un casco calato fin sopra gli occhi che gli impediva di vedere,
Obi-Wan si muoveva sicuro al centro di una stanza spoglia, reggendo la
sua spada laser mentre due oggetti sferici, chiamati remoti da
addestramento, si muovevano volteggiando a mezz’aria attorno
al ragazzo sostenuti dai loro campi repulsori.
In un angolo della stanza, Qui-Gon lo osservava silenzioso con le
braccia incrociate sul petto.
I due remoti da addestramento svolazzavano attorno a Obi-Wan variando
continuamente velocità e direzione.
“Svuota la tua mente”, disse Qui-Gon.
“Affidati totalmente all’istinto.”
Obi-Wan si fermò e rimase immobile, concentrato ma non del
tutto rilassato. Non come avrebbe voluto il suo maestro. Un Jedi doveva
essere passivo anche durante un combattimento. Ma Obi-Wan, col pensiero
di quei due remoti che gli giravano attorno pronti a colpire, non
poteva fare a meno di essere un po’ teso.
Improvvisamente uno dei remoti scattò in avanti e
sparò un sottile raggio di energia verso Obi-Wan. Il ragazzo
ruotò velocemente su se stesso e parò il raggio
con la lama laser della sua spada.
Quasi istantaneamente, il secondo remoto si abbassò
all’altezza della cintola e colpì il Padawan ad
una gamba.
I raggi di energia dei remoti da addestramento non erano letali, ma
erano comunque dolorosi.
Obi-Wan sobbalzò per il dolore provocato dalla scossa.
Irritato per il suo fallimento, il giovane spense la spada e si
massaggiò la gamba dolorante.
Non appena il fascio di luce della spada fu disattivato, i due remoti
si fermarono uno di fianco all’altro a mezz’aria.
Qui-Gon emise un sospiro e disse: “Lascia che sia la Forza a
guidare le tue azioni.”
Obi-Wan riaccese la spada laser e si mise in posizione di guardia
mentre i due remoti ripresero a volteggiargli attorno. Il giovane
Padawan si concentrò, riprese il suo legame con la Forza e
nella sua mente prese forma l’immagine delle due sfere. Il
suo sguardo era immerso nel buio totale, tuttavia egli riusciva a
vedere i due remoti. Non con gli occhi, ma con la mente. Grazie alla
Forza egli poteva percepire il mondo attorno a sé senza aver
bisogno dei suoi normali sensi.
Obi- Wan rimase immobile aspettando che fossero i due remoti a fare la
prima mossa.
Gli occhi attenti di Qui-Gon non lo lasciavano nemmeno per un attimo.
All’improvviso le due sfere tornarono ad attaccare quasi
contemporaneamente.
Obi-Wan, con riflessi prontissimi, parò le sottili scariche
di energia emesse dai due remoti mentre questi si muovevano rapidi
attorno al ragazzo. Ma presto la situazione sfuggì al
controllo del Padawan e mentre un remoto lo teneva occupato
frontalmente, l’altro si posizionò dietro la
schiena di Obi-Wan e lo colpì con una scarica alla spalla.
Ancora una volta, Obi-Wan fu costretto a spegnere la spada laser per
massaggiarsi la spalla idolenzita.
Qui-Gon non appariva per niente soddisfatto della prestazione del suo
allievo e scuotendo la testa disse: “Farai meglio la prossima
volta.”
Obi-Wan avvertì il tono di delusione di Qui-Gon e
con voce affranta rispose: “Sì, Maestro.”
Il giovane Padawan si tolse il casco e a quel punto vide un altro Jedi
entrare nella stanza.
Di giovane età e dalla pelle scura, il Jedi si
avvicinò a Qui-Gon e gli bisbigliò qualcosa che
Obi-Wan non riuscì a sentire. Poi Qui-Gon annuì
con la testa e il Jedi dalla pelle scura si allontanò.
“Andiamo, Obi-Wan”, disse quindi il Maestro Jedi al
suo giovane allievo. “Siamo attesi nella Sala del
Consiglio.”
Il Padawan non fece né domande, né commenti. Si
agganciò la spada laser alla cintura, posò il
casco su di una panca di legno e seguì il suo maestro fuori
dalla stanza di addestramento.
Obi-Wan, in piedi accanto al suo maestro Qui-Gon, osservò
con rispettoso silenzio i dodici membri del Consiglio dei Jedi seduti
in circolo attorno a loro, e notò sui loro volti un
espressione estremamente seria.
Mace Windu, seduto alla sinistra del riverito Maestro Yoda, si sporse
in avanti sulla sua poltrona ed esordì annunciando con voce
profonda e ben impostata: “E’ successo un fatto
grave, Qui-Gon. Come sai, il Maestro Sann è partito per
Dantooine dietro nostra richiesta per occuparsi di una missione
diplomatica estremamente delicata.”
Qui-Gon e tutti gli altri presenti ascoltarono con attenzione
ciò che stava dicendo Mace Windu senza interrompere.
“Ebbene”, continuò il Maestro Windu con
sguardo accigliato, “Abbiamo da poco appreso che subito dopo
la sua partenza, Jon-Enn Sann si è impadronito
dell’astronave sulla quale viaggiava abbandonando
l’equipaggio in un guscio di salvataggio. Prima di sganciare
il guscio Jon-Enn ha attivato il segnale di soccorso. ”
Obi-Wan ebbe un sussulto al cuore sentendo le parole del Maestro Windu.
Non poteva credere che Jon-Enn fosse stato capace di un atto tanto
grave. Alzò gli occhi sul suo maestro e vide che Qui-Gon
stava ascoltando con espressione impassibile, senza manifestare la
minima emozione.
Il Maestro Windu, intanto, andò avanti con la sua
esposizione dei fatti.
“Il guscio è stato recuperato tra le vette
ghiacciate di Ando Prime. L’equipaggio è incolume.
Per fortuna i soccorsi sono intervenuti in tempo evitando che quelle
persone morissero congelate.”
Obi-Wan continuava a chiedersi dentro di sé come fosse
possibile. Egli si rifiutava di accettare le parole di Mace Windu.
Avrebbe voluto gridare con tutte le sue forze che ciò che
stava dicendo era un cumulo di assurdità. Ma come avrebbe
potuto? Non era che un allievo Padawan e non era certo nella posizione
di poter mettere in discussione le parole di un altro Jedi. Soprattutto
di un membro del Consiglio. Tutto ciò che poteva fare era
ascoltare rimanendo in silenzio.
A quel punto il Maestro Ki-Adi-Mundi, prese la parola e gli sguardi di
Qui-Gon e Obi-Wan si spostarono su di lui. “Jon-Enn non
è mai giunto su Dantooine”, dichiarò il
Maestro Jedi Cereano. “Abbiamo ragione di credere che sia
tornato su Ord Mantell, nonostante il nostro divieto, per continuare le
sue ricerche.”
Qui-Gon ripensò alla conversazione avuta con Jon-Enn poco
prima della sua partenza. Il Jedi si era dimostrato molto contrariato
dall’ordine del Consiglio di abbandonare le sue ricerche sui
Sith. Qui-Gon aveva interpretato la reazione di Jon-Enn come un
semplice sfogo dovuto alla frustrazione che in quel momento
l’amico stava provando. Ma a quel punto stava cominciando a
credere di aver sottovalutato la situazione di Jon-Enn.
Qui-Gon abbassò lo sguardo con espressione cupa facendosi
sfuggire un lieve sospiro.
Il Maestro Yoda, che lo stava osservando con i suoi grandi occhi verdi,
intuì lo stato d’animo del Jedi ed esortandolo a
confidarsi disse: “Qualcosa ti tormenta, Qui-Gon? Rivelarci
vuoi i tuoi pensieri?”
Qui-Gon fece un profondo respiro e raddrizzando le spalle ammise:
“Temo di avere una parte di colpa per ciò che
è successo.”
Yoda sgranò gli occhi e raddrizzando le lunghe orecchie
domandò: “Cosa ti spinge a dire
ciò?”
“Dopo il vostro incontro con Jon-Enn, egli è
venuto da me. Era molto deluso dalla vostra decisione di allontanarlo
dalle sue ricerche. Ho avvertito molta rabbia in lui.”
Yoda chiuse gli occhi con espressione grave. Anche gli altri membri del
Consiglio manifestarono la loro inquietudine scambiandosi sguardi pieni
di perplessità.
Attraverso i loro mormorii, la voce di Yoda emerse zittendo quella di
tutti gli altri. “Rabbia!”, esclamò
l’anziano Maestro Jedi, “Al Lato Oscuro essa
conduce.”
Qui-Gon annuì con la testa. “Purtroppo ho
sottovalutato la situazione”, confessò con
rammarico. “Non pensavo che Jon-Enn potesse arrivare a
tanto.”
“Ciò che ha fatto è molto
grave”, sentenziò Ki-Adi-Mundi e Qui-Gon non
potè che concordare con il Maestro Jedi.
Lo sguardo di Mace Windu scrutò i volti degli altri undici
membri del Consiglio. Quindi il Maestro Jedi guardò Qui-Gon
con espressione severa e disse: “Andate su Ord Mantell e
costringete Jon-Enn Sann a tornare qui al Tempio. Se possibile evitate
uno scontro.”
“Sono certo di riuscire a farlo ragionare”,
assicurò Qui-Gon fiducioso.
“Attento, Qui-Gon”, lo avvertì Yoda.
“L’influenza del Lato Oscuro io avverto.”
“Saremo prudenti”, promise il Jedi.
“Ora andate”, concluse il Maestro Windu con un
gesto solenne della mano. “E che la Forza sia con
voi.”
Così, con il tradizionale saluto Jedi, Qui-Gon Jinn e
Obi-Wan Kenobi furono congedati dal Consiglio. I due Jedi salutarono i
dodici maestri con un inchino e si avviarono verso l’uscita
della sala.
Capitolo tre
Appena qualche ora dopo l’incontro con il Consiglio dei
Jedi, Qui-Gon Jinn e il suo allievo Obi-Wan Kenobi lasciarono
Coruscant a bordo di un altro incrociatore della Repubblica.
Il vascello dallo scafo color cremisi uscì
dall’atmosfera del pianeta e puntò verso lo spazio
aperto per poi scomparire in un lampo nell’iperspazio.
In una delle anguste cabine riservate ai passeggeri, Qui-Gon se ne
stava seduto sulla sua branda, con gli occhi chiusi, completamente
assorto dai suoi pensieri. Il compito che lo attendeva non era tra i
più semplici. Jon-Enn era suo amico e se davvero era caduto
preda del Lato Oscuro della Forza, Qui-Gon avrebbe dovuto affrontarlo
in combattimento. Ma prima di arrivare a quel punto, il Jedi era
fermamente intenzionato a cercare di far ragionare il suo amico.
Un profondo senso di colpa stava perseguitando Qui-Gon. Il pensiero che
se solo avesse intuito prima le intenzioni di Jon-Enn, probabilmente
sarebbe stato in grado di evitare quella grave situazione lo
ossessionava.
Improvvisamente il Cavaliere Jedi fu destato dal suono di un cicalino
che annunciava la presenza di qualcuno fuori della cabina.
Qui-Gon aprì gli occhi e raddrizzò la schiena,
poi esclamò: “Avanti.”
La porta scivolò di lato dentro la parete e
sull’uscio apparve la figura minuta del giovane Obi-Wan.
“Disturbo, Maestro?”, chiese timidamente il Padawan.
“Niente affatto, Obi-Wan”, rispose gentilmente
Qui-Gon abbozzando un mezzo sorriso. Poi, notando il senso di
inquietudine che traspariva dall’espressione che il ragazzo
aveva sul viso, domandò: “C’è
qualcosa che ti turba?”
“In verità, sì”,
confessò Obi-Wan. Egli esitò qualche istante e il
suo maestro attese pazientemente senza forzarlo. Infine il giovane
allievo fece qualche passo avanti e la porta della cabina si richiuse
con un sibilo alle sue spalle.
“Credi che dovremo affrontare il Maestro Jon-Enn in
combattimento?”, chiese Obi-Wan rivelando così i
suoi timori.
“Spero di no”, rispose Qui-Gon.
“Lo spero anch’io. Il Maestro Jon-Enn è
un amico.”
Qui-Gonn annuì con la testa pensando che fino a quel momento
non si era mai reso conto di quanto quel ragazzo fosse affezionato a
Jon-Enn.
“Quindi non ti confronterai con lui in duello?”,
insistette Obi-Wan.
“Con l’aiuto della Forza, forse non sarà
necessario”, cercò di rassicurarlo il Maestro
Jedi. Che altro avrebbe potuto dire? Una volta giunti su Ord Mantell,
avrebbe valutato il problema e si sarebbe comportato di conseguenza.
Era inutile perdere tempo a considerare ipotesi o a pianificare linee
di azione senza avere un quadro della situazione.
Un Jedi doveva sempre concentrare le proprie percezioni sul presente.
Su quello che è, non su quello che sarà o che
potrebbe essere. Questo era uno degli insegnamenti che più
spesso doveva ricordare ad Obi-Wan poichè il ragazzo tendeva
quasi sempre a porre più attenzione a probabili eventi
futuri piuttosto che a quelli in corso.
L’espressione sul volto del ragazzo rimase immutata. Tuttavia
egli annuì con la testa e si diresse verso la porta che si
aprì automaticamente. Giunto sull’uscio, Obi-Wan
si voltò verso Qui-Gon e disse: “Non devi sentirti
in colpa per ciò che è successo, Maestro. Non
potevi prevederlo. Il Maestro Yoda dice che è sempre in
movimento il futuro.”
Qui-Gon sorrise all’ingenuo tentativo di Obi-Wan di impartire
lezioni sulla Forza al suo maestro. Ma apprezzando le buone intenzioni
del ragazzo, anziché rimproverarlo lo ringraziò
silenziosamente con un cenno del capo.
A quel punto Obi-Wan uscì dalla stanza lasciando Qui-Gon
solo con i suoi pensieri.
Il Maestro Jedi cominciò una lunga e profonda meditazione
per prepararsi all’incontro con Jon-Enn.
All’interno di una profonda caverna illuminata da poche torce
accese fissate nelle insenature delle pareti rocciose, Jon-Enn Sann
scavava nella terra con i suoi attrezzi da lavoro.
Il Jedi lavorava come in preda ad una follia ossessiva. I capelli
scompigliati, la fronte imperlata di sudore, le mani, doloranti per la
fatica e sporche di sabbia, che brandivano una pala con la quale
sollevavano cumuli di terra da una fossa profonda all’incirca
un metro e mezzo. Con una mano si asciugò il sudore che gli
colava sugli occhi. Quindi riprese a scavare.
Ad un certo punto l’attrezzo toccò qualcosa di
duro e metallico sepolto sotto la terra.
Jon-Enn posò la pala, si inginocchiò e si mise a
scavare a mani nude scoprendo così un oggetto dalla
superficie liscia. Con le dita tracciò un solco nella terra
per definire i contorni dell’oggetto e quando finalmente
riuscì a disseppellirlo per almeno tre quarti, lo
afferrò saldamente e lo tirò fuori dalla buca.
L’oggetto era un sarcofago la cui larghezza misurava poco
meno di un metro, con i bordi decorati da elaborate incisioni. Jon-Enn
lo sollevò faticosamente e lo posò sul terreno
fuori dalla fossa.
Visibilmente eccitato, il Jedi saltò fuori dalla fossa e si
chinò sul sarcofago per osservarlo da vicino. Con le mani
spazzò via la terra che ne ricopriva la superficie scoprendo
che le incisioni rappresentavano i caratteri di una lingua
misteriosa. Egli li studiò attentamente cercando
di interpretarli, ma senza riuscirci. Poco importava. Ci avrebbero
pensato i droidi di analisi al Tempio, su Coruscant.
Jon-Enn osservò l’elaborata serratura che
sigillava il coperchio. Si concentrò e con la mente
visualizzò l’intricato meccanismo interno.
Ricorrendo alla Forza, il Jedi fece scattare il meccanismo e con le
mani sollevò delicatamente il coperchio.
Un ampio panno di stoffa scuro ben ripiegato copriva il prezioso
contenuto. Jon-Enn lo sollevò e spiegandolo
scoprì che si trattava di un elegante mantello nero di
raffinata fattura. Sotto, altri oggetti giacevano accatastati
l’uno sull’altro.
Alcuni indumenti ripiegati con la medesima cura del mantello. Un antico
libro dalle pagine ingiallite che Jon-Enn sfogliò con cura e
rispetto, scoprendo testi scritti nella stessa lingua delle incisioni
sulla superficie del sarcofago. Ed, infine, con grande sorpresa, un
oggetto cilindrico di metallo scuro. Ma non un semplice oggetto. Un
simbolo.
Quest’ultimo suscitò in Jon-Enn una forte
emozione. Il Jedi sollevò dal sarcofago l’elsa
della spada laser con la stessa riverenza che si userebbe con un
oggetto sacro e l’ammirò alla luce delle torce.
Era diversa da tutte le altre spade che aveva visto fino ad allora.
L’impugnatura era completamente nera e liscia, e sulla
superficie si intravedevano i pulsanti di attivazione e di regolazione
della lama laser. Attorno al disco di proiezione della lama, situato
sull’estremità alta dell’elsa, sporgeva
una corona di punte sottili simili a spine.
Jon-Enn la fissava con una luce sinistra che gli brillava negli occhi.
Si alzò in piedi e tenendo la spada davanti a sé
premette il pulsante di attivazione. Istantaneamente comparve un fascio
di luce scarlatta generato dal cristallo sintetico contenuto
all’interno dell’elsa, accompagnato dal tipico
ronzio emesso dalle spade laser. I Sith infatti, a differenza dei Jedi,
non impiegavano cristalli adegani naturali, ma ne fabbricavano dei
simili con l’aiuto del Lato Oscuro. A ciò si
doveva il colore rosso delle lame laser che caratterizzavano le loro
spade.
Il Jedi mosse la spada nell’aria costatando che, nonostante
fosse vecchia di secoli, era ancora perfettamente funzionante. La lama
laser non emetteva alcun calore, ma la luce di cui era fatta era tanto
abbagliante da oscurare le tenui fiamme delle torce.
Jon-Enn la spense e la tenne tra le mani pensando che una volta
mostrata quella stupefacente reliquia ai membri del Consiglio dei Jedi,
essi avrebbero dovuto cambiare opinione riguardo alle sue ricerche.
A circa un millennio dalla scomparsa degli Oscuri Signori dei Sith,
Jon-Enn aveva riportato alla luce una straordinaria testimonianza della
loro esistenza.
Completamente assorto da quel pensiero, forse accecato dalla visione di
un posto nel seggio del Consiglio, tra i grandi Maestri, Jon-Enn non si
accorse di un ombra che, confondendosi con il gioco di luci prodotto
dal movimento delle fiamme delle torce, si avvicinava lungo la galleria
che conduceva verso l’esterno.
Lo sguardo del Jedi era completamente catturato da
quell’oggetto prezioso che stringeva tra le mani come un
tesoro. Improvvisamente percepì qualcosa. Un tremito nella
Forza. Una presenza infausta alle sue spalle.
Jon-Enn si voltò di scatto pronto a reagire, ma a quel punto
fu troppo tardi.
Una figura enorme e oscura come le tenebre incombeva ormai su di lui.
A quel punto tutto divenne buio e silenzioso.
L’incrociatore della Repubblica uscì con un lampo
dall’iperspazio giungendo nel sistema di Ord Mantell.
Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi entrarono nella cabina di comando
dell’astronave.
L’ufficiale in comando e il suo copilota, presi dalle
operazioni di navigazione, non prestarono attenzione ai due Jedi che,
in piedi dietro di loro, osservavano in silenzio attraverso
l’oblò di prua il pianeta che si avvicinava
diventando sempre più grande.
Ord Mantell era una gigantesca sfera blu circondata, per almeno tre
quarti, da un fitto strato di nubi rosa. Attorno al pianeta orbitavano
due lune marroni prive di atmosfera più altri
tredici satelliti più piccoli.
Qui-Gon si chinò verso il primo pilota e disse:
“Capitano Sallis, esegua un accurata scansione delle zone
montuose del pianeta.”
“Sì, signore”, rispose
l’ufficiale anziano tenendo d’occhio gli strumenti
sulla console e con un cenno al suo copilota gli trasmise
l’ordine.
Il capitano Sallis era un uomo sulla cinquantina con corti capelli
rossi e due stretti occhi azzurri che spiccavano sul volto colorito.
L’ufficiale aveva tutta l’aria di essere un
veterano e muoveva sicuro la sua mano sui comandi della console
premendo tasti e spostando leve mentre con l’altra reggeva
saldo il timone. Egli pilotava quella complessa astronave con
naturalezza e disinvoltura come se fosse in grado di farlo ad occhi
chiusi.
Il giovane che gli sedeva accanto, invece, sembrava fresco di
accademia. Infatti non dimostrava più di 25 anni. Era un
ragazzo robusto, dal fisico ben sviluppato, tanto che
l’uniforme blu sembrava stargli piuttosto stretta. I capelli
biondi tagliati a spazzola riflettevano le luci colorate delle spie che
lampeggiavano sui pannelli di comando, mentre i suoi occhi chiari non
si staccavano nemmeno per un istante dagli strumenti di navigazione.
Passarono alcuni istanti durante i quali il copilota
trafficò con alcuni pulsanti osservando i simboli colorati
che apparivano su un monitor posto sopra l’oblò di
prua, dopo di che il giovane annunciò: “Ecco,
signore. Credo di aver trovato qualcosa.”
Il capitano Salliss alzò lo sguardo verso il monitor e
osservò l’immagine scannerizzata di
un’astronave.
Qui-Gon si accigliò riconoscendo la configurazione
dell’astronave visualizzata sul monitor.
“E’ l’incrociatore della Repubblica che
ha portato qui il Maestro Sann”, disse sicuro il Jedi notando
l’assenza di un’intera sezione nella parte ventrale
del vascello. Si trattava della sezione che alloggiava il guscio di
rappresentanza che Jon-Enn aveva sganciato su Ando Primo per liberarsi
dell’equipaggio.
“Bene”, rispose il capitano. Poi, rivolto
al suo copilota ordinò: “Passami le coordinate. Si
scende.”
Quindi, mentre il copilota digitava su una tastiera posta sul suo lato
della console, il capitano Sallis manovrò
l’astronave entrando nell’atmosfera di
Ord Mantell.
L’incrociatore emerse da un denso banco di nubi bianche
mentre i raggi del sole pomeridiano, che filtravano attraverso le
nuvole, si riflettevano sullo scafo color cremisi.
Scendendo di quota, sorvolò un’estesa catena
montuosa lontana dai centri abitati. I propulsori rombavano producendo
un’eco che si propagava tra le gole e le valli sottostanti.
Attraversando le alte montagne, l’astronave si
avvicinò ad una zona di roccia pianeggiante dove ritrovava
l’altro incrociatore della Repubblica di cui si era
impadronito il Maestro Jon-Enn.
Il vascello con a bordo i due Jedi rallentò e,
mentre dallo scafo inferiore uscivano i piloni di sostegno, si
posò sul suolo ghiaioso sollevando con i suoi getti di
scarico nuvole di polvere e sabbia.
I motori si spensero e dopo pochi istanti, dalla fiancata del vascello,
calò giù la rampa di sbarco. Quindi, sulla cima
della rampa si aprì un portello dietro al quale apparvero le
figure di Qui-Gon, di Obi-Wan e del capitano Sallis.
I due Jedi, insieme al capitano, scesero lungo la rampa e si diressero
verso l’altro incrociatore che aveva tutta
l’apparenza di essere abbandonato. L’ufficiale
più giovane intanto era rimasto a bordo, nel caso fosse
giunto qualche messaggio da Coruscant.
Mentre il capitano Sallis scrutava l’ambiente circostante,
Qui-Gon e Obi-Wan salirono a bordo dell’incrociatore e si
divisero ispezionando ogni compartimento della nave. I due Jedi
estesero le proprie percezioni allo scopo di avvertire tracce della
passata presenza
di Jon-Enn. E la trovarono. Ma il loro amico non era più a
bordo da parecchio tempo.
Alcuni minuti dopo Qui-Gon e il suo allievo scesero dal vascello e
raggiunsero il capitano Sallis.
“Beh”, disse l’ufficiale scrollando le
spalle, “c’era da aspettarsi che la nave fosse
abbandonata.”
Qui-Gon annuì con la testa concordando con il capitano.
“Non ci resta che andare a dare un’occhiata alla
caverna che ha trovato il Maestro Sann”, disse rivolto ad
Obi-Wan. Poi si voltò verso il capitano Sallis e disse:
“Mi raccomando, rimanete a bordo. Queste zone selvagge sono
molto pericolose. Ci metteremo in contatto con voi molto
presto.”
“Sì, signore”, rispose il capitano
Sallis con un cenno affermativo della testa. “Siate
prudenti.”
Qui-Gon e il suo allievo Obi-Wan scesero lungo la rampa e si misero in
cammino lungo un sentiero che saliva verso una serie di colline
rocciose.
Il capitano Sallis li seguì per un po’ con lo
sguardo accigliato, poi rientrò nell’astronave
chiudendo il portello dietro di sé.
Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi camminarono per un’ora buona
salendo sempre di più lungo il sentiero che attraversava una
distesa di alture rocciose. Sarebbe stato molto più semplice
per loro atterrare in un punto più vicino alla caverna dove,
presumibilmente, doveva trovarsi il Maestro Jon-Enn, ma la morfologia
irregolare di quella regione del pianeta non l’aveva
consentito. Pertanto il capitano Sallis era stato costretto a scegliere
l’unica aria pianeggiante presente nella zona, che
però distava almeno un paio d’ore di cammino dalla
caverna in questione.
I due Jedi, sempre con i sensi all’erta, non si concedevano
nemmeno un attimo di distrazione. Quelle zone montuose lontane dai
centri civilizzati del pianeta erano territorio di pericolose e
selvagge creature, i temuti Savrip Mantelliani.
Gli occhi del Maestro Jedi e del suo allievo Padawan scrutavano
attentamente ogni dettaglio di quel luogo apparentemente tranquillo,
consci che qualsiasi spuntone di roccia ed ogni insenatura potevano
nascondere un pericolo.
Dopo un’altra ora di faticoso cammino, i due Jedi finalmente
raggiunsero la caverna ai piedi di una maestosa montagna.
“Dev’essere qui”, disse Qui-Gon
osservando l’ingresso illuminato dalle fiaccole
delle torce fissate nelle pareti. Il Maestro Jedi chiuse gli occhi ed
estese le proprie percezioni.
Una perturbazione nella Forza gli confermò ciò
che temeva.
Tracce del Lato Oscuro, come residui di energia presenti dopo
un’esplosione, si diffondevano ovunque impregnando
l’aria, le rocce, il terreno e le piante che sporgevano dal
suolo.
Qui-Gon si voltò verso Obi-Wan e, senza dir nulla, fece un
cenno di assenso con la testa. Quindi entrò seguito dal suo
fedele allievo Padawan.
A centinaia di metri di distanza, nella valle sottostante, due
incrociatori della Repubblica sostavano uno accanto all’altro
mentre una leggera brezza trasportava la sabbia che andava a posarsi
sui loro scafi metallici.
Nella cabina di pilotaggio di uno dei due incrociatori, il capitano
Sallis e il suo copilota erano seduti sulle loro poltrone, intenti ad
eseguire alcuni controlli di routine con gli strumenti di bordo. Erano
passate circa due ore da quando i due Jedi avevano lasciato
l’astronave e fino a quel momento non era giunta alcuna
segnalazione da parte loro. Dall’esterno non si udiva alcun
rumore.
Di tanto in tanto il capitano dava una sbirciata
dall’oblò frontale aspettandosi di veder passare
qualche creatura selvaggia o qualche uccello, ma l’unica
vista che gli si presentava davanti era una monotona distesa di alture
rocciose punteggiate qua e là da ciuffi d’erba e
da qualche cespuglio.
Il giovane ufficiale seduto accanto a lui teneva lo sguardo fisso su un
monitor controllando i dati forniti dal computer della nave mentre
eseguiva un programma diagnostico dei sistemi principali.
Dopo l’ennesima occhiata al passaggio circostante, il
capitano Sallis fece uno sbadiglio e si rilassò sullo
schienale della poltrona. Con le gambe stese sotto la console di
comando, l’uomo mise le mani dietro la nuca e rivolto
all’altro ufficiale disse: “Io mi riposo un
po’. Se noti qualcosa di strano avvertimi.”
Il giovane socchiuse la bocca in procinto di rispondere al suo
superiore ma improvvisamente un forte urto scosse la nave facendo
sobbalzare i due ufficiali sulle loro poltrone.
“Cos’è stato?”,
esclamò il capitano Sallis voltandosi di scatto verso il suo
copilota.
“Non lo so, signore”, rispose il giovane tenente
con gli occhi sgranati.
Entrambi si sporsero per osservare attraverso
l’oblò frontale della nave.
“Da qui non si vede niente”, disse Sallis muovendo
velocemente gli occhi da una parte all’altra.
“Andiamo fuori a controllare.”
Il capitano si staccò dall’oblò
d’acciaio trasparente e si avviò velocemente verso
il ripostiglio delle armi. Al giovane tenente non andava molto a genio
l’idea di uscire fuori ma suo malgrado dovette seguire il suo
capitano. Quando lo raggiunse, Sallis gli passò un fucile
blaster che il giovane impugnò saldamente. Quindi il
capitano ne prese uno anche per sé e si diresse verso il
portello d’uscita della nave.
Premendo un pulsante su un pannello, il capitano Sallis aprì
il portello e fece scendere la rampa d’accesso. I raggi del
sole illuminarono una parte dell’interno
dell’astronave.
I due ufficiali attesero un attimo per far abituare gli occhi alla
luce, quindi, con i fucili blaster puntati, scesero lentamente lungo la
rampa guardandosi attentamente attorno.
“Occhi aperti”, raccomandò Sallis
scrutando ogni punto attorno al vascello.
Il giovane tenente annuì con la testa, muovendo lo sguardo
da una roccia all’altra e stringendo il fucile pronto a
sparare su qualsiasi cosa si muovesse contro di loro.
Tutto appariva tranquillo. I due raggiunsero il suolo ghiaioso e,
schiena contro schiena, osservarono il paesaggio circostante.
Il capitano Sallis aveva i muscoli tesi e il giovane copilota sentiva
il cuore battergli forte nel petto.
Ovunque regnava il silenzio assoluto, a parte il soffio del vento che
trascinava la polvere.
Né il ronzio di un insetto o lo strisciare di un rettile
sulla sabbia che indicassero la presenza di una qualche forma di vita.
Niente.
I due ufficiali si rilassarono ed entrambi emisero un forte sospiro di
sollievo. Il giovane tenente si asciugò il sudore sulla
fronte con la manica della sua uniforme blu.
I due uomini abbassarono le armi e si voltarono verso la rampa
dell’astronave con l’intenzione di risalirla.
Ad un tratto, dietro di loro piombò la sagoma di
un’enorme creatura saltata giù da una roccia che
si sporgeva dalla cima di un’altura. Il tonfo delle sue gambe
massicce fece voltare di scatto i due ufficiali.
Né il capitano Sallis, né il copilota ebbero il
tempo di rendersi conto di cosa li stesse attaccando. Tutto
ciò che riuscirono ad intravedere furono due minuscoli occhi
scarlatti che brillavano su una testa azzurra da rettile. Dopo di che,
un braccio grande quanto il tronco di un albero piombò su di
loro scaraventandoli con violenza ad alcuni metri di distanza. I fucili
blaster volarono via e i due uomini atterrarono bruscamente sul suolo
sabbioso dove rimasero immobili e privi di sensi.
L’ombra della creatura si avvicinò ai due uomini
che giacevano distesi tra la polvere e i sassi. Poco dopo se ne
aggiunse un’altra. Ed un’altra ancora. E
così via fino ad oscurare completamente i corpi dei due
ufficiali.
L’entrata della caverna si era rivelata un lungo tunnel che
si addentrava in profondità all’interno della
montagna. La galleria era illuminata dalle fiamme delle torce che
danzavano mosse dalle correnti d’aria, proiettando sulle
fredde pareti ombre inquietanti simili a spettri.
Qui-Gon e Obi-Wan la percorrevano lentamente. Ogni passo, ogni
scricchiolio del terreno sotto le suole dei loro stivali, veniva
ampliato dall’eco che si diffondeva tra le mura rocciose
vecchie di milioni di anni.
Il Maestro Jedi era sempre più preoccupato. Le tracce del
Lato Oscuro erano così intense da poterle quasi toccare. Per
quale misterioso motivo Jon-Enn non le aveva avvertite? Cosa era
successo in quella caverna?
Obi-Wan si guardava attorno con espressione turbata. “Fa
freddo”, disse il giovane stringendosi nella sua larga veste.
“E’ inquietante, Maestro. Sento
come…”
“Un tremito nella Forza”, suggerì
Qui-Gon.
“Esatto, Maestro!”, esclamò il Padawan.
L’eco della sua voce si propagò lungo tutto il
tunnel scomparendo nelle profondità della montagna.
Qui-Gon gli scoccò un’occhiata severa e Obi-Wan
abbassò lo sguardo imbarazzato.
“Lo sento anch’io”, sussurrò
il Maestro Jedi riferendosi alla sensazione negativa di cui parlava il
ragazzo. “Questo posto è intriso di
malvagità. Il Maestro Yoda aveva ragione. Il Lato Oscuro
è molto forte qui.”
“Se è così, perché il
Maestro Jon-Enn non l’ha percepito la prima volta che
è venuto in questo posto?”, domandò
Obi-Wan accigliandosi.
Sul volto leonino di Qui-Gon apparve un mezzo sorriso. Il suo Padawan
si era posto le sue stesse domande. “Posso solo
pensare”, disse il Maestro Jedi, “che quando
Jon-Enn ha scoperto questo posto, il Lato Oscuro non fosse ancora
così forte. Deve essere successo qualcosa dopo il suo
arrivo. Comunque suggerisco di trovare il nostro amico in fretta e di
andarcene da qui prima possibile.”
Obi-Wan annuì silenzioso.
Ad un certo punto la galleria svoltò e quando i due Jedi
ebbero superato la curva videro, in fondo al tunnel,
un’apertura dalla quale proveniva una luce.
Qui-Gon e Obi-Wan si scambiarono un’occhiata e proseguirono
con determinazione. I due giunsero così ad uno sbocco che si
apriva su un’ampia caverna circolare anch’essa
illuminata da numerose torce fissate alle pareti che la circondavano.
Attorno alla caverna si aprivano altri cunicoli e gallerie che
conducevano in luoghi sconosciuti ancora più in
profondità nella montagna. Sparsi sul terreno
c’erano uno zaino e gli attrezzi da lavoro di Jon-Enn. E in
un punto, una fossa non molto profonda indicava il ritrovamento di un
oggetto di qualche tipo.
Qui-Gon e il suo allievo si guardarono attorno cercando di percepire
qualcosa che non avesse attinenza con il Lato Oscuro e che li
conducesse al loro amico Jon-Enn, ma alla fine i due Jedi dovettero
desistere e si scambiarono uno sguardo incupito.
Qui-Gon sospirò osservando le gallerie che si aprivano
davanti a lui.
“Proviamo una di quelle?”, chiese Obi-Wan cercando
di intuire le intenzioni del suo maestro.
Qui-Gon continuava a spostare lo sguardo da un tunnel
all’altro con aria pensosa. Nessuna di quelle gallerie era
illuminata da torce. “Dubito che Jon-Enn possa essersi spinto
così lontano”, concluse quindi il Maestro Jedi
osservando gli attrezzi abbandonati vicino alla buca. “Tutto
fa supporre che abbia concentrato le sue ricerche in questa
caverna.”
Qui-Gon estrasse un piccolo comlink che portava in una delle tasche
celate tra le pieghe delle larghe vesti e portandoselo vicino alla
bocca lo attivò. “Capitano Sallis. Mi
riceve?”
L’unico suono che udì dal comunicatore fu una
serie di scariche statiche.
Il Maestro Jedi guardò Obi-Wan con espressione perplessa.
“Forse le pareti della caverna ostacolano il
segnale”, ipotizzò Qui-Gon. “Vieni,
Obi-Wan. Usciamo.”
Quindi i due Jedi ripercorsero a passo veloce il tunnel che
li aveva condotti fino alla caverna e una volta fuori dalla montagna,
Qui-Gon attivò di nuovo il comlink . “Capitano
Sallis, mi riceve?”
Ancora una volta non ebbe nessuna risposta, ma soltanto un forte
scroscio di scariche statiche emesse dal minuscolo altoparlante del
comlink. Qui-Gon cercò di regolare il segnale con i comandi
posti sul piccolo pannello del comunicatore. Tuttavia, anche senza le
pareti rocciose a fare da schermo, il Jedi non riusciva ugualmente a
mettersi in contatto con gli ufficiali a bordo
dell’incrociatore.
“Non mi piace”, commentò Qui-Gon con
aria cupa. Poi alzò lo sguardo e osservò il sole
che spuntava da dietro la coltre di nubi nel cielo. Mancava ancora
qualche ora al tramonto. Se si fossero affrettati, probabilmente
avrebbero raggiunto l’’incrociatore prima del calar
del buio. Quindi disse:
“Torniamo all’astronave.” E i due Jedi si
rimisero in cammino lungo la via del ritorno.
Le ombre delle rocce proiettate sul terreno accidentato cominciavano a
farsi più lunghe. Il sole, oltre il manto di nubi, stava
cominciando lentamente a calare. La luce diurna era ancora forte, ma
non sarebbe durata per molto. Ed una volta giunta la notte, le
probabilità di essere attaccati da qualche predatore
aumentavano notevolmente.
Qui-Gon e il suo giovane allievo Obi-Wan stavano percorrendo un canale
costeggiato in entrambi i lati da una catena di alture rocciose, quando
ad un certo punto il Maestro avvertì qualcosa e si
fermò. Con aria inquieta alzò lo sguardo verso le
cime delle alture e le scrutò ampliando i sensi grazie alla
Forza.
Obi-Wan, accanto a lui, lo guardava accigliato. “Cosa
c’è, Maestro?”, chiese il giovane
bisbigliando.
“Percepisco un pericolo”, rispose calmo Qui-Gon,
senza staccare gli occhi dalle rocce circostanti. “Stiamo
molto attenti.”
Il ragazzo annuì. Quindi i due Jedi ripresero il cammino.
Obi-Wan non si sentiva tranquillo. Le sensazioni che aveva provato
all’interno della caverna continuavano a seguirlo come ombre
oscure e minacciose. Ad ogni passo voltava la testa da una parte
all’altra tenendo d’occhio le pareti rocciose di
entrambi i lati.
Improvvisamente la voce di Qui-Gon rimbombò come un tuono:
“Obi-Wan, al riparo!”
Senza porsi domande, il giovane Padawan si abbandonò
all’istinto e si gettò velocemente contro il muro
di roccia insieme al suo maestro, appena in tempo per sfuggire ad un
enorme masso che, come apparso dal nulla, precipitò
dall’alto schiantandosi a pochi metri da loro.
L’eco dello schianto si propagò in tutta la zona
mentre il masso rotolava giù lungo il pendio.
Obi-Wan sentiva il cuore martellargli nel petto. Ricorrendo alle
tecniche Jedi che Qui-Gon gli aveva insegnato, cercò di
normalizzare i battiti cardiaci e il respiro affannato.
Qui-Gon scrutò le cime delle pareti che li circondavano, poi
si staccò dal muro e fece qualche passo su per il pendio. A
quel punto, da dietro uno spuntone di roccia, vide uscir fuori una
creatura alta e massiccia, coperta da una coriacea pelle blu, con una
testa da rettile, sulla quale brillavano due piccoli occhi scarlatti,
in cima ad un lungo collo.
La creatura brandiva una robusta clava di pietra e vestiva con rozzi
stracci che gli coprivano solo alcune parti del corpo. Dietro di essa
ne apparve un’altra. E poi un’altra ancora. Ed
ognuna di loro stringeva tra le mani una primitiva arma fatta di legno
o pietra.
I due Jedi si trovarono presto circondati da numerosi Savrip
Mantelliani dall’aspetto ostile. Ogni via di fuga era
ostacolata dalle feroci creature indigene di quel pianeta.
Qui-Gon sganciò la spada laser che portava alla cintura e
l’attivò. La lama di energia verde smeraldo
apparve ronzando e pulsando e il Jedi assunse la posizione di difesa
aspettando la mossa dei Savrip.
Obi-Wan si avvicinò a Qui-Gon e, posizionandosi con la
schiena contro quella del suo maestro, accese la sua spada laser
azzurra.
I Savrip, per nulla impressionati dalle armi ad energia dei due
stranieri, cominciarono ad avanzare agitando i loro grezzi bastoni.
Obi-Wan osservò impassibile le grosse creature, impedendo
alla paura di farsi strada nella sua mente. Aveva la Forza dalla sua
parte.
Uno dei Savrip ruggì qualcosa e i suoi compagni si
lanciarono contro i due Jedi.
Il primo Savrip che raggiunse Qui-Gon cercò di colpirlo con
la sua clava, il Jedi si scansò velocemente per
evitarla e con un fendente falciò la creatura che
crollò a terra con un profondo squarcio fumante su un fianco.
Uno dopo l’altro, i Savrip attaccarono Qui-Gon con le loro
primitive armi solo per cadere sotto i colpi di spada del Maestro Jedi.
Anche Obi-Wan se la cavava bene e la sua statura bassa mista
all’agilità lo rendevano un bersaglio assai
difficile da colpire. Affidandosi totalmente all’istinto, il
giovane Padawan muoveva veloce e sicuro la letale spada laser colpendo
qualsiasi creatura fosse tanto avventata da avvicinarsi a lui.
I Savrip si abbattevano uno sull’altro mentre
l’aria attorno a loro si impregnava dell’odore di
ozono e di carne bruciata.
I due Jedi si muovevano con incredibile velocità fendendo
l’aria con le loro spade. Improvvisamente la voce di Qui-Gon
sovrastò le urla dei Savrip. “Fermo,
Obi-Wan!”, esclamò il Maestro Jedi.
Obi-Wan si voltò di scatto e vide l’espressione
turbata sul volto di Qui-Gon rivolta verso un punto in cima al pendio.
Seguendo la direzione dello sguardo del suo maestro, il Padawan
alzò gli occhi e vide una figura avvolta in un mantello
scuro, con il volto nascosto sotto l’ombra di un cappuccio.
Lo sconosciuto era circondato da altri Savrip Martelliani e, in
ginocchio davanti a loro, c’erano i due ufficiali della
Repubblica legati e inermi.
L’individuo vestito di scuro osservava i due Jedi, immobile,
cupo e silenzioso. I Savrip attorno a lui, tenevano i loro armi puntate
sui due umani prigionieri, attendendo solo un segnale per agire. La
minaccia che essi rappresentavano era più che lampante.
Qui-Gon fece un sospiro, poi spense la sua spada laser e la
gettò a terra vicino ai corpi delle creature che aveva
abbattuto.
Obi-Wan osservò lo sguardo di Qui-Gon, quindi anche lui
disattivò la sua arma e la lasciò cadere vicino a
quella del suo maestro. “Chi è quello?”,
domandò sottovoce il Padawan.
“Non lo so”, rispose Qui-Gon senza distogliere lo
sguardo dallo straniero. “Ma la Forza è molto
potente in lui. E per il momento ci ha in pugno.”
I due Jedi furono circondati dai Savrip superstiti. I corpi imponenti
delle creature aliene crearono una muraglia attorno a Qui-Gon e Obi-Wan
oscurando i loro volti.
Qui-Gon fissò accigliato i piccoli occhi scarlatti del
Savrip che lo sovrastava. Nonostante brillassero sotto il riflesso
della luce del sole, erano due occhi spenti. Occhi privi di
volontà.
Occhi di creature che agivano sotto l’influenza della Forza.
Il Lato Oscuro della Forza.
Capitolo quattro
Il sole era ormai calato dietro le montagne di Ord Mantell e gli ultimi
raggi si spegnevano lasciando che fossero le prime stelle della sera a
brillare al loro posto.
Nelle tetre profondità della montagna, nove figure
percorrevano una lunga e tetra galleria confondendosi con le ombre
proiettate dalle torce accese fissate alle pareti.
Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi camminavano lungo il tunnel sotterraneo
con i polsi legati dietro la schiena, spintonati da due grossi Savrip
Mantelliani. Davanti a loro, il misterioso individuo incappucciato e
ammantato di scuro faceva strada, cupo e silenzioso. Il gruppo era
seguito dai due ufficiali della Repubblica, anch’essi con i
polsi legati e sorvegliati da altri due Savrip dall’aspetto
minaccioso.
Il gruppo giunse al centro della caverna dove i due Jedi avevano
trovato gli attrezzi del loro amico Jon-Enn. Il misterioso individuo si
diresse verso uno dei cunicoli che si diramavano dalla caverna. Prese
una delle torce accese fissata nella parete ed entrò nella
galleria buia seguito dal gruppo di umani e di Savrip. Lungo la strada
c’erano altre torce spente, sempre fissate ai muri, che lo
sconosciuto illuminava man mano che proseguiva.
La temperatura stava scendendo notevolmente e i due ufficiali
prigionieri si sforzavano di non tremare per il freddo.
Qui-Gon e Obi-Wan, invece, sembravano tollerare quella condizione senza
alcuno sforzo.
Dopo alcuni minuti di cammino, il gruppo giunse ad una piccola grotta
che lo sconosciuto
illuminò accendendo una torcia sulla parete.
I due ufficiali vennero brutalmente spunti all’interno della
grotta dai Savrip. Esausti, i due umani si lasciarono cadere sulle
ginocchia.
Una coppia di Savrip si appostò ai due lati
dell’entrata della grotta, quindi il gruppo
proseguì con la sua marcia lungo la galleria.
“Perché ci dividete?”,
protestò Obi-Wan spazientito. “Che avete
intenzione di farci?”
L’individuo incappucciato ignorò la domanda del
giovane Padawan.
Qui-Gon, invece, lanciò al suo allievo uno dei suoi sguardi
di rimprovero e Obi-Wan abbassò gli occhi con espressione di
rammarico.
Il giovane era consapevole dell’errore che aveva appena
commesso. Ancora non sapevano con chi o con cosa avessero a che fare.
Qui-Gon aveva detto che la Forza era potente in quell’essere.
Se davvero si trattava di un Jedi Oscuro, allora non sarebbe stato
prudente provocarlo.
Qui-Gon aveva spesso rimproverato Obi-Wan di essere troppo avventato. E
riguardo a ciò, il giovane Padawan dovette riconoscere che
il suo maestro aveva ragione.
Il gruppo attraversò un’altra serie di gallerie
che si dividevano in ogni direzione inoltrandosi ancora più
in profondità nella montagna.
Il misterioso Jedi Oscuro faceva da guida camminando con sicurezza come
se conoscesse a memoria quell’intricato labirinto sotterraneo.
Qui-Gon cercava di memorizzare ogni nuovo tunnel che attraversavano, ma
la scarsità di luce e la quantità di cunicoli che
il gruppo continuava ad imboccare, rendeva il compito del Maestro Jedi
impossibile.
Ad un certo punto giunsero ad una seconda grotta, simile a quella in
cui erano stati lasciati i due ufficiali della Repubblica. Il Jedi
Oscuro accese una torcia per illuminarla, poi si
voltò verso i due prigionieri e Qui-Gon capì
all’istante che quella grotta sarebbe servita da cella per
lui e per il suo allievo.
I due Jedi entrarono senza opporre resistenza e si sedettero
tranquillamente sul pavimento a gambe incrociate, l’uno di
fronte all’altro, mentre i due Savrip che li avevano
accompagnati fin lì si posizionarono ai due lati
dell’entrata.
Quindi il Jedi Oscuro si allontanò senza pronunciare una
sola parola.
Dopo qualche istante, Obi-Wan sospirò visibilmente frustrato.
Qui-Gon, seduto di fronte a lui, si guardò attorno.
“Non pensavo che le caverne si estendessero così
in profondità”, commentò calmo. Poi
guardò il suo giovane allievo e domandò:
“Stai bene, Obi-Wan?”
“Sì, Maestro”, rispose il ragazzo con
espressione demoralizzata. “Pensi che ci
uccideranno?”
“Non credo. Non subito, almeno. Avrebbero potuto farlo quando
ci hanno catturati.”
Anche stavolta, Qui-Gon aveva ragione.
“Pensi che quell’uomo col mantello possa essere un
Jedi Oscuro?”, domandò Obi-Wan.
“Avverto il suo legame con la Forza. Questo è
tutto ciò che posso dirti.”
“Maestro, dobbiamo fare qualcosa.”
“A suo tempo, Obi-Wan.”
“Ma il Maestro Jon-Enn è senza dubbio in pericolo.
Non possiamo aspettare.” Il giovane Padawan era fremente. Non
riusciva ad accettare di rimanere lì impassibile come il suo
maestro. Sempre più sentiva la tensione crescere dentro di
sé.
Anche Qui-Gon aveva avvertito l’ansia del ragazzo.
“Pazienza, Obi-Wan. Non essere precipitoso. Ricorda che hanno
portato via le nostre spade laser. In questo momento l’unica
arma che abbiamo è l’astuzia. Ma dobbiamo usarla
bene.”
“Sì, maestro”, rispose Obi-Wan
rassicurato. Qui-Gon doveva avere già un piano e quel
pensiero placò l’inquietudine del ragazzo.
“Ti chiedo scusa per prima”, disse poi
Obi-Wan riferendosi alla reazione emotiva che aveva manifestato poco
prima nella galleria.
“Pensavo di averti insegnato cos’è la
pazienza”, disse pacato il Jedi. Qui-Gon era un maestro serio
ed esigente, ma comunque sempre gentile nell’esporre le sue
osservazioni.
“Forse non sono un buon allievo”, rispose il
Padawan affranto con lo sguardo basso.
“No. Sei soltanto giovane”, lo rassicurò
il suo maestro accennando un sorriso. “Col tempo imparerai a
far tesoro dei tuoi errori e a trarre insegnamento da essi”.
Obi-Wan annuì pensieroso.
“Dopotutto, nemmeno io sono immune agli errori”,
aggiunse sottovoce Qui-Gon come se stesse parlando a se stesso. Il Jedi
si stava rimproverando di aver sottovalutato la situazione fin
dall’inizio. Se avesse provato a convincere Jon-Enn ad
ascoltare le parole del Consiglio e soprattutto il monito del Maestro
Yoda che lo aveva avvertito della pericolosità della strada
che stava per intraprendere, sicuramente le cose sarebbero andate
diversamente.
D’un tratto la voce di Obi-Wan destò il Maestro
Jedi dai suoi pensieri. “Cosa sarà successo al
Maestro Jon-Enn?”, domandò il ragazzo sinceramente
preoccupato.
“Non lo so”, rispose Qui-Gon. In verità,
il Jedi era tormentato da un sospetto tanto terribile da non osare
condividerlo con il suo allievo.
Il Maestro Jedi fece un sospiro e chiuse gli occhi iniziando una lunga
e intensa meditazione.
Obi-Wan, seguendo l’esempio di Qui-Gon, fece come lui e si
abbandonò alla Forza.
I muscoli del corpo si rilassarono lentamente e il giovane fu
circondato da una calda sensazione di pace.
Il crepuscolo era ormai calato da ore ed una scura coltre di nubi
copriva come un manto tutta la regione montuosa. Oltre le
nuvole, le due lune più grandi di Ord Mantell orbitavano
tanto vicine al pianeta da poterne osservare la superficie rocciosa ad
occhio nudo.
Un vento gelido soffiava tra le gole e i canali trasportando granelli
di polvere e sabbia e facendo ondeggiare i fili d’erba che
crescevano radi sul suolo ghiaioso.
In un’angusta e fredda grotta nel cuore della montagna, il
capitano Sallis e il suo giovane copilota, giacevano rannicchiati in un
angolo, con i polsi legati e le membra intorpidite, cercando di
riscaldarsi con il poco calore emesso dalla torcia accesa fissata alla
parete sopra le loro teste. I due uomini erano visibilmente provati.
Entrambi erano infreddoliti ed affamati, e i loro polsi dolevano a
causa dei lacci di cuoio che laceravano la pelle. Ma ciò che
più li logorava era l’ansia. Erano prigionieri
ormai da ore e da quando erano stati abbandonati tra quelle gelide
pareti rocciose, non avevano più visto un solo essere
vivente, ad esclusione dei due enormi Savrip Mantelliani di guardia.
Nessuno aveva fatto loro visita per portare un po’ di cibo o
anche solo per informarli della loro sorte. La loro unica speranza era
nel Cavaliere Jedi e nel giovane Padawan che avevano accompagnato su
quel dannato pianeta. Una speranza tuttavia molto tenue
poiché nessuno dei due ufficiali aveva la minima idea di che
fine avessero fatto i due Jedi.
In un’altra grotta, situata molti metri più in
fondo in quel intrico di passaggi sotterranei, Qui-Gon Jinn e Obi-Wan
Kenobi se ne stavano tranquillamente seduti a gambe incrociate, con gli
occhi chiusi, in profonda meditazione.
Davanti all’entrata, i due Savrip se ne stavano immobili come
statue l’uno di fianco all’altro, a
guardia dei prigionieri. I muscoli massicci ricoperti dalla ruvida
pelle blu li faceva sembrare scolpiti nella stessa roccia che li
circondava. Se non fosse stato per i pochi rozzi stracci che
ricoprivano alcune parti dei loro corpi, li si avrebbe potuti scambiare
per sculture poste in quel luogo da qualche antico popolo, a protezione
di un prezioso tesoro.
Di tanto in tanto i loro piccoli occhi scarlatti ammiccavano, segno che
la stanchezza si stava a poco a poco impossessando di loro.
Qui-Gon si concentrò sulle deboli menti dei due Savrip
costringendoli ad arrendersi al torpore. Le due creature si
lasciarono cadere a terra sprofondando in un intenso sonno.
“Maestro…”, bisbigliò Obi-Wan
riaprendo gli occhi.
“Calma, Obi-Wan”, gli intimò Qui-Gon.
“Riesci ad allentare le corde ai polsi?”
“Sì”. Il Padawan si mise a divincolare
le braccia dietro la schiena e con l’aiuto della Forza
riuscì a rompere i lacci di cuoio che gli stringevano i
polsi. La stessa cosa fece Qui-Gon e in pochi istanti i due Jedi si
rialzarono con le braccia di nuovo libere.
Qui-Gon si affacciò oltre la soglia della caverna e
sbirciò nella galleria per accertarsi che non ci fossero
altri Savrip in circolazione. Il tunnel era completamente deserto.
Quindi si voltò verso Obi-Wan, che si stava ancora
massaggiando i polsi indolenziti, e gli fece cenno, con un dito davanti
alla bocca, di non parlare né di fare rumore.
Così, scavalcando i corpi dei Savrip addormentati, i due
Jedi uscirono dalla grotta.
A quel punto Qui-Gon studiò per un istante la galleria e le
varie diramazioni, poi guardò Obi-Wan in volto e con tono
serio ma pacato disse: “Dividiamoci. Se trovi i prigionieri
prima di me, torna indietro a cercarmi. Non intraprendere alcuna
iniziativa da solo. Intesi?”
“Sì, Maestro”, rispose il Padawan.
A quel punto i due Jedi si divisero imboccando ognuno una direzione
diversa.
Obi-Wan si muoveva silenziosamente nel dedalo di gallerie sotterranee,
seguendo la fila di torce accese fissate alle pareti rocciose. Ad un
certo punto avvertì un tremito nella Forza. Una presenza
oscura ed inquietante.
Il Padawan si concentrò e seguì le sue percezioni
imboccando un altro tunnel laterale. Camminando lentamente, lo percorse
fino a scorgere una luce in fondo ad un cunicolo che si apriva di lato
in un punto nella parete.
Obi-Wan esitò per qualche istante. La presenza che percepiva
si faceva sempre più forte e sembrava provenire dal fondo
del cunicolo. Quindi avanzò lungo lo stretto tunnel fino ad
arrivare ad un’apertura che dava su un’altra
caverna. Il giovane si sporse con cautela.
L’antro era immerso in una luce arancione proiettata dalle
fiamme di due ampi bracieri posti ai lati di enorme blocco di pietra
dalla forma rettangolare. La superficie era stranamente piana per
essere una formazione rocciosa naturale e i due bracieri gli
conferivano l’aspetto di un altare.
Di fronte a quella sorta di tavolo sacrificale, il misterioso Jedi
Oscuro se ne stava seduto sul terreno gelido avvolto dal suo ampio
mantello nero, con la testa nascosta dal largo cappuccio.
Obi-Wan, dietro le sue spalle, lo osservava silenzioso. Un luccichio
sulla superficie dell’altare attirò
l’attenzione del ragazzo. Due oggetti metallici riflettevano
la luce delle fiamme.
Due spade laser. La sua e quella del suo maestro.
Se solo fosse riuscito a recuperarle. Ma sembravano lontane anni luce.
E poi c’era il Jedi Oscuro.
Inoltre Qui-Gon gli aveva imposto di non intraprendere iniziative. La
cosa migliore sarebbe stata di andarlo a cercare. Ma senza la sua
spada, il Maestro Jedi non avrebbe potuto affrontare quel misterioso
guerriero tanto potente nella Forza.
Obi-Wan si fece coraggio ed avanzò verso uno spuntone di
roccia che si trovava a qualche metro da lui. Da quel punto aveva una
visuale migliore delle due spade, quindi, attingendo alla Forza,
protese una mano verso l’altare. Chiuse gli occhi e
cercò di immaginare le due spade nella sua mano, non
pensando però allo sbaglio che stava commettendo.
Il Jedi Oscuro, immerso in profonda meditazione, percepì la
presenza del Padawan e con una mossa fulminea scattò in
piedi attivando la sua spada laser. La lama di energia emanava
un’intensa luce scarlatta, tipica delle spade laser usate un
millennio prima dagli antichi Signori dei Sith.
Obi-Wan perse la sua concentrazione e sgranò gli occhi,
raggelato dalla figura il cui volto rimaneva celato
nell’ombra del suo cappuccio. Un ghigno malvagio
riecheggiò nella caverna sovrastando il ronzio della spada e
gli scoppiettii delle fiamme dei bracieri, mentre il guerriero oscuro
avanzava verso il giovane Padawan.
Obi-Wan arretrò fino a ritrovarsi con le spalle al muro.
Impietrito e con il cuore che gli martellava nel petto,
osservò la minacciosa lama di luce avvicinarsi sempre di
più
mentre l’inquietante figura ammantata di scuro, come una
creatura fatta di ombre, sembrava farsi più grande
man mano che avanzava.
Qui-Gon Jinn camminava lentamente lungo uno dei tanti cunicoli seguendo
la luce delle torce, cercando di percepire con l’aiuto della
Forza l’eventuale presenza di esseri viventi con la speranza
che ciò lo conducesse ai due ufficiali prigionieri.
Tuttavia c’era sempre il rischio di incontrare altri Savrip
Mantelliani e lui era disarmato. E pur avendo la Forza come alleata, se
si fosse trovato di fronte ad un gruppo di quelle creature agguerrite
dubitava di riuscire ad uscire indenne da uno scontro. Tutto
ciò che poteva fare era cercare di evitarle nascondendosi
tra le ombre ed usare i suoi poteri mentali per distrarle in modo che
non lo vedessero.
Fortunatamente, fino a quel momento non c’era stato alcun
bisogno di ricorrere a nessuno di quegli espedienti da Jedi. Le
gallerie sotterranee sembravano del tutto deserte.
Qui-Gon ignorava dove potessero essere tutti quei Savrip che aveva
visto ore prima. Probabilmente il Jedi Oscuro, non avendo
più bisogno di loro, li aveva liberati dal suo controllo
mentale.
Qui-Gon infatti aveva capito che quelle creature avevano agito sotto
l’influenza di quel guerriero misterioso.
A quel punto il Maestro Jedi si fermò e chiudendo gli occhi
cercò di visualizzare nella sua mente l’immagine
dei due piloti. Ma ciò che egli percepì fu ben
altro.
Paura.
Pericolo.
Morte.
Il Lato Oscuro.
“Obi-Wan!”, esclamò il Qui-Gon
spalancando gli occhi. “No!”
Improvvisamente si mise a correre imboccando tunnel e gallerie
facendosi guidare esclusivamente dall’istinto, sicuro che
ciò lo avrebbe guidato dal suo giovane Padawan.
Obi-Wan Kenobi sentiva la dura roccia contro la sua schiena. La punta
della spada laser del Jedi Oscuro era tanto vicina al petto del ragazzo
da bruciacchiare la stoffa della sua tunica. La lama di energia
scarlatta non emanava alcun calore.
Obi-Wan sapeva che avrebbe potuto trapassargli il corpo e la parete di
roccia che aveva dietro di sé con una sola rapida mossa.
Attingendo alla Forza, il giovane Padawan cercò di vincere
la paura. Staccò lo sguardo dalla spada laser e lo
sollevò verso il cappuccio del Jedi Oscuro. Si
concentrò cercando di penetrare l’ombra densa che
copriva il volto di quell’essere come una maschera. Ma non ci
riuscì. Era come voler penetrare il buio dello spazio in cui
era avvolto l’universo. Quell’ombra era forse
un’emanazione del Lato Oscuro della Forza?
Ad un tratto, una voce spettrale sibilò dicendo:
“Non hai alcuna speranza, ragazzo. Non sei che uno sciocco
apprendista.”
Obi-Wan non pronunciò parola. Con gli occhi seguì
la spada del Jedi Oscuro che si sollevò in aria pronta ad
abbattersi su di lui senza alcuna pietà.
Il Padawan trasse un profondo respiro, pronto a ricevere il colpo di
grazia. Pronto ad unirsi per sempre alla Forza.
Ma il Jedi Oscuro, anziché calare il fendente mortale rimase
immobile, con la spada stretta in entrambe le mani.
Obi-Wan si accigliò perplesso. Poi percepì una
presenza. La stessa che stava percependo il Jedi Oscuro.
Una presenza familiare.
E prima che il giovane Padawan avesse il tempo di fiatare, una delle
spade laser che giacevano sull’altare si mosse come se fosse
dotata di vita propria e schizzò via veloce volando tra le
mani di una figura avvolta da larghe vesti marroni. Improvvisamente una
seconda lama di luce color verde smeraldo apparve nel momento stesso in
cui il Jedi Oscuro calava la sua spada sul ragazzo.
Le due spade si incrociarono sfrigolando.
Obi-Wan Kenobi da un lato, il Jedi Oscuro dall’altro.
E in mezzo, il Maestro Jedi Qui-Gon Jinn.
Obi-Wan quasi stentò a crederci.
“Maestro!”, gridò sul punto di farsi
prendere dalle emozioni.
La figura imponente di Qui-Gon era apparsa come dal nulla frapponendosi
fra il suo giovane allievo e il Jedi Oscuro, reggendo saldamente tra le
mani la spada laser.
“Presto, Obi-Wan!”, esclamò il Maestro
Jedi senza staccare lo sguardo dalla figura incappucciata dietro le due
lame di energia.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Si staccò
dalla parete e sgusciò via rapido tra i due guerrieri
allontanandosi verso l’altro capo della caverna.
Le due spade laser si separarono e il Jedi Oscuro
indietreggiò di qualche passo rimanendo in posizione di
difesa.
Qui-Gon seguì i suoi movimenti pronto a reagire.
Obi-Wan osservava silenzioso con gli occhi sbarrati e il cuore che gli
martellava nel petto.
Il Jedi Oscuro fissava Qui-Gon da sotto il cappuccio. Nemmeno un
frammento di luce riusciva a penetrare quella maschera
d’ombra tanto densa da sembrare quasi tangibile.
“Finalmente un avversario alla mia altezza”,
sibilò il Jedi Oscuro. Quindi, con scatto fulmineo,
passò all’attacco sollevando la spada e
abbattendola sul suo avversario.
Qui-Gon parò il colpo con altrettanta velocità.
Le due lame di energia sfrigolavano una sull’altra. Per un
breve istante i due Jedi furono faccia a faccia. Poi le spade si
separarono e da lì cominciò il duello vero e
proprio.
Il Jedi Oscuro partì con un fendente basso mirato alle gambe
dell’avversario, ma Qui-Gon lo anticipò
bloccandolo ancora una volta.
Allora il guerriero incappucciato sollevò rapidamente la
spada mirando questa volta alla testa.
Qui-Gon parò il colpo e passò
all’attacco costringendo il contendente a difendersi.
I due Jedi duellavano velocemente con movimenti perfettamente
coordinati. Ad ogni azione del Jedi Oscuro seguiva una reazione di
Qui-Gon. I colpi si susseguivano con incredibile rapidità.
Sembrava che nessuno dei due fosse disposto a dar tregua
all’altro. Le spade laser si muovevano così
velocemente da disegnare delle scie colorate nella
semioscurità della caverna emanando lampi ogni volta che si
toccavano e lasciando nell’aria un forte odore di ozono.
Obi-Wan osservava ammutolito il duello ammirando
l’abilità del suo maestro nell’intuire
la mossa dell’avversario.
In quel momento Qui-Gon era tutt’uno con la Forza. Il maestro
Jedi non combatteva usando il proprio “io
cosciente” o i propri sensi, ma si affidava totalmente
all’istinto lasciando che fosse la Forza stessa a guidare la
sua arma.
Le due spade laser guizzavano come fulmini lasciando dietro di loro
scie rosse e verdi emettendo scariche ogni volta che venivano in
contatto.
Con una serie di affondi e parate, Qui-Gonn costrinse il Jedi Oscuro ad
arretrare verso i due bracieri ardenti. Tra una mossa e
l’altra, il Maestro Jedi scorse un punto indifeso
all’altezza del torace del guerriero incappucciato e
spostando il peso del corpo su una gamba, si chinò da un
lato sferrandogli un violento calcio, colpendolo al petto con la suola
dello stivale.
Il Jedi Oscuro venne spinto contro uno dei bracieri e in un attimo il
suo mantello venne avvolto dalle fiamme. Dimenandosi in una spirale di
fuoco, egli si strappò con furia il mantello di dosso e lo
gettò via. Quindi, a volto scoperto, si girò
verso Qui-Gon mettendosi in posizione di guardia, stringendo la spada
laser con entrambe le mani.
Qui-Gon si accigliò osservando il gioco di luci ed ombre
che, proiettate dalle fiamme dei bracieri e dalla luce scarlatta della
spada laser rendevano ancora più sinistra
l’espressione di follia sul volto di Jon-Enn Sann.
Fin dalla prima apparizione del Jedi Oscuro, Qui-Gon aveva avvertito
una presenza familiare. Era poco più di una sensazione, ma
era bastata a far nascere in lui un profondo e terribile sospetto. Ed
ora, trovandosi a dover incrociare la sua spada con quella del suo
vecchio amico, il Maestro Jedi capì che purtroppo quel
sospetto si era concretizzato.
Jon-Enn era divenuto preda del Lato Oscuro della Forza.
Obi-Wan Kenobi, invece, non riusciva né a credere
né ad accettare la sconvolgente realtà che gli si
presentava davanti. “Maestro Jon-Enn!”,
esclamò il giovane Padawan con voce spezzata.
L’eco del grido lanciato dal ragazzo fu coperto dalla risata
truce di Jon-Enn. Una risata assordante che sapeva di
crudeltà. Una risata che non si addiceva alla persona
meravigliosa che Qui-Gon e Obi-Wan conoscevano praticamente da sempre.
Jon-Enn sollevò la spada e l’abbatté
con rabbia e violenza su quella di Qui-Gon.
“Jon-Enn!”, esclamò il Maestro Jedi
usando la sua arma per bloccare quella dell’amico. Ancora una
volta le due lame di luce rimasero incrociate sfrigolando una
sull’altra.
Jon-Enn, con gli occhi sgranati ed un sorriso da folle, spingeva la sua
spada laser contro quella di Qui-Gon.
“Maestro Jon-Enn!”, urlò il Padawan.
“Ti prego! Non farlo!” Le grida di Obi-Wan si
propagavano oltre la caverna.
Qui-Gon e Jon-Enn erano amici da una vita, erano cresciuti insieme nel
Tempio dei Jedi. Obi-Wan non poteva credere che in quel momento, dopo
tutti quegli anni di amicizia, i due Jedi potessero combattere
l’uno contro l’altro.
Lo stesso pensiero stava tormentando la mente di Qui-Gon. Ma il suo
amico si trovava sotto l’influenza del Lato Oscuro e il
Maestro Jedi aveva il dovere di fermarlo ad ogni costo. I Jedi non
prendevano in considerazione i vincoli sentimentali. Se il sacrificio
di uno o più amici serviva ad onorare una causa giusta,
allora tale sacrificio non solo era accettabile ma addirittura
necessario. Ecco perché ai Jedi era proibito amare.
Non potevano permettere che dei legami emotivi fossero
d’ostacolo ai loro doveri.
In ogni caso, Qui-Gon era assolutamente intenzionato a tentare di
salvare Jon-Enn con ogni mezzo possibile, prima di dover giungere alla
drammatica soluzione finale.
Qui-Gon rifletté mentre muoveva velocemente la sua spada
laser, saltando e volteggiando per evitare l’arma del suo
avversario. Jon-Enn aveva raccontato di un antico Signore dei Sith
morto in quella caverna secoli prima. Era forse possibile che
l’essenza di quel Sith fosse sopravvissuta per tutto quel
tempo per poi impadronirsi del corpo di Jon-Enn? Il sapere dei Jedi
insegnava che non si poteva conservare la coscienza dopo la morte.
E se invece quel Sith avesse trovato il modo? Se così fosse
stato, allora Jon-Enn agiva sotto il volere di quel Signore Oscuro.
Qui-Gon fissò gli occhi del suo amico che agitava la sua
spada come un forsennato. Sebbene fossero gli occhi di Jon-Enn, lo
sguardo che ne derivava non apparteneva al Jedi. Era uno sguardo
intriso di puro odio. Era uno sguardo da Sith.
Tuttavia, da qualche parte nella mente di Jon-Enn, doveva essere
sepolta la sua vera essenza. Qui-gon pensò che se fosse
riuscito in qualche modo a raggiungere la vera personalità
di Jon-Enn e a farla riemergere, forse essa avrebbe potuto prendere il
sopravvento sul Sith che dimorava nel suo corpo.
“Jon-Enn”, disse Qui-Gon appellandosi alla Forza,
“Ascoltami ti prego. Devi combattere il potere del Lato
Oscuro che si è impadronito di te. So che puoi
farcela.”
Jon-Enn rise. Quindi arretrò di qualche passo per poi
attaccare di nuovo. La sua spada si abbatté come una furia
su Qui-Gon, ma il Maestro Jedi si spostò e girando attorno
al suo amico si posizionò alle sue spalle.
Jon-Enn si girò velocemente fendendo l’aria con la
lama laser pensando di prendere di sorpresa il suo avversario, ma
Qui-Gon si fece scudo con la spada e i due rimasero ancora per qualche
istante in posizione di stallo.
Il Maestro Jedi ne approfittò per fare un secondo tentativo.
“Jon-Enn, non è me che devi combattere. Percepisco
il conflitto dentro di te. Sconfiggi il Lato Oscuro. Fai riemergere il
tuo “io” cosciente.”
Per la prima volta Qui-Gon scorse nello sguardo di Jon-Enn una traccia
di esitazione. Forse era riuscito a raggiungere la vera essenza del suo
amico. C’era dunque speranza di salvarlo. “Non
arrenderti, amico mio!”
Per un brevissimo istante sembrò che Jon-Enn
guardasse Qui-Gon con espressione incerta, come se antichi
ricordi stessero lottando per affiorare dal profondo del suo inconscio.
Ma il Lato Oscuro aveva innalzato una forte barriera tra
l’uomo e quei ricordi che lo legavano al suo passato di
Cavaliere Jedi.
Jon-Enn spinse Qui-Gon indietro e si mise a tempestarlo di colpi
abbattendo come una furia la sua spada scarlatta su quella verde
smeraldo del suo amico.
Qui-Gon era allo stremo delle forze. Non era facile combattere contro
un avversario cercando di evitare di ucciderlo e allo stesso tempo di
farsi uccidere.
Qui-Gon combatteva esclusivamente sulla difensiva, mentre Jon-Enn,
invece, concentrava tutte le sue energie in attacchi mortali.
Obi-Wan assisteva al drammatico confronto fra i due Maestri Jedi senza
sapere cosa fare. In tutta la sua giovane vita non si era mai sentito
tanto inutile. “Maestro Jon-Enn!”, gridò
ancora una volta il ragazzo. “Ti scongiuro, non farlo. Il
Maestro Qui-Gon è tuo amico. Ripensa a tutti gli anni
passati insieme al Tempio.”
Ma Jon-Enn sembrava non prestargli ascolto. Continuava ad attaccare
Qui-Gon abbattendo sulla spada dell’amico una sequenza di
violenti colpi che lo costringevano ad arretrare oltre
l’altare di pietra, verso la parete in fondo alla caverna.
Obi-Wan intanto li seguiva a distanza, con lo sguardo puntato sulle
lame di luce che guizzavano veloci creando scie rosse e verdi attorno
ai due Jedi. “Ascoltami, Maestro Jon-Enn! Hai giurato di
mettere i tuoi poteri al servizio della pace e della
giustizia!”
Qui-Gon diventava sempre più debole e le sue mosse per
parare gli attacchi di Jon-Enn cominciavano ad essere lente e
prevedibili. Il sudore gli calava giù dalla fronte e gli
bagnava gli occhi appannandogli la vista. Camminando
all’indietro, il tacco del suo stivale urtò una
pietra sul terreno e Qui-Gon perse l’equilibrio cadendo in un
angolo della caverna. Con le spalle al muro, allo stremo delle forze,
Qui-Gon osservò Jon-Enn che lo sovrastava mentre sollevava
la spada laser per vibrare il colpo finale.
Il tutto di fronte allo sguardo atterrito di Obi-Wan.
“No!”, tuonò improvvisamente la voce del
Padawan.
Jon-Enn si arrestò, con la spada laser stretta in entrambe
le mani e la lama di luce puntata verso l’alto. I suoi occhi
erano spalancati e sebbene fossero puntati su Qui-Gon piegato di fronte
a lui, sembravano osservare un punto lontano nel tempo. Come se qualche
frammento di quegli antichi ricordi sepolti nel suo animo fosse
finalmente affiorato, ma tuttavia non fosse ancora distinguibile. Come
un prezioso reperto riportato alla luce durante scavo, ma non ancora
riconoscibile per via di uno strato di sabbia che lo ricopriva.
Obi-Wan doveva aver aperto una falla in quella barriera eretta dal Lato
Oscuro. Una falla, tuttavia, non sufficientemente grande da riuscire a
vederci attraverso per raggiungere l’essenza di Jon-Enn
imprigionata oltre la barriera.
Qui-Gon lanciò uno sguardo al suo Padawan e con un cenno
della testa lo esortò a continuare.
“Maestro Jon-Enn!”, riprese Obi-Wan con voce
più controllata, cercando di assumere un tono persuasivo.
“Tu sei un Jedi. Rappresenti tutto ciò che di
più nobile possa esserci nell’universo. Non puoi
arrenderti al Lato Oscuro. Devi Combattere. In nome di tutti quegli
ideali che hai giurato di difendere.”
Jon-Enn si accigliò con espressione confusa.
Arretrò di qualche passo e calò lentamente la
spada. La falla nella barriera del Lato Oscuro si stava allargando.
Qui-Gon si asciugò con le dita il sudore sugli occhi e si
raddrizzò contro la parete rocciosa, tenendo stretta
nell’altra mano la sua spada laser ancora accesa.
I due Jedi si guardarono negli occhi. Un profondo silenzio
calò nella caverna, interrotto soltanto dagli scoppiettii
delle fiamme sui bracieri. Obi-Wan sentiva i battiti del proprio cuore
battere freneticamente nel suo petto.
Jon-Enn lasciò scivolar via dalle mani
l’impugnatura della spada e la lama laser si spense
automaticamente. L’arma disattiva cadde con un tonfo
metallico ai piedi del Jedi.
Qui-Gon sospirò, quindi anch’egli spense la sua
spada e la riagganciò alla cintura coperta dalle ampie vesti
impolverate. Poi alzò di nuovo lo sguardo sul suo amico.
Jon-Enn barcollò all’indietro, si portò
lentamente le mani al viso e si coprì gli occhi in un gesto
di disperazione. Dopo di che si lasciò cadere in ginocchio e
allargando le braccia in fuori, con i pugni serrati, lanciò
un grido che si propagò come l’eco di
un’esplosione oltre la caverna, lungo il dedalo di tunnel che
attraversavano il cuore della montagna.
Qui-Gon e Obi-Wan rimasero immobili e in silenzio, osservando il loro
amico che si piegava su se stesso per poi lasciarsi cadere steso su un
fianco. Da quell’istante, il Jedi non si mosse più.
Qui-Gon si chinò su di lui e mettendogli un braccio sotto le
spalle gli sollevò il busto, mentre Obi-Wan si precipitava
in ginocchio accanto a lui.
Jon-Enn aprì lentamente gli occhi e alzò lo
sguardo sul Maestro Jedi. “Q-Qui-Gon…”,
mormorò con un filo di voce. Sul suo volto non
c’era più traccia di follia ma soltanto di
profonda sofferenza.
Tuttavia Qui-Gon sorrise rincuorato. Sorrise perché il suo
amico non era più uno schiavo del Lato Oscuro. Era tornato
ad essere il Maestro Jon-Enn Sann.
“E’ tutto finito”, lo
rassicurò Qui-Gon.
Jon-Enn girò faticosamente il capo e guardò il
viso bagnato dalle lacrime di Obi-Wan. Poi, con un sorriso sincero sul
volto provato, disse: “Ti sono grato, mio giovane
amico.”
E perse conoscenza.
Obi-Wan guardò Qui-Gon e il Maestro Jedi annuì
compiaciuto.
“Recupera la tua spada”, disse a quel punto
Qui-Gon. “Liberiamo i prigionieri e andiamocene in fretta da
questo luogo.”
“Sì, Maestro”, rispose il giovane
Padawan rialzandosi in fretta. E mentre il ragazzo correva verso
l’altare a raccogliere la sua arma, Qui-Gon
sollevò il corpo di Jon-Enn e se lo caricò sulle
spalle. Quindi si precipitarono fuori della caverna.
Annullata l’influenza del Lato Oscuro su Jon-Enn, anche i
Savrip Mantelliani erano stati liberati dal suo controllo ed erano
fuggiti tornando alle loro tane tra le montagne.
Con l’aiuto della Forza, Qui-Gon e Obi-Wan avevano trovato in
fretta il capitano Sallis e il suo copilota e tutti insieme erano
tornati a bordo dell’incrociatore della Repubblica.
Mentre l’astronave lasciava l’atmosfera di Ord
Mantell, Qui-Gon Jinn, in piedi sulla soglia di uno degli alloggi
riservati ai passeggeri, osservava silenzioso il suo amico Jon-Enn che
dormiva sereno sulla branda. Il Maestro Jedi stava riflettendo su
quanto fosse insidioso il potere del Lato Oscuro. In quel momento si
sentiva molto provato, sia fisicamente che emotivamente. Pochi istanti
prima aveva ordinato al suo allievo Obi-Wan di andare a riposare
nell’alloggio affianco. Egli invece sentiva il bisogno di
meditare su ciò che era accaduto a Jon-Enn e, soprattutto,
su ciò che il futuro avrebbe riservato al suo amico Jedi.
Con quel pensiero nella mente, Qui-Gon fece un profondo sospiro e si
allontanò dalla soglia lasciando che la porta scorresse
sigillando l’alloggio di Jon-Enn.
A quel punto, l’incrociatore della Repubblica
attivò i motori ad iperguida e scomparve con un lampo
nell’iperspazio facendo rotta verso Coruscant.
Capitolo cinque
La luce del sole di Coruscant filtrava attraverso le grandi finestre
della sala del Consiglio dei Jedi riflettendosi sulle lucide colonne
che adornavano la stanza tra una vetrata e l’altra.
Nel centro, seduti in circolo, i dodici membri del Consiglio avevano
appena finito di ascoltare il rapporto di Qui-Gon Jinn, in piedi in
mezzo a loro, e si stavano consultando tra loro scambiandosi opinioni e
commenti a fil di voce. Dopo un breve istante i dodici Maestri Jedi
tacquero e tornarono a prestare la loro attenzione a Qui-Gon.
A quel punto Mace Windu prese la parola: “Abbiamo deciso che
il Maestro Sann rimarrà qui al Tempio, sotto osservazione
finché non si sarà ripreso.”
Qui-Gon annuì.
Mace Windu si voltò verso Yoda, seduto alla sua destra, e
tutti i Maestri Jedi, compreso Qui-Gon, rivolsero la loro attenzione
all’anziano Maestro dalla pelle verde.
“La più grande sfida della sua vita egli ha
affrontato”, commentò solenne il Maestro Yoda
fissando Qui-Gon con i suoi grandi occhi verde smeraldo.
“Quella con il Lato Oscuro.”
Qui-Gon condivideva lo stesso pensiero di Yoda. Jon-Enn aveva davvero
sostenuto una grande prova. Forse la più grande che un Jedi
avesse mai affrontato. Una prova che non tutti erano riusciti a
superare. Una volta percorsa la via del Lato Oscuro non si poteva
più tornare indietro. Ma Jon-Enn non l’aveva
percorsa. Era rimasto sulla soglia. Aveva osservato il Lato Oscuro.
Aveva udito le sue parole seducenti. Ne era stato attratto. Ma aveva
lottato per non varcare quella soglia.
In quel momento Qui-Gon si augurò che Jon-Enn ce
l’avesse davvero fatta.
La voce profonda e virile di Mace Windu destò Qui-Gon dai
suoi pensieri.
“Nel frattempo”, disse il Maestro Jedi dalla pelle
scura, “ordineremo che quella caverna su Ord Mantell venga
sigillata. Nessuno dovrà metterci più piede. Mai
più.”
Gli altri membri del Consiglio annuirono convenendo con Mace Windu che
quella era la decisione più saggia da prendere. Quel luogo
nefasto sarebbe stato sepolto per sempre con tutto il male che esso
custodiva.
Anche Qui-Gon era d’accordo con la decisione del Consiglio,
tuttavia appariva pensieroso e il Maestro Yoda se ne accorse.
“Domandare qualcosa tu desideri, Qui-Gon?”, chiese
il saggio Maestro Jedi.
Qui-Gon esitò per un istante, poi disse: “Mi
chiedevo se avete intenzione di applicare qualche tipo di provvedimento
disciplinare nei confronti di Jon-Enn.”
Mace Windu si strofinò il mento con espressione accigliata e
disse: “Per via dell’astronave rubata e del suo
equipaggio abbandonato nello spazio?” Quindi
scambiò una breve occhiata con Yoda e con gli altri membri
del consiglio.
Alla fine Yoda rispose: “Riflettere su ciò il
consiglio dovrà.”
Qui-Gon annuì comprensivo. “Spero che terrete
conto che in quel momento Jon-Enn non era in sé.
E’ sempre stato sotto l’influenza del Lato Oscuro
fin dal principio. Era l’essenza del Signore dei Sith che
aveva dimorato in quella caverna a guidare le azioni di Jon-Enn, non la
sua volontà.”
“Ne terremo conto”, lo rassicurò il
Maestro Windu.
“Tuttavia”, intervenne il Maestro Ki-Adi-Mundi
seduto alla destra di Yoda, questo è un altro mistero sul
quale il Consiglio dovrà indagare. Nessuno è mai
riuscito a conservare coscienza dopo la morte. E’ sempre
stato ritenuto impossibile.”
Effettivamente i Jedi erano sempre stati convinti che nel momento della
morte, lo spirito lasciava il corpo per fondersi con la Forza divenendo
tutt’uno con essa. In quello stato non esisteva
individualità. Nessun Jedi del passato era mai tornato
dall’aldilà. Com’era dunque possibile
che l’essenza malvagia del Sith conosciuto come Darth Claw
avesse potuto sopravvivere per secoli ed impossessarsi del corpo di
Jon-Enn? Era un enigma che destava in Qui-Gon un forte interesse.
Certamente avrebbe riflettuto a lungo su quella faccenda.
“Per il momento”, disse il Maestro Windu,
“osserveremo il Maestro Sann e faremo di tutto
perché egli si riprenda da questa prova.”
Qui-Gon si inchinò di fronte ai membri del Consiglio e li
salutò dicendo: “Che la Forza sia con
voi.” Quindi girò su se stesso e si
avviò verso l’uscita della sala.
Nella Stanza delle Mille Fontane, fiori e piante dai colori intensi
brillavano sotto i caldi raggi del sole che penetravano nella sala
attraverso le grandi finestre.
Jon-Enn Sann se ne stava seduto sull’erba all’ombra
di un robusto albero dal rigoglioso fogliame, con le gambe incrociate e
gli occhi chiusi, e a bassa voce recitava i passaggi del codice Jedi.
Poco lontano, il giovane Obi-Wan Kenobi lo osservava in silenzio con
sguardo compassionevole e un’ombra di tristezza sul viso.
Qui-Gon lo aveva lasciato nella sala giardino a vegliare su Jon-Enn
mentre lui si recava all’incontro con il Consiglio dei Jedi
in cima alla torre del Tempio.
Per tutto quel tempo, Obi-Wan non aveva fatto che pensare che cosa
avesse in serbo la sorte per lo sventurato Jon-Enn. Cosa avrebbe deciso
il Consiglio? Lo avrebbe espulso dall’Ordine? Il giovane
Padawan non sopportava nemmeno l’idea di una simile
eventualità.
Emise un profondo sospiro. D’un tratto percepì una
presenza alle sue spalle. Si voltò e vide la possente figura
di Qui-Gon Jinn che lo sovrastava.
Obi-Wan guardò il suo maestro negli occhi e vide che il suo
sguardo era sereno.
Qui-Gon posò una mano sulla spalla del ragazzo e con un
sorriso colmo d’affetto disse: “Ti sei comportato
bene durante questa missione, Obi-Wan. Sono fiero di te.”
Il viso del Padawan si illuminò come una stella.
“Dici sul serio, Maestro?”
Qui-Gon fece un cenno d’assenso con la testa.
Obi-Wan si sentì il cuore scoppiargli di
felicità. Mai prima di allora Qui-Gon gli aveva manifestato
tanto orgoglio. Ciò fece nascere in lui un nuovo senso di
sicurezza. Tutti i dubbi che lo avevano tormentato durante il lungo
periodo di tirocinio si erano ad un tratto dissipati. Un giorno sarebbe
diventato un Jedi. Ma non un Jedi qualsiasi. Un giorno sarebbe
diventato come Qui-Gon Jinn.
Il Maestro Jedi mise la mano sulla testa del Padawan e gli
arruffò i capelli a spazzola dicendo: “Non ti
montare la testa, però. Hai ancora molto da
imparare.”
“Sì, Maestro.”, rispose Obi-Wan
ricambiandogli il sorriso.
Era proprio così. Obi-Wan Kenobi aveva ancora molta strada
da percorrere. Ma un giorno sarebbe diventato un grande Jedi. Qui-Gon
ne era certo, come era certo che un giorno il ragazzo sarebbe stato
destinato a grandi imprese.
Sì, pensò Qui-Gon Jinn. Obi-Wan è
sulla strada giusta.
Il Maestro Jedi e il suo giovane allievo Padawan rivolsero la loro
attenzione verso il loro amico Jon-Enn.
In quel momento il sorriso di Obi-Wan si affievolì, ed un
nuovo senso di tristezza si fece strada nel suo cuore.
“Vorrei tanto poter fare qualcosa per lui”,
mormorò il ragazzo con voce affranta.
“Hai già fatto molto, Obi-Wan”, lo
rassicurò Qui-Gon. “Ora sta a lui trovare il
giusto equilibrio nella Forza.”
“Credi che ci riuscirà?” Obi-Wan si
voltò e ancora una volta fissò lo sguardo sul
volto del suo maestro.
Qui-Gon desiderava tanto avere una risposta che confortasse non solo
Obi-Wan ma anche se stesso, ma purtroppo non ne aveva nessuna. Nemmeno
Yoda con i suoi oltre 800 anni di saggezza ed esperienza avrebbe potuto
rispondere a quella domanda.
Tutto ciò che Qui-Gon poté dire fu:
“Soltanto il tempo lo dirà.” Poi
accennando un sorriso aggiunse: “Ma penso che sia sulla buona
strada.”
Anche lui, pensò il Maestro Jedi. Anche lui come Obi-Wan.
Il ragazzo si sentì incoraggiato a vedere il futuro di
Jon-Enn con più ottimismo. Tornò a guardare il
Jedi seduto in meditazione e sorrise speranzoso.
Jon-Enn, concentrato in un profondo stato di meditazione,
lasciava che la Forza fluisse dentro di sé mentre continuava
a recitare i passaggi del codice dei Jedi.
“Non c’è passione,
c’è serenità.”
Si era trovato di fronte al sentiero che conduceva al Lato Oscuro e
aveva rischiato di perdersi. Un sentiero che una volta intrapreso lo
avrebbe portato in un abisso dal quale non sarebbe mai più
potuto riemergere
“Non c’è caos, c’è
armonia.”
Ma grazie all’aiuto dei suoi amici era tornato sui suoi
passi. Grazie a loro era tornato alla luce. Aveva ritrovato la sua
identità.
Era di nuovo un Jedi.
Sorrise.
“Non c’è morte, c’è
la Forza.”
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