L'EQUILIBRIO DELLA FORZA

di DarthClaw
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STAR WARS
L’EQUILIBRIO DELLA FORZA

di
DarthClaw


Tanto tempo fa,
in una galassia lontana lontana…


Capitolo uno

Secondo il mito la Repubblica era sconfinata come lo spazio e antica quasi quanto il tempo. Da 25.000 anni la Repubblica teneva uniti migliaia di mondi civilizzati estendendosi fino ai confini della galassia conosciuta.
Il pianeta capitale della Repubblica era Coruscant, situato nella regione più popolata della galassia conosciuta come Nucleo. I mondi del Nucleo erano tra i più ricchi ed influenti della galassia e Coruscant, in quanto sede del governo, era il perno attorno al quale ruotava il destino di tutti gli altri popoli appartenenti alla Repubblica.
L’incredibile quantità di forme di comunicazione appartenenti ai numerosi popoli sparsi per la galassia, aveva reso necessario lo sviluppo di una lingua standard che fosse comprensibile sia per gli umani che per gli alieni, il Basic.
Stessa sorte era toccata all’economia, la quale aveva dovuto adeguarsi alla continua espansione coniando una moneta che avesse valore su ogni mondo appartenente alla Repubblica, i crediti.
Cuore di un immenso apparato burocratico e legislativo e sede del Senato, Coruscant era meta di tutte le più alte autorità della politica; regnanti, senatori, ambasciatori e in cima a tutti c’era il Cancelliere Supremo, leader del governo.



L’astronave di linea, con il suo carico di merci e passeggeri, uscì con un boato dall’iperspazio e proseguì la sua corsa verso Coruscant a velocità impulso spinta dai suoi potenti propulsori ionici.
La tecnologia dell’iperspazio era uno degli elementi chiave sui quali si basava la Repubblica. Grazie ad essa le astronavi potevano viaggiare da un sistema stellare all’altro, attraversando distanze fantastiche in poco tempo. Utilizzando motori a iperguida e navicomputer in grado di eseguire complicatissimi calcoli tracciando rotte sicure in pochi istanti, le astronavi erano in grado di compiere balzi in una dimensione separata dallo spazio “normale” chiamata iperspazio nella quale si poteva viaggiare ad una velocità di gran lunga superiore a quella della luce.
La tecnologia dell’iperspazio aveva permesso lo sviluppo dell’esplorazione e l’espansione del commercio tra vari sistemi stellari. Senza l’iperspazio, la Repubblica semplicemente non poteva esistere.
L’astronave di linea proseguì nella sua rotta verso Coruscant.
Il pianeta era unico nel suo genere. Visto dallo spazio aveva l’aspetto di una enorme sfera grigio scura costellata da milioni di piccole luci scintillanti simili a stelle. Una galassia dentro la galassia. Anche avvicinandosi, non si scorgevano oceani, né montagne o foreste, né alcunché di naturale.
L’astronave oltrepassò la rete di stazioni spaziali di sorveglianza in orbita geostazionaria attorno al pianeta e si tuffò nell’atmosfera.
Per coloro che giungevano per la prima volta su Coruscant, la vista della superficie era uno spettacolo impressionante. Migliaia di giganteschi edifici costruiti uno sull’altro e colossali torri che si alzavano verso il cielo fino a toccare le nuvole dominavano il panorama.
Una fittissima rete di corsie aeree era attraversata da sciami di airspeeder, velivoli che si libravano nell’aria utilizzando motori in grado di creare emissioni antigravitazionali chiamati “campi repulsori”.
Ovunque si volgesse lo sguardo non c’era dettaglio del pianeta che non fosse stato appositamente progettato e costruito. Non un albero, né un fiume. Nemmeno un metro quadro di terra ricoperta d’erba. L’intero pianeta non era che un’unica gigantesca città.
Migliaia di anni di sviluppo tecnologico ed industriale, infatti, avevano spinto le città di Coruscant ad ingrandirsi sempre di più. Col passare dei secoli, nuovi edifici erano stati costruiti su quelli vecchi, nuove strade erano state ampliate e le città si erano estese a tal punto da inglobare l’intero pianeta. La superficie naturale di Coruscant ora giaceva sotto strati e strati di cemento, acciaio e materiali sintetici.
Generazioni di ingegneri ed architetti appartenenti alle più svariate specie e culture avevano contribuito a rendere Coruscant ciò che ora era conosciuto con l’appellativo di “gioiello dei mondi del Nucleo”.
Coruscant era un mondo cosmopolita. Vi si poteva davvero trovare creature appartenenti a qualsiasi specie provenienti da ogni luogo della galassia, persino dal più remoto.
L’astronave di linea si inserì nell’intricatissimo traffico di velivoli grandi e piccoli cedendo il controllo di volo ai sistemi di navigazione automatica controllati dai giganteschi computer del pianeta. Grazie ad essi ogni velivolo doveva seguire una corsia predefinita e, considerando la grandissima quantità di mezzi in circolazione nei cieli di Coruscant, ciò serviva a scongiurare qualsiasi possibilità di un disastro aereo.
Il vascello sorvolò gli immensi grattacieli la cui architettura rispecchiava le diverse nature degli abitanti del pianeta, dirigendosi verso il terminal spaziale di Eastport che, insieme a quello di Westport, costituiva la principale e più vasta area portuale di Coruscant. Riducendo la velocità, l’astronave si avvicinò ad uno dei moli e, con una perfetta manovra, attraccò alla piattaforma di sbarco.
Il portello si aprì sulla fiancata dello scafo e una gran quantità di persone, appartenenti a diverse specie, si riversò sulla passerella che collegava la nave alla piattaforma. Tra questi, un individuo coperto da una larga veste marrone con un cappuccio che gli copriva la testa, si fece strada tra la folla.
Il terminal brulicava di tecnici, piloti, operai e droidi di vario tipo. Veicoli a repulsione trasportavano carichi di ogni genere prelevati dalle stive dei giganteschi mercantili lì attraccati. Agenti della sicurezza pattugliavano costantemente le zone di sbarco, pronti ad intervenire qualora fossero sorti degli inconvenienti. In luoghi in cui si affollavano persone appartenenti a specie e culture differenti, non era raro che si manifestassero casi di odio interspecie che a volte sfociavano nella violenza.
L’uomo incappucciato attraversò l’area di sbarco dirigendosi verso un’ala del terminal dove stazionava una fila i aerotaxi. L’uomo salì a bordo di uno di essi alla cui guida c’era un Bith dal muso piatto, con un’enorme testa bianca calva, due grandi occhi neri senza pupille e una bocca sottile nascosta sotto una serie di pieghe sulla faccia. Mettendosi comodamente seduto sul sedile posteriore riservato ai passeggeri, l’uomo col cappuccio comunicò la sua destinazione al pilota. Il Bith attivò i motori a repulsione e avviò l’aeroaxi sfrecciando tra gli enormi edifici, unendosi alle altre centinaia di velivoli che attraversavano i cieli di Coruscant.
Sorvolando la vastissima metropoli, l’aerotaxi si diresse verso un immensa costruzione a forma di piramide tronca sulla cui sommità si innalzavano, come colonne, cinque altissime torri; quattro situate agli angoli ed una posta al centro, leggermente più alta delle altre. L’intera costruzione si estendeva in altezza per circa un chilometro ed era una delle più belle che si potessero trovare in quel agglomerato urbano che ricopriva Coruscant. Era il Tempio dei Jedi, uno dei più antichi edifici del pianeta. Luogo di studio e di addestramento dei Cavalieri Jedi e sede degli archivi che raccoglievano conoscenze che ricoprivano l’intera galassia raccolte durante secoli e secoli di ricerche.
I Cavalieri Jedi erano i guardiani di pace e giustizia. Non disponendo di un esercito, la Repubblica faceva affidamento sui Cavalieri Jedi per mantenere l’ordine nella galassia.
Il Cancelliere Supremo della Repubblica Valorum, assieme al Dipartimento di Giustizia, affidava regolarmente ai Jedi missioni di varia natura.
L’Ordine dei Jedi contava circa 9000 membri, senza contare gli apprendisti Padawan, e sebbene fosse composto da esseri appartenenti ad ogni specie della galassia, non tutti potevano entrare a farne parte. I Jedi, infatti, erano individui del tutto fuori del comune, dotati di straordinari poteri. Solo chi possedeva una particolare attitudine alla Forza poteva sperare di diventare uno di loro.
L’attitudine di un individuo alla Forza era determinato dal quantitativo di midi-chlorian presenti nelle sue cellule. I midi-chlorian, infatti, erano forme di vita microscopiche che avevano un forte legame con la Forza e che vivevano in simbiosi con tutti gli esseri viventi.
Il potenziale di uno Jedi era quindi direttamente proporzionale al quantitativo di midi-chlorian che egli aveva nelle sue cellule.
Comunque, possedere una sviluppata attitudine alla Forza non era sufficiente per essere un Jedi. Un soggetto con caratteristiche Jedi veniva individuato già nei suoi primi mesi di vita effettuando un conteggio dei midi-chlorian con una semplice analisi del sangue.
Quindi veniva portato al Tempio dove cominciava il suo addestramento come apprendista Padawan, sotto la supervisione di un Maestro Jedi. Soltanto chi riusciva a portare a termine il suo tirocinio, dopo anni di studio e di duri sacrifici, poteva diventare a tutti gli effetti un Cavaliere Jedi.
L’aerotaxi scese di quota, aggirò le colossali torri e manovrò accostandosi alla piattaforma di atterraggio.



Il Tempio era un complesso vastissimo composto da centinaia di locali progettati per adempiere ad ogni tipo di necessità che l’Ordine richiedeva. Oltre agli appartamenti che ospitavano sia i Cavalieri che gli apprendisti, il Tempio era dotato di aree di addestramento dove gli allievi Padawan imparavano l’uso della spada laser, stanze di meditazione e di studio, hangar per veicoli e piccole astronavi, laboratori di analisi ed un ampia sala nella quale erano custoditi i preziosi archivi Jedi.
Le cime delle cinque maestose torri invece erano riservate alle sale dell’Alto Consiglio dei Jedi dove i dodici membri più importanti dell’Ordine si riunivano per discutere e deliberare su questioni di grande importanza.
Uno dei luoghi del Tempio maggiormente frequentati era un enorme locale chiamato “la Stanza delle Mille Fontane” nel quale era stato allestito uno splendido giardino ricco di piante e fiori multicolori provenienti dai vari mondi della Repubblica e abbellito da meravigliose e spettacolari cascate. Il giardino, illuminato da grandi vetrate che filtravano i caldi raggi del sole, era percorso da diversi vialetti lungo i quali i Cavalieri Jedi passeggiavano discutendo con moderazione e contemplando la ricca varietà di flora che adornava quel magnifico ambiente.
Tutti i Jedi indossavano ampie toghe marroni che coprivano le loro tuniche composte da vari strati di indumenti. Ognuno di loro portava allacciato alla cintura un oggetto metallico di forma cilindrica lungo all’incirca una trentina di centimetri. Quell’oggetto dall’apparenza innocua era in realtà una delle armi più letali che esistessero: la leggendaria spada laser. Essa era l’unica arma di cui i Jedi facevano uso e col tempo era diventata il simbolo stesso dell’Ordine. Tutti i membri ne possedevano una, perfino i giovani apprendisti Padawan.
In un punto appartato del giardino, un giovane Padawan umano di circa sedici anni, con i capelli biondo-rossicci tagliati a spazzola e con un sottile codino che gli pendeva dietro l’orecchio destro, se ne stava seduto sull’erba con le gambe incrociate, gli occhi chiusi e le mani rilassate in grembo mentre attorno a lui un gruppetto di piccole pietre volteggiava sospeso a mezz’aria come se sostenuto da una mano invisibile.
Concentrato in una profonda meditazione, Obi-Wan Kenobi sentiva scorrere la Forza dentro di sé. La Forza era un misterioso campo di energia generato da tutte le creature viventi, ma che solo alcuni individui particolarmente sensibili ad essa, potevano imparare a controllare.
Questi individui erano i Jedi.
Sebbene tale sensibilità alla Forza fosse presente nei Jedi sin dalla nascita, occorrevano anni di studi e di addestramento per imparare a farne un corretto uso. Ecco perché quando in un individuo appena nato venivano individuate prerogative Jedi, egli veniva condotto al Tempio dove iniziava immediatamente il suo addestramento. Una volta imparato a controllare la Forza, il Jedi poteva contare su tutti i poteri che da essa derivavano: muovere oggetti, controllare le menti più deboli, vedere attraverso lo spazio e il tempo eventi trascorsi in luoghi lontani o cose che dovevano avvenire in un futuro imprecisato.
Tra le varie cose che un Padawan imparava nel suo addestramento, c’era la capacità di saper distinguere il Lato Chiaro della Forza da quello Oscuro. I Cavalieri Jedi usavano soltanto i poteri derivanti dal Lato Chiaro della Forza ed esclusivamente per scopi altruistici, in difesa della pace e della giustizia. I Jedi dovevano saper ripudiare emozioni come l’odio, la paura e l’aggressività poiché essi erano gli elementi che conducevano al Lato Oscuro della Forza. Ed il Lato Oscuro rappresentava il male.
In quel momento Obi-Wan percepiva l’intensa energia che lo circondava. Un’energia creata da tutti gli esseri viventi. Dai Jedi che passeggiavano nel giardino alla meravigliosa varietà di flora che arricchiva l’ambiente con i suoi colori e i suoi odori, dagli insetti che volavano di fiore in fiore fino ai microscopici organismi conosciuti come midi-chlorian.
Ogni creatura vivente, piccola o grande, senziente o meno, aveva un legame con la Forza.
Incurante dell’ambiente che lo circondava, il giovane Obi-Wan era totalmente immerso nella sua meditazione e con voce pacata recitava i passaggi del codice dei Jedi: “Non c’è emozione, c’è pace. Non c’è ignoranza, c’è conoscenza. Non c’è passione, c’è serenità. Non c’è caos, c’è armonia. Non c’è morte…”
“C’è la Forza”, concluse una voce proveniente da un punto dietro le spalle del ragazzo.
Obi-Wan aprì di colpo gli occhi perdendo istantaneamente il controllo mentale sulle pietre che caddero pesantemente sull’erba producendo un tonfo sordo. Il giovane Padawan si voltò di scatto verso una figura incappucciata vestita con una larga veste marrone come quella dei Jedi.
Gli occhi del misterioso individuo erano celati sotto l’ombra dell’ampio cappuccio, ma la parte inferiore del volto, ricoperta da una elegante barba castana, esibiva un sorriso amichevolmente beffardo che Obi-Wan riconobbe all’istante.
“Maestro Sann!”, esclamò il ragazzo alzandosi velocemente in piedi.
Il Maestro Jedi fece qualche passo avanti verso Obi-Wan e si abbassò il cappuccio rivelando i bei lineamenti di un uomo sui quarant’anni ma dall’aspetto giovanile. Una folta chioma di capelli castani gli scendeva fin sulle spalle mentre ciuffo ribelle gli copriva un angolo della fronte. I suoi occhi erano chiari ed espressivi. “Come stai, Obi-Wan?”, chiese con voce calda.
Obi-Wan era felice di rivederlo e l’espressione raggiante del suo viso fanciullesco ne era la prova. I suoi occhi azzurri brillavano quanto quelli del Maestro Sann.
“Bene!”, rispose il ragazzo. “Mi fa piacere che tu sia tornato, Maestro.”
“Anch’io sono contento di rivederti”, disse il Maestro Jedi. “Sai, osservandoti poco fa mi è tornato in mente il periodo in cui anch’io ero un giovane Padawan.”
“Come vanno i tuoi studi archeologici?”, chiese il ragazzo con genuino interesse.
“Procedono”, rispose il Jedi compiaciuto. Il Maestro Sann era uno studioso dell’antica storia dei Jedi. Obi-Wan ricordava bene quando, tempo addietro, prima che il Maestro Sann partisse per le sue ricerche, passava ore ad ascoltarlo mentre narrava le imprese di valorosi Jedi vissuti secoli prima.
“Il tuo Maestro, Qui-Gon, non è con te?”, domandò il Maestro Sann facendo tornare al presente la mente di Obi-Wan.
“Sta svolgendo delle ricerche in biblioteca.”
Il Maestro Jedi annuì con un leggero cenno della testa.
I due presero a passeggiare per il giardino. Il Jedi osservava la gran varietà di piante che ornavano l’ambiente ripensando a quanti momenti aveva passato in quel giardino a meditare come stava facendo Obi-Wan poco prima.
“Beh, giovane Obi-Wan”, riprese il Maestro, “come va l’addestramento?”
L’espressione del ragazzo perse un po’ della sua giovialità e abbassando lo sguardo e con un filo di voce rispose: “E’ dura.” Poi alzò gli occhi sul volto del Maestro Sann e con tono deciso aggiunse: “Ma io ce la sto mettendo tutta.”
Il Jedi annuì di nuovo comprendendo ciò che il ragazzo voleva dire. Sapeva quanto fosse duro il tirocinio e quante rinunce e sacrifici comportava diventare Cavaliere Jedi. Ma entrare a far parte dell’Ordine era un privilegio di cui solo alcuni individui potevano godere. Un privilegio che comunque andava guadagnato.
“Però…”, disse ad un certo punto Obi-Wan esitante.
“Però?”, lo esortò il Maestro Jedi.
Il Padawan rifletté un istante, poi si decise a parlare: “A volte mi sembra che il Maestro Jinn non sia del tutto soddisfatto di me.”
“Che cosa te lo fa pensare?”
“I suoi giudizi sono sempre così…”, Obi-Wan esitò cercando di trovare il termine giusto per terminare la frase.
“Severi?”, suggerì il Maestro Sann.
“Sì”, affermò il ragazzo.
Il Maestro Jedi rifletté per un po’, poi disse con tono cordiale, quasi paterno: “Pazienza, Obi-Wan. Qui-Gon Jinn è un grande Maestro. Ascolta sempre i suoi insegnamenti.”
Obi-Wan guardò il Maestro Sann e annuì sorridendo.
Improvvisamente una voce interruppe l’amichevole conversazione tra il Maestro Sann e il giovane Obi-Wan Kenobi dicendo: “Spero che tu non sia tornato per portare via il mio Padawan, Jon-Enn!”
Il Jedi e l’apprendista si voltarono insieme verso l’entrata della sala giardino e videro un uomo alto e robusto vestito come tutti gli altri Jedi che li osservava tenendo le braccia incrociate sul petto. L’uomo aveva lunghi capelli lisci castano chiaro che gli scendevano lungo la schiena ed una sottilissima ed elegante barba che gli ricopriva il mento e gli circondava le labbra. I suoi occhi erano azzurri e intensi, il suo sguardo duro e carismatico e il volto dai lineamenti leonini mostrava una evidente espressione di disapprovazione.
“Qui-Gon!”, esclamò il Maestro Sann andandogli incontro.
L’espressione di disapprovazione di Qui-Gon Jinn si tramutò in un sorriso caldo e amichevole e i due Maestri Jedi si abbracciarono come due fratelli che non si vedevano da una vita.
Obi-Wan intanto li osservava in silenzio stando discretamente in disparte.
Jon-Enn possedeva un carattere gioviale ed espansivo. L’entusiasmo con il quale affrontava la vita era paragonabile a quella di un ragazzo che per la prima volta apriva gli occhi sulle meraviglie dell’universo. Obi-Wan si trovava a suo agio con lui. Jon-Enn sapeva comprendere i suoi problemi e le sue esigenze più di quanto dimostrasse il Maestro Qui-Gonn. Jon-Enn aveva sempre un caldo sorriso e parole cordiali capaci di infondere forza e coraggio in chiunque ne avesse bisogno.
Qui-Gon era più vecchio di Jon-Enn di circa cinque anni e aveva un atteggiamento più serio, maturo e distaccato. Era dotato di un notevole autocontrollo. Non si faceva mai prendere dall’emotività rimanendo sempre lucido e misurato, in qualsiasi circostanza. Ma ciò che Obi-Wan più ammirava in lui era il senso di pace e di infinita saggezza che Qui-Gon sapeva esprimere con la sola presenza.
Obi-Wan non aveva mai conosciuto due Jedi tanto diversi eppure uniti da una così grande amicizia.
“Sono lieto che tu sia tornato”, disse Qui-Gon con tono pacato pur provando una grande gioia nel rivedere il suo vecchio amico. “Presumo che le tue ricerche siano terminate.”
“Per la verità, no”, rispose Jon-Enn apparentemente un po’ a disagio. “Sono atteso dal Consiglio, ma prima vorrei dirti due parole.”
Qui-Gon guardò il suo amico inarcando le sopracciglia con aria incuriosita. Era evidente che Jon-Enn voleva discutere con lui di un argomento di natura confidenziale.
Qui-Gon annuì, quindi si rivolse a Obi-Wan e con cortesia disse: “Puoi scusarci per qualche istante?”
“Certamente, Maestro”, rispose il ragazzo facendo un lieve inchino. Poi si rivolse a Jon-Enn e lo salutò dicendo: “Lieto di averti rivisto, Maestro Sann. Che la Forza sia con te.”
“Che la Forza sia con te, giovane Kenobi”, rispose Jon-Enn ripetendo il saluto rituale dei Jedi.
Così il giovane apprendista si allontanò in cerca di un angolo tranquillo dove continuare la sua meditazione. Obi-Wan smaniava dalla curiosità di sapere cos’avevano i due Jedi di tanto importante da dirsi in privato, tuttavia non gli passò neanche per la mente di tornare indietro per origliare, magari nascosto dietro un albero come avrebbe fatto un comune ragazzino. Egli era un allievo Padawan e come tale era consapevole che la disciplina era una delle caratteristiche essenziali per diventare un Jedi.
Qui-Gon Jinn ed il suo amico Jon-Enn Sann presero a camminare lentamente lungo il vialetto che separava due aree verdeggianti ricche di piante adornate da bizzarri fiori dai colori sgargianti. I due Jedi si conoscevano da quando erano dei giovani ed inesperti Padawan. Sebbene fossero stati assegnati a due Maestri diversi, Qui-Gon e Jon-Enn avevano avuto molte occasioni di passare parte del loro tempo insieme addestrandosi, meditando, oppure discutendo durante una passeggiata in quel meraviglioso giardino come stavano facendo proprio in quel momento. Divenuti Jedi, i due amici si erano trovati più di una volta ad unire le proprie capacità in missione, in alcuni casi combattendo fianco a fianco.
“La tua lontananza ha destato molta preoccupazione nel Consiglio”, disse Qui-Gon usando un tono che non suonasse come quello di un rimprovero.
“Sì, capisco”, convenne Jon-Enn serio. “Immagino che il Maestro Yoda sia piuttosto contrariato per questo.”
“Ed anche per il fatto che non hai più dato tue notizie per parecchio tempo”, aggiunse l’amico.
“Ero molto preso, Qui-Gon”, si giustificò Jon-Enn sinceramente rammaricato, poi, con una punta di eccitazione disse: “Non immagini neanche cosa ho scoperto su Ord Mantell.”
Qui-Gonn si accigliò leggermente ma continuò ad ascoltare incuriosito dalle parole dell’amico.
“Come sai”, continuò Jon-Enn, “ho dedicato anni allo studio degli antichi Signori Oscuri dei Sith. Ma gli ultimi tre mesi mi hanno ripagato di tutti gli sforzi. Ebbene, amico mio, su una delle catene montuose più selvagge di Ord Mantell ho scoperto una caverna dentro la quale ho rinvenuto dei reperti appartenenti ad un Signore dei Sith. E tra questi reperti c’era un’ Holocron.”
Qui-Gon inarcò le sopracciglia e guardò Jon-Enn con espressione sorpresa.
Gli Holocron erano congegni usati sia dai Cavalieri Jedi che dai Sith per registrare i loro insegnamenti, le loro imprese, le loro cronache e, talvolta, i loro segreti.
Jon-Enn aveva sempre manifestato una profonda passione per il passato dei Jedi, ed in particolar modo, per quello dei Signori Oscuri dei Sith. Proprio questo suo interesse per i Sith aveva destato nel Consiglio molta preoccupazione. I Sith erano, da sempre, i nemici naturali dei Jedi. Essi erano guerrieri votati al male, seguaci del Lato Oscuro della Forza che perseguivano tutte quelle discipline e quegli insegnamenti che ai Jedi erano proibiti.
I Sith, a differenza dei Jedi, usavano i propri poteri esclusivamente per fini egoistici. Sebbene i Sith risultassero estinti da circa un millennio, anche solo sentirli nominare era, per i Jedi, fonte di inquietudine.
Lo stesso valeva per Qui-Gon Jinn. Una punta di preoccupazione si insinuò nella sua mente. Jon-Enn aveva trovato senza dubbio un reperto di eccezionale valore. Ma si stava parlando di un oggetto appartenuto a un Signore dei Sith. Chi poteva dire quale influenza avrebbe potuto avere ciò che vi era registrato sul suo amico o su chiunque altro si fosse apprestato a studiarlo.
“Purtroppo”, disse Jon-Enn destando l’amico Jedi dai suoi pensieri, “l’Holocron era danneggiato e mal funzionante e parte della registrazione è andata perduta. Ma da quel che ho appreso pare che sia appartenuto ad un Sith di nome Darth Claw.”
Qui-Gon andò con la memoria a ciò che aveva appreso sulla storia dei Sith durante i suoi anni di tirocinio, ma non ricordava nulla a proposito di quel tale Darth Claw. Il Jedi era certo di non averlo mai sentito nominare.
“La caverna che ho trovato”, continuò Jon-Enn, “poteva essere stato il luogo in cui Darth Claw ha passato i suoi ultimi istanti di vita. Probabilmente si era rifugiato lì per sfuggire ai suoi nemici, ma la morte lo ha trovato per prima. Quella registrazione risale ad almeno 1200 anni fa. Potrebbe essere una preziosa testimonianza di ciò che è accaduto durante la Guerra dei Sith.”
Ben 4000 anni prima, la galassia fu scossa da un conflitto tra i Cavalieri Jedi e i Signori dei Sith. Nel corso dei secoli, i Jedi affrontarono i Sith in molte occasioni. Battaglia dopo battaglia, il numero dei guerrieri oscuri andò calando inesorabilmente finché non furono totalmente eliminati. Da allora erano passati 1000 anni durante i quali non si era più registrata l’apparizione di un solo Sith. Tuttavia la minaccia di un loro ritorno era sempre presente poiché se un Jedi fosse caduto preda del Lato Oscuro della Forza, sarebbe diventato un Signore Oscuro dei Sith.
“Una notevole scoperta, senza dubbio”, osservò Qui-Gon senza però confidargli i propri timori.
“Capisci, Qui-Gon?”, chiese Jon-Enn cercando di trasmettere all’amico il proprio entusiasmo. “Se riesco a recuperare buona parte di quella registrazione otterrei una preziosa documentazione storica degli eventi che portarono all’estinzione i Signori dei Sith.”
“Ma tale documentazione è già raccolta negli archivi, Jon-Enn”, puntualizzò Qui-Gonn.
“Sì, hai ragione. Ma questa nuova testimonianza potrebbe aprire un nuovo capitolo sulla guerra che determinò la caduta dei Sith. Devo convincere il Consiglio a concedermi altro tempo per condurre le mie ricerche. Sono sicuro di riuscire a ricostruire la storia di questo Darth Claw.” Man mano che Jon-Enn andava avanti a parlare, sempre di più si faceva forte in lui la convinzione di aver intrapreso la strada giusta.
“Pensi che il Consiglio sia disposto a concedertelo?”, domandò Qui-Gon anche se dentro di sé era convinto di conoscere già la risposta. Il Maestro Mace Windu, uno dei membri più influenti del Consiglio dei Jedi, aveva più volte espresso il suo disappunto riguardo alla ossessione di Jon-Enn per la storia dei Sith. Pertanto Qui-Gon si aspettava, con tutta probabilità, che il Consiglio desse una risposta negativa alla richiesta di Jon-Enn.
Tuttavia Jon-Enn sembrava di tutt’altro avviso. Era molto più ottimista del suo amico Qui-Gon, ma questo perché, essendo stato tanto a lungo lontano dal Tempio, non aveva potuto apprendere come il Consiglio realmente la pensava riguardo a quella faccenda.
“Sì”, rispose infatti Jon-Enn con tono sicuro. “Dopo che avrò dimostrato loro i risultati delle mie ricerche, dovranno riconoscerne l’importanza.”
“Sono certo che il Consiglio prenderà la decisione giusta”, si limitò a dire Qui-Gon.
“Lo spero. Ora devo andare. Quando avrò finito col Consiglio ti farò sapere com’è andata”, promise Jon-Enn.
“Mi troverai qui ad attenderti”, assicurò Qui-Gon.
Jon-Enn annuì con la testa e salutò il suo amico Jedi con un lieve inchino, poi si allontanò verso l’uscita della Stanza delle Mille Fontane dirigendosi vero uno dei turboascensori che lo avrebbero condotto alla sala del Consiglio in cima ad una delle torri del Tempio.
Qui-Gon rimase lì fermo a contemplare, con aria cupa e pensierosa, un albero Bafforr dai colori vivaci proveniente dal pianeta Ithor.



Capitolo due

La sala del Consiglio dei Jedi era un’ampia stanza circolare circondata da grandi vetrate che si affacciavano sullo spettacolare panorama urbano di Coruscant. Ogni vetrata era separata da una grande e scintillante colonna di metallo argentata che arrivava fino al soffitto. Il pavimento liscio era abbellito da un elegante mosaico di disegni.
Il Consiglio era formato da dodici Maestri Jedi che sedevano in circolo al centro della sala, tutti rivolti verso Jon-Enn Sann in piedi al centro del mosaico. Ogni membro apparteneva ad una specie diversa ed ognuno di loro aveva accumulato tanta saggezza ed esperienza da guadagnarsi, oltre al rispetto di tutti gli altri Cavalieri dell’Ordine, anche un posto nel seggio che rappresentava il vertice della gerarchia Jedi.
Di fronte a Jon-Enn sedeva il Maestro Mace Windu, un umano dalla pelle scura che dimostrava all’incirca l’età di Qui-Gon. La sua testa calva rifletteva la luce del sole che filtrava attraverso la grande vetrata alle sue spalle. Il Maestro Windu stava discutendo sottovoce con un essere minuscolo dalla pelle verde alto meno di un metro che sedeva su una larga poltrona alla sua destra. Egli era il Maestro Yoda, il più saggio e il più venerato dell’intero Ordine. I suoi grandi occhi verdi ed espressivi brillavano sul volto solcato da profonde rughe. Dai lati della testa si estendevano due lunghe orecchie appuntite che si muovevano a seconda dell’espressione che il Maestro Jedi assumeva. Una striscia di capelli bianchi arruffati gli copriva la nuca e, con la schiena curvata in avanti, sembrava portare sulle spalle il peso dei suoi oltre 800 anni di età. Tra le mani, dotate di tre dita ciascuna, reggeva un corto e rozzo bastone di gimer dal quale non si separava mai.
All'altro fianco di Yoda c'era il Maestro Ki-Adi-Mundi, un Cereano il cui aspetto non differiva molto da quello umano ad eccezione di una caratteristica particolare: il cranio privo di capelli, ad eccezione di un codino che gli pendevada dietro la nuca, era esageratamente allungato per consentirgli di ospitare i due eccezionali cervelli grazie ai quali il Maestro Jedi poteva usufruire di doti intellettuali superiori a quelle umane. Le folte sopracciglia chiare e l’elegante barba bianca che gli scendeva giù dal mento fino a toccargli il petto gli conferivano un’aria distinta. Ki-Adi-Mundi stava seguendo con interesse il dibattito tra Mace Windu e Yoda e ascoltava le loro opinioni accarezzandosi la barba con aria assorta.
Alla sua destra sedeva Saesee Tiin, un Maestro Jedi Iktotchi dai lineamenti duri e spigolosi e con due robuste corna ricurve che gli scendevano ai lati della testa fino alle spalle.
Subito dopo veniva il Maestro Yaddle, una femmina della stessa misteriosa specie di Yoda, ma molto più giovane di lui. Una folta criniera di capelli rossicci, dalla quale spuntavano le lunghe orecchie a punta, le scendeva fin sopra le spalle.
Accanto a Yaddle, il Maestro Even Piell, un piccolo Jedi dall’aspetto quasi umano, ad eccezione di due lunghe orecchie appuntite, osservava Jon-Enn con sguardo accigliato. Una profonda cicatrice gli solcava l’orbita dell’occhio sinistro perso in una missione quando era ancora un Padawan. Dalla sommità del cranio calvo, gli spuntava un unico lungo ciuffo di capelli tenuti insieme da un nastro.
Più i là, un’affascinante Jedi umana, Adi Gallia, dalla pelle scura e gli occhi blu e che indossava un singolare copricapo Toloth, parlava con Oppo Rancisis, un Thissipiasano di 170 anni circa. La testa del Maestro Rancisis era ricoperta da una massa di capelli bianchi e da una barba talmente folta e lunga che lasciava intravedere appena gli occhi e la bocca. Teneva le mani dalla pelle verde e dotate di unghie affilate unite in grembo e la sua coda serpentina che aveva al posto delle gambe si muoveva lentamente attorno alla poltrona sulla quale era seduto.
All’altro lato di Adi Gallia, Yarael Poof, il più bizzarro di tutti i maestri presenti nella sala, seguiva la conversazione con interesse. Egli era un Quermian, membro di una specie di invertebrati senzienti e aveva un lunghissimo e sottile collo sulla cui cima era posta una testa bianca e bulbosa. Era privo di naso, ma i suoi occhi erano grandi ed espressivi e la bocca era un largo taglio senza labbra. Dalle ampie vesti spuntavano quattro mani bianche dotate di tre lunghe ed esili dita ciascuna.
Di fianco a lui c'era il Maestro Eeth Koth, uno Zabrack sul cui volto olivastro erano tatuate delle linee che lo percorrevano dagli occhi fino al mento. Una corona di piccole corna gli adornavano la fronte spaziosa e due lunghe code di capelli legate con dei nastri ondeggiavano mentre discuteva con Depa Billaba, una donna umana di bell’aspetto seduta sulla poltrona accanto. La Jedi teneva un ampio cappuccio calato sulla testa, tuttavia si intravedevano sul suo naso i due piccoli marchi dell’Illuminazione, simboli della cultura del suo pianeta natale.
A chiudere il cerchio c'era Plo Koon, il Maestro Jedi appartenente alla specie dei Kel Dor il cui volto alieno era coperto da una maschera antiossidante che egli era costretto a indossare in luoghi ricchi di ossigeno.
Jon-Enn aveva da poco finito di esporre al Consiglio le motivazioni che lo avevano indotto ad assentarsi per così lungo tempo dal Tempio, sottolineando l’importanza della sua scoperta su Ord Mantell.
In quel momento, i membri del Consiglio stavano meditando su ciò che avevano appena saputo consultandosi tra loro sottovoce. Jon-Enn intanto li osservava uno ad uno.
Ad un certo punto il suo sguardo si posò su Saesee Tiin. Il Maestro Iktotchi lo fissava a sua volta con i suoi intensi occhi color ambra mentre cercava, con i poteri mentali tipici della sua specie, di sondare i pensieri di Jon-Enn al fine di scoprire qualcosa che il Jedi era restio a rivelare.
Jon-Enn abbassò gli occhi visibilmente a disagio. Improvvisamente ci fu silenzio. A quel punto Jon-Enn capì che il Consiglio stava per dare il suo verdetto. Il Jedi, quindi, alzò il capo pronto ad ascoltare.
A quel punto il Maestro Mace Windu si protese in avanti sulla sua poltrona ed unì le mani. Il suo sguardo era severo e, come membro del Consiglio con la maggior influenza, era abituato ad esprimersi con tono autoritario. Così, con voce profonda e virile disse: “Siamo al corrente delle tue ricerche sul passato dei Sith. Ma temo che la tua richiesta di portare avanti i tuoi studi su Ord Mantell non possa essere accolta.”
Jon-Enn socchiuse la bocca in procinto di protestare, ma un gesto della mano di Mace Windu lo fece desistere.
“Abbiamo altri compiti più importanti da affidarti”, dichiarò con tono fermo il Maestro Windu.
Udendo le parole del Maestro Jedi, Jon-Enn provò un tonfo al cuore ed una profonda delusione. “Ritenete che i miei studi non siano importanti?”, chiese guardando uno ad uno i dodici maestri che gli sedevano attorno.
“Al contrario”, intervenne il Maestro Ki-Adi-Mundi, “Noi tutti ammiriamo lo zelo col quale hai condotto le tue ricerche e concordiamo sul fatto che la tua è un importante scoperta. Tuttavia, ti chiediamo di porre la tua attenzione su una questione che in questo momento ha maggiore rilevanza.”
Quindi, il Maestro Windu riprese la parola: “Due compagnie minerarie si contendono un contratto sullo sfruttamento di alcuni giacimenti metalliferi su Dantooine, un pianeta situato nell’Orlo Esterno. Entrambe le società sostengono di avere il pieno diritto in esclusiva di quei giacimenti. Si tratta di piccole imprese autonome che non fanno parte della Lega Mineraria. Questa controversia purtroppo ha già portato a vari atti di violenza e temiamo che ciò possa sfociare in un vero e proprio conflitto che rischierà di coinvolgere anche i Dantari, il pacifico popolo di quel pianeta. Tu dovrai fare da mediatore fra le due fazioni e farle giungere ad un accordo pacifico e, soprattutto, nel pieno rispetto della legalità.”
Jon-Enn riflettè accigliato. “Un compito del genere avrebbe potuto svolgerlo qualsiasi Jedi”, protestò visibilmente alterato. “La realtà è che avete scelto me per impedirmi di portare avanti le mie ricerche. Per quale motivo?”
Un profondo silenzio calò nella sala del Consiglio. Jon-Enn osservò le espressioni cupe sui volti dei Maestri Jedi seduti attorno a lui. Poi il suo sguardo si posò sul piccolo essere dalla pelle verde che sedeva tra Mace Windu e Ki-Adi-Mundi.
Il Maestro Yoda parlò con voce grave e rauca dicendo: “Lungo un sentiero oscuro le tue ricerche ti avrebbero condotto. Se in quel luogo nefasto farai ritorno, un grande pericolo troverai ad attenderti.”
Era risaputo che il Maestro Yoda era il membro con la più alta concentrazione di midi-chlorian dell’intero Ordine, pertanto possedeva un grado di percezione della Forza molto più sviluppato degli altri Jedi. Egli era in grado di sentire la presenza del Lato Oscuro anche quando gli altri non percepivano nulla.
“Ma, Maestro Yoda”, continuò Jon-Enn, “Quel Signore Oscuro dei Sith è morto da più di mille anni.”
“Non sottovalutare il Lato Oscuro. Un errore esso è”, sentenziò solenne Yoda puntando il suo bastone di legno verso Jon-Enn. “Potente è il Lato Oscuro. Tenace. Oltre il tempo e lo spazio esso sopravvive. Sempre in agguato è il male. Ricorda.”
Ci fu un breve attimo di silenzio durante il quale tutti i maestri fissarono il giovane Jedi con i loro sguardi severi.
Jon-Enn fece un sospiro e disse: “Quindi non potrò tornare mai più in quel luogo per terminare le mie ricerche.”
Yoda lasciò la parola al Maestro Windu. “Il tuo lavoro non sarà vanificato”, assicurò il Maestro Jedi dalla pelle scura. “Lo affideremo ad una squadra di droidi ricercatori specializzati che si recheranno su Ord Mantell per raccogliere e studiare i tuoi reperti. Questo eviterà che l’eventuale presenza del Lato Oscuro in quella caverna possa prendere il sopravvento su qualche essere vivente.”
Prima che Jon-Enn potesse obiettare di nuovo, il Maestro Ki-Adi-Mundi intervenne di nuovo: “Il Consiglio ripone molta fiducia nelle tue doti diplomatiche, Jon-Enn. Vai su Dantooine e risolvi questa controversia legale prima che altre vite vadano perdute. Che la Forza sia con te.”
Quindi Jon-Enn comprese di essere stato congedato. Non c’era più nulla da aggiungere a ciò che era stato già detto.
Profondamente amareggiato, il Jedi salutò con un inchino i dodici membri del Consiglio e si avviò verso l’uscita della sala.
Yoda e Mace Windu si scambiarono uno sguardo colmo di inquietudine. Il futuro non presagiva niente di buono. Tuttavia il futuro era sempre in movimento e non sempre si verificava ciò che era stato previsto. Yoda lo sapeva. Ciò lasciava un po’ di posto alla speranza. Ma poco.
Molto poco.



I due Cavalieri Jedi Qui-Gon Jinn e Jon-Enn Sann stavano percorrendo il Gran Corridoio incrociando di tanto in tanto Jedi appartenenti alle specie più diverse che andavano e venivano o semplicemente fermi a conversare tra loro.
Il Gran Corridoio era un luogo suggestivo in cui spesso i Jedi si recavano per meditare all’ombra delle maestose colonne che si innalzavano per centinaia di metri fino a raggiungere le meravigliose arcate che sostenevano il soffitto a volta.
Jon-Enn era visibilmente contrariato. “E così mi proibiscono di portare avanti le mie ricerche”, stava dicendo il Jedi facendo trasparire nel tono irato della sua voce tutta l’amarezza che stava provando.
Lo stato d’animo di Jon-Enn preoccupava non poco il suo amico Qui-Gon. La rabbia conduceva al Lato Oscuro della Forza ed un Jedi doveva sempre essere calmo e passivo di fronte a qualsiasi circostanza.
Jon-Enn camminava di fianco a Qui-Gon sfogando la propria frustrazione senza far caso ai Jedi che si voltavano a guardarlo. “Preferiscono che io mi occupi di una stupida faccenda legale. Davvero credono che io possa farmi influenzare da ciò che resta di un antico guerriero Sith ormai ridotto in polvere da più di mille anni?”
Qui-Gon lo ascoltava paziente, col volto accigliato. “Fossi in te non sottovaluterei il monito del Maestro Yoda”, osservò pacato il Jedi. “Egli è molto sensibile alla presenza del Lato Oscuro.”
“Mi sorprendi, Qui-Gon”, dichiarò stizzito l’amico. “Più volte in passato sei stato in contrasto con le decisioni del Consiglio. Ora invece ti schieri dalla loro parte?”
Qui-Gon era famoso per il suo temperamento ribelle. In più di un occasione si era ritrovato a difendere le proprie idee che non sempre coincidevano con quelle del Consiglio. Tuttavia era sempre un Jedi rispettoso dell’Ordine che aveva giurato di servire e sebbene i suoi giudizi e punti di vista potevano risultare, a volte, rivoluzionari, non aveva mai messo in discussione l’autorità che il Consiglio rappresentava, né aveva mai tradito la fiducia che esso riponeva in lui. “Ti sto solo mettendo in guardia, Jon-Enn”, precisò il Maestro Jedi. “Questa tua ossessione per i Sith potrebbe renderti cieco di fronte le insidie del Lato Oscuro.”
“Andiamo, Qui-Gon!”, sbottò di colpo Jon-Enn. “Non trattarmi come un apprendista! Sono un Jedi e so badare a me stesso!”
Per un istante Jon-Enn sostenne lo sguardo sereno del suo amico Qui-Gonn, poi abbassò gli occhi e resosi conto di aver avuto una reazione aggressiva, fece un sospiro e con voce affranta disse: “Scusami, Qui-Gon. Non so cosa mi sia preso. Non mi sto comportando come un Jedi.”
Jon-Enn alzò di nuovo lo sguardo e ancora una volta i suoi occhi incontrarono quelli di Qui-Gon. In quegli occhi Jon-Enn non vide alcuna traccia di collera.
Il volto di Qui-Gon esprimeva soltanto comprensione. “Ti capisco”, disse il Jedi mettendo una mano sulla spalla dell’amico tentando, con quel semplice gesto, di fargli capire quanto egli gli fosse vicino. “Ti senti profondamente deluso. Ma non lasciare che l’ira si impadronisca di te.” Le parole del Maestro Jedi suonavano quasi come un’implorazione.
Jon-Enn annuì leggermente col capo e accennò un lieve sorriso vergognandosi per come aveva trattato l’amico pochi istanti prima. Egli non riusciva a capire cosa gli fosse successo. Certo, la delusione era stata grande, ma la reazione che aveva manifestato con Qui-Gon era stata davvero ingiustificabile. Non era un comportamento da Jedi.
“Tra un’ora partirò per Dantooine”, disse quindi cercando di lasciarsi l’argomento precedente alle spalle. “Credo che trascorrerò questo attimo di attesa nella mia stanza a meditare.”
Qui-Gon annuì comprensivo. “Allora ci salutiamo qui. Sono sicuro che su Dantooine farai un ottimo lavoro.”
“Grazie, Qui-Gon.” Jon-Enn fece un lieve inchino e si congedò dal suo amico con il solito saluto Jedi: “Che la Forza sia con te.”
“Che la Forza sia con te”, rispose Qui-Gon.
Così i due Jedi si lasciarono. Jon-Enn si allontanò lungo il Gran Corridoio mentre Qui-Gon lo osservava pensieroso.



Circa un’ora dopo, un incrociatore della Repubblica dallo scafo color cremisi che stava ad indicare la sua condizione di nave diplomatica, atterrò sulla piattaforma in cima al Tempio. I vascelli di quella classe, infatti, venivano usati per trasportare senatori, ambasciatori o, come in quel caso, Cavalieri Jedi nel corso di importanti missioni diplomatiche.
Jon-Enn attraversò l’area di atterraggio dirigendosi, con aria assente, verso il grande incrociatore lungo 115 metri che lo avrebbe condotto su Dantooine
Il Jedi non era per niente entusiasta del compito che gli era stato assegnato dai membri del Consiglio. Aveva un lavoro da terminare su Ord Mantell e Mace Windu lo mandava a sistemare una controversia legale su un pianeta che si trovava nell’Orlo Esterno della galassia. Durante l’ultima ora, Jon-Enn non aveva fatto che pensare a quella faccenda e per quanto si sforzasse non riusciva ad accettarla.
Con la mente immersa nei suoi pensieri, il Jedi salì lungo la rampa dell’astronave dove trovò ad attenderlo una giovane donna in uniforme blu.
La ragazza aveva un viso grazioso e due grandi occhi verdi e luminosi. Tuttavia i corti capelli scuri pettinati all’indietro e la sua esagerata rigidità le conferivano un’aria alquanto impettita.
“Maestro Sann”, salutò la giovane ufficiale senza manifestare la minima emozione, “sono lieta di darle il benvenuto a bordo. Se vuole seguirmi, le mostro il suo alloggio. Tra pochi istanti partiamo.”
Jon-Enn non disse nulla e si limitò ad annuire con sguardo assente. Quindi seguì la ragazza lungo la rampa fin dentro il vascello.
Pochi attimi dopo la rampa di accesso si ritrasse e il portello dello scafo si chiuse sigillandosi. I motori a repulsione si attivarono e la nave si sollevò lentamente da terra. I piloni di sostegno rientrarono nei loro alloggiamenti e i tre potenti atomizzatori radiali Dyne 577 ruggirono spingendo l’incrociatore della Repubblica verso il cielo.
In una manciata di minuti, l’astronave attraversò la stratosfera di Coruscant, oltrepassò le stazioni di sorveglianza in orbita attorno al pianeta e si allontanò verso lo spazio aperto.
Raggiunta una certa distanza da Coruscant, l’incrociatore attivò i motori a iperguida e in un attimo balzò nell’iperspazio scomparendo con un bagliore nella notte eterna.



Nell’iperspazio, un viaggio di anni luce poteva durare qualche giorno, a volte addirittura poche ore. Grazie alle rotte iperspaziali tracciate dai primi esploratori millenni prima, ora le astronavi potevano viaggiare da un sistema stellare all’altro seguendo vie sicure senza perdersi nello spazio. Tali rotte, naturalmente, dovevano essere stabilite prima di intraprendere ogni balzo. A ciò ci pensava il navicomputer che in pochi attimi eseguiva i calcoli che consentivano al viaggiatore di percorrere la rotta tracciata in tutta sicurezza senza il pericolo di attraversare qualche pianeta o qualche stella oppure di finire in un campo di asteroidi.
A bordo dell’incrociatore della Repubblica, una porta si aprì scorrendo dentro la parete metallica e il Maestro Jedi Jon-Enn Sann, con il cappuccio calato sulla testa, uscì dal proprio alloggio avviandosi lungo il corridoio. Giunto davanti ad un’altra porta, l’aprì premendo un pulsante sulla paratia e, silenzioso, entrò nella cabina di pilotaggio.
Il capitano e il copilota sedevano l’uno accanto all’altro davanti alla console di comando. Il capitano era un giovane che dimostrava poco più di una trentina d’anni. Aveva una folta chioma di capelli neri ben pettinati, la mascella quadrata ed un paio di eleganti baffi scuri. Il copilota invece era la giovane donna impettita che aveva accolto Jon-Enn a bordo.
Piccole luci colorate lampeggiavano sui pannelli di controllo che circondavano i due ufficiali mentre sulla grande vetrata dell’oblò frontale scorrevano scie di luce bianco-azzurre caratteristiche dei corridoi iperspaziali.
Il giovane capitano si voltò e lanciò un breve sguardo al Jedi che stava in immobile in piedi dietro il suo sedile, poi riportando la sua attenzione agli strumenti della console di comando annunciò: “Arriveremo su Dantooine tra poche ore.”
Ma Jon-Enn non rispose. Se ne stava lì immobile con lo sguardo perso chissà dove sotto l’ombra del suo cappuccio. Ad un certo punto il Maestro Jedi alzò una mano e puntò le dita verso la nuca del capitano seduto davanti a lui.
Jon-Enn non lo sfiorò nemmeno, ma l’uomo crollò improvvisamente addormentato sulla poltroncina.
La donna accanto a lui si voltò allarmata, pensando che il capitano fosse stato colto da un malore. Fece per alzarsi ma un istante dopo anche lei si accasciò priva di sensi sul proprio sedile.
Jon-Enn si caricò il corpo del capitano sulle spalle, uscì dalla cabina di comando e lo portò nella sala riunioni all’interno del guscio di rappresentanza dell’incrociatore. Lì lo depositò su una delle sedie poste attorno ad un tavolo. Dopo di che tornò nella cabina di comando e, caricatosi sulle spalle il corpo della donna, portò anch’ella nel guscio sistemandola sulla sedia accanto a quella dove si trovava il capitano. Quindi tornò ancora una volta nella cabina di comando. Generalmente l’equipaggio di un incrociatore della Repubblica poteva contare fino a otto membri, ma per quella particolare missione era sufficiente la sola presenza del capitano e del suo copilota mentre le altre funzioni di bordo venivano espletate dai fedeli droidi astromeccanici.
A quel punto l’incrociatore era completamente nelle mani del Maestro Jedi.



L’incrociatore della Repubblica uscì dall’iperspazio e rallentò nei pressi di un pianeta dotato di tutte le caratteristiche necessarie per ospitare forme di vita umane.
Il guscio di rappresentanza che si trovava sulla prua della nave e che ospitava i due piloti privi di sensi si sganciò e, attratto dalla gravità del pianeta, cominciò a precipitare verso la sua atmosfera.
Mentre il guscio scompariva tra le nubi del pianeta, l’incrociatore si allontanò accelerando verso lo spazio aperto. I motori a iperguida si attivarono ancora una volta e il vascello scomparve in un bagliore.



Un lungo fascio di luce azzurra si muoveva fendendo l’aria ed emettendo un lieve ronzio.
Il giovane Obi-Wan Kenobi brandiva tra le mani la sua spada laser come un vero Cavaliere Jedi, nonostante la sua giovane età.
Ogni Jedi possedeva una spada laser e, poiché era egli stesso a costruirsela durante il suo apprendistato come Padawan, ogni spada aveva caratteristiche proprie a seconda dei gusti e delle necessità del suo proprietario. I materiali venivano forniti dai laboratori del Tempio e ogni membro dell’Ordine costruiva la propria spada partendo da un progetto standard per poi inserire le proprie modifiche.
Per costruire la sua, Obi-Wan si era ispirato a quella del suo maestro Qui-Gon. Era infatti usanza fra i Padawan di costruire la propria spada prendendo come modello quella del loro maestro, come segno di profondo rispetto.
Le spade laser erano costituite da un’elsa cilindrica di metallo lunga approssimativamente una trentina di centimetri, dentro la quale era alloggiata una cella energetica che alimentava la lama di energia. Essa, controllata da una serie di microcircuiti era prodotta da dei cristalli particolari provenienti dal pianeta Ilum, nel sistema di Adega. La lama laser, che solitamente era lunga all’incirca un metro, era in grado di tagliare qualsiasi cosa e veniva attivata da un pulsante posto sull’impugnatura della spada. Il colore della lama laser, che in genere era azzurra o verde, dipendeva dal tipo di cristalli adegani impiegati nella costruzione dell’arma.
Da spenta, la spada aveva l’aspetto di un innocuo cilindro di metallo. Ma attivandola, la lama laser scaturiva dalla piastra di proiezione posta su una delle estremità dell’elsa diventando un’arma di straordinaria eleganza e spaventosa potenza.
I Padawan venivano addestrati all’uso della spada laser fin dall’inizio del loro tirocinio, pertanto non era insolito nel Tempio vedere allievi di giovanissima età maneggiare quelle armi tanto letali. E quando giungevano alla fine del loro apprendistato, come prova finale veniva loro chiesto di costruire da soli, e senza l’aiuto dei loro maestri, la loro spada laser personale. Un compito assai difficile poiché il minimo errore poteva far esplodere l’arma ed uccidere colui che la impugnava. Tale prova segnava il passaggio da allievo Padawan a Cavaliere Jedi.
Con un casco calato fin sopra gli occhi che gli impediva di vedere, Obi-Wan si muoveva sicuro al centro di una stanza spoglia, reggendo la sua spada laser mentre due oggetti sferici, chiamati remoti da addestramento, si muovevano volteggiando a mezz’aria attorno al ragazzo sostenuti dai loro campi repulsori.
In un angolo della stanza, Qui-Gon lo osservava silenzioso con le braccia incrociate sul petto.
I due remoti da addestramento svolazzavano attorno a Obi-Wan variando continuamente velocità e direzione.
“Svuota la tua mente”, disse Qui-Gon. “Affidati totalmente all’istinto.”
Obi-Wan si fermò e rimase immobile, concentrato ma non del tutto rilassato. Non come avrebbe voluto il suo maestro. Un Jedi doveva essere passivo anche durante un combattimento. Ma Obi-Wan, col pensiero di quei due remoti che gli giravano attorno pronti a colpire, non poteva fare a meno di essere un po’ teso.
Improvvisamente uno dei remoti scattò in avanti e sparò un sottile raggio di energia verso Obi-Wan. Il ragazzo ruotò velocemente su se stesso e parò il raggio con la lama laser della sua spada.
Quasi istantaneamente, il secondo remoto si abbassò all’altezza della cintola e colpì il Padawan ad una gamba.
I raggi di energia dei remoti da addestramento non erano letali, ma erano comunque dolorosi.
Obi-Wan sobbalzò per il dolore provocato dalla scossa. Irritato per il suo fallimento, il giovane spense la spada e si massaggiò la gamba dolorante.
Non appena il fascio di luce della spada fu disattivato, i due remoti si fermarono uno di fianco all’altro a mezz’aria.
Qui-Gon emise un sospiro e disse: “Lascia che sia la Forza a guidare le tue azioni.”
Obi-Wan riaccese la spada laser e si mise in posizione di guardia mentre i due remoti ripresero a volteggiargli attorno. Il giovane Padawan si concentrò, riprese il suo legame con la Forza e nella sua mente prese forma l’immagine delle due sfere. Il suo sguardo era immerso nel buio totale, tuttavia egli riusciva a vedere i due remoti. Non con gli occhi, ma con la mente. Grazie alla Forza egli poteva percepire il mondo attorno a sé senza aver bisogno dei suoi normali sensi.
Obi- Wan rimase immobile aspettando che fossero i due remoti a fare la prima mossa.
Gli occhi attenti di Qui-Gon non lo lasciavano nemmeno per un attimo.
All’improvviso le due sfere tornarono ad attaccare quasi contemporaneamente.
Obi-Wan, con riflessi prontissimi, parò le sottili scariche di energia emesse dai due remoti mentre questi si muovevano rapidi attorno al ragazzo. Ma presto la situazione sfuggì al controllo del Padawan e mentre un remoto lo teneva occupato frontalmente, l’altro si posizionò dietro la schiena di Obi-Wan e lo colpì con una scarica alla spalla.
Ancora una volta, Obi-Wan fu costretto a spegnere la spada laser per massaggiarsi la spalla idolenzita.
Qui-Gon non appariva per niente soddisfatto della prestazione del suo allievo e scuotendo la testa disse: “Farai meglio la prossima volta.”
Obi-Wan avvertì il tono di delusione di Qui-Gon e con voce affranta rispose: “Sì, Maestro.”
Il giovane Padawan si tolse il casco e a quel punto vide un altro Jedi entrare nella stanza.
Di giovane età e dalla pelle scura, il Jedi si avvicinò a Qui-Gon e gli bisbigliò qualcosa che Obi-Wan non riuscì a sentire. Poi Qui-Gon annuì con la testa e il Jedi dalla pelle scura si allontanò.
“Andiamo, Obi-Wan”, disse quindi il Maestro Jedi al suo giovane allievo. “Siamo attesi nella Sala del Consiglio.”
Il Padawan non fece né domande, né commenti. Si agganciò la spada laser alla cintura, posò il casco su di una panca di legno e seguì il suo maestro fuori dalla stanza di addestramento.



Obi-Wan, in piedi accanto al suo maestro Qui-Gon, osservò con rispettoso silenzio i dodici membri del Consiglio dei Jedi seduti in circolo attorno a loro, e notò sui loro volti un espressione estremamente seria.
Mace Windu, seduto alla sinistra del riverito Maestro Yoda, si sporse in avanti sulla sua poltrona ed esordì annunciando con voce profonda e ben impostata: “E’ successo un fatto grave, Qui-Gon. Come sai, il Maestro Sann è partito per Dantooine dietro nostra richiesta per occuparsi di una missione diplomatica estremamente delicata.”
Qui-Gon e tutti gli altri presenti ascoltarono con attenzione ciò che stava dicendo Mace Windu senza interrompere.
“Ebbene”, continuò il Maestro Windu con sguardo accigliato, “Abbiamo da poco appreso che subito dopo la sua partenza, Jon-Enn Sann si è impadronito dell’astronave sulla quale viaggiava abbandonando l’equipaggio in un guscio di salvataggio. Prima di sganciare il guscio Jon-Enn ha attivato il segnale di soccorso. ”
Obi-Wan ebbe un sussulto al cuore sentendo le parole del Maestro Windu. Non poteva credere che Jon-Enn fosse stato capace di un atto tanto grave. Alzò gli occhi sul suo maestro e vide che Qui-Gon stava ascoltando con espressione impassibile, senza manifestare la minima emozione.
Il Maestro Windu, intanto, andò avanti con la sua esposizione dei fatti.
“Il guscio è stato recuperato tra le vette ghiacciate di Ando Prime. L’equipaggio è incolume. Per fortuna i soccorsi sono intervenuti in tempo evitando che quelle persone morissero congelate.”
Obi-Wan continuava a chiedersi dentro di sé come fosse possibile. Egli si rifiutava di accettare le parole di Mace Windu. Avrebbe voluto gridare con tutte le sue forze che ciò che stava dicendo era un cumulo di assurdità. Ma come avrebbe potuto? Non era che un allievo Padawan e non era certo nella posizione di poter mettere in discussione le parole di un altro Jedi. Soprattutto di un membro del Consiglio. Tutto ciò che poteva fare era ascoltare rimanendo in silenzio.
A quel punto il Maestro Ki-Adi-Mundi, prese la parola e gli sguardi di Qui-Gon e Obi-Wan si spostarono su di lui. “Jon-Enn non è mai giunto su Dantooine”, dichiarò il Maestro Jedi Cereano. “Abbiamo ragione di credere che sia tornato su Ord Mantell, nonostante il nostro divieto, per continuare le sue ricerche.”
Qui-Gon ripensò alla conversazione avuta con Jon-Enn poco prima della sua partenza. Il Jedi si era dimostrato molto contrariato dall’ordine del Consiglio di abbandonare le sue ricerche sui Sith. Qui-Gon aveva interpretato la reazione di Jon-Enn come un semplice sfogo dovuto alla frustrazione che in quel momento l’amico stava provando. Ma a quel punto stava cominciando a credere di aver sottovalutato la situazione di Jon-Enn.
Qui-Gon abbassò lo sguardo con espressione cupa facendosi sfuggire un lieve sospiro.
Il Maestro Yoda, che lo stava osservando con i suoi grandi occhi verdi, intuì lo stato d’animo del Jedi ed esortandolo a confidarsi disse: “Qualcosa ti tormenta, Qui-Gon? Rivelarci vuoi i tuoi pensieri?”
Qui-Gon fece un profondo respiro e raddrizzando le spalle ammise: “Temo di avere una parte di colpa per ciò che è successo.”
Yoda sgranò gli occhi e raddrizzando le lunghe orecchie domandò: “Cosa ti spinge a dire ciò?”
“Dopo il vostro incontro con Jon-Enn, egli è venuto da me. Era molto deluso dalla vostra decisione di allontanarlo dalle sue ricerche. Ho avvertito molta rabbia in lui.”
Yoda chiuse gli occhi con espressione grave. Anche gli altri membri del Consiglio manifestarono la loro inquietudine scambiandosi sguardi pieni di perplessità.
Attraverso i loro mormorii, la voce di Yoda emerse zittendo quella di tutti gli altri. “Rabbia!”, esclamò l’anziano Maestro Jedi, “Al Lato Oscuro essa conduce.”
Qui-Gon annuì con la testa. “Purtroppo ho sottovalutato la situazione”, confessò con rammarico. “Non pensavo che Jon-Enn potesse arrivare a tanto.”
“Ciò che ha fatto è molto grave”, sentenziò Ki-Adi-Mundi e Qui-Gon non potè che concordare con il Maestro Jedi.
Lo sguardo di Mace Windu scrutò i volti degli altri undici membri del Consiglio. Quindi il Maestro Jedi guardò Qui-Gon con espressione severa e disse: “Andate su Ord Mantell e costringete Jon-Enn Sann a tornare qui al Tempio. Se possibile evitate uno scontro.”
“Sono certo di riuscire a farlo ragionare”, assicurò Qui-Gon fiducioso.
“Attento, Qui-Gon”, lo avvertì Yoda. “L’influenza del Lato Oscuro io avverto.”
“Saremo prudenti”, promise il Jedi.
“Ora andate”, concluse il Maestro Windu con un gesto solenne della mano. “E che la Forza sia con voi.”
Così, con il tradizionale saluto Jedi, Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi furono congedati dal Consiglio. I due Jedi salutarono i dodici maestri con un inchino e si avviarono verso l’uscita della sala.


Capitolo tre

Appena qualche ora dopo l’incontro con il Consiglio dei Jedi, Qui-Gon Jinn e il suo allievo Obi-Wan Kenobi lasciarono Coruscant a bordo di un altro incrociatore della Repubblica.
Il vascello dallo scafo color cremisi uscì dall’atmosfera del pianeta e puntò verso lo spazio aperto per poi scomparire in un lampo nell’iperspazio.
In una delle anguste cabine riservate ai passeggeri, Qui-Gon se ne stava seduto sulla sua branda, con gli occhi chiusi, completamente assorto dai suoi pensieri. Il compito che lo attendeva non era tra i più semplici. Jon-Enn era suo amico e se davvero era caduto preda del Lato Oscuro della Forza, Qui-Gon avrebbe dovuto affrontarlo in combattimento. Ma prima di arrivare a quel punto, il Jedi era fermamente intenzionato a cercare di far ragionare il suo amico.
Un profondo senso di colpa stava perseguitando Qui-Gon. Il pensiero che se solo avesse intuito prima le intenzioni di Jon-Enn, probabilmente sarebbe stato in grado di evitare quella grave situazione lo ossessionava.
Improvvisamente il Cavaliere Jedi fu destato dal suono di un cicalino che annunciava la presenza di qualcuno fuori della cabina.
Qui-Gon aprì gli occhi e raddrizzò la schiena, poi esclamò: “Avanti.”
La porta scivolò di lato dentro la parete e sull’uscio apparve la figura minuta del giovane Obi-Wan.
“Disturbo, Maestro?”, chiese timidamente il Padawan.
“Niente affatto, Obi-Wan”, rispose gentilmente Qui-Gon abbozzando un mezzo sorriso. Poi, notando il senso di inquietudine che traspariva dall’espressione che il ragazzo aveva sul viso, domandò: “C’è qualcosa che ti turba?”
“In verità, sì”, confessò Obi-Wan. Egli esitò qualche istante e il suo maestro attese pazientemente senza forzarlo. Infine il giovane allievo fece qualche passo avanti e la porta della cabina si richiuse con un sibilo alle sue spalle.
“Credi che dovremo affrontare il Maestro Jon-Enn in combattimento?”, chiese Obi-Wan rivelando così i suoi timori.
“Spero di no”, rispose Qui-Gon.
“Lo spero anch’io. Il Maestro Jon-Enn è un amico.”
Qui-Gonn annuì con la testa pensando che fino a quel momento non si era mai reso conto di quanto quel ragazzo fosse affezionato a Jon-Enn.
“Quindi non ti confronterai con lui in duello?”, insistette Obi-Wan.
“Con l’aiuto della Forza, forse non sarà necessario”, cercò di rassicurarlo il Maestro Jedi. Che altro avrebbe potuto dire? Una volta giunti su Ord Mantell, avrebbe valutato il problema e si sarebbe comportato di conseguenza. Era inutile perdere tempo a considerare ipotesi o a pianificare linee di azione senza avere un quadro della situazione.
Un Jedi doveva sempre concentrare le proprie percezioni sul presente. Su quello che è, non su quello che sarà o che potrebbe essere. Questo era uno degli insegnamenti che più spesso doveva ricordare ad Obi-Wan poichè il ragazzo tendeva quasi sempre a porre più attenzione a probabili eventi futuri piuttosto che a quelli in corso.
L’espressione sul volto del ragazzo rimase immutata. Tuttavia egli annuì con la testa e si diresse verso la porta che si aprì automaticamente. Giunto sull’uscio, Obi-Wan si voltò verso Qui-Gon e disse: “Non devi sentirti in colpa per ciò che è successo, Maestro. Non potevi prevederlo. Il Maestro Yoda dice che è sempre in movimento il futuro.”
Qui-Gon sorrise all’ingenuo tentativo di Obi-Wan di impartire lezioni sulla Forza al suo maestro. Ma apprezzando le buone intenzioni del ragazzo, anziché rimproverarlo lo ringraziò silenziosamente con un cenno del capo.
A quel punto Obi-Wan uscì dalla stanza lasciando Qui-Gon solo con i suoi pensieri.
Il Maestro Jedi cominciò una lunga e profonda meditazione per prepararsi all’incontro con Jon-Enn.



All’interno di una profonda caverna illuminata da poche torce accese fissate nelle insenature delle pareti rocciose, Jon-Enn Sann scavava nella terra con i suoi attrezzi da lavoro.
Il Jedi lavorava come in preda ad una follia ossessiva. I capelli scompigliati, la fronte imperlata di sudore, le mani, doloranti per la fatica e sporche di sabbia, che brandivano una pala con la quale sollevavano cumuli di terra da una fossa profonda all’incirca un metro e mezzo. Con una mano si asciugò il sudore che gli colava sugli occhi. Quindi riprese a scavare.
Ad un certo punto l’attrezzo toccò qualcosa di duro e metallico sepolto sotto la terra.
Jon-Enn posò la pala, si inginocchiò e si mise a scavare a mani nude scoprendo così un oggetto dalla superficie liscia. Con le dita tracciò un solco nella terra per definire i contorni dell’oggetto e quando finalmente riuscì a disseppellirlo per almeno tre quarti, lo afferrò saldamente e lo tirò fuori dalla buca.
L’oggetto era un sarcofago la cui larghezza misurava poco meno di un metro, con i bordi decorati da elaborate incisioni. Jon-Enn lo sollevò faticosamente e lo posò sul terreno fuori dalla fossa.
Visibilmente eccitato, il Jedi saltò fuori dalla fossa e si chinò sul sarcofago per osservarlo da vicino. Con le mani spazzò via la terra che ne ricopriva la superficie scoprendo che le incisioni rappresentavano i caratteri di una lingua misteriosa. Egli li studiò attentamente cercando di interpretarli, ma senza riuscirci. Poco importava. Ci avrebbero pensato i droidi di analisi al Tempio, su Coruscant.
Jon-Enn osservò l’elaborata serratura che sigillava il coperchio. Si concentrò e con la mente visualizzò l’intricato meccanismo interno. Ricorrendo alla Forza, il Jedi fece scattare il meccanismo e con le mani sollevò delicatamente il coperchio.
Un ampio panno di stoffa scuro ben ripiegato copriva il prezioso contenuto. Jon-Enn lo sollevò e spiegandolo scoprì che si trattava di un elegante mantello nero di raffinata fattura. Sotto, altri oggetti giacevano accatastati l’uno sull’altro.
Alcuni indumenti ripiegati con la medesima cura del mantello. Un antico libro dalle pagine ingiallite che Jon-Enn sfogliò con cura e rispetto, scoprendo testi scritti nella stessa lingua delle incisioni sulla superficie del sarcofago. Ed, infine, con grande sorpresa, un oggetto cilindrico di metallo scuro. Ma non un semplice oggetto. Un simbolo.
Quest’ultimo suscitò in Jon-Enn una forte emozione. Il Jedi sollevò dal sarcofago l’elsa della spada laser con la stessa riverenza che si userebbe con un oggetto sacro e l’ammirò alla luce delle torce. Era diversa da tutte le altre spade che aveva visto fino ad allora. L’impugnatura era completamente nera e liscia, e sulla superficie si intravedevano i pulsanti di attivazione e di regolazione della lama laser. Attorno al disco di proiezione della lama, situato sull’estremità alta dell’elsa, sporgeva una corona di punte sottili simili a spine.
Jon-Enn la fissava con una luce sinistra che gli brillava negli occhi. Si alzò in piedi e tenendo la spada davanti a sé premette il pulsante di attivazione. Istantaneamente comparve un fascio di luce scarlatta generato dal cristallo sintetico contenuto all’interno dell’elsa, accompagnato dal tipico ronzio emesso dalle spade laser. I Sith infatti, a differenza dei Jedi, non impiegavano cristalli adegani naturali, ma ne fabbricavano dei simili con l’aiuto del Lato Oscuro. A ciò si doveva il colore rosso delle lame laser che caratterizzavano le loro spade.
Il Jedi mosse la spada nell’aria costatando che, nonostante fosse vecchia di secoli, era ancora perfettamente funzionante. La lama laser non emetteva alcun calore, ma la luce di cui era fatta era tanto abbagliante da oscurare le tenui fiamme delle torce.
Jon-Enn la spense e la tenne tra le mani pensando che una volta mostrata quella stupefacente reliquia ai membri del Consiglio dei Jedi, essi avrebbero dovuto cambiare opinione riguardo alle sue ricerche.
A circa un millennio dalla scomparsa degli Oscuri Signori dei Sith, Jon-Enn aveva riportato alla luce una straordinaria testimonianza della loro esistenza.
Completamente assorto da quel pensiero, forse accecato dalla visione di un posto nel seggio del Consiglio, tra i grandi Maestri, Jon-Enn non si accorse di un ombra che, confondendosi con il gioco di luci prodotto dal movimento delle fiamme delle torce, si avvicinava lungo la galleria che conduceva verso l’esterno.
Lo sguardo del Jedi era completamente catturato da quell’oggetto prezioso che stringeva tra le mani come un tesoro. Improvvisamente percepì qualcosa. Un tremito nella Forza. Una presenza infausta alle sue spalle.
Jon-Enn si voltò di scatto pronto a reagire, ma a quel punto fu troppo tardi.
Una figura enorme e oscura come le tenebre incombeva ormai su di lui.
A quel punto tutto divenne buio e silenzioso.



L’incrociatore della Repubblica uscì con un lampo dall’iperspazio giungendo nel sistema di Ord Mantell.
Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi entrarono nella cabina di comando dell’astronave.
L’ufficiale in comando e il suo copilota, presi dalle operazioni di navigazione, non prestarono attenzione ai due Jedi che, in piedi dietro di loro, osservavano in silenzio attraverso l’oblò di prua il pianeta che si avvicinava diventando sempre più grande.
Ord Mantell era una gigantesca sfera blu circondata, per almeno tre quarti, da un fitto strato di nubi rosa. Attorno al pianeta orbitavano due lune marroni prive di atmosfera più altri tredici satelliti più piccoli.
Qui-Gon si chinò verso il primo pilota e disse: “Capitano Sallis, esegua un accurata scansione delle zone montuose del pianeta.”
“Sì, signore”, rispose l’ufficiale anziano tenendo d’occhio gli strumenti sulla console e con un cenno al suo copilota gli trasmise l’ordine.
Il capitano Sallis era un uomo sulla cinquantina con corti capelli rossi e due stretti occhi azzurri che spiccavano sul volto colorito. L’ufficiale aveva tutta l’aria di essere un veterano e muoveva sicuro la sua mano sui comandi della console premendo tasti e spostando leve mentre con l’altra reggeva saldo il timone. Egli pilotava quella complessa astronave con naturalezza e disinvoltura come se fosse in grado di farlo ad occhi chiusi.
Il giovane che gli sedeva accanto, invece, sembrava fresco di accademia. Infatti non dimostrava più di 25 anni. Era un ragazzo robusto, dal fisico ben sviluppato, tanto che l’uniforme blu sembrava stargli piuttosto stretta. I capelli biondi tagliati a spazzola riflettevano le luci colorate delle spie che lampeggiavano sui pannelli di comando, mentre i suoi occhi chiari non si staccavano nemmeno per un istante dagli strumenti di navigazione.
Passarono alcuni istanti durante i quali il copilota trafficò con alcuni pulsanti osservando i simboli colorati che apparivano su un monitor posto sopra l’oblò di prua, dopo di che il giovane annunciò: “Ecco, signore. Credo di aver trovato qualcosa.”
Il capitano Salliss alzò lo sguardo verso il monitor e osservò l’immagine scannerizzata di un’astronave.
Qui-Gon si accigliò riconoscendo la configurazione dell’astronave visualizzata sul monitor.
“E’ l’incrociatore della Repubblica che ha portato qui il Maestro Sann”, disse sicuro il Jedi notando l’assenza di un’intera sezione nella parte ventrale del vascello. Si trattava della sezione che alloggiava il guscio di rappresentanza che Jon-Enn aveva sganciato su Ando Primo per liberarsi dell’equipaggio.
“Bene”, rispose il capitano. Poi, rivolto al suo copilota ordinò: “Passami le coordinate. Si scende.”
Quindi, mentre il copilota digitava su una tastiera posta sul suo lato della console, il capitano Sallis manovrò l’astronave entrando nell’atmosfera di Ord Mantell.
L’incrociatore emerse da un denso banco di nubi bianche mentre i raggi del sole pomeridiano, che filtravano attraverso le nuvole, si riflettevano sullo scafo color cremisi.
Scendendo di quota, sorvolò un’estesa catena montuosa lontana dai centri abitati. I propulsori rombavano producendo un’eco che si propagava tra le gole e le valli sottostanti. Attraversando le alte montagne, l’astronave si avvicinò ad una zona di roccia pianeggiante dove ritrovava l’altro incrociatore della Repubblica di cui si era impadronito il Maestro Jon-Enn.
Il vascello con a bordo i due Jedi rallentò e, mentre dallo scafo inferiore uscivano i piloni di sostegno, si posò sul suolo ghiaioso sollevando con i suoi getti di scarico nuvole di polvere e sabbia.
I motori si spensero e dopo pochi istanti, dalla fiancata del vascello, calò giù la rampa di sbarco. Quindi, sulla cima della rampa si aprì un portello dietro al quale apparvero le figure di Qui-Gon, di Obi-Wan e del capitano Sallis.
I due Jedi, insieme al capitano, scesero lungo la rampa e si diressero verso l’altro incrociatore che aveva tutta l’apparenza di essere abbandonato. L’ufficiale più giovane intanto era rimasto a bordo, nel caso fosse giunto qualche messaggio da Coruscant.
Mentre il capitano Sallis scrutava l’ambiente circostante, Qui-Gon e Obi-Wan salirono a bordo dell’incrociatore e si divisero ispezionando ogni compartimento della nave. I due Jedi estesero le proprie percezioni allo scopo di avvertire tracce della passata presenza
di Jon-Enn. E la trovarono. Ma il loro amico non era più a bordo da parecchio tempo.
Alcuni minuti dopo Qui-Gon e il suo allievo scesero dal vascello e raggiunsero il capitano Sallis.
“Beh”, disse l’ufficiale scrollando le spalle, “c’era da aspettarsi che la nave fosse abbandonata.”
Qui-Gon annuì con la testa concordando con il capitano. “Non ci resta che andare a dare un’occhiata alla caverna che ha trovato il Maestro Sann”, disse rivolto ad Obi-Wan. Poi si voltò verso il capitano Sallis e disse: “Mi raccomando, rimanete a bordo. Queste zone selvagge sono molto pericolose. Ci metteremo in contatto con voi molto presto.”
“Sì, signore”, rispose il capitano Sallis con un cenno affermativo della testa. “Siate prudenti.”
Qui-Gon e il suo allievo Obi-Wan scesero lungo la rampa e si misero in cammino lungo un sentiero che saliva verso una serie di colline rocciose.
Il capitano Sallis li seguì per un po’ con lo sguardo accigliato, poi rientrò nell’astronave chiudendo il portello dietro di sé.



Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi camminarono per un’ora buona salendo sempre di più lungo il sentiero che attraversava una distesa di alture rocciose. Sarebbe stato molto più semplice per loro atterrare in un punto più vicino alla caverna dove, presumibilmente, doveva trovarsi il Maestro Jon-Enn, ma la morfologia irregolare di quella regione del pianeta non l’aveva consentito. Pertanto il capitano Sallis era stato costretto a scegliere l’unica aria pianeggiante presente nella zona, che però distava almeno un paio d’ore di cammino dalla caverna in questione.
I due Jedi, sempre con i sensi all’erta, non si concedevano nemmeno un attimo di distrazione. Quelle zone montuose lontane dai centri civilizzati del pianeta erano territorio di pericolose e selvagge creature, i temuti Savrip Mantelliani.
Gli occhi del Maestro Jedi e del suo allievo Padawan scrutavano attentamente ogni dettaglio di quel luogo apparentemente tranquillo, consci che qualsiasi spuntone di roccia ed ogni insenatura potevano nascondere un pericolo.
Dopo un’altra ora di faticoso cammino, i due Jedi finalmente raggiunsero la caverna ai piedi di una maestosa montagna.
“Dev’essere qui”, disse Qui-Gon osservando l’ingresso illuminato dalle fiaccole delle torce fissate nelle pareti. Il Maestro Jedi chiuse gli occhi ed estese le proprie percezioni.
Una perturbazione nella Forza gli confermò ciò che temeva.
Tracce del Lato Oscuro, come residui di energia presenti dopo un’esplosione, si diffondevano ovunque impregnando l’aria, le rocce, il terreno e le piante che sporgevano dal suolo.
Qui-Gon si voltò verso Obi-Wan e, senza dir nulla, fece un cenno di assenso con la testa. Quindi entrò seguito dal suo fedele allievo Padawan.



A centinaia di metri di distanza, nella valle sottostante, due incrociatori della Repubblica sostavano uno accanto all’altro mentre una leggera brezza trasportava la sabbia che andava a posarsi sui loro scafi metallici.
Nella cabina di pilotaggio di uno dei due incrociatori, il capitano Sallis e il suo copilota erano seduti sulle loro poltrone, intenti ad eseguire alcuni controlli di routine con gli strumenti di bordo. Erano passate circa due ore da quando i due Jedi avevano lasciato l’astronave e fino a quel momento non era giunta alcuna segnalazione da parte loro. Dall’esterno non si udiva alcun rumore.
Di tanto in tanto il capitano dava una sbirciata dall’oblò frontale aspettandosi di veder passare qualche creatura selvaggia o qualche uccello, ma l’unica vista che gli si presentava davanti era una monotona distesa di alture rocciose punteggiate qua e là da ciuffi d’erba e da qualche cespuglio.
Il giovane ufficiale seduto accanto a lui teneva lo sguardo fisso su un monitor controllando i dati forniti dal computer della nave mentre eseguiva un programma diagnostico dei sistemi principali.
Dopo l’ennesima occhiata al passaggio circostante, il capitano Sallis fece uno sbadiglio e si rilassò sullo schienale della poltrona. Con le gambe stese sotto la console di comando, l’uomo mise le mani dietro la nuca e rivolto all’altro ufficiale disse: “Io mi riposo un po’. Se noti qualcosa di strano avvertimi.”
Il giovane socchiuse la bocca in procinto di rispondere al suo superiore ma improvvisamente un forte urto scosse la nave facendo sobbalzare i due ufficiali sulle loro poltrone.
“Cos’è stato?”, esclamò il capitano Sallis voltandosi di scatto verso il suo copilota.
“Non lo so, signore”, rispose il giovane tenente con gli occhi sgranati.
Entrambi si sporsero per osservare attraverso l’oblò frontale della nave.
“Da qui non si vede niente”, disse Sallis muovendo velocemente gli occhi da una parte all’altra. “Andiamo fuori a controllare.”
Il capitano si staccò dall’oblò d’acciaio trasparente e si avviò velocemente verso il ripostiglio delle armi. Al giovane tenente non andava molto a genio l’idea di uscire fuori ma suo malgrado dovette seguire il suo capitano. Quando lo raggiunse, Sallis gli passò un fucile blaster che il giovane impugnò saldamente. Quindi il capitano ne prese uno anche per sé e si diresse verso il portello d’uscita della nave.
Premendo un pulsante su un pannello, il capitano Sallis aprì il portello e fece scendere la rampa d’accesso. I raggi del sole illuminarono una parte dell’interno dell’astronave.
I due ufficiali attesero un attimo per far abituare gli occhi alla luce, quindi, con i fucili blaster puntati, scesero lentamente lungo la rampa guardandosi attentamente attorno.
“Occhi aperti”, raccomandò Sallis scrutando ogni punto attorno al vascello.
Il giovane tenente annuì con la testa, muovendo lo sguardo da una roccia all’altra e stringendo il fucile pronto a sparare su qualsiasi cosa si muovesse contro di loro.
Tutto appariva tranquillo. I due raggiunsero il suolo ghiaioso e, schiena contro schiena, osservarono il paesaggio circostante.
Il capitano Sallis aveva i muscoli tesi e il giovane copilota sentiva il cuore battergli forte nel petto.
Ovunque regnava il silenzio assoluto, a parte il soffio del vento che trascinava la polvere.
Né il ronzio di un insetto o lo strisciare di un rettile sulla sabbia che indicassero la presenza di una qualche forma di vita.
Niente.
I due ufficiali si rilassarono ed entrambi emisero un forte sospiro di sollievo. Il giovane tenente si asciugò il sudore sulla fronte con la manica della sua uniforme blu.
I due uomini abbassarono le armi e si voltarono verso la rampa dell’astronave con l’intenzione di risalirla.
Ad un tratto, dietro di loro piombò la sagoma di un’enorme creatura saltata giù da una roccia che si sporgeva dalla cima di un’altura. Il tonfo delle sue gambe massicce fece voltare di scatto i due ufficiali.
Né il capitano Sallis, né il copilota ebbero il tempo di rendersi conto di cosa li stesse attaccando. Tutto ciò che riuscirono ad intravedere furono due minuscoli occhi scarlatti che brillavano su una testa azzurra da rettile. Dopo di che, un braccio grande quanto il tronco di un albero piombò su di loro scaraventandoli con violenza ad alcuni metri di distanza. I fucili blaster volarono via e i due uomini atterrarono bruscamente sul suolo sabbioso dove rimasero immobili e privi di sensi.
L’ombra della creatura si avvicinò ai due uomini che giacevano distesi tra la polvere e i sassi. Poco dopo se ne aggiunse un’altra. Ed un’altra ancora. E così via fino ad oscurare completamente i corpi dei due ufficiali.



L’entrata della caverna si era rivelata un lungo tunnel che si addentrava in profondità all’interno della montagna. La galleria era illuminata dalle fiamme delle torce che danzavano mosse dalle correnti d’aria, proiettando sulle fredde pareti ombre inquietanti simili a spettri.
Qui-Gon e Obi-Wan la percorrevano lentamente. Ogni passo, ogni scricchiolio del terreno sotto le suole dei loro stivali, veniva ampliato dall’eco che si diffondeva tra le mura rocciose vecchie di milioni di anni.
Il Maestro Jedi era sempre più preoccupato. Le tracce del Lato Oscuro erano così intense da poterle quasi toccare. Per quale misterioso motivo Jon-Enn non le aveva avvertite? Cosa era successo in quella caverna?
Obi-Wan si guardava attorno con espressione turbata. “Fa freddo”, disse il giovane stringendosi nella sua larga veste. “E’ inquietante, Maestro. Sento come…”
“Un tremito nella Forza”, suggerì Qui-Gon.
“Esatto, Maestro!”, esclamò il Padawan. L’eco della sua voce si propagò lungo tutto il tunnel scomparendo nelle profondità della montagna.
Qui-Gon gli scoccò un’occhiata severa e Obi-Wan abbassò lo sguardo imbarazzato.
“Lo sento anch’io”, sussurrò il Maestro Jedi riferendosi alla sensazione negativa di cui parlava il ragazzo. “Questo posto è intriso di malvagità. Il Maestro Yoda aveva ragione. Il Lato Oscuro è molto forte qui.”
“Se è così, perché il Maestro Jon-Enn non l’ha percepito la prima volta che è venuto in questo posto?”, domandò Obi-Wan accigliandosi.
Sul volto leonino di Qui-Gon apparve un mezzo sorriso. Il suo Padawan si era posto le sue stesse domande. “Posso solo pensare”, disse il Maestro Jedi, “che quando Jon-Enn ha scoperto questo posto, il Lato Oscuro non fosse ancora così forte. Deve essere successo qualcosa dopo il suo arrivo. Comunque suggerisco di trovare il nostro amico in fretta e di andarcene da qui prima possibile.”
Obi-Wan annuì silenzioso.
Ad un certo punto la galleria svoltò e quando i due Jedi ebbero superato la curva videro, in fondo al tunnel, un’apertura dalla quale proveniva una luce.
Qui-Gon e Obi-Wan si scambiarono un’occhiata e proseguirono con determinazione. I due giunsero così ad uno sbocco che si apriva su un’ampia caverna circolare anch’essa illuminata da numerose torce fissate alle pareti che la circondavano. Attorno alla caverna si aprivano altri cunicoli e gallerie che conducevano in luoghi sconosciuti ancora più in profondità nella montagna. Sparsi sul terreno c’erano uno zaino e gli attrezzi da lavoro di Jon-Enn. E in un punto, una fossa non molto profonda indicava il ritrovamento di un oggetto di qualche tipo.
Qui-Gon e il suo allievo si guardarono attorno cercando di percepire qualcosa che non avesse attinenza con il Lato Oscuro e che li conducesse al loro amico Jon-Enn, ma alla fine i due Jedi dovettero desistere e si scambiarono uno sguardo incupito.
Qui-Gon sospirò osservando le gallerie che si aprivano davanti a lui.
“Proviamo una di quelle?”, chiese Obi-Wan cercando di intuire le intenzioni del suo maestro.
Qui-Gon continuava a spostare lo sguardo da un tunnel all’altro con aria pensosa. Nessuna di quelle gallerie era illuminata da torce. “Dubito che Jon-Enn possa essersi spinto così lontano”, concluse quindi il Maestro Jedi osservando gli attrezzi abbandonati vicino alla buca. “Tutto fa supporre che abbia concentrato le sue ricerche in questa caverna.”
Qui-Gon estrasse un piccolo comlink che portava in una delle tasche celate tra le pieghe delle larghe vesti e portandoselo vicino alla bocca lo attivò. “Capitano Sallis. Mi riceve?”
L’unico suono che udì dal comunicatore fu una serie di scariche statiche.
Il Maestro Jedi guardò Obi-Wan con espressione perplessa. “Forse le pareti della caverna ostacolano il segnale”, ipotizzò Qui-Gon. “Vieni, Obi-Wan. Usciamo.”
Quindi i due Jedi ripercorsero a passo veloce il tunnel che li aveva condotti fino alla caverna e una volta fuori dalla montagna, Qui-Gon attivò di nuovo il comlink . “Capitano Sallis, mi riceve?”
Ancora una volta non ebbe nessuna risposta, ma soltanto un forte scroscio di scariche statiche emesse dal minuscolo altoparlante del comlink. Qui-Gon cercò di regolare il segnale con i comandi posti sul piccolo pannello del comunicatore. Tuttavia, anche senza le pareti rocciose a fare da schermo, il Jedi non riusciva ugualmente a mettersi in contatto con gli ufficiali a bordo dell’incrociatore.
“Non mi piace”, commentò Qui-Gon con aria cupa. Poi alzò lo sguardo e osservò il sole che spuntava da dietro la coltre di nubi nel cielo. Mancava ancora qualche ora al tramonto. Se si fossero affrettati, probabilmente avrebbero raggiunto l’’incrociatore prima del calar del buio. Quindi disse:
“Torniamo all’astronave.” E i due Jedi si rimisero in cammino lungo la via del ritorno.


Le ombre delle rocce proiettate sul terreno accidentato cominciavano a farsi più lunghe. Il sole, oltre il manto di nubi, stava cominciando lentamente a calare. La luce diurna era ancora forte, ma non sarebbe durata per molto. Ed una volta giunta la notte, le probabilità di essere attaccati da qualche predatore aumentavano notevolmente.
Qui-Gon e il suo giovane allievo Obi-Wan stavano percorrendo un canale costeggiato in entrambi i lati da una catena di alture rocciose, quando ad un certo punto il Maestro avvertì qualcosa e si fermò. Con aria inquieta alzò lo sguardo verso le cime delle alture e le scrutò ampliando i sensi grazie alla Forza.
Obi-Wan, accanto a lui, lo guardava accigliato. “Cosa c’è, Maestro?”, chiese il giovane bisbigliando.
“Percepisco un pericolo”, rispose calmo Qui-Gon, senza staccare gli occhi dalle rocce circostanti. “Stiamo molto attenti.”
Il ragazzo annuì. Quindi i due Jedi ripresero il cammino.
Obi-Wan non si sentiva tranquillo. Le sensazioni che aveva provato all’interno della caverna continuavano a seguirlo come ombre oscure e minacciose. Ad ogni passo voltava la testa da una parte all’altra tenendo d’occhio le pareti rocciose di entrambi i lati.
Improvvisamente la voce di Qui-Gon rimbombò come un tuono: “Obi-Wan, al riparo!”
Senza porsi domande, il giovane Padawan si abbandonò all’istinto e si gettò velocemente contro il muro di roccia insieme al suo maestro, appena in tempo per sfuggire ad un enorme masso che, come apparso dal nulla, precipitò dall’alto schiantandosi a pochi metri da loro. L’eco dello schianto si propagò in tutta la zona mentre il masso rotolava giù lungo il pendio.
Obi-Wan sentiva il cuore martellargli nel petto. Ricorrendo alle tecniche Jedi che Qui-Gon gli aveva insegnato, cercò di normalizzare i battiti cardiaci e il respiro affannato.
Qui-Gon scrutò le cime delle pareti che li circondavano, poi si staccò dal muro e fece qualche passo su per il pendio. A quel punto, da dietro uno spuntone di roccia, vide uscir fuori una creatura alta e massiccia, coperta da una coriacea pelle blu, con una testa da rettile, sulla quale brillavano due piccoli occhi scarlatti, in cima ad un lungo collo.
La creatura brandiva una robusta clava di pietra e vestiva con rozzi stracci che gli coprivano solo alcune parti del corpo. Dietro di essa ne apparve un’altra. E poi un’altra ancora. Ed ognuna di loro stringeva tra le mani una primitiva arma fatta di legno o pietra.
I due Jedi si trovarono presto circondati da numerosi Savrip Mantelliani dall’aspetto ostile. Ogni via di fuga era ostacolata dalle feroci creature indigene di quel pianeta.
Qui-Gon sganciò la spada laser che portava alla cintura e l’attivò. La lama di energia verde smeraldo apparve ronzando e pulsando e il Jedi assunse la posizione di difesa aspettando la mossa dei Savrip.
Obi-Wan si avvicinò a Qui-Gon e, posizionandosi con la schiena contro quella del suo maestro, accese la sua spada laser azzurra.
I Savrip, per nulla impressionati dalle armi ad energia dei due stranieri, cominciarono ad avanzare agitando i loro grezzi bastoni.
Obi-Wan osservò impassibile le grosse creature, impedendo alla paura di farsi strada nella sua mente. Aveva la Forza dalla sua parte.
Uno dei Savrip ruggì qualcosa e i suoi compagni si lanciarono contro i due Jedi.
Il primo Savrip che raggiunse Qui-Gon cercò di colpirlo con la sua clava, il Jedi si scansò velocemente per evitarla e con un fendente falciò la creatura che crollò a terra con un profondo squarcio fumante su un fianco.
Uno dopo l’altro, i Savrip attaccarono Qui-Gon con le loro primitive armi solo per cadere sotto i colpi di spada del Maestro Jedi.
Anche Obi-Wan se la cavava bene e la sua statura bassa mista all’agilità lo rendevano un bersaglio assai difficile da colpire. Affidandosi totalmente all’istinto, il giovane Padawan muoveva veloce e sicuro la letale spada laser colpendo qualsiasi creatura fosse tanto avventata da avvicinarsi a lui.
I Savrip si abbattevano uno sull’altro mentre l’aria attorno a loro si impregnava dell’odore di ozono e di carne bruciata.
I due Jedi si muovevano con incredibile velocità fendendo l’aria con le loro spade. Improvvisamente la voce di Qui-Gon sovrastò le urla dei Savrip. “Fermo, Obi-Wan!”, esclamò il Maestro Jedi.
Obi-Wan si voltò di scatto e vide l’espressione turbata sul volto di Qui-Gon rivolta verso un punto in cima al pendio. Seguendo la direzione dello sguardo del suo maestro, il Padawan alzò gli occhi e vide una figura avvolta in un mantello scuro, con il volto nascosto sotto l’ombra di un cappuccio. Lo sconosciuto era circondato da altri Savrip Martelliani e, in ginocchio davanti a loro, c’erano i due ufficiali della Repubblica legati e inermi.
L’individuo vestito di scuro osservava i due Jedi, immobile, cupo e silenzioso. I Savrip attorno a lui, tenevano i loro armi puntate sui due umani prigionieri, attendendo solo un segnale per agire. La minaccia che essi rappresentavano era più che lampante.
Qui-Gon fece un sospiro, poi spense la sua spada laser e la gettò a terra vicino ai corpi delle creature che aveva abbattuto.
Obi-Wan osservò lo sguardo di Qui-Gon, quindi anche lui disattivò la sua arma e la lasciò cadere vicino a quella del suo maestro. “Chi è quello?”, domandò sottovoce il Padawan.
“Non lo so”, rispose Qui-Gon senza distogliere lo sguardo dallo straniero. “Ma la Forza è molto potente in lui. E per il momento ci ha in pugno.”
I due Jedi furono circondati dai Savrip superstiti. I corpi imponenti delle creature aliene crearono una muraglia attorno a Qui-Gon e Obi-Wan oscurando i loro volti.
Qui-Gon fissò accigliato i piccoli occhi scarlatti del Savrip che lo sovrastava. Nonostante brillassero sotto il riflesso della luce del sole, erano due occhi spenti. Occhi privi di volontà.
Occhi di creature che agivano sotto l’influenza della Forza.
Il Lato Oscuro della Forza.


Capitolo quattro

Il sole era ormai calato dietro le montagne di Ord Mantell e gli ultimi raggi si spegnevano lasciando che fossero le prime stelle della sera a brillare al loro posto.
Nelle tetre profondità della montagna, nove figure percorrevano una lunga e tetra galleria confondendosi con le ombre proiettate dalle torce accese fissate alle pareti.
Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi camminavano lungo il tunnel sotterraneo con i polsi legati dietro la schiena, spintonati da due grossi Savrip Mantelliani. Davanti a loro, il misterioso individuo incappucciato e ammantato di scuro faceva strada, cupo e silenzioso. Il gruppo era seguito dai due ufficiali della Repubblica, anch’essi con i polsi legati e sorvegliati da altri due Savrip dall’aspetto minaccioso.
Il gruppo giunse al centro della caverna dove i due Jedi avevano trovato gli attrezzi del loro amico Jon-Enn. Il misterioso individuo si diresse verso uno dei cunicoli che si diramavano dalla caverna. Prese una delle torce accese fissata nella parete ed entrò nella galleria buia seguito dal gruppo di umani e di Savrip. Lungo la strada c’erano altre torce spente, sempre fissate ai muri, che lo sconosciuto illuminava man mano che proseguiva.
La temperatura stava scendendo notevolmente e i due ufficiali prigionieri si sforzavano di non tremare per il freddo.
Qui-Gon e Obi-Wan, invece, sembravano tollerare quella condizione senza alcuno sforzo.
Dopo alcuni minuti di cammino, il gruppo giunse ad una piccola grotta che lo sconosciuto
illuminò accendendo una torcia sulla parete.
I due ufficiali vennero brutalmente spunti all’interno della grotta dai Savrip. Esausti, i due umani si lasciarono cadere sulle ginocchia.
Una coppia di Savrip si appostò ai due lati dell’entrata della grotta, quindi il gruppo proseguì con la sua marcia lungo la galleria.
“Perché ci dividete?”, protestò Obi-Wan spazientito. “Che avete intenzione di farci?”
L’individuo incappucciato ignorò la domanda del giovane Padawan.
Qui-Gon, invece, lanciò al suo allievo uno dei suoi sguardi di rimprovero e Obi-Wan abbassò gli occhi con espressione di rammarico.
Il giovane era consapevole dell’errore che aveva appena commesso. Ancora non sapevano con chi o con cosa avessero a che fare. Qui-Gon aveva detto che la Forza era potente in quell’essere. Se davvero si trattava di un Jedi Oscuro, allora non sarebbe stato prudente provocarlo.
Qui-Gon aveva spesso rimproverato Obi-Wan di essere troppo avventato. E riguardo a ciò, il giovane Padawan dovette riconoscere che il suo maestro aveva ragione.
Il gruppo attraversò un’altra serie di gallerie che si dividevano in ogni direzione inoltrandosi ancora più in profondità nella montagna.
Il misterioso Jedi Oscuro faceva da guida camminando con sicurezza come se conoscesse a memoria quell’intricato labirinto sotterraneo.
Qui-Gon cercava di memorizzare ogni nuovo tunnel che attraversavano, ma la scarsità di luce e la quantità di cunicoli che il gruppo continuava ad imboccare, rendeva il compito del Maestro Jedi impossibile.
Ad un certo punto giunsero ad una seconda grotta, simile a quella in cui erano stati lasciati i due ufficiali della Repubblica. Il Jedi Oscuro accese una torcia per illuminarla, poi si voltò verso i due prigionieri e Qui-Gon capì all’istante che quella grotta sarebbe servita da cella per lui e per il suo allievo.
I due Jedi entrarono senza opporre resistenza e si sedettero tranquillamente sul pavimento a gambe incrociate, l’uno di fronte all’altro, mentre i due Savrip che li avevano accompagnati fin lì si posizionarono ai due lati dell’entrata.
Quindi il Jedi Oscuro si allontanò senza pronunciare una sola parola.
Dopo qualche istante, Obi-Wan sospirò visibilmente frustrato.
Qui-Gon, seduto di fronte a lui, si guardò attorno. “Non pensavo che le caverne si estendessero così in profondità”, commentò calmo. Poi guardò il suo giovane allievo e domandò: “Stai bene, Obi-Wan?”
“Sì, Maestro”, rispose il ragazzo con espressione demoralizzata. “Pensi che ci uccideranno?”
“Non credo. Non subito, almeno. Avrebbero potuto farlo quando ci hanno catturati.”
Anche stavolta, Qui-Gon aveva ragione.
“Pensi che quell’uomo col mantello possa essere un Jedi Oscuro?”, domandò Obi-Wan.
“Avverto il suo legame con la Forza. Questo è tutto ciò che posso dirti.”
“Maestro, dobbiamo fare qualcosa.”
“A suo tempo, Obi-Wan.”
“Ma il Maestro Jon-Enn è senza dubbio in pericolo. Non possiamo aspettare.” Il giovane Padawan era fremente. Non riusciva ad accettare di rimanere lì impassibile come il suo maestro. Sempre più sentiva la tensione crescere dentro di sé.
Anche Qui-Gon aveva avvertito l’ansia del ragazzo. “Pazienza, Obi-Wan. Non essere precipitoso. Ricorda che hanno portato via le nostre spade laser. In questo momento l’unica arma che abbiamo è l’astuzia. Ma dobbiamo usarla bene.”
“Sì, maestro”, rispose Obi-Wan rassicurato. Qui-Gon doveva avere già un piano e quel pensiero placò l’inquietudine del ragazzo.
“Ti chiedo scusa per prima”, disse poi Obi-Wan riferendosi alla reazione emotiva che aveva manifestato poco prima nella galleria.
“Pensavo di averti insegnato cos’è la pazienza”, disse pacato il Jedi. Qui-Gon era un maestro serio ed esigente, ma comunque sempre gentile nell’esporre le sue osservazioni.
“Forse non sono un buon allievo”, rispose il Padawan affranto con lo sguardo basso.
“No. Sei soltanto giovane”, lo rassicurò il suo maestro accennando un sorriso. “Col tempo imparerai a far tesoro dei tuoi errori e a trarre insegnamento da essi”.
Obi-Wan annuì pensieroso.
“Dopotutto, nemmeno io sono immune agli errori”, aggiunse sottovoce Qui-Gon come se stesse parlando a se stesso. Il Jedi si stava rimproverando di aver sottovalutato la situazione fin dall’inizio. Se avesse provato a convincere Jon-Enn ad ascoltare le parole del Consiglio e soprattutto il monito del Maestro Yoda che lo aveva avvertito della pericolosità della strada che stava per intraprendere, sicuramente le cose sarebbero andate diversamente.
D’un tratto la voce di Obi-Wan destò il Maestro Jedi dai suoi pensieri. “Cosa sarà successo al Maestro Jon-Enn?”, domandò il ragazzo sinceramente preoccupato.
“Non lo so”, rispose Qui-Gon. In verità, il Jedi era tormentato da un sospetto tanto terribile da non osare condividerlo con il suo allievo.
Il Maestro Jedi fece un sospiro e chiuse gli occhi iniziando una lunga e intensa meditazione.
Obi-Wan, seguendo l’esempio di Qui-Gon, fece come lui e si abbandonò alla Forza.
I muscoli del corpo si rilassarono lentamente e il giovane fu circondato da una calda sensazione di pace.



Il crepuscolo era ormai calato da ore ed una scura coltre di nubi copriva come un manto tutta la regione montuosa. Oltre le nuvole, le due lune più grandi di Ord Mantell orbitavano tanto vicine al pianeta da poterne osservare la superficie rocciosa ad occhio nudo.
Un vento gelido soffiava tra le gole e i canali trasportando granelli di polvere e sabbia e facendo ondeggiare i fili d’erba che crescevano radi sul suolo ghiaioso.
In un’angusta e fredda grotta nel cuore della montagna, il capitano Sallis e il suo giovane copilota, giacevano rannicchiati in un angolo, con i polsi legati e le membra intorpidite, cercando di riscaldarsi con il poco calore emesso dalla torcia accesa fissata alla parete sopra le loro teste. I due uomini erano visibilmente provati. Entrambi erano infreddoliti ed affamati, e i loro polsi dolevano a causa dei lacci di cuoio che laceravano la pelle. Ma ciò che più li logorava era l’ansia. Erano prigionieri ormai da ore e da quando erano stati abbandonati tra quelle gelide pareti rocciose, non avevano più visto un solo essere vivente, ad esclusione dei due enormi Savrip Mantelliani di guardia. Nessuno aveva fatto loro visita per portare un po’ di cibo o anche solo per informarli della loro sorte. La loro unica speranza era nel Cavaliere Jedi e nel giovane Padawan che avevano accompagnato su quel dannato pianeta. Una speranza tuttavia molto tenue poiché nessuno dei due ufficiali aveva la minima idea di che fine avessero fatto i due Jedi.
In un’altra grotta, situata molti metri più in fondo in quel intrico di passaggi sotterranei, Qui-Gon Jinn e Obi-Wan Kenobi se ne stavano tranquillamente seduti a gambe incrociate, con gli occhi chiusi, in profonda meditazione.
Davanti all’entrata, i due Savrip se ne stavano immobili come statue l’uno di fianco all’altro, a guardia dei prigionieri. I muscoli massicci ricoperti dalla ruvida pelle blu li faceva sembrare scolpiti nella stessa roccia che li circondava. Se non fosse stato per i pochi rozzi stracci che ricoprivano alcune parti dei loro corpi, li si avrebbe potuti scambiare per sculture poste in quel luogo da qualche antico popolo, a protezione di un prezioso tesoro.
Di tanto in tanto i loro piccoli occhi scarlatti ammiccavano, segno che la stanchezza si stava a poco a poco impossessando di loro.
Qui-Gon si concentrò sulle deboli menti dei due Savrip costringendoli ad arrendersi al torpore. Le due creature si lasciarono cadere a terra sprofondando in un intenso sonno.
“Maestro…”, bisbigliò Obi-Wan riaprendo gli occhi.
“Calma, Obi-Wan”, gli intimò Qui-Gon. “Riesci ad allentare le corde ai polsi?”
“Sì”. Il Padawan si mise a divincolare le braccia dietro la schiena e con l’aiuto della Forza riuscì a rompere i lacci di cuoio che gli stringevano i polsi. La stessa cosa fece Qui-Gon e in pochi istanti i due Jedi si rialzarono con le braccia di nuovo libere.
Qui-Gon si affacciò oltre la soglia della caverna e sbirciò nella galleria per accertarsi che non ci fossero altri Savrip in circolazione. Il tunnel era completamente deserto. Quindi si voltò verso Obi-Wan, che si stava ancora massaggiando i polsi indolenziti, e gli fece cenno, con un dito davanti alla bocca, di non parlare né di fare rumore.
Così, scavalcando i corpi dei Savrip addormentati, i due Jedi uscirono dalla grotta.
A quel punto Qui-Gon studiò per un istante la galleria e le varie diramazioni, poi guardò Obi-Wan in volto e con tono serio ma pacato disse: “Dividiamoci. Se trovi i prigionieri prima di me, torna indietro a cercarmi. Non intraprendere alcuna iniziativa da solo. Intesi?”
“Sì, Maestro”, rispose il Padawan.
A quel punto i due Jedi si divisero imboccando ognuno una direzione diversa.



Obi-Wan si muoveva silenziosamente nel dedalo di gallerie sotterranee, seguendo la fila di torce accese fissate alle pareti rocciose. Ad un certo punto avvertì un tremito nella Forza. Una presenza oscura ed inquietante.
Il Padawan si concentrò e seguì le sue percezioni imboccando un altro tunnel laterale. Camminando lentamente, lo percorse fino a scorgere una luce in fondo ad un cunicolo che si apriva di lato in un punto nella parete.
Obi-Wan esitò per qualche istante. La presenza che percepiva si faceva sempre più forte e sembrava provenire dal fondo del cunicolo. Quindi avanzò lungo lo stretto tunnel fino ad arrivare ad un’apertura che dava su un’altra caverna. Il giovane si sporse con cautela.
L’antro era immerso in una luce arancione proiettata dalle fiamme di due ampi bracieri posti ai lati di enorme blocco di pietra dalla forma rettangolare. La superficie era stranamente piana per essere una formazione rocciosa naturale e i due bracieri gli conferivano l’aspetto di un altare.
Di fronte a quella sorta di tavolo sacrificale, il misterioso Jedi Oscuro se ne stava seduto sul terreno gelido avvolto dal suo ampio mantello nero, con la testa nascosta dal largo cappuccio.
Obi-Wan, dietro le sue spalle, lo osservava silenzioso. Un luccichio sulla superficie dell’altare attirò l’attenzione del ragazzo. Due oggetti metallici riflettevano la luce delle fiamme.
Due spade laser. La sua e quella del suo maestro.
Se solo fosse riuscito a recuperarle. Ma sembravano lontane anni luce. E poi c’era il Jedi Oscuro.
Inoltre Qui-Gon gli aveva imposto di non intraprendere iniziative. La cosa migliore sarebbe stata di andarlo a cercare. Ma senza la sua spada, il Maestro Jedi non avrebbe potuto affrontare quel misterioso guerriero tanto potente nella Forza.
Obi-Wan si fece coraggio ed avanzò verso uno spuntone di roccia che si trovava a qualche metro da lui. Da quel punto aveva una visuale migliore delle due spade, quindi, attingendo alla Forza, protese una mano verso l’altare. Chiuse gli occhi e cercò di immaginare le due spade nella sua mano, non pensando però allo sbaglio che stava commettendo.
Il Jedi Oscuro, immerso in profonda meditazione, percepì la presenza del Padawan e con una mossa fulminea scattò in piedi attivando la sua spada laser. La lama di energia emanava un’intensa luce scarlatta, tipica delle spade laser usate un millennio prima dagli antichi Signori dei Sith.
Obi-Wan perse la sua concentrazione e sgranò gli occhi, raggelato dalla figura il cui volto rimaneva celato nell’ombra del suo cappuccio. Un ghigno malvagio riecheggiò nella caverna sovrastando il ronzio della spada e gli scoppiettii delle fiamme dei bracieri, mentre il guerriero oscuro avanzava verso il giovane Padawan.
Obi-Wan arretrò fino a ritrovarsi con le spalle al muro. Impietrito e con il cuore che gli martellava nel petto, osservò la minacciosa lama di luce avvicinarsi sempre di più
mentre l’inquietante figura ammantata di scuro, come una creatura fatta di ombre, sembrava farsi più grande man mano che avanzava.



Qui-Gon Jinn camminava lentamente lungo uno dei tanti cunicoli seguendo la luce delle torce, cercando di percepire con l’aiuto della Forza l’eventuale presenza di esseri viventi con la speranza che ciò lo conducesse ai due ufficiali prigionieri.
Tuttavia c’era sempre il rischio di incontrare altri Savrip Mantelliani e lui era disarmato. E pur avendo la Forza come alleata, se si fosse trovato di fronte ad un gruppo di quelle creature agguerrite dubitava di riuscire ad uscire indenne da uno scontro. Tutto ciò che poteva fare era cercare di evitarle nascondendosi tra le ombre ed usare i suoi poteri mentali per distrarle in modo che non lo vedessero.
Fortunatamente, fino a quel momento non c’era stato alcun bisogno di ricorrere a nessuno di quegli espedienti da Jedi. Le gallerie sotterranee sembravano del tutto deserte.
Qui-Gon ignorava dove potessero essere tutti quei Savrip che aveva visto ore prima. Probabilmente il Jedi Oscuro, non avendo più bisogno di loro, li aveva liberati dal suo controllo mentale.
Qui-Gon infatti aveva capito che quelle creature avevano agito sotto l’influenza di quel guerriero misterioso.
A quel punto il Maestro Jedi si fermò e chiudendo gli occhi cercò di visualizzare nella sua mente l’immagine dei due piloti. Ma ciò che egli percepì fu ben altro.
Paura.
Pericolo.
Morte.
Il Lato Oscuro.
“Obi-Wan!”, esclamò il Qui-Gon spalancando gli occhi. “No!”
Improvvisamente si mise a correre imboccando tunnel e gallerie facendosi guidare esclusivamente dall’istinto, sicuro che ciò lo avrebbe guidato dal suo giovane Padawan.



Obi-Wan Kenobi sentiva la dura roccia contro la sua schiena. La punta della spada laser del Jedi Oscuro era tanto vicina al petto del ragazzo da bruciacchiare la stoffa della sua tunica. La lama di energia scarlatta non emanava alcun calore.
Obi-Wan sapeva che avrebbe potuto trapassargli il corpo e la parete di roccia che aveva dietro di sé con una sola rapida mossa. Attingendo alla Forza, il giovane Padawan cercò di vincere la paura. Staccò lo sguardo dalla spada laser e lo sollevò verso il cappuccio del Jedi Oscuro. Si concentrò cercando di penetrare l’ombra densa che copriva il volto di quell’essere come una maschera. Ma non ci riuscì. Era come voler penetrare il buio dello spazio in cui era avvolto l’universo. Quell’ombra era forse un’emanazione del Lato Oscuro della Forza?
Ad un tratto, una voce spettrale sibilò dicendo: “Non hai alcuna speranza, ragazzo. Non sei che uno sciocco apprendista.”
Obi-Wan non pronunciò parola. Con gli occhi seguì la spada del Jedi Oscuro che si sollevò in aria pronta ad abbattersi su di lui senza alcuna pietà.
Il Padawan trasse un profondo respiro, pronto a ricevere il colpo di grazia. Pronto ad unirsi per sempre alla Forza.
Ma il Jedi Oscuro, anziché calare il fendente mortale rimase immobile, con la spada stretta in entrambe le mani.
Obi-Wan si accigliò perplesso. Poi percepì una presenza. La stessa che stava percependo il Jedi Oscuro.
Una presenza familiare.
E prima che il giovane Padawan avesse il tempo di fiatare, una delle spade laser che giacevano sull’altare si mosse come se fosse dotata di vita propria e schizzò via veloce volando tra le mani di una figura avvolta da larghe vesti marroni. Improvvisamente una seconda lama di luce color verde smeraldo apparve nel momento stesso in cui il Jedi Oscuro calava la sua spada sul ragazzo.
Le due spade si incrociarono sfrigolando.
Obi-Wan Kenobi da un lato, il Jedi Oscuro dall’altro.
E in mezzo, il Maestro Jedi Qui-Gon Jinn.
Obi-Wan quasi stentò a crederci. “Maestro!”, gridò sul punto di farsi prendere dalle emozioni.
La figura imponente di Qui-Gon era apparsa come dal nulla frapponendosi fra il suo giovane allievo e il Jedi Oscuro, reggendo saldamente tra le mani la spada laser.
“Presto, Obi-Wan!”, esclamò il Maestro Jedi senza staccare lo sguardo dalla figura incappucciata dietro le due lame di energia.
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. Si staccò dalla parete e sgusciò via rapido tra i due guerrieri allontanandosi verso l’altro capo della caverna.
Le due spade laser si separarono e il Jedi Oscuro indietreggiò di qualche passo rimanendo in posizione di difesa.
Qui-Gon seguì i suoi movimenti pronto a reagire.
Obi-Wan osservava silenzioso con gli occhi sbarrati e il cuore che gli martellava nel petto.
Il Jedi Oscuro fissava Qui-Gon da sotto il cappuccio. Nemmeno un frammento di luce riusciva a penetrare quella maschera d’ombra tanto densa da sembrare quasi tangibile.
“Finalmente un avversario alla mia altezza”, sibilò il Jedi Oscuro. Quindi, con scatto fulmineo, passò all’attacco sollevando la spada e abbattendola sul suo avversario.
Qui-Gon parò il colpo con altrettanta velocità.
Le due lame di energia sfrigolavano una sull’altra. Per un breve istante i due Jedi furono faccia a faccia. Poi le spade si separarono e da lì cominciò il duello vero e proprio.
Il Jedi Oscuro partì con un fendente basso mirato alle gambe dell’avversario, ma Qui-Gon lo anticipò bloccandolo ancora una volta.
Allora il guerriero incappucciato sollevò rapidamente la spada mirando questa volta alla testa.
Qui-Gon parò il colpo e passò all’attacco costringendo il contendente a difendersi.
I due Jedi duellavano velocemente con movimenti perfettamente coordinati. Ad ogni azione del Jedi Oscuro seguiva una reazione di Qui-Gon. I colpi si susseguivano con incredibile rapidità. Sembrava che nessuno dei due fosse disposto a dar tregua all’altro. Le spade laser si muovevano così velocemente da disegnare delle scie colorate nella semioscurità della caverna emanando lampi ogni volta che si toccavano e lasciando nell’aria un forte odore di ozono.
Obi-Wan osservava ammutolito il duello ammirando l’abilità del suo maestro nell’intuire la mossa dell’avversario.
In quel momento Qui-Gon era tutt’uno con la Forza. Il maestro Jedi non combatteva usando il proprio “io cosciente” o i propri sensi, ma si affidava totalmente all’istinto lasciando che fosse la Forza stessa a guidare la sua arma.
Le due spade laser guizzavano come fulmini lasciando dietro di loro scie rosse e verdi emettendo scariche ogni volta che venivano in contatto.
Con una serie di affondi e parate, Qui-Gonn costrinse il Jedi Oscuro ad arretrare verso i due bracieri ardenti. Tra una mossa e l’altra, il Maestro Jedi scorse un punto indifeso all’altezza del torace del guerriero incappucciato e spostando il peso del corpo su una gamba, si chinò da un lato sferrandogli un violento calcio, colpendolo al petto con la suola dello stivale.
Il Jedi Oscuro venne spinto contro uno dei bracieri e in un attimo il suo mantello venne avvolto dalle fiamme. Dimenandosi in una spirale di fuoco, egli si strappò con furia il mantello di dosso e lo gettò via. Quindi, a volto scoperto, si girò verso Qui-Gon mettendosi in posizione di guardia, stringendo la spada laser con entrambe le mani.
Qui-Gon si accigliò osservando il gioco di luci ed ombre che, proiettate dalle fiamme dei bracieri e dalla luce scarlatta della spada laser rendevano ancora più sinistra l’espressione di follia sul volto di Jon-Enn Sann.
Fin dalla prima apparizione del Jedi Oscuro, Qui-Gon aveva avvertito una presenza familiare. Era poco più di una sensazione, ma era bastata a far nascere in lui un profondo e terribile sospetto. Ed ora, trovandosi a dover incrociare la sua spada con quella del suo vecchio amico, il Maestro Jedi capì che purtroppo quel sospetto si era concretizzato.
Jon-Enn era divenuto preda del Lato Oscuro della Forza.
Obi-Wan Kenobi, invece, non riusciva né a credere né ad accettare la sconvolgente realtà che gli si presentava davanti. “Maestro Jon-Enn!”, esclamò il giovane Padawan con voce spezzata.
L’eco del grido lanciato dal ragazzo fu coperto dalla risata truce di Jon-Enn. Una risata assordante che sapeva di crudeltà. Una risata che non si addiceva alla persona meravigliosa che Qui-Gon e Obi-Wan conoscevano praticamente da sempre.
Jon-Enn sollevò la spada e l’abbatté con rabbia e violenza su quella di Qui-Gon.
“Jon-Enn!”, esclamò il Maestro Jedi usando la sua arma per bloccare quella dell’amico. Ancora una volta le due lame di luce rimasero incrociate sfrigolando una sull’altra.
Jon-Enn, con gli occhi sgranati ed un sorriso da folle, spingeva la sua spada laser contro quella di Qui-Gon.
“Maestro Jon-Enn!”, urlò il Padawan. “Ti prego! Non farlo!” Le grida di Obi-Wan si propagavano oltre la caverna.
Qui-Gon e Jon-Enn erano amici da una vita, erano cresciuti insieme nel Tempio dei Jedi. Obi-Wan non poteva credere che in quel momento, dopo tutti quegli anni di amicizia, i due Jedi potessero combattere l’uno contro l’altro.
Lo stesso pensiero stava tormentando la mente di Qui-Gon. Ma il suo amico si trovava sotto l’influenza del Lato Oscuro e il Maestro Jedi aveva il dovere di fermarlo ad ogni costo. I Jedi non prendevano in considerazione i vincoli sentimentali. Se il sacrificio di uno o più amici serviva ad onorare una causa giusta, allora tale sacrificio non solo era accettabile ma addirittura necessario. Ecco perché ai Jedi era proibito amare.
Non potevano permettere che dei legami emotivi fossero d’ostacolo ai loro doveri.
In ogni caso, Qui-Gon era assolutamente intenzionato a tentare di salvare Jon-Enn con ogni mezzo possibile, prima di dover giungere alla drammatica soluzione finale.
Qui-Gon rifletté mentre muoveva velocemente la sua spada laser, saltando e volteggiando per evitare l’arma del suo avversario. Jon-Enn aveva raccontato di un antico Signore dei Sith morto in quella caverna secoli prima. Era forse possibile che l’essenza di quel Sith fosse sopravvissuta per tutto quel tempo per poi impadronirsi del corpo di Jon-Enn? Il sapere dei Jedi insegnava che non si poteva conservare la coscienza dopo la morte.
E se invece quel Sith avesse trovato il modo? Se così fosse stato, allora Jon-Enn agiva sotto il volere di quel Signore Oscuro.
Qui-Gon fissò gli occhi del suo amico che agitava la sua spada come un forsennato. Sebbene fossero gli occhi di Jon-Enn, lo sguardo che ne derivava non apparteneva al Jedi. Era uno sguardo intriso di puro odio. Era uno sguardo da Sith.
Tuttavia, da qualche parte nella mente di Jon-Enn, doveva essere sepolta la sua vera essenza. Qui-gon pensò che se fosse riuscito in qualche modo a raggiungere la vera personalità di Jon-Enn e a farla riemergere, forse essa avrebbe potuto prendere il sopravvento sul Sith che dimorava nel suo corpo.
“Jon-Enn”, disse Qui-Gon appellandosi alla Forza, “Ascoltami ti prego. Devi combattere il potere del Lato Oscuro che si è impadronito di te. So che puoi farcela.”
Jon-Enn rise. Quindi arretrò di qualche passo per poi attaccare di nuovo. La sua spada si abbatté come una furia su Qui-Gon, ma il Maestro Jedi si spostò e girando attorno al suo amico si posizionò alle sue spalle.
Jon-Enn si girò velocemente fendendo l’aria con la lama laser pensando di prendere di sorpresa il suo avversario, ma Qui-Gon si fece scudo con la spada e i due rimasero ancora per qualche istante in posizione di stallo.
Il Maestro Jedi ne approfittò per fare un secondo tentativo. “Jon-Enn, non è me che devi combattere. Percepisco il conflitto dentro di te. Sconfiggi il Lato Oscuro. Fai riemergere il tuo “io” cosciente.”
Per la prima volta Qui-Gon scorse nello sguardo di Jon-Enn una traccia di esitazione. Forse era riuscito a raggiungere la vera essenza del suo amico. C’era dunque speranza di salvarlo. “Non arrenderti, amico mio!”
Per un brevissimo istante sembrò che Jon-Enn guardasse Qui-Gon con espressione incerta, come se antichi ricordi stessero lottando per affiorare dal profondo del suo inconscio. Ma il Lato Oscuro aveva innalzato una forte barriera tra l’uomo e quei ricordi che lo legavano al suo passato di Cavaliere Jedi.
Jon-Enn spinse Qui-Gon indietro e si mise a tempestarlo di colpi abbattendo come una furia la sua spada scarlatta su quella verde smeraldo del suo amico.
Qui-Gon era allo stremo delle forze. Non era facile combattere contro un avversario cercando di evitare di ucciderlo e allo stesso tempo di farsi uccidere.
Qui-Gon combatteva esclusivamente sulla difensiva, mentre Jon-Enn, invece, concentrava tutte le sue energie in attacchi mortali.
Obi-Wan assisteva al drammatico confronto fra i due Maestri Jedi senza sapere cosa fare. In tutta la sua giovane vita non si era mai sentito tanto inutile. “Maestro Jon-Enn!”, gridò ancora una volta il ragazzo. “Ti scongiuro, non farlo. Il Maestro Qui-Gon è tuo amico. Ripensa a tutti gli anni passati insieme al Tempio.”
Ma Jon-Enn sembrava non prestargli ascolto. Continuava ad attaccare Qui-Gon abbattendo sulla spada dell’amico una sequenza di violenti colpi che lo costringevano ad arretrare oltre l’altare di pietra, verso la parete in fondo alla caverna.
Obi-Wan intanto li seguiva a distanza, con lo sguardo puntato sulle lame di luce che guizzavano veloci creando scie rosse e verdi attorno ai due Jedi. “Ascoltami, Maestro Jon-Enn! Hai giurato di mettere i tuoi poteri al servizio della pace e della giustizia!”
Qui-Gon diventava sempre più debole e le sue mosse per parare gli attacchi di Jon-Enn cominciavano ad essere lente e prevedibili. Il sudore gli calava giù dalla fronte e gli bagnava gli occhi appannandogli la vista. Camminando all’indietro, il tacco del suo stivale urtò una pietra sul terreno e Qui-Gon perse l’equilibrio cadendo in un angolo della caverna. Con le spalle al muro, allo stremo delle forze, Qui-Gon osservò Jon-Enn che lo sovrastava mentre sollevava la spada laser per vibrare il colpo finale.
Il tutto di fronte allo sguardo atterrito di Obi-Wan. “No!”, tuonò improvvisamente la voce del Padawan.
Jon-Enn si arrestò, con la spada laser stretta in entrambe le mani e la lama di luce puntata verso l’alto. I suoi occhi erano spalancati e sebbene fossero puntati su Qui-Gon piegato di fronte a lui, sembravano osservare un punto lontano nel tempo. Come se qualche frammento di quegli antichi ricordi sepolti nel suo animo fosse finalmente affiorato, ma tuttavia non fosse ancora distinguibile. Come un prezioso reperto riportato alla luce durante scavo, ma non ancora riconoscibile per via di uno strato di sabbia che lo ricopriva.
Obi-Wan doveva aver aperto una falla in quella barriera eretta dal Lato Oscuro. Una falla, tuttavia, non sufficientemente grande da riuscire a vederci attraverso per raggiungere l’essenza di Jon-Enn imprigionata oltre la barriera.
Qui-Gon lanciò uno sguardo al suo Padawan e con un cenno della testa lo esortò a continuare.
“Maestro Jon-Enn!”, riprese Obi-Wan con voce più controllata, cercando di assumere un tono persuasivo. “Tu sei un Jedi. Rappresenti tutto ciò che di più nobile possa esserci nell’universo. Non puoi arrenderti al Lato Oscuro. Devi Combattere. In nome di tutti quegli ideali che hai giurato di difendere.”
Jon-Enn si accigliò con espressione confusa. Arretrò di qualche passo e calò lentamente la spada. La falla nella barriera del Lato Oscuro si stava allargando.
Qui-Gon si asciugò con le dita il sudore sugli occhi e si raddrizzò contro la parete rocciosa, tenendo stretta nell’altra mano la sua spada laser ancora accesa.
I due Jedi si guardarono negli occhi. Un profondo silenzio calò nella caverna, interrotto soltanto dagli scoppiettii delle fiamme sui bracieri. Obi-Wan sentiva i battiti del proprio cuore battere freneticamente nel suo petto.
Jon-Enn lasciò scivolar via dalle mani l’impugnatura della spada e la lama laser si spense automaticamente. L’arma disattiva cadde con un tonfo metallico ai piedi del Jedi.
Qui-Gon sospirò, quindi anch’egli spense la sua spada e la riagganciò alla cintura coperta dalle ampie vesti impolverate. Poi alzò di nuovo lo sguardo sul suo amico.
Jon-Enn barcollò all’indietro, si portò lentamente le mani al viso e si coprì gli occhi in un gesto di disperazione. Dopo di che si lasciò cadere in ginocchio e allargando le braccia in fuori, con i pugni serrati, lanciò un grido che si propagò come l’eco di un’esplosione oltre la caverna, lungo il dedalo di tunnel che attraversavano il cuore della montagna.
Qui-Gon e Obi-Wan rimasero immobili e in silenzio, osservando il loro amico che si piegava su se stesso per poi lasciarsi cadere steso su un fianco. Da quell’istante, il Jedi non si mosse più.
Qui-Gon si chinò su di lui e mettendogli un braccio sotto le spalle gli sollevò il busto, mentre Obi-Wan si precipitava in ginocchio accanto a lui.
Jon-Enn aprì lentamente gli occhi e alzò lo sguardo sul Maestro Jedi. “Q-Qui-Gon…”, mormorò con un filo di voce. Sul suo volto non c’era più traccia di follia ma soltanto di profonda sofferenza.
Tuttavia Qui-Gon sorrise rincuorato. Sorrise perché il suo amico non era più uno schiavo del Lato Oscuro. Era tornato ad essere il Maestro Jon-Enn Sann.
“E’ tutto finito”, lo rassicurò Qui-Gon.
Jon-Enn girò faticosamente il capo e guardò il viso bagnato dalle lacrime di Obi-Wan. Poi, con un sorriso sincero sul volto provato, disse: “Ti sono grato, mio giovane amico.”
E perse conoscenza.
Obi-Wan guardò Qui-Gon e il Maestro Jedi annuì compiaciuto.
“Recupera la tua spada”, disse a quel punto Qui-Gon. “Liberiamo i prigionieri e andiamocene in fretta da questo luogo.”
“Sì, Maestro”, rispose il giovane Padawan rialzandosi in fretta. E mentre il ragazzo correva verso l’altare a raccogliere la sua arma, Qui-Gon sollevò il corpo di Jon-Enn e se lo caricò sulle spalle. Quindi si precipitarono fuori della caverna.



Annullata l’influenza del Lato Oscuro su Jon-Enn, anche i Savrip Mantelliani erano stati liberati dal suo controllo ed erano fuggiti tornando alle loro tane tra le montagne.
Con l’aiuto della Forza, Qui-Gon e Obi-Wan avevano trovato in fretta il capitano Sallis e il suo copilota e tutti insieme erano tornati a bordo dell’incrociatore della Repubblica.
Mentre l’astronave lasciava l’atmosfera di Ord Mantell, Qui-Gon Jinn, in piedi sulla soglia di uno degli alloggi riservati ai passeggeri, osservava silenzioso il suo amico Jon-Enn che dormiva sereno sulla branda. Il Maestro Jedi stava riflettendo su quanto fosse insidioso il potere del Lato Oscuro. In quel momento si sentiva molto provato, sia fisicamente che emotivamente. Pochi istanti prima aveva ordinato al suo allievo Obi-Wan di andare a riposare nell’alloggio affianco. Egli invece sentiva il bisogno di meditare su ciò che era accaduto a Jon-Enn e, soprattutto, su ciò che il futuro avrebbe riservato al suo amico Jedi.
Con quel pensiero nella mente, Qui-Gon fece un profondo sospiro e si allontanò dalla soglia lasciando che la porta scorresse sigillando l’alloggio di Jon-Enn.
A quel punto, l’incrociatore della Repubblica attivò i motori ad iperguida e scomparve con un lampo nell’iperspazio facendo rotta verso Coruscant.



Capitolo cinque

La luce del sole di Coruscant filtrava attraverso le grandi finestre della sala del Consiglio dei Jedi riflettendosi sulle lucide colonne che adornavano la stanza tra una vetrata e l’altra.
Nel centro, seduti in circolo, i dodici membri del Consiglio avevano appena finito di ascoltare il rapporto di Qui-Gon Jinn, in piedi in mezzo a loro, e si stavano consultando tra loro scambiandosi opinioni e commenti a fil di voce. Dopo un breve istante i dodici Maestri Jedi tacquero e tornarono a prestare la loro attenzione a Qui-Gon.
A quel punto Mace Windu prese la parola: “Abbiamo deciso che il Maestro Sann rimarrà qui al Tempio, sotto osservazione finché non si sarà ripreso.”
Qui-Gon annuì.
Mace Windu si voltò verso Yoda, seduto alla sua destra, e tutti i Maestri Jedi, compreso Qui-Gon, rivolsero la loro attenzione all’anziano Maestro dalla pelle verde.
“La più grande sfida della sua vita egli ha affrontato”, commentò solenne il Maestro Yoda fissando Qui-Gon con i suoi grandi occhi verde smeraldo. “Quella con il Lato Oscuro.”
Qui-Gon condivideva lo stesso pensiero di Yoda. Jon-Enn aveva davvero sostenuto una grande prova. Forse la più grande che un Jedi avesse mai affrontato. Una prova che non tutti erano riusciti a superare. Una volta percorsa la via del Lato Oscuro non si poteva più tornare indietro. Ma Jon-Enn non l’aveva percorsa. Era rimasto sulla soglia. Aveva osservato il Lato Oscuro. Aveva udito le sue parole seducenti. Ne era stato attratto. Ma aveva lottato per non varcare quella soglia.
In quel momento Qui-Gon si augurò che Jon-Enn ce l’avesse davvero fatta.
La voce profonda e virile di Mace Windu destò Qui-Gon dai suoi pensieri.
“Nel frattempo”, disse il Maestro Jedi dalla pelle scura, “ordineremo che quella caverna su Ord Mantell venga sigillata. Nessuno dovrà metterci più piede. Mai più.”
Gli altri membri del Consiglio annuirono convenendo con Mace Windu che quella era la decisione più saggia da prendere. Quel luogo nefasto sarebbe stato sepolto per sempre con tutto il male che esso custodiva.
Anche Qui-Gon era d’accordo con la decisione del Consiglio, tuttavia appariva pensieroso e il Maestro Yoda se ne accorse.
“Domandare qualcosa tu desideri, Qui-Gon?”, chiese il saggio Maestro Jedi.
Qui-Gon esitò per un istante, poi disse: “Mi chiedevo se avete intenzione di applicare qualche tipo di provvedimento disciplinare nei confronti di Jon-Enn.”
Mace Windu si strofinò il mento con espressione accigliata e disse: “Per via dell’astronave rubata e del suo equipaggio abbandonato nello spazio?” Quindi scambiò una breve occhiata con Yoda e con gli altri membri del consiglio.
Alla fine Yoda rispose: “Riflettere su ciò il consiglio dovrà.”
Qui-Gon annuì comprensivo. “Spero che terrete conto che in quel momento Jon-Enn non era in sé. E’ sempre stato sotto l’influenza del Lato Oscuro fin dal principio. Era l’essenza del Signore dei Sith che aveva dimorato in quella caverna a guidare le azioni di Jon-Enn, non la sua volontà.”
“Ne terremo conto”, lo rassicurò il Maestro Windu.
“Tuttavia”, intervenne il Maestro Ki-Adi-Mundi seduto alla destra di Yoda, questo è un altro mistero sul quale il Consiglio dovrà indagare. Nessuno è mai riuscito a conservare coscienza dopo la morte. E’ sempre stato ritenuto impossibile.”
Effettivamente i Jedi erano sempre stati convinti che nel momento della morte, lo spirito lasciava il corpo per fondersi con la Forza divenendo tutt’uno con essa. In quello stato non esisteva individualità. Nessun Jedi del passato era mai tornato dall’aldilà. Com’era dunque possibile che l’essenza malvagia del Sith conosciuto come Darth Claw avesse potuto sopravvivere per secoli ed impossessarsi del corpo di Jon-Enn? Era un enigma che destava in Qui-Gon un forte interesse. Certamente avrebbe riflettuto a lungo su quella faccenda.
“Per il momento”, disse il Maestro Windu, “osserveremo il Maestro Sann e faremo di tutto perché egli si riprenda da questa prova.”
Qui-Gon si inchinò di fronte ai membri del Consiglio e li salutò dicendo: “Che la Forza sia con voi.” Quindi girò su se stesso e si avviò verso l’uscita della sala.



Nella Stanza delle Mille Fontane, fiori e piante dai colori intensi brillavano sotto i caldi raggi del sole che penetravano nella sala attraverso le grandi finestre.
Jon-Enn Sann se ne stava seduto sull’erba all’ombra di un robusto albero dal rigoglioso fogliame, con le gambe incrociate e gli occhi chiusi, e a bassa voce recitava i passaggi del codice Jedi.
Poco lontano, il giovane Obi-Wan Kenobi lo osservava in silenzio con sguardo compassionevole e un’ombra di tristezza sul viso. Qui-Gon lo aveva lasciato nella sala giardino a vegliare su Jon-Enn mentre lui si recava all’incontro con il Consiglio dei Jedi in cima alla torre del Tempio.
Per tutto quel tempo, Obi-Wan non aveva fatto che pensare che cosa avesse in serbo la sorte per lo sventurato Jon-Enn. Cosa avrebbe deciso il Consiglio? Lo avrebbe espulso dall’Ordine? Il giovane Padawan non sopportava nemmeno l’idea di una simile eventualità.
Emise un profondo sospiro. D’un tratto percepì una presenza alle sue spalle. Si voltò e vide la possente figura di Qui-Gon Jinn che lo sovrastava.
Obi-Wan guardò il suo maestro negli occhi e vide che il suo sguardo era sereno.
Qui-Gon posò una mano sulla spalla del ragazzo e con un sorriso colmo d’affetto disse: “Ti sei comportato bene durante questa missione, Obi-Wan. Sono fiero di te.”
Il viso del Padawan si illuminò come una stella. “Dici sul serio, Maestro?”
Qui-Gon fece un cenno d’assenso con la testa.
Obi-Wan si sentì il cuore scoppiargli di felicità. Mai prima di allora Qui-Gon gli aveva manifestato tanto orgoglio. Ciò fece nascere in lui un nuovo senso di sicurezza. Tutti i dubbi che lo avevano tormentato durante il lungo periodo di tirocinio si erano ad un tratto dissipati. Un giorno sarebbe diventato un Jedi. Ma non un Jedi qualsiasi. Un giorno sarebbe diventato come Qui-Gon Jinn.
Il Maestro Jedi mise la mano sulla testa del Padawan e gli arruffò i capelli a spazzola dicendo: “Non ti montare la testa, però. Hai ancora molto da imparare.”
“Sì, Maestro.”, rispose Obi-Wan ricambiandogli il sorriso.
Era proprio così. Obi-Wan Kenobi aveva ancora molta strada da percorrere. Ma un giorno sarebbe diventato un grande Jedi. Qui-Gon ne era certo, come era certo che un giorno il ragazzo sarebbe stato destinato a grandi imprese.
Sì, pensò Qui-Gon Jinn. Obi-Wan è sulla strada giusta.
Il Maestro Jedi e il suo giovane allievo Padawan rivolsero la loro attenzione verso il loro amico Jon-Enn.
In quel momento il sorriso di Obi-Wan si affievolì, ed un nuovo senso di tristezza si fece strada nel suo cuore. “Vorrei tanto poter fare qualcosa per lui”, mormorò il ragazzo con voce affranta.
“Hai già fatto molto, Obi-Wan”, lo rassicurò Qui-Gon. “Ora sta a lui trovare il giusto equilibrio nella Forza.”
“Credi che ci riuscirà?” Obi-Wan si voltò e ancora una volta fissò lo sguardo sul volto del suo maestro.
Qui-Gon desiderava tanto avere una risposta che confortasse non solo Obi-Wan ma anche se stesso, ma purtroppo non ne aveva nessuna. Nemmeno Yoda con i suoi oltre 800 anni di saggezza ed esperienza avrebbe potuto rispondere a quella domanda.
Tutto ciò che Qui-Gon poté dire fu: “Soltanto il tempo lo dirà.” Poi accennando un sorriso aggiunse: “Ma penso che sia sulla buona strada.”
Anche lui, pensò il Maestro Jedi. Anche lui come Obi-Wan.
Il ragazzo si sentì incoraggiato a vedere il futuro di Jon-Enn con più ottimismo. Tornò a guardare il Jedi seduto in meditazione e sorrise speranzoso.
Jon-Enn, concentrato in un profondo stato di meditazione, lasciava che la Forza fluisse dentro di sé mentre continuava a recitare i passaggi del codice dei Jedi.
“Non c’è passione, c’è serenità.”
Si era trovato di fronte al sentiero che conduceva al Lato Oscuro e aveva rischiato di perdersi. Un sentiero che una volta intrapreso lo avrebbe portato in un abisso dal quale non sarebbe mai più potuto riemergere
“Non c’è caos, c’è armonia.”
Ma grazie all’aiuto dei suoi amici era tornato sui suoi passi. Grazie a loro era tornato alla luce. Aveva ritrovato la sua identità.
Era di nuovo un Jedi.
Sorrise.
“Non c’è morte, c’è la Forza.”




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