Cap. 37 Cambiamenti
Dopo tanto, troppo, troppissimo tempo ecco qui il nuovo capitolo.
Scusate per l'enorme ritardo, ma scrivere, questo semestre, sembra
diventato impossibile :( In più ci si mette anche il blocco
dello scrittore, dannazione!
Comunque, gli ingranaggi si stanno muovendo e i ragazzi sono vicinissimi alle terre del Sud.
Buona lettura! :)
Cap. 37 Cambiamenti
Chiuse gli occhi, focalizzandosi sulle piccole scintille di luce che poteva vedere dietro le palpebre serrate.
Il calore della fiamma alle sue spalle lo avvolgeva, rendendo l’aria crepitante e soffocante.
Ma a lui non importava.
La sua essenza era concentrata su quella degli altri, nonostante riuscisse a percepirli solo a tratti.
Si era reso conto che qualcosa non stava andando per il verso
giusto diverso tempo prima, ma non era mai riuscito a mettersi in
contatto con nessuno dei suoi fratelli. Ora, inspiegabilmente, erano
loro a cercare di stabilire un collegamento.
Aveva proteso la sua propria essenza il più lontano possibile,
fino a scontrarsi con quella che sembrava una barriera fisica e ostile.
Non sapeva di preciso cosa fosse e ne saggiò la consistenza con
un guizzo di potere: quella tremolò, ma non cedette.
Infastidito, cercò di non perdere le staffe e rimanere
concentrato. Se avesse inseguito il pensiero si sarebbe distratto e
ogni sforzo sarebbe risultato vano.
Saggiò il terreno con gli artigli ed assorbì un po’
del calore che emanava dalla grande fiamma danzante dietro di lui. Il
suo pelo sfrigolò, come fosse in procinto di bruciare.
Improvvisamente, come se un fiume avesse rotto gli argini,
percepì la voce di uno dei suoi fratelli. Per la precisione di
Manannan, il cui potere era opposto al suo.
“Fratello! Finalmente!”, esclamò quello, con un pizzico di fastidio nella voce.
“Sempre impaziente, eh, Manannan?”, lo canzonò.
Il Cair dell’Acqua arricciò il labbro superiore.
“Naur, non è tempo di scherzare. È già un
miracolo se siamo riusciti a metterci in contatto con te.”, lo
rimbeccò.
“Siamo?”
“Io e Fenris.”, spiegò l’altro.
Naur si fece stupito e, per poco, non perse il controllo del proprio
potere. “C’è anche il Primo?”, domandò
allora.
“No. Parlare con lui è molto difficile, per via del potere
della quercia.”, rispose il suo interlocutore, il suo tono
ricordava quello di un maestro.
“Perché sei sempre così tranquillo, quando parli
con me? Sappiamo entrambi che non sei così.”,
protestò il lupo dal pelo ramato.
“Naur, non è il momento. Concentrati!”, si
sentì rimproverare. Senza poterselo impedire sghignazzò,
mostrando i denti.
Dopo quel breve scambio di battute, il Cairansis si fece serio.
“Raccontami tutto per filo e per segno. Ho avuto sentore di un
cambiamento, ma non ho mai potuto confermare i miei sospetti.”,
disse.
“Ci sono stati molti cambiamenti, non ultimo l’avvento di un nemico.”, fu la risposta pacata.
“Quale nemico?!”
Manannan espirò profondamente, incassando l’ondata di
potere che gli era arrivata dal fratello. “Lascia che ti spieghi
e non bruciare come un fuoco impazzito.”, borbottò.
“Meglio che tu sia conciso.”, il Vegliante del Fuoco
irrigidì i muscoli della schiena, pronto a ricevere brutte
notizie.
***
Dormiva serena, come se quei dieci anni non fossero mai esistiti.
La osservò in silenzio, seguendo rapito il lento movimento del
suo petto. Allungò una mano per sfiorarle il viso, ma
all’ultimo esitò.
“E se questo fosse solo un sogno?”, si chiese, il dubbio a
divorargli l’anima. Aveva continuato a chiederselo da quando
l’aveva vista riemergere dalle acque del lago, avvolta in un
bocciolo di luce.
Restò a fissarla immobile, quasi temendo che potesse
sparire da un momento all’altro. Alla fine, certo che non sarebbe
evaporata come neve al sole, le lasciò una carezza carica
d’amore sulla guancia.
Lei sorrise nel sonno, provocandogli una stretta al cuore. Senza
pensarci due volte la strinse a sé, attento a non svegliarla.
Affondò la mano tra i suoi capelli e, poco dopo, vi nascose il
viso.
Serrò gli occhi con forza, tentando di non farsi vincere
dall’emozione, ma lo sforzo si rivelò vano: si
ritrovò a piangere silenziosamente, come solo un bambino avrebbe
fatto.
Diede libero sfogo alle lacrime, conscio del fatto che fossero lacrime
di gioia e non di dolore. Dopo dieci, lunghi anni poteva piangere di
gioia.
Mentre lasciava che lo sfogo avesse il suo corso, Kiraliaji si mosse
nel sonno e nascose il viso contro il suo petto, come se stesse
cercando rifugio.
Ricordò le notti passate nello stesso letto, da piccoli, stretti
l’uno all’altra come se ne andasse delle loro vite. I piedi
freddi di sua sorella lo facevano continuamente sobbalzare, ogni volta
che lei si muoveva nel sonno.
Al pensiero gli sfuggì un sorriso e desiderò che ci
potessero essere altre notti così, passate a maledirla
perché non lo lasciava dormire.
-D’ora in poi ti proteggerò sempre, lo giuro.- sussurrò, lasciandole un rapido bacio sul capo.
La giovane donna che aveva tra le braccia sembrò udirlo e sorrise a sua volta, stringendosi maggiormente a lui.
Accentuò la presa sul suo esile corpo e puntò lo sguardo
fuori dalla finestra, sul cielo terso e trapunto di stelle.
“Quei ragazzi hanno portato cattive nuove.”, meditò, tornando con la mente al pomeriggio appena passato.
Se quello che gli avevano raccontato era vero, allora doveva mettersi
subito al lavoro in modo da poter proteggere il villaggio e,
soprattutto, Kiraliaji.
“Ma cosa posso fare, a parte qualche incantesimo di protezione?”, si chiese, crucciato.
Aveva studiato per anni le leggende di Suran e tutta la sua storia,
dalla sua creazione fino ai giorni presenti, ma gli sembrava di non
ricordare nulla che potesse risultare utile alla missione dei ragazzi.
La cosa più sconvolgente era l’aver confermato
l’esistenza dei Balhia, creature ritenute molto più che
leggendarie.
Mentre inseguiva quel pensiero, un altro lo colse all’improvviso.
Quasi balzò a sedere sul letto, colpito. “Un attimo! Gli
antichi libri… i templi…!”, i suoi occhi vagarono
freneticamente per tutta la camera.
C’era una cosa che poteva fare per aiutare e, l’indomani, si sarebbe messo subito al lavoro.
Nel frattempo, almeno per un po’, si sarebbe goduto la ritrovata presenza della sua piccola sorellina.
Soddisfatto e finalmente in pace, si lasciò andare al sonno che lo vinse in poco tempo.
Si alzò di buon’ora e fece colazione con qualche fetta di pane spalmata col miele.
Mentre mangiava lanciò un’occhiata distratta verso la
finestra e vide che i suoi ospiti erano ancora nel mondo dei sogni.
Anzi, per la precisione lo erano solo i ragazzi: l’Ippogrifo e il
grosso lupo erano assenti.
“Probabilmente sono andati a cercare qualcosa da mettere sotto i
denti.”, pensò, finendo la propria colazione. Si
ripulì le mani e poi si affrettò ad andare nello studio,
che aveva costruito ampliando parte della casa in cui era cresciuto.
Aprì le imposte e si mise a scorrere con attenzione i
titoli sui dorsi dei libri. Finalmente individuò ciò che
stava cercando e lo estrasse con mano sicura, aprendolo subito dopo sul
tavolo al centro della stanza.
Sfogliò parecchie pagine, lasciando scivolare lo sguardo su
paragrafi fitti di parole. Si bloccò un paio di volte, convinto
di aver trovato quello che gli serviva, ma subito dopo si rese conto di
essersi sbagliato e proseguì.
Alla fine arrivò alla parte che gli interessava. Si sedette e si
mise a leggere con attenzione, temendo di perdere il passaggio che
conteneva le informazioni che gli servivano. Quando lo trovò
raddrizzò la schiena, facendosi se possibile ancora più
attento.
Lo lesse interamente e poi rialzò la testa, soddisfatto.
“Devo informarli.”, pensò. Non era certo della
rilevanza di quell’informazione, ma riteneva giusto doverli
informare. Grazie a loro aveva riavuto Kiraliaji, quindi era il minimo
che potesse fare per sdebitarsi.
Ripose il volume al suo posto e tornò nella grande stanza che
fungeva da zona giorno, trovandovi la sorella intenta a scaldarsi un
po’ di latte.
-Oh, Orphen, buongiorno!- lo salutò gioviale, ma ancora un po’ assonnata.
L’uomo rimase sulla soglia, colpito da quell’immagine.
Ricordava tutte le mattine passate insieme, seduti al tavolo della
cucina a parlare del niente o di cose successe i giorni precedenti.
-Che c’è?- gli chiese Kiraliaji, vedendosi osservata.
Scosse la testa, accennando un sorriso. –Nulla, tranquilla.
Lei lo scrutò attentamente per qualche istante, poi fece spallucce e tornò alla propria colazione.
-Appena hai finito di mangiare, vorrei che uscissi con me: devo parlare
ai nostri ospiti.- le comunicò, togliendosi di dosso la
nostalgia.
La giovane annuì, addentando un biscotto alla vaniglia.
Poco dopo si alzò e seguì il fratello fuori dalla porta, dove trovarono il gruppo di ragazzi intento a svegliarsi.
Li salutarono e Kiraliaji offrì loro un po’ dei biscotti con cui aveva appena fatto colazione.
-Mentre mangiate, vorrei che mi steste a sentire.- disse loro Orphen.
Simar si fece guardingo. –Di che si tratta?
-Di una cosa che potrebbe esservi utile, ma non ne sono certo.- rispose.
Al che tutti i presenti si fecero guardinghi, compresi Blaking e Nehir di ritorno proprio in quel momento.
-Stanotte, meditando su quello che mi avete detto, ho ripensato a
quanto ho letto durante i miei anni di apprendistato. Tra le cose che
ho studiato, c’è anche la leggenda dei Balhia.-
iniziò, prendendo a camminare avanti e indietro davanti ai suoi
interlocutori. –Una delle prime cose che si scopre, leggendola,
è che i cinque cavalli sono molto più potenti uniti, che
divisi.- aggiunse.
-Sì, ce ne siamo accorti.- commentò Drew, sorridendo
brevemente a Blaking. L’amico rispose con un’espressione
leggermente imbarazzata, scusandosi per i recenti disagi.
-Una cosa che forse non sapete, è che ci sono due elementi
più forti degli altri, anche all’interno di quel gruppo.-
continuò l’Elfo.
Il principe terminò il proprio pezzo di focaccia e poi, meditabondo, mormorò:-Fuoco e Acqua…?
-Esattamente.
-E questo come potrebbe aiutarci?- domandò Ethelyn, perplessa.
-Be’, prima dovrete trovare tutti i Balhia.- precisò.
–Poi, la leggenda dice che i loro poteri saranno incrementati se
“Fuoco e Acqua si uniranno”.- concluse.
A quella strana rivelazione seguirono molte espressioni perplesse,
compresa quella di Kiraliaji. I ragazzi si scambiarono occhiate
perplesse, cercando di trovare una spiegazione logica a quanto era
appena stato detto loro.
-La brutta notizia è che non so come questo possa accadere.-
ammise il Sacerdote, spezzando il silenzio e guardandoli con un pizzico
di disappunto. –Non è scritto nei testi.
-Be’, allora quest’informazione non ci è molto utile.- commentò Blaking, raddrizzando il capo piumato.
-E’ sempre meglio di niente, no?- disse invece Ethelyn, molto
più propensa a vedere il lato positivo della questione.
I presenti si scambiarono occhiate perplesse, ma alla fine annuirono, anche se non completamente convinti.
-Ho solo questo, per ora.- ammise Orphen, con un sospiro dispiaciuto.
Kiraliaji lo guardò, meditabonda. –E… e se ti aiutassi nelle ricerche?- propose, risollevando lo sguardo.
Lui la fissò con tanto d’occhi, stupito. –No!
Kiraliaji, sei appena tornata in libertà! Hai… hai
moltissimo tempo da recuperare, esperienze mancate e… no. Non
posso permettere che tu ti rinchiuda in una stanza, leggendo vecchi
libri.- rifiutò, deciso. La ragazza restò a fissarlo
senza parole, confusa da una reazione così violenta. Suo
fratello dovette accorgersene perché aggiunse:-Scusa… ma
cerca di capirmi.
-Ti capisco.- sorrise e lo abbracciò di slancio, davanti a
tutti. Il Sacerdote arrossì di colpo, imbarazzato e rimase con
le braccia sollevate, senza sapere se ricambiare o meno il gesto.
Sentendo la sorella così rilassata, però, decise di lasciarsi andare e stringerla a sé.
Dopo qualche istante, riscuotendosi dal torpore di
quell’abbraccio, il giovane uomo si ricordò di una cosa.
L’allontanò gentilmente da sé e le disse:-Me ne
sono ricordato solo ora, perdonami: c’è qualcuno che
vorrebbe salutarti.
La ragazza dai capelli fulvi si fece nuovamente perplessa. Chi poteva essere?
Era vero: non era ancora scesa al villaggio per salutare gli altri, ma
dubitava che qualcuno avesse sentito così tanto la sua mancanza.
Forse il maestro Hughes.
Vedendo l’espressione curiosa e al tempo stesso perplessa
di Kiraliaji sorrise, portandosi subito dopo due dita alle labbra.
Esitò un istante e poi lanciò un lungo fischio.
Dovettero attendere solo qualche istante per veder arrivare la grande
aquila dal piumaggio bruno. Alla sua vista, l’Elfa si aprì
in un sorriso e la guardò con tanto d’occhi, contenta. Non
credeva l’avrebbe mai rivista.
-Credevo che… per tutto questo tempo…?- chiese, fissando rapita la postura regale dell’animale.
Suo fratello annuì. –L’ho chiamato
Chrysaetos… per via del suo piumaggio.- le spiegò,
lasciando che il rapace si appollaiasse placidamente sul suo braccio.
-Chrysaetos. Posso toccarlo?
-Sì, ma avvicinati con calma.- l’avvertì.
Stava per allungare una mano quando, poco oltre il dislivello che conduceva al sentiero per il villaggio, comparve Nive.
La giovane pareva abbastanza adirata e si annunciò protestando
contro i compagni di viaggio, accusandoli ancora una volta di averla
estromessa dalle questioni importanti. Il suo arrivo infastidì
l’aquila, che arruffò le piume del collo e sbatté
qualche volta le ali.
-Bene, almeno ha ammesso di voler far parte del gruppo. È un
inizio.- commentò Drew, senza farsi sentire da altri se non da
Blaking. A quanto pare, però, anche Ethelyn riuscì a
sentirlo perché gli dedicò un’occhiata contrariata.
-Siamo stati presi da altro, ma poi ti avremmo riferito tutto.-
cercò di rabbonirla Simar. La danzatrice lo guardò male e
sembrò volerlo incenerire con lo sguardo. –E, in ogni
caso, cos’è tutto questo improvviso interesse…?-
chiese subito dopo.
Lei non rispose e si limitò a sedersi su uno dei tronchi,
mostrando a tutti la propria indignazione. Il principe scambiò
un’occhiata mortificata coi loro ospiti, scusandosi per il
comportamento della compagna di viaggio.
***
Quella mattina, all’alba, aveva scorto una strana stella nel cielo.
Socchiudendo gli occhi si era resa conto di aver sbagliato: non era una stella e non si trovava nemmeno in cielo.
Quello era il Vegliante del Sud, lanciato a folle
velocità nei pressi delle pendici del vulcano. Al suo passaggio
i campi coltivati coi fiori qara, le piante da cui ottenevano i fili di
vetro (molto richiesti per le cotte di maglia e gli abiti),
raddrizzarono le corolle e salutarono il sole non ancora sorto.
Si era chiesta per quale strano motivo il Cair stesse puntando verso i
confini con le terre del Cuore e si era fatta perplessa. Anzi,
preoccupata.
Naur non era quello che si può definire un essere socievole,
nonostante avesse molto a cuore tutte le creature che vivevano nelle
sue terre: aveva fama di essere puntiglioso e attaccabrighe.
La cosa strana però, era che il grosso lupo di fiamma non si
vedeva aggirarsi per le terre del Sud da tantissimi anni. Non
un’apparizione, non un cenno.
“Prevedo guai.”, pensò, accarezzandosi pensosa il
mento appuntito. Aveva seguito la scia della creatura fino a quando non
era scomparsa, confondendosi coi raggi del sole.
Ora se ne stava sulla soglia di casa, meditabonda, aspettando
l’inizio di un nuovo giorno. In mano reggeva una tazza ricolma di
un profumato infuso e sentiva sulla pelle i primi barbigli di luce.
Un movimento attirò la sua attenzione e Zahira si fece
guardinga. Raddrizzò la schiena e puntò lo sguardo
sull’orizzonte, pronta a cogliere qualsiasi segno di pericolo.
Quando capì che si trattava solo dei primi tessitori che
s’inoltravano nei cambi, si rilassò. Abbracciò
l’intero villaggio con uno sguardo carico di affetto e sorrise ai
piccoli che stavano correndo oltre le porte di casa per andare a
giocare.
Ricambiò i saluti che le vennero porti ed osservò l’attività iniziare frenetica.
Quel giorno avrebbe dovuto incontrare il capovillaggio di un paese
vicino, per discutere del prezzo di vendita dei fili di vetro e della
possibilità di ampliare una parte dei loro campi.
Si prospettava una normale giornata, uguale ed indaffarata come tutte le altre.
Fece per rientrare in casa, quando un urlo richiamò la sua attenzione.
Col cuore in gola e la testa invasa da ricordi che avrebbe preferito
tenere sepolti, si precipitò fuori. –Che succede?!-
chiese, allarmata.
Vide molti compaesani confluire verso il sentiero che portava alle coltivazioni e li seguì.
Una volta arrivata nei pressi del primo campo trovò un folto
gruppo di tessitori, tutti quanti chini ad osservare il terreno.
Si fece rapidamente largo tra la folla e se li ritrovò
davanti. –Cosa sta succedendo…?- domandò, questa
volta un po’ più calma.
Uno dei lavoratori si scostò e le mostrò quanto avevano trovato: impronte animali con strani residui luminosi.
Fissò quei segni con apprensione, ricordando le voci che aveva
sentito al mercato vicino: le terre dell’Ovest erano in mano ad
un potere maligno, i cui servi oscuri stavano cercando di
spadroneggiare.
“Possibile che siano arrivati fino a qui?”, si domandò.
-Che dobbiamo fare?- le chiese qualcuno.
-Per ora riprendete a lavorare, ma rimanete vigili. Ritornerete alle
vostre case un’ora prima del solito e questa notte stabiliremo
dei turni, per capire se esiste una reale minaccia.- decise, efficiente
come aveva imparato ad essere da quando era stata nominata
capovillaggio.
Le sue parole causarono un diffuso mormorio, ma nessuna protesta.
Zahira sapeva essere molto persuasiva, quando voleva.
***
Guardò fuori, oltre il grande squarcio nella parete.
Sotto di lui la vita cittadina scorreva frenetica, tra suoni, colori ed
odori. La sabbia che ricopriva perennemente le strade veniva sollevata
in ampie nuvole dai carri e dai cavalli di passaggio, ma le persone non
sembravano farci caso.
A Meridie il clima era particolarmente secco e faceva caldo per quasi
tutto l’anno, eccetto durante i due mesi che coincidevano con la
stagione delle piogge. Nulla a che vedere con Cretos, molto più
piovosa e verde.
Sospirò, riparandosi dietro il profilo scalcinato del muro.
Appoggiò lentamente il capo alla parete, fissando il soffitto
senza realmente vederlo.
L’attesa era snervante e lui non era bravo ad aspettare, non lo
era mai stato. Quella non era una caccia alla lepre, quindi non doveva
nemmeno concentrarsi per evitare di sfarsi scoprire.
Solo aspettare.
“Odio aspettare.”, pensò, passandosi una mano tra i capelli e stringendone con foga qualche ciocca.
Lanciò un’altra occhiata distratta alla strada
sottostante, tenendo d’occhio il via vai animato di gente. Se
fosse tornato, l’avrebbe visto arrivare.
Mentre imprecava mentalmente contro l’immobilità a cui il
suo piano l’aveva costretto, lasciò vagare lo sguardo per
l’enorme ambiente in cui si trovava. L’edificio presentava
finiture di pregio, intonaci di calce e decorazioni a mosaico in alcune
stanze, ma quella che aveva scelto come camera privata era molto
semplice e pulita.
Rispecchiava un po’ il suo carattere, per certi versi dai tratti manifestatamente taglienti.
Aveva cosparso una bella porzione di pavimento con cuscini d’ogni
tipo e forma, appendendo per sé un’amaca
dall’aspetto comodo, ma altalenante.
Alcuni grandi cuscini fungevano da giaciglio per il suo compare d’avventure, attualmente fuori per uno spuntino.
“Se almeno Runaway fosse qui, potrei parlare con
qualcuno.”, si disse. Ma, subito dopo, si lasciò sfuggire
un sorriso, dandosi dello stupido. Non era normale considerare dialogo
quello che aveva con la creatura, dato che quella non gli rispondeva a
parole.
Non aveva una sana conversazione con qualcuno da…
-Cinque lunghi anni.- la voce gli uscì in un sussurro amaro.
Restò a fissarsi le mani, tentando di controllare
l’improvviso moto di rabbia che l’aveva assalito.
Quando fu riuscito a domarlo, lanciò l’ennesima occhiata
all’esterno. Questa volta, però, trovò una sorpresa
ad attenderlo. Intercettò gli occhi del ragazzino appoggiato
all’angolo di una casa e gli fece un impercettibile cenno del
capo.
Il bambino scomparve.
Subito dopo qualcuno bussò contro la parete: due colpi brevi ed uno lungo.
-Entra.- disse soltanto.
Il giovane visto poco prima ora si trovava davanti a lui, trafelato ma
sorridente. Sperò che quell’espressione fosse foriera di
buone notizie. –Allora…?- chiese, con un pizzico
d’agitazione.
-Ce l’avete fatta, signor Roving. La parte est della città
è vostra!- annunciò con entusiasmo il suo informatore.
Gli occhi dell’Elfo scintillarono per qualche istante, prima che
lui si alzasse e lasciasse un buffetto sulla spalla del ragazzino.
–Hai fatto un buon lavoro, grazie. Questa sera pagherò te
e i ragazzi.- gli disse, orgoglioso del risultato.
-Grazie!- esclamò l’altro.
Esitò un attimo e poi gli disse:-Vai pure.
Il bambino si congedò con un rapido cenno del capo, si
voltò per uscire di gran carriera, ma per poco non finì
schiacciato contro il muro. L’arrivo di Runaway l’aveva
colto di sorpresa e, come ogni singola volta, il giovane era balzato
indietro, spaventato.
Come dargli torto?
Quasi tutti i suoi collaboratori avevano timore del suo fido compagno
e, da un lato, li capiva. I primi tempi quegli occhi rossi mettevano
una certa inquietudine anche a lui.
-Non ti farà niente, tranquillo.- cercò di
tranquillizzare il giovane collaboratore, impedendosi al contempo di
ridacchiare per la sua reazione.
-Mhm…- fu la risposta diffidente.
Roving allora puntò gli occhi chiari in quelli cremisi della
creatura e quella, dopo qualche istante, entrò nella stanza,
lasciando libero il passaggio. Il ragazzino non si lasciò
scappare l’occasione e fuggì a gambe levate,
salutando lungo le scale.
Sentì sbattere il grande portone d’ingresso e solo allora
si concesse di ridere. –Continui a fargli un brutto effetto.
Il compare gli dedicò una pigra occhiata, prima di sdraiarsi sui guanciali.
Il giovane allora tornò a guardare fuori dalla finestra.
“Ti scoverò, Ghilen. E, una volta stanato, pagherai per
tutto il male che hai fatto.”, promise. “La prima cosa che
perderai sarà questa città.”
***
Orphen e Kiraliaji avevano lasciato il gruppo di ragazzi a discutere.
A quanto gli era dato capire, Nive era l’ultimo membro
affiliatosi e sembrava restia a sopprimere il proprio carattere
spiccatamente egocentrico a beneficio degli altri. Sicuramente si stava
dimostrando una bella gatta da pelare, non c’erano dubbi.
Vedendolo sogghignare, sua sorella lo superò di qualche passo e gli chiese, curiosa:-A cosa pensi?
-A quanto quella ragazza sia cocciuta.- ammise, scuotendo il capo.
-La danzatrice?- fece lei, lanciando un’occhiata alle proprie
spalle. Osservando il piccolo gruppo, era riuscita a capire che lo
Spirito Blu sapeva ballare, nonostante non l’avesse vista
esibirsi la sera in cui era stata liberata.
Suo fratello le lanciò un’occhiata, stupito. -Come sai che è una danzatrice?
-Be’, li ho osservati.- ammise la ragazza, sentendosi in
imbarazzo. Le sembrava di aver fatto una cosa sbagliata, anche se non
sapeva perché.
Orphen rimase in silenzio per un po’, proseguendo verso il centro
del villaggio. –Non sono arrabbiato, se è questo che temi.
Sono stupito: non credevo avessi un tale spirito d’osservazione.
L’ultima volta che ti ho parlato eri…- s’interruppe.
Capendo il suo stato d’animo, la giovane allungò una mano
ed intrecciò le dita con quelle dell’Elfo, sorridendogli
subito dopo per rallegrarlo. Lui apprezzò enormemente il gesto,
accentuando la presa.
Camminarono in silenzio per un altro po’, fino a quando lei non
si decise a chiedere:-Com’è morto papà…?
A quella domanda, il Sacerdote alzò la testa di scatto, come se
si fosse scottato. –Come…?- gracchiò, di colpo
senza voce.
“Non dovevo chiedere.”, realizzò Kiraliaji, pentendosi subito. –Niente.- si affrettò a dire.
-Come lo sai?- si sentì chiedere.
Fu costretta a fermarsi, perché suo fratello le mise le mani
sulle spalle. Tenne lo sguardo basso per qualche istante, sentendosi
stupida: non avrebbe dovuto rivangare il passato. Soprattutto un
passato doloroso.
Però doveva sapere cos’era successo.
Deglutì a vuoto qualche volta. –Nostro padre. Ricordo di
averti visto attaccarlo, mentre venivo trascinata giù…-
ammise.
-Io…
-Orphen!- Hughes arrivò a trarlo d’impaccio.
Il giovane uomo trattenne a stento un sospiro di sollievo, grato. Non
avrebbe saputo come affrontare l’argomento con la sorella, dato
che lui stesso aveva cercato di rimuoverlo dai propri ricordi.
Non si era mai considerato un assassino e togliere la vita al padre lo
aveva privato di una parte di sé. Temeva che, rivivere quei
brevi istanti, avrebbe potuto farlo sentire ancora più sporco di
quanto non si fosse sentito allora.
Decise di concentrarsi su quanto aveva da dirgli il maestro, ma quello
non gli stava prestando attenzione: era tutto preso ad osservare
Kiraliaji, ad abbracciarla e sorriderle, incredulo.
“E’ vero: da quando è stata liberata, nessuno dei
nostri compaesani ha potuto incontrarla.”, si rese conto,
osservando la scena intenerito.
L’uomo aveva fatto da precettore sia a lui che alla giovane,
quand’erano piccoli. Ed era stato anche l’aiuto più
valido che avesse mai potuto sperare di avere durante quei dieci anni
d’inferno.
-Hai visto com’è cresciuta, Orphen?- gli disse l’Elfo, commosso.
Annuì, sorridente. Kiraliaji li fissava entrambi, imbarazzata e
a disagio. Sicuramente non aveva previsto un trattamento del genere.
-Hughes.- il Sacerdote decise di trarla d’impaccio.
–Perché mi cercavi?- aggiunse, una volta ottenuta
l’attenzione dell’altro.
Quello lasciò andare il viso della giovane dai capelli ramati e
si voltò a guardare quello che, da parecchi anni a quella parte,
era diventato il suo capovillaggio. –Ieri sera ci siamo riuniti.-
iniziò.
-Riuniti? Tu e chi altri?- domandò il suo interlocutore.
-Io e tutti gli altri abbastanza vecchi da aver capito la portata di
quello che sta succedendo.- gli rispose, fissandolo dritto negli occhi.
-E cos’avete deciso?
-Lumiria ha vissuto isolato per troppo tempo. È tempo che le cose cambino.- asserì con convinzione.
-Cosa volete fare?- chiese Kiraliaji, allarmata dal tono del maestro.
-Tranquilla, piccola. Niente di così pericoloso.- la
rassicurò, sorridendole brevemente. Poi tornò a voltarsi
verso Orphen. –Vogliamo porci a difesa del passaggio verso Sud.
A quelle parole, l’Elfo fece tanto d’occhi. –Voi
cosa?! Ma siete impazziti?! L’unico Sacerdote rimasto sono io
e…- ma venne interrotto.
-Non siamo vecchie fatine indifese, sappiamo ancora usare la magia.
È giusto aiutare Suran, dato che, come hai detto anche tu, sei
l’unico rimasto della tua casta e non è possibile cambiare
questo fatto.- fu la risposta, precisa e decisa.
-Ma…
-Il passaggio ha già una buona protezione naturale: se
aggiungiamo i nostri occhi e la nostra magia, non farà altro che
rafforzarsi.- argomentò l’altro.
-Non posso acconsentire a questa pazzia!- protestò l’uomo,
incredulo di fronte alla sicurezza dell’amico di vecchia data.
-Peccato, perché la decisione è già stata presa.
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